Ritenuto in fatto
1.– La Regione Veneto, con ricorso spedito per la notificazione il 23 dicembre 2016, depositato il successivo 30 dicembre 2016 e iscritto al n. 8 del reg. confl. enti del 2016, ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione all’art. 5, commi 1 e 2, del d.P.R. 12 settembre 2016, n. 194 (Regolamento recante norme per la semplificazione e l’accelerazione dei procedimenti amministrativi, a norma dell’articolo 4 della legge 7 agosto 2015, n. 124), che ha definito le modalità di esercizio del potere sostitutivo, nei casi di inerzia regionale e locale, «in assenza di adeguati meccanismi di raccordo con la Regione interessata», nell’ambito di un regolamento di delegificazione volto alla semplificazione e all’accelerazione di determinati procedimenti amministrativi.
Secondo la ricorrente, l’impugnato regolamento sarebbe lesivo degli artt. 114, 117, terzo e quarto comma, in relazione alle materie «governo del territorio», «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», «ordinamento e organizzazione amministrativa regionale», «turismo» e «commercio», 118 e 119, nonché del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 della Costituzione.
1.1.– La ricorrente premette che l’art. 4 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), rubricato «Norme per la semplificazione e l’accelerazione dei procedimenti amministrativi», prevede che, con regolamento da emanare «ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, previa intesa in sede di Conferenza unificata, di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono dettate norme di semplificazione e accelerazione dei procedimenti amministrativi […]».
1.2.– La Regione afferma che, in attuazione di tale disposizione, è stato adottato il richiamato d.P.R. n. 194 del 2016, il quale contiene norme per la semplificazione e l’accelerazione di procedimenti amministrativi riguardanti «rilevanti insediamenti produttivi, opere di rilevante impatto sul territorio o l’avvio di attività imprenditoriali suscettibili di avere positivi effetti sull’economia o sull’occupazione».
Tali procedimenti, prosegue la Regione Veneto, sono individuati tra quelli aventi ad oggetto autorizzazioni, licenze, concessioni non costitutive, permessi o nulla osta comunque denominati, ivi compresi quelli di competenza delle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico, alla tutela della salute e della pubblica incolumità, necessari per la localizzazione, la progettazione e la realizzazione delle opere, lo stabilimento degli impianti produttivi e l’avvio delle attività. Sarebbero altresì compresi i procedimenti amministrativi previsti dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), nonché quelli relativi a infrastrutture e insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese.
La ricorrente richiama l’iter, previsto dall’art. 2 del d.P.R. n. 194 del 2016, che conduce alla definizione degli interventi strategici da sottoporre a regime acceleratorio per la conclusione dei relativi procedimenti. Detto iter trae origine dall’iniziativa degli enti territoriali interessati o della Presidenza del Consiglio dei ministri e culmina in un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il quale, sulla base dei criteri di selezione definiti in sede di Conferenza unificata e in relazione alla rilevanza strategica degli interventi pubblici e privati, individua gli specifici progetti e le concrete modalità di accelerazione dei relativi procedimenti autorizzatori, sentiti i Presidenti delle Regioni interessate che partecipano alla riunione del Consiglio dei ministri.
La Regione ricorda che, quanto al regime acceleratorio, possono essere ridotti i termini di conclusione dei procedimenti necessari per la localizzazione, la progettazione e la realizzazione delle opere o degli insediamenti produttivi e l’avvio dell’attività. Tale riduzione è consentita, tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento, «in misura non superiore al 50 per cento rispetto ai termini di cui all’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e può essere prevista in riferimento ai singoli procedimenti, ovvero rispetto a tutti i procedimenti necessari per la realizzazione dell’intervento, anche successivi all’eventuale svolgimento della conferenza di servizi» (art. 3 del d.P.R. n. 194 del 2016).
A questa concentrazione temporale è collegata la previsione di un potere sostitutivo, previsto dagli artt. 4 e 5 del richiamato d.P.R., in caso di inutile decorso del termine di conclusione del procedimento, nell’ipotesi cioè di mancato completamento dell’intervento in precedenza individuato.
