Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 9-11 ottobre 2017, depositato il successivo 13 ottobre e iscritto al n. 83 del registro ricorsi 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, in riferimento agli artt. 3, 5 e 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, e 8, comma 1, della legge della Regione Veneto 5 settembre 2017, n. 28 (Nuove disposizioni in materia di uso dei simboli ufficiali della Regione del Veneto modifiche e integrazioni alla legge regionale 20 maggio 1975, n. 56 “Gonfalone e stemma della Regione”), pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Veneto n. 87 dell’8 settembre 2017, nella parte in cui aggiungono, rispettivamente, l’art. 7-bis, comma 2, lettere a), d), f) ed n), e l’art. 7-septies, comma 1, alla legge della Regione Veneto 20 maggio 1975, n. 56 (Bandiera, gonfalone, fascia e stemma della Regione).
1.1.– Quanto alla prima delle disposizioni impugnate, il ricorrente rileva che il nuovo art. 7-bis della legge reg. Veneto n. 56 del 1975, sotto la rubrica «[u]so della bandiera e dei simboli ufficiali della Regione», stabilisce i luoghi e i casi nei quali deve essere esposta la bandiera della Regione Veneto.
Riguardo ai luoghi, il comma 2 del citato art. 7-bis prevede che la bandiera regionale debba essere esposta anche all’esterno degli edifici sedi delle prefetture e degli uffici periferici delle amministrazioni dello Stato, nonché degli «altri organismi pubblici» – compresi, dunque, gli organismi pubblici statali e nazionali – diversi dalla Regione, dai Comuni, dalle Province, dalla Città metropolitana, dai consorzi e unioni di enti locali e dalle comunità montane (lettera a). L’obbligo di esposizione della bandiera veneta è esteso, altresì, agli enti pubblici – tra i quali rientrano anche gli enti pubblici statali e nazionali – che ricevono in via ordinaria finanziamenti o contributi a carico del bilancio regionale (lettera d), nonché alle imbarcazioni di proprietà di organismi pubblici, e quindi anche ai natanti di proprietà di organismi statali e nazionali (lettera n).
Per quel che attiene poi ai casi, la norma censurata stabilisce che la bandiera della Regione debba essere esposta «ogni qualvolta sia esposta la bandiera della Repubblica o dell’Unione Europea» (lettera f).
Ad avviso del ricorrente, nello stabilire obblighi di esposizione della bandiera veneta all’esterno di edifici sedi di organi e uffici statali e di enti e organismi pubblici statali o nazionali, nonché su imbarcazioni di proprietà di questi ultimi, la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., che riserva alla potestà legislativa esclusiva statale la materia dell’«ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali».
In proposito, il Presidente del Consiglio dei ministri ricorda come i casi e i modi di esposizione della bandiera nazionale e di quella dell’Unione europea siano disciplinati dalla legge statale 5 febbraio 1998, n. 22 (Disposizioni generali sull’uso della bandiera della Repubblica italiana e di quella dell’Unione europea). Tale legge – emanata in attuazione dell’art. 12 Cost. e in conseguenza dell’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – all’art. 2, commi 1 e 2, impone l’esposizione delle due bandiere all’esterno di una serie di edifici pubblici.
Il secondo periodo del comma 2 dell’art. 1 qualifica le disposizioni della stessa legge n. 22 del 1998 come «norme generali regolatrici della materia», autorizzando il Governo a emanare, nel loro rispetto, un regolamento in delegificazione per i casi di cui alle lettere a), b), d) ed e) del comma 1 e di cui al comma 2 dell’art. 2 (ossia in rapporto all’esposizione delle bandiere presso le sedi degli organi costituzionali e di rilievo costituzionale, i ministeri, gli uffici giudiziari, le scuole e università statali, i seggi elettorali e le rappresentanze diplomatiche e consolari italiane all’estero). Il primo periodo del medesimo comma 2 dell’art. 1 consente, invece, alle Regioni di emanare norme attuative limitatamente ai casi di cui alla lettera c) del comma 1 dell’art. 2, ossia con esclusivo riguardo all’esposizione della bandiera nazionale e dell’Unione europea presso gli edifici sedi dei consigli regionali, provinciali e comunali, in occasione delle riunioni degli stessi.
