Considerato in diritto
1.– La Regione Veneto propone, in via principale, questioni di legittimità costituzionale di varie disposizioni recate dalla legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020).
Riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni proposte con il medesimo ricorso, lo scrutinio deve essere qui limitato a quelle aventi ad oggetto i commi 37 e 778 del suo art. 1.
2.– L’impugnato comma 37, che viene in primo luogo in esame, è denunciato, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, in quanto proroga all’anno 2018 la sospensione – disposta per l’anno 2016 dal comma 26 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato(legge di stabilità 2016)», e già prorogata, per l’anno 2017, con l’art. 1, comma 42, lettera a), della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017–2019) – dell’efficacia delle leggi regionali e delle deliberazioni comunali, «nella parte in cui prevedono aumenti dei tributi e delle addizionali attribuiti alla regioni e agli enti locali con legge dello Stato rispetto ai livelli di aliquote o tariffe applicabili per l’anno 2015».
2.1.– Secondo la ricorrente risulterebbero, infatti, innanzitutto violati gli artt. 3 e 117, terzo comma, Cost., poiché il blocco del potere impositivo regionale anche per l’anno 2018 risulterebbe reiterato con una motivazione «priva di proporzionalità», in contrasto con il corretto esercizio della potestà statale di coordinamento finanziario. E sarebbero del pari violati l’art. 97 Cost., sotto il profilo del principio del buon andamento della pubblica amministrazione – in quanto la mancanza di proporzionalità della disposta proroga del blocco del potere impositivo regionale impedirebbe un «autonomo sforzo fiscale aggiuntivo» –, e l’art. 119 Cost., dal momento che la norma impugnata «pretende[rebbe] di estendersi, data la sua formulazione, anche ai tributi propri autonomi», quali quelli resi tali dall’art. 8 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario): tributi, questi ultimi, che spetterebbe, invece, alla Regione di stabilire ed applicare.
La violazione dei parametri evocati da parte della norma denunciata – conclude la ricorrente – si pone «su un piano che prescinde dall’allegazione da parte della Regione della dimostrazione […] di un vulnus tale da rendere impossibile lo svolgimento delle proprie funzioni» essendo, per altro, essa in grado di documentare «il gettito potenziale che avrebbe potuto ricavare in assenza del blocco dei tributi […] pari a 1.155 ml di euro».
2.2.– Sostiene in contrario l’Avvocatura dello Stato che la ricorrente non abbia assolto l’onere motivazionale, analogamente a quanto già rilevato dalla sentenza n. 135 del 2017 di questa Corte, che ha dichiarato l’inammissibilità della questione di costituzionalità dell’art. 1, comma 26, della legge n. 208 del 2015 sollevata dalla medesima Regione Veneto.
Osserva che, comunque, anche la proroga per l’anno 2018, del blocco dell’aumento tributario rappresenterebbe «una misura di carattere eccezionale, temporalmente limitata» e giustificata dal contenimento della pressione tributaria, come dimostrerebbe l’ulteriore deroga al blocco introdotta, per l’imposta e il contributo di soggiorno, dall’art. 4, comma 7, del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 2017, n. 96, indicativa di come il legislatore operi ponderando gli effetti della misura di sospensione, «rimodulando la portata della norma ogni qualvolta intervengano sopravvenute esigenze che giustifichino una riperimetrazione del suo ambito applicativo».
2.3.– La questione così prospettata non è ammissibile.
2.3.1.– La disposizione di cui al comma 26 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015 – su cui incide l’ulteriore proroga di cui all’art. 1, comma 37, della legge n. 205 del 2017, oggetto della odierna impugnazione – è già stata portata all’esame di questa Corte, sia nella sua formulazione originaria, sia in quella oggetto della modifica apportata dal comma 42, lettera a), dell’art. 1 della legge n. 232 del 2016, su ricorsi, nel primo caso, della sola Regione Veneto e, nel secondo caso, delle Regioni Veneto e Toscana.
Con la sentenza n. 135 del 2017 è stata dichiarata l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del comma 26 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015, nella sua originaria formulazione, proposta in riferimento agli artt. 3, 5, 32, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost.
Si è ritenuto, difatti, che le censure non rispondessero ai requisiti di completezza e chiarezza richiesti per la proposizione di una questione di legittimità costituzionale, a maggior ragione nei giudizi in via principale.