A tale riguardo, l’art. 4 attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri la competenza ad adottare gli atti necessari alla conclusione del procedimento, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. Il Presidente del Consiglio ha facoltà di delegare l’esercizio del potere amministrativo «a un soggetto dotato di comprovata competenza ed esperienza in relazione all’attività oggetto di sostituzione, fissando un nuovo termine per la conclusione del procedimento, comunque di durata non superiore a quello originariamente previsto».
Il successivo art. 5 disciplina, invece, l’esercizio dei poteri sostitutivi nel caso in cui siano coinvolte «competenze delle regioni e degli enti locali». La disposizione statuisce al comma 1, che: «Nei casi in cui l’intervento coinvolga esclusivamente, o in misura prevalente, il territorio di una regione o di un comune o città metropolitana, e non sussista un preminente interesse nazionale alla realizzazione dell’opera, il Presidente del Consiglio delega di regola all’esercizio del potere sostitutivo il presidente della regione o il sindaco».
Al comma 2, la disposizione specifica che: «Fuori dei casi di cui al comma 1, quando l’intervento coinvolga le competenze delle regioni e degli enti locali, le modalità di esercizio del potere sostitutivo sono determinate previa intesa in Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281».
2.– Secondo la ricorrente, l’art. 5, comma 1, che si riferirebbe a procedimenti afferenti a competenze delle Regioni e degli enti locali, prevede un parametro «geografico» ove realizzare l’intervento, in assenza «di un preminente interesse nazionale alla realizzazione dell’opera». In tal caso, prosegue la Regione, il potere sostitutivo è attribuito al Presidente del Consiglio dei ministri, con «mera facoltà di delega» al Presidente della Regione o al sindaco.
Nel successivo comma 2, invece, si enuncia espressamente il parametro funzionale delle competenze delle Regioni e degli enti locali, rimettendo, fuori dai casi di cui al comma 1, la determinazione delle modalità di esercizio del potere sostitutivo ad un’intesa da raggiungere in sede di Conferenza unificata.
2.1.– Il combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’art. 5, creerebbe «un sistema scoordinato di esercizio del potere sostitutivo», invasivo delle attribuzioni costituzionalmente riservate alle Regioni.
Laddove, infatti, non sussista un interesse nazionale alla realizzazione dell’opera e questa coinvolga esclusivamente o in misura prevalente il territorio di una Regione o di un ente locale (comma 1), il potere sostitutivo, pur in presenza di un prevalente interesse «locale», viene attribuito al Presidente del Consiglio dei ministri, il quale con valutazione «ampiamente discrezionale» avrà la facoltà di delegarlo al Presidente della Regione o al sindaco interessati «territorialmente».
In tale modo si assiste, secondo la ricorrente, all’avocazione di un potere amministrativo «locale» da parte di un organo statale, che mancherebbe di ogni giustificazione. Non vi sarebbe, infatti, un interesse «centrale» a giustificare l’accentramento di potere, come risulta dal tenore della norma; mancherebbe, inoltre, ogni forma di «coordinamento interistituzionale», tale da legittimare simile previsione, contravvenendo a quanto disposto dall’art. 4 della legge n. 124 del 2015, che prevede idonee forme di raccordo per la definizione dei poteri sostitutivi, per i procedimenti in cui siano coinvolte amministrazioni delle Regioni e degli enti locali.
2.2.– Neppure sarebbe immune da censura il comma 2 dell’art. 5, secondo cui, nel caso in cui non sia coinvolto esclusivamente o in misura prevalente il territorio di una Regione o di un Comune e, «presumibilmente», sussista un preminente interesse nazionale, le competenze regionali e locali vengono salvaguardate mediante la determinazione delle modalità di esercizio del potere sostitutivo in sede di Conferenza unificata.
Tale disposizione, ad avviso della ricorrente, presenta «delle incongruenze sistematiche, laddove attribuisce alla Conferenza unificata una competenza anche ove siano coinvolte esclusivamente competenze regionali». In tal caso la sede di definizione delle modalità di sostituzione avrebbe dovuto essere la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano e non la Conferenza unificata.