Il successivo comma 3 dell’art. 2 stabilisce, altresì, che il regolamento e le norme regionali possono, nei limiti delle rispettive competenze dianzi indicate, dettare una disciplina integrativa in merito alle modalità di uso ed esposizione della bandiera della Repubblica italiana e di quella dell’Unione europea, nonché di gonfaloni, stemmi e vessilli, anche con riferimento ad organismi di diritto pubblico diversi da quelli compresi nel comma 1 dello stesso art. 2.
Sulla base delle previsioni della legge n. 22 del 1998, il regolamento adottato con d.P.R. 7 aprile 2000, n. 121 (Regolamento recante disciplina dell’uso delle bandiere della Repubblica italiana e dell’Unione europea da parte delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici) impone l’esposizione delle bandiere nazionale ed europea anche all’esterno degli edifici sedi di altri organismi di diritto pubblico, tra i quali le autorità indipendenti e gli enti pubblici di carattere nazionale (art. 1, comma 1, lettera c), nonché all’interno degli uffici dei titolari di cariche istituzionali (art. 6), regolando inoltre i modi e i tempi dell’esposizione.
L’art. 12 del regolamento stabilisce, altresì, che «[l]’esposizione delle bandiere all’esterno e all’interno delle sedi delle regioni e degli enti locali è oggetto dell’autonomia normativa e regolamentare delle rispettive amministrazioni», con la precisazione che, «[i]n ogni caso la bandiera nazionale e quella europea sono esposte congiuntamente al vessillo o gonfalone proprio dell’ente ogni volta che è prescritta l’esposizione di quest’ultimo, osservata la prioritaria dignità della bandiera nazionale».
La normativa ora ricordata prefigurerebbe – secondo il ricorrente – un assetto di competenze pienamente rispettoso della sfera di autonomia regionale. Lo Stato si sarebbe, infatti, riservato la regolamentazione dell’uso della bandiera della Repubblica italiana e di quella dell’Unione europea con riguardo agli edifici degli uffici pubblici statali e degli enti pubblici di carattere nazionale, senza mai pretendere di disciplinare casi, tempi e modi di esposizione dei simboli ufficiali – gonfaloni, stemmi, vessilli e bandiere – delle Regioni relativamente alle sedi di organi e uffici regionali.
Al contrario, con la disposizione censurata, la Regione Veneto, in violazione della sfera di competenza legislativa garantita allo Stato, pretenderebbe di conformare l’organizzazione amministrativa di questo e degli enti pubblici nazionali, stabilendo dove, come e quando i titolari e i preposti ad organi e uffici dello Stato e di organismi di rilievo nazionale sono obbligati ad esporre la bandiera veneta sugli immobili e sulle imbarcazioni di proprietà di questi ultimi.
La disposizione censurata violerebbe, in questo modo, anche l’art. 3 Cost., omologando irrazionalmente il trattamento di situazioni diverse tanto per il «titolo dominicale […] o di godimento», quanto sotto il «profilo funzionale» (gli edifici sedi di uffici pubblici statali, o comunque sia non regionali, e quelli adibiti a sede di uffici regionali).
Violerebbe, ancora, l’art. 5 Cost., giacché, imponendo agli edifici sedi di uffici statali o di enti pubblici nazionali il simbolo ufficiale della Regione, attenterebbe «al principio stesso dell’unità e indivisibilità nella Nazione».
Il ricorrente soggiunge che neppure l’obbligo di esposizione congiunta della bandiera veneta con quella della Repubblica o dell’Unione europea, previsto dalla lettera f) del comma 2 del nuovo art. 7-bis della legge reg. Veneto n. 56 del 1975, rimarrebbe esente da censura. Tale previsione non potrebbe ritenersi, infatti, legittimata dal ricordato disposto dell’art. 12 del d.P.R. n. 121 del 2000, secondo il quale la bandiera nazionale e quella europea debbono essere esposte congiuntamente al vessillo o gonfalone proprio dell’ente ogni volta che è prescritta l’esposizione di quest’ultimo, «osservata la prioritaria dignità della bandiera nazionale». Tale disposizione andrebbe, infatti, intesa nel senso che è lo Stato a stabilire quando le bandiere nazionale ed europea debbano essere esposte congiuntamente alla bandiera regionale o locale, e non già l’inverso.