Con la successiva sentenza n. 75 del 2018, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 42, lettera a), della legge n. 232 del 2016, modificativo del comma 26 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015, proposta in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., è stata, a sua volta, dichiarata inammissibile.
Anche in questo caso, nel ricorso della Regione Veneto e (ancor più) in quello della Regione Toscana, la lamentata alterazione del rapporto tra complessivi bisogni regionali e mezzi per farvi fronte è risultata dedotta, infatti, «in modo solo assertivo, senza alcuna concreta indicazione in termini di raffronto tra la situazione tributaria regionale, in rapporto agli impegni di spesa, e il pregiudizio che a detti impegni deriverebbe dal sospeso aumento di aliquote o tariffe, per di più, genericamente riferito all’intera platea dei tributi e delle addizionali attribuiti alla Regione, e non ad uno o più specifici tributi, il cui mancato gettito possa avere effettiva negativa incidenza sul finanziamento di servizi erogati ai cittadini e in particolare, come si deduce, sul servizio sanitario». Senza adeguatamente, inoltre, considerare che, proprio con riguardo al settore sanitario, l’asserito vulnus al fabbisogno finanziario, ascritto alla disposizione impugnata, risultava temperato dalle “deroghe” al blocco, previste dalla norma stessa, tra le quali quella di cui all’art. 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», che, a fronte di un eventuale disavanzo regionale, consentirebbe, in prima battuta alla stessa Regione (e, dunque, in prevenzione rispetto al commissariamento) di adottare le misure necessarie per farvi fronte e, tra queste, gli aumenti tributari; e la deroga di cui all’art. 2 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti dalla pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali), convertito, con modificazioni, nella legge 6 giugno 2013, n. 64 – anch’essa “fatta salva” dalla norma censurata «per il settore sanitario» − quanto alla manovra incrementativa, che questa consente per fare fronte a debiti delle Regioni.
2.3.2.– Con l’odierno ricorso la Regione Veneto, con riguardo al blocco impositivo reiterato dal censurato comma 37 dell’art. 1 della legge n. 205 del 2017, analogamente, come già detto, denuncia l’effetto impeditivo, che ne conseguirebbe, di un «autonomo sforzo fiscale aggiuntivo» e la negativa sua ricaduta sulla «possibilità di continuare a garantire adeguati servizi».
Ma, anche in questo caso, la concreta indicazione di elementi pertinenti, da cui poter effettivamente desumere l’asserita alterazione del rapporto tra complessivi bisogni regionali e mezzi per farvi fronte, non è fornita dalla ricorrente. E ciò neanche tramite le tabelle e le stime riportate in ricorso, posto, del resto, che si tratta delle stesse tabelle e stime riportate nella memoria illustrativa depositata dalla Regione Veneto nel giudizio definito con la sentenza n. 75 del 2018 e da questa pronuncia ritenute non in grado di superare le «lacune probatorie» presenti nel ricorso.
È poi comunque decisivo il rilievo che, diversamente da quanto presupposto e sostenuto dalla ricorrente, il «blocco», raggiunto dalle formulate censure, non attiene a “tributi propri regionali”, bensì, solo a tributi regionali “derivati” di fonte statale, rispetto alla cui consistenza le facoltà delle Regioni sono anch’esse disciplinate dalla legge statale, che può pertanto ben sospenderne l’esercizio (a maggior ragione se, come nella specie, in modo temporaneo e limitatamente al solo aumento delle aliquote dei tributi anzidetti), in vista dell’attuazione di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica (sentenza n. 284 del 2009).
2.3.3.– Da qui, dunque, l’inammissibilità della questione sin ora esaminata.
3.– Il comma 778 dell’art. 1 della legge n. 205 del 2017 – che viene in esame per denunciato contrasto con gli artt. 3, 5, 117, secondo comma, 119 e 120 Cost. – rinvia, dal 2019 al 2020, l’entrata in vigore dei nuovi meccanismi di finanziamento delle funzioni regionali stabiliti dal d.lgs. n. 68 del 2011, intervenendo sugli artt. 2, 4, 7 e 15 del suddetto d.lgs., e, dunque, rispettivamente, sulle nuove modalità di determinazione dell’addizionale regionale IRPEF, sulla nuova configurazione della compartecipazione IVA basata sulla territorialità della riscossione del gettito, sulla soppressione di talune categorie di trasferimenti statali e, infine, sull’istituzione di un fondo perequativo alimentato dal gettito prodotto da una compartecipazione al gettito dell’IVA, determinata in modo tale da garantire in ogni Regione il finanziamento integrale delle spese concernenti i livelli essenziali delle prestazioni (LEP).