In conclusione, secondo la Regione, i commi 1 e 2 dell’art. 5 del d.P.R. n. 194 del 2016, risultano lesivi delle competenze regionali riconosciute dagli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., nonché del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost. (sono richiamate le sentenze n. 72, n. 73, n. 177, n. 324 del 2005; n. 31 del 2006; n. 264 del 2011).
3.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato improcedibile o inammissibile per difetto di interesse e, in subordine, infondato.
3.1.– In via preliminare, viene eccepita l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse della Regione a sollevare il conflitto, dal momento che il 12 maggio 2016 è stata raggiunta l’intesa in Conferenza unificata sul decreto in questione, a seguito dell’accoglimento di alcune proposte emendative da parte di Regioni ed enti locali. La difesa erariale ricorda che questa Corte, «in un caso analogo», riscontrato il raggiungimento dell’intesa, ha rilevato il difetto di interesse delle Regioni ricorrenti a promuovere i conflitti (è riportata la sentenza n. 235 del 2006).
3.2.– Il difetto di interesse sussisterebbe anche perché le disposizioni impugnate non producono effetti attuali e lesivi nella sfera di attribuzione della Regione, come è richiesto, invece, per i conflitti di attribuzione fra enti.
Esse, infatti, stabiliscono, conformemente alla delega, un diverso sistema di esercizio del potere sostitutivo, che viene attivato solo eventualmente e nel pieno rispetto delle attribuzioni regionali, distinguendosi nettamente da quello disciplinato per i procedimenti che incidono su esclusive competenze statali. Per tali ragioni, non sarebbero rilevabili l’attualità e l’effettiva lesività delle disposizioni impugnate, in relazione alla sfera di attribuzioni della ricorrente.
3.3.– L’Avvocatura generale dello Stato sottolinea, inoltre, che l’art. 5 del d.P.R. n. 194 del 2016 ricalca quanto delineato, in generale, dalla legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), con riferimento all’attribuzione del potere sostitutivo al Presidente del Consiglio dei ministri per le finalità previste dall’art. 120, secondo comma, Cost.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, le modalità di esercizio del potere sostitutivo non sarebbero rimesse alla discrezionalità del Presidente del Consiglio dei ministri, ma, di norma, in via delegata, al Presidente della Regione o al sindaco.
Il Presidente del Consiglio dovrebbe, semmai, «con motivazione rafforzata», giustificare la delega ad un soggetto diverso e ciò non appare al resistente irragionevole né lesivo delle attribuzioni delle autonomie territoriali.
3.4.– L’Avvocatura generale dello Stato eccepisce altresì l’inammissibilità per assenza di lesività dell’impugnato art. 5, comma 2. La Conferenza unificata sarebbe la sede più idonea a far emergere le esigenze di tutte le rappresentanze territoriali. Inoltre, l’intesa in Conferenza unificata, sede privilegiata della negoziazione politica tra lo Stato e il sistema delle autonomie, avrebbe lo scopo di «potenziare le prerogative degli enti territoriali».
3.5.– Nel merito l’Avvocatura rileva l’infondatezza delle censure prospettate dalla ricorrente, in quanto basate su presupposti normativi non corretti.
Ad avviso del resistente, la Regione Veneto si sofferma fondamentalmente sul principio della chiamata in sussidiarietà, di cui agli artt. 117 e 118 Cost., strumentale all’effettiva avocazione di funzioni al livello statale, al fine di rendere flessibile l’ordine delle competenze. Fa presente l’Avvocatura generale dello Stato che questa Corte, con la sentenza n. 303 del 2003 – al fine di giustificare il ruolo dello Stato in un settore ritenuto di interesse nevralgico per il Paese, come nel caso di specie, trattandosi di «rilevanti insediamenti produttivi, opere di rilevante impatto sul territorio o avvio di attività imprenditoriali suscettibili di avere positivi effetti sull’economia o sull’occupazione» – ha valorizzato il principio di sussidiarietà nell’ottica di limitare l’ente sussidiato in favore del sussidiante.