1.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, in secondo luogo, l’art. 8, comma 1, della legge reg. Veneto n. 28 del 2017, che, introducendo l’art. 7-septies, comma 1, della legge reg. Veneto n. 56 del 1975, prevede la sanzione amministrativa pecuniaria applicabile ai trasgressori in caso di violazione delle disposizioni dettate dal precedente art. 7-bis, comma 2.
Tale disposizione – accessoria rispetto a quella che stabilisce l’obbligo di esposizione della bandiera veneta – sarebbe costituzionalmente illegittima per le medesime ragioni indicate con riferimento alla disposizione cui accede.
La giurisprudenza costituzionale – ricorda il ricorrente – è, del resto, costante nell’affermare che, per le sanzioni amministrative, la competenza legislativa non si radica in una autonoma materia, ma accede alle materie sostanziali: la disciplina delle sanzioni spetta, cioè, al soggetto competente a regolare la materia la cui inosservanza costituisce l’atto sanzionabile. Nella specie, le Regioni potrebbero stabilire, dunque, sanzioni amministrative solo in riferimento alla mancata o scorretta esposizione dei propri simboli all’esterno e all’interno degli edifici adibiti a sedi degli organi e degli uffici regionali, ma non anche con riguardo alle sedi di organi statali o di enti di rilevanza nazionale.
Il ricorrente precisa che la caducazione, per le ragioni ora indicate, della previsione del comma 1 dell’art. 7-septies della legge reg. Veneto n. 56 del 1975 renderebbe inapplicabile anche la disposizione, ad essa strettamente collegata, del comma 2 dello stesso articolo, che rimette alla Giunta regionale la definizione delle modalità e dei termini per l’applicazione della sanzione amministrativa in questione.
1.3.– Il ricorso si conclude con la formulazione di una istanza di sospensione, in parte qua, dell’efficacia delle disposizioni impugnate, ai sensi dell’art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), come sostituito dall’art. 9 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).
La richiesta è motivata con il grave e irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico conseguente al «danno d’immagine» che deriverebbe dall’eventuale irrogazione di sanzioni nei confronti di titolari di cariche istituzionali di primaria importanza a livello locale, quali i prefetti o i capi degli uffici giudiziari, per la mancata esposizione della bandiera veneta all’esterno degli edifici adibiti a sedi dei loro uffici: irrogazione atta a ripercuotersi negativamente sul piano del prestigio, dell’autorevolezza e della credibilità delle istituzioni.
2.– Si è costituita la Regione Veneto, chiedendo il rigetto del ricorso.
2.1.– In via preliminare, la resistente osserva come il fatto stesso che la Costituzione si occupi, all’art. 12, della bandiera della Repubblica implichi il riconoscimento di uno stretto legame tra l’unità costituzionale e il suo simbolo. Il valore del tricolore risulterebbe, tuttavia, oggi profondamente diverso da quello che assumeva nello Stato liberale. La bandiera, nello Stato pluralista, sarebbe, infatti, «simbolo di una unità nazionale che, se esiste sul piano politico, è però da costruire, sul piano dell’integrazione, […] nel rispetto del pluralismo e delle differenze»: prospettiva nella quale essa sarebbe chiamata a convivere, con pari dignità, con i molteplici altri simboli nei quali le componenti del pluralismo si riconoscono.
Questa differente concezione della bandiera risulterebbe sottesa alla giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto la competenza legislativa delle Regioni, sia ordinarie sia speciali, in materia di adozione e definizione di simboli rappresentativi della Regione, rilevando come tale competenza poggi sul principio fondamentale dell’autonomia espresso dall’art. 5 Cost.: principio teso a conferire il massimo rilievo alle collettività locali, e particolarmente a quelle regionali (è citata la sentenza n. 365 del 1990).
In tale cornice, la dedotta violazione dell’art. 3 Cost. si rivelerebbe insussistente, in quanto il principio di eguaglianza andrebbe coordinato con i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, sanciti all’art. 118, primo comma, Cost.
