Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 16 ottobre 2017 e depositato il 26 ottobre 2017 (reg. ric. n. 84 del 2017), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 50, lettera i), numero 5), e comma 97, della legge della Regione Lazio 14 agosto 2017, n. 9 (Misure integrative, correttive e di coordinamento in materia di finanza pubblica regionale. Disposizioni varie), in riferimento, quanto al comma 50 suddetto, all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione all’art. 10 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), e, quanto al comma 97 sopra indicato, all’art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 9, commi 1 e 17, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122.
2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha rappresentato che l’art. 17, comma 50, lettera i), numero 5), della legge regionale oggetto di impugnazione, nel modificare l’art. 17, comma 9, della legge della Regione Lazio 2 maggio 1995, n. 17 (Norme per la tutela della fauna selvatica e la gestione programmata dell’esercizio venatorio), che aveva istituito le zone per l’allenamento e l’addestramento dei cani, con possibilità di istituire zone destinate al solo allenamento dei cani, ha previsto che queste ultime devono avere natura temporanea e sono operative dal 1° giugno al 31 agosto di ciascun anno.
3.– La previsione si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 10 della legge n. 157 del 1992, poiché quest’ultima norma, al comma 8, lettera e), stabilisce che l’individuazione delle zone e dei periodi per l’addestramento, l’allenamento e le gare dei cani, anche su fauna selvatica naturale o con l’abbattimento di fauna di allevamento di specie cacciabili, avvenga nell’ambito del piano faunistico venatorio, di competenza provinciale, con ciò «escludendo la possibilità del ricorso ad un atto legislativo».
Secondo la difesa dello Stato l’adozione del piano integrerebbe una norma di tutela ambientale, perché consentirebbe l’acquisizione di pareri tecnici e, in particolare, l’adozione del parere dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) che, nel «Documento orientativo sui criteri di omogeneità e congruenza per la pianificazione faunistico-venatoria», avrebbe indicato che l’attività dell’addestramento dei cani da caccia debba essere sospesa anche nel periodo aprile-luglio, per un periodo dunque più ampio rispetto a quanto previsto dalla legge regionale oggetto di impugnazione.
4.– Con il medesimo ricorso il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato anche il comma 97 dello stesso art. 17 della legge reg. Lazio n. 9 del 2017, che stabilisce che, nelle more dell’attuazione dell’art. 9, comma 5, della legge 7 giugno 2000, n. 150 (Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni), al personale iscritto all’albo nazionale dei giornalisti, che presta servizio presso gli uffici stampa istituzionali della Giunta e del Consiglio regionale, si applica il contratto nazionale di lavoro giornalistico.
La norma si porrebbe in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 9, commi 1 e 17, del d.l. n. 78 del 2010, quale convertito nella legge n. 122 del 2010, poiché il contratto nazionale di lavoro giornalistico sarebbe stato oggetto di rinnovo nel periodo 2010-2015, mentre la norma interposta avrebbe stabilito, come principio di coordinamento della finanza pubblica, quale limite al trattamento economico complessivo dei dipendenti pubblici per gli anni 2011, 2012 e 2013, quello del trattamento ordinariamente spettante per l’anno 2010.
5.– Inoltre, prosegue la difesa dello Stato, il medesimo comma 97 dell’art. 17 della legge reg. Lazio n. 9 del 2017 sarebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., poiché, per effetto della privatizzazione, l’impiego pubblico sarebbe ormai disciplinato dalla contrattazione collettiva e dalle norme che regolano i rapporti di lavoro tra privati e la relativa disciplina andrebbe ricondotta alla materia dell’«ordinamento civile», di competenza esclusiva dello Stato, che deve garantirne l’uniformità su tutto il territorio nazionale.
6.– La Regione Lazio non si è costituita in giudizio.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso depositato il 26 ottobre 2017, ha promosso due diverse questioni di legittimità costituzionale, rispettivamente riferite, una, al comma 50, lettera i), numero 5), e, l’altra, al comma 97, dell’art. 17 della legge della Regione Lazio 14 agosto 2017, n. 9 (Misure integrative, correttive e di coordinamento in materia di finanza pubblica regionale. Disposizioni varie), in riferimento, la prima, all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione all’art. 10 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), e, la seconda, all’art. 117, commi secondo, lettera l), e terzo Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 9, commi 1 e 17, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122.