Viene richiamata, poi, la sentenza n. 165 del 2007, con cui questa Corte avrebbe affermato che, se la normativa considerata rivela la finalità di realizzare un’incisiva azione a sostegno dello sviluppo del sistema produttivo, nel quadro di una manovra di politica economica nazionale, esigenze di carattere unitario legittimano l’avocazione in sussidiarietà sia delle funzioni amministrative, che non possono essere adeguatamente svolte ai livelli inferiori, sia della relativa potestà normativa per l’organizzazione e la disciplina di tali funzioni, ferma la necessità che l’intervento legislativo preveda forme di leale collaborazione con le Regioni. Inoltre, nella sentenza n. 112 del 2004, questa Corte avrebbe precisato che l’art. 120 Cost., nel prevedere l’intervento sostitutivo del Governo, non esaurisce tutte le possibili ipotesi di esercizio del potere sostitutivo e, in particolare, non preclude la previsione di tale potere per il compimento di atti la cui obbligatorietà derivi da interessi di livello superiore, pur nel rispetto delle garanzie procedimentali ispirate ai principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, a tutela dell’autonomia costituzionalmente riconosciuta agli enti territoriali.
4.– In prossimità dell’udienza pubblica sono state depositate alcune memorie illustrative.
4.1.– La Regione Veneto ha evidenziato che l’intesa raggiunta il 12 maggio 2016, sul procedimento di formazione dell’atto impugnato, non fa venir meno l’interesse a ricorrere. Ritiene utile richiamare, nella specie, la giurisprudenza di questa Corte sulla inapplicabilità dell’istituto dell’acquiescenza nel processo costituzionale (è citata la sentenza n. 77 del 2015).
Nel merito, la ricorrente ribadisce che la lesione deriverebbe dall’aver attribuito la titolarità del potere sostitutivo in capo ad un organo statale laddove non siano coinvolti interessi di livello nazionale.
4.2.– L’Avvocatura generale dello Stato insiste invece per la dichiarazione di inammissibilità e di improcedibilità, per carenza di interesse, ovvero di infondatezza del conflitto, reiterando le eccezioni espresse nell’atto di costituzione in giudizio.
Considerato in diritto
1.– La Regione Veneto ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, lamentando che non sarebbe spettato allo stesso adottare le norme di cui agli artt. 5, commi 1 e 2, del d.P.R. 12 settembre 2016, n. 194 (Regolamento recante norme per la semplificazione e l’accelerazione dei procedimenti amministrativi, a norma dell’articolo 4 della legge 7 agosto 2015, n. 124), perché in violazione degli articoli 114, 117, terzo e quarto comma, con riferimento alle materie «governo del territorio», «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», «ordinamento e organizzazione amministrativa regionale», «turismo» e «commercio», nonché degli artt. 118, 119, e del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 della Costituzione.
L’art. 5, comma 1, del d.P.R. n. 194 del 2016 stabilisce che «[n]ei casi in cui l’intervento coinvolga esclusivamente, o in misura prevalente, il territorio di una regione o di un comune o città metropolitana, e non sussista un preminente interesse nazionale alla realizzazione dell’opera, il Presidente del Consiglio delega di regola all’esercizio del potere sostitutivo il presidente della regione o il sindaco»; il comma 2 del medesimo articolo afferma che «[f]uori dei casi di cui al comma 1, quando l’intervento coinvolga le competenze delle regioni e degli enti locali, le modalità di esercizio del potere sostitutivo sono determinate previa intesa in Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281».
2.– Secondo la Regione, il richiamato art. 5, comma 1, del d.P.R. n. 194 del 2016, affida al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere sostitutivo, nel caso in cui non sussista un preminente interesse nazionale alla realizzazione dell’opera e questa coinvolga esclusivamente o in misura prevalente il territorio di una Regione. Il Presidente del Consiglio, con valutazione «ampiamente discrezionale», ha la facoltà di delegare tale potere al Presidente della Regione o al sindaco interessati «territorialmente».