3.1.– Secondo la Regione Veneto, si tratterebbe di «un rinvio statale che ormai si è protratto per sette anni (dal 2013 al 2020), in assenza di una valida ragione che lo possa giustificare, al punto da indurre a ritenere che tale ulteriore proroga sia destinata a protrarsi sine die, dimostrando una chiara volontà statale di determinare una situazione di permanente inattuazione dell’art. 119 della Costituzione in relazione alla autonomia finanziaria delle Regioni». Ne risulterebbe per ciò «compromessa» detta autonomia e risulterebbero, altresì, appunto violati l’art. 5 Cost., «perché è compito della Repubblica adeguare la propria legislazione alle esigenze della autonomia e nello specifico avviene invece il contrario»; e l’art. 3 Cost., «perché il rinvio ormai ripetuto dal 2011 non corrisponde ad alcuna effettiva riforma intervenuta nell’ambito della finanza regionale che possa effettivamente giustificarlo».
La «ridondanza sull’autonomia regionale» di tali proroghe sarebbe evidente – ne evince la ricorrente – in quanto «il procrastinato mantenimento di un sistema di finanza sostanzialmente derivata compromette la possibilità di un esercizio efficace delle funzioni costituzionalmente assegnate alle Regioni», costituendo «le norme della cui attuazione si dispone l’ulteriore differimento […] la concretizzazione dei principi affermati nell’art. 119 Cost.».
Nondimeno, vi sarebbe anche un vulnus del principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost., avendo le Regioni «richiesto, nel parere fornito sulla legge di bilancio 2018, che venisse soppresso questo ennesimo rinvio», la cui previsione, invece, paleserebbe anche un profilo di contraddittorietà rispetto alla norma di cui all’art. 24 del d.l. n. 50 del 2017, «inserita in sede di conversione su richiesta delle Regioni», la quale stabilisce l’avvio del processo di determinazione dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali standard delle Regioni a statuto ordinario, finalmente in attuazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 68 del 2011 (dopo che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ivi previsto non è mai stato emanato).
3.2.– Secondo, invece, la difesa dello Stato, «la posticipazione dell’attuazione delle norme del D.Lgs. n. 68/2011 risulta ragionevolmente giustificata dall’oggettiva sussistenza di difficoltà tecnico-operative riscontrate nell’attuazione del sistema di incremento di risorse proprie delle regioni, quali ad esempio, 1. la necessità di garantire inalterato il prelievo fiscale complessivo a carico del contribuente e 2. la necessaria definizione dei LEP e dei correlati costi standard».
In particolare, con riferimento all’art. 2 del predetto d.lgs. – in base al quale si intendeva realizzare l’effettiva sostituzione della compartecipazione regionale all’accisa sulla benzina con l’incremento della quota base dell’addizionale regionale dell’IRPEF –, la disposizione avrebbe presentato, infatti, «sin dall’inizio […] forti criticità applicative», tanto che (a seguito degli interventi normativi soppressivi del comma 4 dell’art. 8 del d.lgs. n. 68 del 2011 e di azzeramento dei trasferimenti individuati dalla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale) il legislatore sarebbe stato «indotto a rinviare l’applicazione delle disposizioni sulla rideterminazione dell’aliquota base dell’addizionale regionale all’IRPEF di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 68 del 2011 proprio per la mancata sussistenza delle condizioni prescritte dalla stessa norma».
Mentre – quanto alla prevista nuova configurazione della compartecipazione all’IVA su base territoriale, correlata alla istituzione di un fondo perequativo, alimentato dal correlativo gettito, volto a garantire in ogni Regione il funzionamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) – sarebbe evidente che «tutti i provvedimenti sopra indicati non possono essere emanati prima della necessaria definizione dei LEP e dei correlati costi standard nelle materie diverse dalla sanità», rimanendo nelle more, per altro, in vigore il sistema di determinazione dell’aliquota di compartecipazione regionale all’IVA, delineato dall’art. 2 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell’articolo 10 della legge 13 maggio 1999, n. 133).