2.– La prima questione riguarda l’art. 17, comma 50, lettera i), numero 5), della legge reg. Lazio n. 9 del 2017 che ha novellato l’art. 17, comma 9, della legge della Regione Lazio 2 maggio 1995, n. 17 (Norme per la tutela della fauna selvatica e la gestione programmata dell’esercizio venatorio), con cui, nell’ambito del territorio regionale, sono state istituite zone destinate al solo allenamento dei cani.
La novella ha circoscritto temporalmente la destinazione delle suddette zone, prevedendo che l’allenamento dei cani possa svolgersi dal 1° giugno al 31 agosto di ciascun anno e ha ampliato le aree delle zone destinate all’allenamento.
La difesa dello Stato lamenta l’invasione da parte della legge regionale impugnata della competenza del legislatore nazionale in materia ambientale, in relazione all’art. 10 della legge n. 157 del 1992, che demanda al provvedimento amministrativo, e segnatamente al piano faunistico-venatorio, la definizione del periodo in cui è consentito l’allenamento e l’addestramento dei cani e la dimensione delle zone.
3.– La questione è fondata.
Va preliminarmente rilevato che «a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, la mancata indicazione della materia “caccia” nel novellato art. 117 Cost. – in precedenza, invece, espressamente annoverata tra le materie rimesse alla potestà legislativa concorrente – determina la sua certa riconduzione alla competenza residuale regionale [...]. Tanto premesso, va però ribadito che, pur costituendo la caccia materia certamente affidata alla competenza legislativa residuale della Regione – senza che possa ritenersi ricompresa, neppure implicitamente, in altri settori della competenza statale –, anche in tale ambito “è tuttavia necessario, in base all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che la legislazione regionale rispetti la normativa statale adottata in tema di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ove essa esprima regole minime uniformi (sentenza n. 139 del 2017)» (sentenza n. 7 del 2019).
L’attività di allenamento dei cani, oggetto della novella di cui alla legge regionale impugnata, in quanto strumentale all’esercizio della caccia, è stata ricondotta dalla giurisprudenza della Corte al concetto di attività venatoria (sentenze n. 165 del 2009 e n. 350 del 1991); infatti lo stesso allenamento, per essere effettivo, richiede, nei periodi in cui non è aperta la stagione venatoria, che i cani caccino effettivamente selvaggina, ma limitata ad alcune specie di selvaggina naturale o allevata.
La materia trova la propria regolamentazione nell’art. 10 della legge n. 157 del 1992, che prevede l’assoggettamento alla pianificazione faunistico-venatoria dell’intero territorio agro-silvo-pastorale nazionale per assicurare, quanto alle specie carnivore, la conservazione delle effettive capacità riproduttive e il contenimento naturale di altre specie e, quanto alle altre, il conseguimento della densità ottimale e la sua conservazione mediante la riqualificazione delle risorse ambientali e la regolamentazione del prelievo venatorio.
Il contenuto dei piani faunistico-venatori è declinato dal successivo comma 8, lettera e), dell’art. 10 della legge n. 157 del 1992, da cui si evince che il piano ha, tra gli altri, il compito di individuare «le zone e i periodi per l’addestramento, l’allenamento e le gare di cani anche su fauna selvatica naturale o con l’abbattimento di fauna di allevamento appartenente a specie cacciabili, la cui gestione può essere affidata ad associazioni venatorie e cinofile ovvero ad imprenditori agricoli singoli o associati».
Il successivo comma 10 prevede poi che le Regioni attuino la pianificazione faunistico-venatoria mediante il coordinamento dei piani provinciali, secondo i criteri indicati dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) (già Istituto nazionale per la fauna selvatica).
L’importanza della pianificazione viene in rilievo anche dalla considerazione dell’art. 18 della legge n. 157 del 1992, che individua le specie cacciabili e i periodi in cui è autorizzata l’attività venatoria rispetto a ciascuna di esse e che dispone che le Regioni possono modificare i termini di autorizzazione, ma solo previa acquisizione del parere dell’ISPRA e dopo aver predisposto i piani faunistico-venatori, nel cui rispetto vengono elaborati e pubblicati il calendario regionale e il regolamento relativi all’intera annata venatoria, sentito l’ISPRA.
4.– Viene, dunque, all’evidenza un’attività procedimentale articolata e complessa, che include più momenti di interlocuzione tecnica con l’ISPRA e che presuppone l’adozione e il rispetto della pianificazione faunistica, culminando con l’adozione dei provvedimenti amministrativi che disciplinano l’esercizio dell’attività venatoria, inclusa l’attività di allenamento dei cani, nel rispetto dell’esigenza di assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili.