Pur in presenza di competenze regionali, si assisterebbe, ad avviso della ricorrente, all’avocazione, priva di «ogni giustificazione», di un potere amministrativo «locale» da parte di un organo statale. Mancherebbe, inoltre, ogni forma di «coordinamento interistituzionale», in contrasto con la legge di delegificazione, in particolare con l’art. 4 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), il quale richiede idonee forme di raccordo per la definizione dei poteri sostitutivi, per i procedimenti in cui siano coinvolte amministrazioni delle Regioni e degli enti locali.
3.– L’impugnato art. 5, comma 2, presenterebbe, invece, «delle incongruenze sistematiche, laddove attribuisce alla Conferenza unificata una competenza anche ove siano coinvolte esclusivamente competenze regionali». La sede di definizione delle modalità di sostituzione avrebbe dovuto essere, secondo la ricorrente, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, in luogo della Conferenza unificata.
4.– Preliminarmente, va osservato che l’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse.
Ad avviso della difesa erariale, sull’impugnato decreto si sarebbe raggiunta l’intesa in Conferenza unificata, a seguito dell’accoglimento di alcune proposte emendative avanzate dalle Regioni e dagli enti locali. Da ciò deriverebbe la carenza di interesse da parte della ricorrente. Inoltre, mancherebbe l’attualità e la concretezza della lesione nella sfera di attribuzione della ricorrente: le disposizioni impugnate, infatti, stabilirebbero «un diverso sistema di esercizio del potere sostitutivo», da attivarsi «solo eventualmente», «nel pieno rispetto delle attribuzioni regionali».
4.1.– L’eccezione non è fondata.
È ben vero, come risulta dagli atti, che la Regione ricorrente non si è opposta alla intesa intervenuta nella riunione del 12 maggio 2016 in sede di Conferenza unificata; va ritenuto però che, nei giudizi per conflitto di attribuzione, l’adesione della ricorrente all’intesa non pregiudica, di regola, l’interesse a ricorrere, stante l’indisponibilità delle attribuzioni costituzionali di cui si controverte in tali giudizi (sentenze n. 130 del 2014, n. 275 del 2011, n. 95 del 2003).
Inoltre, non può essere condivisa l’obiezione dell’Avvocatura generale dello Stato, secondo la quale il ricorso sarebbe inammissibile per carenza di attualità della lesione.
La disciplina, generale e astratta, del potere sostitutivo e delle sue modalità di esercizio può essere di per sé idonea a invadere le competenze costituzionali della Regione o a comprimere il principio di leale collaborazione, laddove non preveda adeguati meccanismi di raccordo con gli enti territoriali interessati. La denunciata lesione, paventata dalla ricorrente, non risulta meramente ipotetica ma, al contrario, suscettibile di produrre «effetti lesivi attuali» della sua sfera di attribuzione, dai quali scaturirebbe una menomazione tangibile delle prerogative regionali (ex plurimis, sentenze n. 66 del 2007, n. 72 del 2005, n. 137 del 1998, n. 211 del 1994, n. 153 del 1986).
4.2.– Va rilevata, ancora preliminarmente, l’inammissibilità delle censure avanzate dalla ricorrente in riferimento agli artt. 114 e 119 Cost. Tali disposizioni sono indicate esclusivamente nell’epigrafe e nelle conclusioni del ricorso, senza essere mai richiamate o sviluppate nel corpo dell’atto.
5.– Il conflitto promosso con riferimento all’art. 5, comma 1, del d.P.R. n. 194 del 2016, è inammissibile.
5.1.– La Regione ricorrente afferma che la menzionata disposizione regolamentare attribuirebbe ad un organo statale una funzione amministrativa «locale», in assenza di un interesse «centrale» che ne giustifichi l’avocazione.
Viene così contestata, in radice, la titolarità del potere sostitutivo, assegnato al Presidente del Consiglio dei ministri.
L’attribuzione di detto potere si deve, tuttavia, non già al censurato art. 5, comma 1, ma all’art. 4 dell’impugnato regolamento, che, sul punto, riproduce la norma legislativa di delegificazione.