Altrettanto dovrebbe dirsi con riguardo alla denunciata lesione dell’art. 5 Cost., che lo Stato avrebbe invocato menzionando una parte soltanto del suo contenuto – vale a dire la qualificazione della Repubblica come «una e indivisibile» – tacendo della successiva espressione «riconosce e promuove le autonomie locali», che afferma il principio del pluralismo.
Quanto, poi, all’asserita violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., la resistente osserva come l’ordinamento e l’organizzazione amministrativa dello Stato – che la disposizione evocata assegna alla competenza legislativa esclusiva dello Stato – siano cosa ben diversa dall’ordinamento della Repubblica.
Prevedendo, con la legge censurata, l’obbligo di esporre la bandiera regionale all’esterno di edifici statali e in ulteriori circostanze, nonché ogni qualvolta sia esposta la bandiera della Repubblica o dell’Unione europea, la Regione Veneto avrebbe inteso abbinare i principi costituzionali di unità e indivisibilità della Repubblica al principio – egualmente degno – del «pluralismo autonomistico». L’ordine formale delle competenze, di cui all’art. 117 Cost., non sarebbe al riguardo risolutivo, dovendo essere valutato in correlazione al disposto dell’art. 114 Cost. e al principio di leale collaborazione, considerato il ruolo assegnato alle Regioni, definite dalla Corte costituzionale, nella citata sentenza n. 365 del 1990, come «soggetti reali del nostro ordinamento (che risulta unitariamente dalla loro molteplicità), punti sicuri di riferimento della sua consistenza democratica».
La legge n. 22 del 1998, richiamata dal ricorrente, non detterebbe, a sua volta, una disciplina generale e inderogabile in ordine all’esposizione di qualsiasi bandiera all’esterno di organismi di diritto pubblico, ma si limiterebbe a individuare in modo uniforme le sedi degli organi tenuti ad esporre la bandiera nazionale e quella della Unione europea, affidando ad ulteriori norme di attuazione, statali e regionali, il compito di introdurre una disciplina più circostanziata, nonché previsioni di carattere integrativo.
La normativa regionale impugnata non inciderebbe sugli aspetti regolati dalla citata legge statale, ma si limiterebbe ad integrarla, garantendo, in ogni caso di esposizione della bandiera regionale, la prioritaria dignità della bandiera nazionale. Si tratterebbe, quindi, di «una volontà di addizione e non di sottrazione; di integrazione e non di divisione». L’esposizione della bandiera veneta all’esterno degli edifici che ospitano le prefetture e gli uffici periferici dell’amministrazione statale mirerebbe, in particolare, ad esaltare il raccordo tra tali uffici e la realtà territoriale in cui operano, realizzando «quell’istanza di sintesi della pluralità in una unità che non cancelli, ma piuttosto salvaguardi le differenze»: istanza non dissimile, peraltro, da quella che giustifica l’accostamento della bandiera nazionale alla bandiera dell’Unione europea nelle sedi dei massimi organi dello Stato.
2.2.– Le medesime considerazioni sarebbero riferibili anche alla norma, di natura accessoria, relativa alle sanzioni, recata dall’art. 8, comma 1, della legge reg. Veneto n. 28 del 2017.
2.3.– La resistente contesta, infine, la sussistenza dei presupposti per la sospensione dell’efficacia delle disposizioni impugnate, sottolineando, in ogni caso, come la legge reg. Veneto n. 28 del 2017 sia rimasta inattuata, «sia perché le autorità statali periferiche attendono di sapere dai loro superiori come comportarsi, sia perché la Regione del Veneto attende a sua volta […] la decisione [della] Corte».
3.– In prossimità dell’udienza pubblica, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria, con la quale ha replicato agli argomenti difensivi della Regione, insistendo per l’accoglimento delle questioni.