La «modalità tecnica del provvedere» imposta dal legislatore nazionale include dunque, quale momento ineliminabile, la pianificazione faunistica e assicura garanzie procedimentali (di cui è espressione anche l’acquisizione dei pareri) funzionali all’equilibrio degli interessi in gioco, esprimendo una regola di tutela ambientale inderogabile per le Regioni, che non possono definire con legge l’arco temporale dell’attività venatoria (sentenze n. 193 e n. 90 del 2013, n. 116, n. 105 e n. 20 del 2012).
In altri termini, siamo in presenza di una attività discrezionale della pubblica amministrazione, cui la legge statale espressamente riserva tale competenza.
Resta pertanto di esclusiva competenza del piano faunistico-venatorio sia la definizione dei periodi in cui è consentito l’allenamento dei cani da caccia, sia la dimensione delle zone destinate all’esercizio di tale attività, che la legge reg. Lazio n. 9 del 1995 aveva inizialmente fissato in tre ettari, poi elevati ad un massimo di venti ettari dalla legge regionale impugnata.
Per la descritta stretta connessione di tale materia con i profili di tutela ambientale per la protezione dell’ecosistema, la disposizione impugnata eccede la competenza regionale relativa alla caccia e, pertanto, determina la violazione dedotta dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
5.– La seconda questione concerne l’impugnazione dell’art. 17, comma 97, della legge reg. Lazio n. 9 del 2017, che prevede che, nelle more dell’attuazione dell’art. 9, comma 5, della legge 7 giugno 2000, n. 150 (Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni), al personale iscritto all’albo dei giornalisti che, a seguito di concorso, presta servizio presso gli uffici stampa istituzionali della Giunta e del Consiglio regionale, si applica il contratto nazionale di lavoro giornalistico.
Il comma 97, dell’art. 17, della legge reg. Lazio n. 9 del 2017, si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l) Cost., poiché la disciplina del rapporto di lavoro del dipendente pubblico rientrerebbe nella materia «ordinamento civile», spettante in via esclusiva al legislatore nazionale e, quindi, sottoposta a legge statale e, per effetto del rinvio da essa operato, alla contrattazione collettiva.
La norma censurata contrasterebbe, altresì, con l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 9, commi 1 e 17, del d.l. n. 78 del 2010, quale convertito nella legge n. 122 del 2010, il quale prevede che il personale pubblico non possa fruire di un trattamento economico superiore a quello ordinariamente spettante per l’anno 2010.
6.– Anche tale seconda questione è fondata.
L’art. 9, comma 5, della legge n. 150 del 2000, nelle more della cui attuazione si pone espressamente la legge regionale impugnata, prevede che le amministrazioni pubbliche possano dotarsi di un ufficio stampa e demanda ad una apposita contrattazione collettiva, negoziata con l’intervento delle organizzazioni rappresentative della categoria dei giornalisti, l’individuazione e la regolamentazione dei profili professionali di riferimento.
La previsione, da parte della legge regionale impugnata, di applicazione ai giornalisti inquadrati, a seguito di concorso pubblico, nel personale di ruolo della Regione di un contratto collettivo non negoziato dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), ma dalle organizzazioni datoriali degli editori e dalla Federazione nazionale della stampa italiana, vìola l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
La disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici rientra, infatti, nella materia «ordinamento civile» e spetta in via esclusiva al legislatore nazionale; invero, a seguito della privatizzazione, tale rapporto è disciplinato dalle disposizioni del codice civile e dalla specifica contrattazione collettiva, espressamente regolata dall’art. 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).
L’art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001 e successive modificazioni, prevede, al comma 2, ultimo periodo, che «[n]ell’ambito dei comparti di contrattazione possono essere costituite apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità» ed alla luce di tale previsione il contratto collettivo relativo al personale del Comparto funzioni locali ha disciplinato la posizione dei giornalisti addetti agli uffici stampa in questione.
Pertanto, la legge impugnata vìola la sfera di competenza statale, che riserva alla contrattazione collettiva la disciplina del pubblico impiego.
Resta assorbita la censura, avente carattere subordinato, afferente alla violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 9, commi 1 e 17, del d.l. n. 78 del 2010.