L’art. 4 della legge 7 agosto del 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), infatti, ha affidato al regolamento di delegificazione il compito di dettare «norme di semplificazione e accelerazione» di taluni procedimenti amministrativi riguardanti insediamenti produttivi, opere o attività ritenute strategiche per i loro «positivi effetti sull’economia o sull’occupazione» (art. 4, lettere a e b, della legge n. 124 del 2015).
A tal fine, la legge di delegificazione ha indicato una serie di «norme generali regolatrici della materia», sulla base delle quali il regolamento avrebbe dovuto individuare i «tipi di procedimento amministrativo, relativi a rilevanti insediamenti produttivi, a opere di interesse generale o all’avvio di attività imprenditoriali», ai quali applicare una riduzione dei termini «in misura non superiore al 50 per cento rispetto a quelli applicabili ai sensi dell’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241» (rispettivamente, lettera a e lettera c dell’art. 4 della legge n. 124 del 2015). Sempre ai medesimi fini, la norma di delegificazione stabilisce che il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio, individui in concreto, nell’ambito dei tipi di procedimento, i singoli interventi ai quali può essere applicata la riduzione dei termini (art. 4, lettera b, della legge n. 124 del 2015).
5.2.– Con riferimento ai procedimenti relativi agli interventi così individuati, la lettera d) dell’art. 4 della legge n. 124 del 2015 ha attribuito allo stesso Presidente del Consiglio, previa delibera del Consiglio dei Ministri (cui, secondo il regolamento, sono chiamati a partecipare i Presidenti delle Regioni interessate), un potere sostituivo, lasciando al regolamento il compito di prevedere, «per i procedimenti in cui siano coinvolte amministrazioni delle regioni e degli enti locali», «idonee forme di raccordo» per l’esercizio dei menzionati poteri sostitutivi (art. 4, lettera e).
È evidente, dunque, che le censure della Regione avrebbero dovuto essere rivolte alla norma legislativa – la quale ha affidato il potere sostituivo allo Stato, e per esso, al Presidente del Consiglio – posto che l’impugnato regolamento è, sul punto, meramente riproduttivo della legge di delegificazione. La giurisprudenza di questa Corte è costante, infatti, nel ritenere inammissibili ricorsi per conflitto intersoggettivo avverso atti meramente consequenziali (esecutivi, confermativi o meramente riproduttivi) di altri atti precedentemente non impugnati (ex plurimis, sentenze n. 260, n. 103 e n. 104 del 2016 e n. 144 del 2013). Ciò vale, a maggior ragione, nei confronti di atti riproduttivi di precedenti norme legislative: in tali casi «viene, infatti, a determinarsi la decadenza dall’esercizio dell’azione, dal momento che non può essere consentita, attraverso l’impugnazione dell’atto meramente consequenziale della norma non impugnata, la contestazione di quest’ultima, in ordine alla quale è già inutilmente spirato il termine fissato dalla legge» (sentenze n. 77 del 2016 e n. 144 del 2013).
5.3.– Alla radicale contestazione dell’attribuzione del potere sostitutivo al Presidente del Consiglio, la Regione aggiunge che detta funzione sarebbe stata assegnata allo Stato in assenza «di ogni forma di coordinamento interistituzionale» e «di idonee forme di raccordo per la definizione dei poteri sostitutivi».
La censura è meramente assertiva, poiché non viene fornita alcuna descrizione dei denunciati profili di lesione delle attribuzioni assegnate dalla Costituzione alla ricorrente. Anche sotto tale profilo, dunque, il conflitto promosso sull’art. 5, comma 1, è inammissibile (ex plurimis, sentenze n. 62 del 2011 e n. 105 del 2009).
6.– Il conflitto promosso con riferimento all’art. 5, comma 2, del d.P.R. n. 194 del 2016, non è fondato.