La concreta attuazione del sistema delineato dal d.lgs. n. 68 del 2011 sarebbe comunque «oggetto di continue valutazioni e riflessioni finalizzate al definitivo superamento delle criticità finora riscontrate», come dimostrato dal fatto che l’art. 1, comma 534-bis, della legge n. 232 del 2016 «ha espressamente disciplinato l’iter da avviare per risolvere le problematiche in questione», affidando alla Commissione tecnica per i fabbisogni standard, di cui all’art. 1, comma 29, della legge n. 208 del 2015, il compito di approvare, in base ai criteri di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 68 del 2011 e nelle materie diverse dalla sanità, «le metodologie per la determinazione dei fabbisogni standard e capacità fiscali standard delle Regioni a statuto ordinario». E, tra i componenti di detta Commissione – sottolinea l’Avvocatura – «vi è anche un rappresentante regionale che partecipa, dunque attivamente alla costruzione di un nuovo sistema».
3.3.– Neppure tale seconda questione supera il vaglio preliminare di ammissibilità: ciò che ne impedisce l’esame nel merito.
3.3.1.– La giurisprudenza di questa Corte è ferma, infatti, nel ritenere che, a seguito di manovre di finanza pubblica, possono anche determinarsi riduzioni nella disponibilità finanziaria delle Regioni, purché esse non siano tali da comportare uno squilibrio incompatibile con le complessive esigenze di spesa regionale e, in definitiva, rendano insufficienti i mezzi finanziari dei quali la Regione stessa dispone per l’adempimento dei propri compiti (tra le altre, sentenze n. 127 e n. 205 del 2016). Circostanza, quest’ultima, che deve essere comunque dedotta e provata dalla Regione ricorrente (da ultimo, sentenza n. 29 del 2018).
Nella specie, il ricorso non evidenzia, però, alcuna, tantomeno concreta, riduzione di disponibilità finanziaria in pregiudizio della Regione Veneto determinata dai differimenti al 2020 dell’entrata in vigore dei nuovi meccanismi di finanziamento delle funzioni regionali stabiliti dagli artt. 2, 4, 7 e 15 del d.lgs. n. 68 del 2011 e si esaurisce in una doglianza che si rivolge in via immediata e diretta al solo differimento temporale di una piena attuazione di detti meccanismi.
L’astrattezza, in siffatti termini, dell’impugnazione – per i profili attinenti alla dedotta violazione degli artt. 5, 117, secondo comma, 119 e 120 Cost. – investe, di per sé, anche le censure che evocano la violazione dell’art. 3 Cost., che non riguardano immediatamente le attribuzioni regionali, mancando, per l’appunto, la prova di una apprezzabile lesione di queste ultime.
3.3.2.– Da qui, appunto, l’inammissibilità della questione.
3.3.3. – Inoltre, pur rimanendo fermo il rilevato profilo di inammissibilità della questione, giova evidenziare, quanto alla dedotta lesione del «principio di leale collaborazione», che il comma 958 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), successivo alla proposizione del ricorso della Regione Veneto, ha previsto l’istituzione di un «tavolo tecnico» per consentire «la piena attuazione dei princìpi in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario, stabiliti dal decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68».
Tale norma si pone in continuità con i compiti attribuiti, a decorrere dal 2017, alla «Commissione tecnica per i fabbisogni standard» di cui all’art. 1, comma 29, della legge n. 208 del 2015, ossia di provvedere «all’approvazione di metodologie per la determinazione di fabbisogni standard e capacità fiscali standard delle Regioni a statuto ordinario, sulla base dei criteri stabiliti dall’articolo 13 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, nelle materie diverse dalla sanità» (art.1, comma 534-bis, aggiunto alla legge n. 232 del 2016 dall’art. 24, comma 1, del d.l. n. 50 del 2017). E non è senza rilievo che proprio il citato art. 24 del d.l. n. 50 del 2017 avesse disposto il differimento al 2019 dei nuovi meccanismi di finanziamento delle funzioni regionali stabiliti dagli artt. 2, 4, 7 e 15 del d.lgs. n. 68 del 2011.