Quanto all’assunto della resistente, secondo il quale la normativa censurata troverebbe il proprio fondamento nel principio di riconoscimento e promozione delle autonomie locali, affermato dall’art. 5 Cost., sarebbe agevole obiettare che lo Stato non ha mai inteso contestare la potestà delle Regioni di disciplinare l’uso e le modalità di esposizione delle proprie bandiere e, amplius, dei propri simboli ufficiali. È stato contestato, invece, il potere delle Regioni, per un verso, di imporre l’esposizione della loro bandiera su edifici e beni mobili – quali le imbarcazioni – non di pertinenza regionale; per altro verso, di disciplinare, direttamente o indirettamente, l’uso e le modalità di esposizione della bandiera italiana – simbolo dell’unità nazionale – prescrivendo obblighi di esposizione congiunta dei vessilli.
L’ulteriore affermazione della difesa regionale, stando alla quale il principio di cui all’art. 3 Cost. andrebbe letto in connessione con i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, enunciati dall’art. 118 Cost., risulterebbe inconferente rispetto alla censura formulata in rapporto al primo di tali parametri, intesa a porre in evidenza la palese irrazionalità di una disciplina che omologa situazioni ictu oculi diverse.
Quanto, infine, alla lamentata violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., la tesi difensiva della Regione – per cui l’«ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali» sarebbe cosa diversa dall’ordinamento della Repubblica – risulterebbe smentita dalla giurisprudenza costituzionale, la quale ha avuto modo di chiarire come le Regioni non siano abilitate ad imporre nuovi compiti od obblighi ai titolari di uffici statali, pena la violazione del parametro evocato. Nella specie, di contro, prescrivendo l’esposizione della bandiera veneta all’esterno di edifici sedi di uffici pubblici statali e di organismi ed enti pubblici statali e nazionali, nonché sulle imbarcazioni di questi ultimi, la Regione Veneto avrebbe automaticamente gravato del relativo obbligo i titolari di quegli organi e uffici, assoggettandoli altresì alle sanzioni previste per i casi di inadempienza.
Contrariamente a quanto sostiene la resistente, l’ordine delle competenze stabilito dall’art. 117 Cost. sarebbe decisivo al fine di escludere ogni possibilità di intervento delle Regioni nella materia considerata, o, meglio, di circoscrivere tale intervento nei limiti fissati dalle leggi dello Stato. Non gioverebbe, in senso contrario, fare appello alle previsioni dell’art. 114 Cost., il quale, se pure riconosce che le Regioni – al pari dello Stato, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni – sono componenti costitutive della Repubblica (primo comma), precisa però che i poteri e le funzioni degli enti autonomi diversi dallo Stato sono stabiliti e si svolgono «secondo i principi fissati dalla Costituzione» (secondo comma) e, dunque, quanto alle Regioni, secondo le regole enunciate dall’art. 117 Cost.
Ancora meno, poi, potrebbe giovare alla tesi della Regione Veneto il richiamo al principio di leale collaborazione. Quest’ultima si realizza, infatti – secondo le costanti indicazioni della giurisprudenza costituzionale – tramite accordi e intese, e non certo mediante l’imposizione unilaterale di obblighi, presidiati addirittura da sanzioni in caso di inosservanza.
L’affermazione della resistente, per cui la legge regionale impugnata si sarebbe limitata ad integrare la disciplina stabilita dalla legge n. 22 del 1998, fraintenderebbe i termini del problema, posto che, in base alla citata legge statale, la potestà attuativa e integrativa delle Regioni risulta circoscritta alle sedi degli organi consiliari regionali, provinciali e comunali. Sarebbe errato, d’altronde, affermare che la legge regionale in discussione non ha inciso sulla disciplina dei casi e dei modi di esposizione della bandiera italiana e di quella dell’Unione europea, posto che tale disciplina è stata, al contrario, sicuramente incisa – quantomeno in via indiretta – dalla previsione di un obbligo di esposizione aggiuntiva della bandiera regionale.
4.– Anche la Regione Veneto ha depositato una memoria, insistendo per il rigetto delle questioni.
La resistente rileva che la legge n. 22 del 1998 ha previsto l’esposizione delle bandiere italiana ed europea all’esterno di edifici di organismi pubblici che fanno capo, non soltanto allo Stato, ma anche alle Regioni e agli enti locali enumerati dall’art. 114 Cost. (art. 2, comma 1, della legge n. 22 del 1998).