6.1.– La Regione ricorrente concentra le proprie censure sul principio di leale collaborazione, che avrebbe dovuto essere declinato tramite il coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni, non della Conferenza unificata. Al fine di inquadrare correttamente la censura avanzata dalla ricorrente, è necessario illustrare il contesto normativo entro cui si colloca l’impugnata disposizione, che costituisce un segmento procedurale di un più ampio intervento regolatore.
6.2.– Sulla scorta della menzionata norma di delegificazione, è stato emanato il censurato regolamento, il quale ha elencato, all’art. 1 e in via esemplificativa, i procedimenti ai quali si applica la riduzione dei termini, relativi ad «autorizzazioni, licenze, concessioni non costitutive, permessi o nulla osta comunque denominati, ivi compresi quelli di competenza delle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico, alla tutela della salute e della pubblica incolumità, necessari per la localizzazione, la progettazione e la realizzazione delle opere, lo stabilimento degli impianti produttivi e l’avvio delle attività». Oltre agli interventi «suscettibili di avere positivi effetti sull’economia e l’occupazione», secondo una formula già contenuta nella legge di delegificazione, il regolamento dispone l’applicabilità delle sue previsioni ai «procedimenti amministrativi relativi a infrastrutture e insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese».
6.3.– Indicati i tipi di procedimento oggetto di semplificazione e accelerazione, il citato regolamento governativo delinea un’articolata procedura, concertata con gli enti territoriali, che include i diversi interessi coinvolti nella fase dell’iniziativa, della progettazione e della concreta individuazione dell’intervento.
Sono infatti Regioni ed enti locali che propongono «entro il 31 gennaio di ogni anno», un elenco di progetti su cui intervenire; elenco che, successivamente, può essere integrato da parte del Presidente del consiglio (art. 2 del d.P.R. n. 194 del 2016).
Previa intesa in Conferenza unificata, sono poi definiti i criteri di selezione di detti progetti; sulla base di tali criteri il Presidente del Consiglio, con suo decreto e previa delibera del Consiglio dei Ministri, individua i singoli interventi, in relazione ai quali, «in ragione della loro rilevanza economica o occupazionale», possono essere ridotti i termini dei rispettivi procedimenti amministrativi (art. 2, comma 4, del d.P.R. n. 194 del 2016). Peraltro, in coerenza con lo spirito collaborativo che connota l’intera procedura, i Presidenti delle Regioni partecipano, con formula organizzativa non comune, al Consiglio dei Ministri, portando così il loro punto di vista in seno all’organo incaricato della decisione conclusiva dell’intero procedimento.
In particolare, la riduzione, disposta in misura non superiore al 50 per cento dei termini generali previsti dall’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), secondo una disposizione che richiama quanto previsto dalla legge di delegificazione, opera nei confronti dei «procedimenti necessari per la localizzazione, la progettazione e la realizzazione delle opere o degli insediamenti produttivi e l’avvio dell’attività» e «può essere prevista in riferimento ai singoli procedimenti, ovvero rispetto a tutti i procedimenti necessari per la realizzazione dell’intervento». Nel caso in cui il termine sia già parzialmente decorso, il regolamento non manca di specificare che «la riduzione opera con riferimento al periodo residuo».
6.4.– Ove i termini, pur così ridotti, non siano stati rispettati dall’amministrazione procedente e l’intervento non sia stato realizzato, è previsto il potere sostitutivo, affidato al Presidente del Consiglio, il quale, previa formale diffida, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, interviene in sostituzione, eventualmente delegando «un soggetto dotato di comprovata competenza ed esperienza» (art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 194 del 2016, riproduttivo, come già evidenziato, dell’art. 4, lettera d, della legge di delegificazione).
7.– È di tutta evidenza che il regolamento censurato, e prima ancora la legge di delegificazione, sono ispirati dall’intento di velocizzare l’azione amministrativa e di promuovere l’efficienza, nel suo complesso, del sistema Paese, così coordinando e indirizzando «l’attività economica pubblica e privata […] a fini sociali» (art. 41, terzo comma, Cost.). La normativa ha ad oggetto, infatti, una pluralità di interventi collocati sull’intero territorio nazionale, non predeterminati ma da individuare e monitorare con il concorso di tutti i livelli di governo.
Per tale ragione, la disciplina de qua insiste su una pluralità di aree procedurali e segmenti funzionali riconducibili sia allo Stato, sia a Regioni, Comuni o altri enti pubblici. L’ampiezza dell’intervento normativo, volto a semplificare ed accelerare attività destinate a produrre i menzionati «positivi effetti sull’economia o sull’occupazione» (art. 4, lettera b, della legge n. 124 del 2015 e art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 194 del 2016), normalmente richiede interventi sinergici di più attori, non consentendo così di individuare, in via preventiva, il titolare delle funzioni amministrative e, prima ancora, delle competenze legislative coinvolte.
7.1.– L’intento di semplificazione e accelerazione incide, infatti, su dinamiche procedimentali complesse, rispetto alle quali non è sempre possibile isolare, a priori, il livello di governo coinvolto. In tal senso, nell’affidare ad un regolamento governativo la definizione dei procedimenti da abbreviare e le modalità di individuazione dei concreti interventi da compiere, l’art. 4 della legge n. 124 del 2015 ha richiesto, in coerenza con gli orientamenti di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 251 e n. 1 del 2016, n. 88 del 2014), che l’emanazione del regolamento di delegificazione fosse preceduto dall’intesa in Conferenza unificata; intesa sottoscritta, il 12 maggio 2016, dallo Stato e – senza dissenso alcuno – dalle Regioni e dagli altri enti territoriali. Come si è visto, il regolamento, dal canto suo, ha delineato un articolato procedimento che, proprio per le sue finalità complessive e il contestuale intreccio di funzioni, vede la partecipazione attiva, nelle diverse fasi, di Regioni ed enti locali.
8.– È dunque nel contesto normativo e procedimentale sopra descritto che va valutato l’impugnato comma 2 dell’art. 5, censurato dalla Regione. Esso disciplina le modalità di coinvolgimento degli enti territoriali in relazione al potere sostitutivo, segmento suppletivo (e terminale) dell’articolata attività disegnata dal regolamento: nel caso in cui l’intervento sia tale da coinvolgere le competenze (recte: le funzioni) delle Regioni e degli enti locali, le modalità di esercizio del potere sostitutivo sono determinate previa intesa in Conferenza unificata (art. 5, comma 2).
8.1.– Non è inappropriata la scelta, operata dalla disposizione censurata, di coinvolgere, in tali ipotesi, la Conferenza unificata anziché la Conferenza Stato-Regioni.
In proposito, deve essere ricordato come questa Corte abbia in più occasioni affermato che, ove gli interessi implicati «non riguard[i]no una singola Regione o Provincia autonoma» (sentenza n. 1 del 2016), ma tematiche comuni a tutto il sistema delle autonomie, inclusi gli enti locali (sentenza n. 383 del 2005), appare adeguata la scelta legislativa di coinvolgere Regioni, Province autonome ed autonomie locali nel loro insieme attraverso la Conferenza unificata, così come disciplinata dal decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali) che, all’art. 8, ne prevede la competenza per le materie ed i compiti di interesse comune delle Regioni, delle Province, dei Comuni e delle comunità montane.
Questa Corte ha ravvisato, nell’unione delle due Conferenze, un istituto «utile non solo alla semplificazione procedimentale, ma anche a facilitare l’integrazione dei diversi punti di vista e delle diverse esigenze degli enti regionali, provinciali e locali coinvolti» (sentenza n. 1 del 2016; nello stesso senso, sentenze n. 88 del 2014, n. 297 e n. 163 del 2012, n. 408 del 1998).
L’intervento in Conferenza unificata è stato preferito soprattutto quando, come nel caso di specie, si è trattato di misure strategiche per lo sviluppo del Paese, coinvolgenti una pluralità di interessi afferenti ai diversi livelli di governo (sentenza n. 163 del 2012).
Di qui la non fondatezza del conflitto promosso dalla Regione Veneto in relazione all’art. 5, comma 2, del d.P.R. n. 194 del 2016.