Con la legge impugnata, la Regione Veneto avrebbe inteso, a sua volta, valorizzare – a prescindere dal mero dato della titolarità dell’edificio – gli elementi del territorio e della popolazione: elementi che rafforzerebbero, anziché svalutare, proprio l’unità e indivisibilità della Repubblica, attraverso l’affermazione del principio pluralistico. Si sarebbe voluto, in altri termini, «coprire un vuoto», prevedendo che la bandiera della Regione – che rappresenta tutti gli elementi costitutivi dell’ente (territorio, popolazione e autorità democraticamente eletta) – sia esposta, congiuntamente a quella della Repubblica italiana e dell’Unione europea, anche nelle sedi di organismi statuali situati nell’ambito del territorio della Regione.
La Regione non avrebbe, dunque, affatto preteso di «conformare l’organizzazione amministrativa dello Stato», ma soltanto attribuire il giusto risalto alle comunità che, ai sensi dell’art. 114 Cost., costituiscono l’ordinamento della Repubblica, in quella che è stata felicemente definita come «alleanza delle autonomie».
In conclusione, quindi, la legge reg. Veneto n. 28 del 2017 non violerebbe l’art. 5 Cost., ma anzi lo attuerebbe, senza interferire con la riserva di competenza di cui all’art. 1, comma 2, della legge n. 22 del 1998, la quale concerne la bandiera italiana e quella europea, e non la bandiera regionale.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, in riferimento agli artt. 3, 5 e 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, e 8, comma 1, della legge della Regione Veneto 5 settembre 2017, n. 28 (Nuove disposizioni in materia di uso dei simboli ufficiali della Regione del Veneto modifiche e integrazioni alla legge regionale 20 maggio 1975, n. 56 “Gonfalone e stemma della Regione”).
La prima delle due disposizioni è impugnata dal ricorrente nella parte in cui, aggiungendo l’art. 7-bis, comma 2, lettere a), d), f) ed n), alla legge della Regione Veneto 20 maggio 1975, n. 56 (Bandiera, gonfalone, fascia e stemma della Regione), prevede l’obbligo di esposizione della bandiera della Regione Veneto all’esterno degli edifici sedi delle prefetture, degli uffici periferici delle amministrazioni dello Stato e degli altri organismi pubblici, anche statali o nazionali (lettera a), all’esterno degli enti pubblici – comprensivi anche degli enti pubblici statali e nazionali – che ricevono in via ordinaria finanziamenti o contributi a carico del bilancio regionale (lettera d), sulle imbarcazioni di proprietà di organismi pubblici, e quindi anche sui natanti di proprietà di organismi statali e nazionali (lettera n), nonché ogni qualvolta sia esposta la bandiera italiana o europea (lettera f).
Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la norma impugnata violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva statale la materia dell’«ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali», introducendo obblighi – per di più sanzionati – a carico dei soggetti preposti a organi e uffici statali e ad organismi ed enti a carattere nazionale, in contrasto con l’assetto delle competenze delineato dalla legge 5 febbraio 1998, n. 22 (Disposizioni generali sull’uso della bandiera della Repubblica italiana e di quella dell’Unione europea) e dal d.P.R. 7 aprile 2000, n. 121 (Regolamento recante disciplina dell’uso delle bandiere della Repubblica italiana e dell’Unione europea da parte delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici).
La disposizione regionale censurata violerebbe, altresì, l’art. 3 Cost., omologando il trattamento di situazioni palesemente diverse, tanto sul piano del titolo dominicale o di godimento, quanto sotto il profilo funzionale (gli edifici sedi di uffici statali, o comunque sia non regionali, e gli edifici sedi di uffici regionali), nonché l’art. 5 Cost., perché, imponendo agli edifici sedi di uffici statali o di enti pubblici nazionali il simbolo ufficiale della Regione, attenterebbe al principio di unità e indivisibilità della Repubblica.
Per le medesime ragioni sarebbe costituzionalmente illegittimo anche l’art. 8, comma 1, della legge reg. Veneto n. 28 del 2017, nella parte in cui, aggiungendo l’art. 7-septies, comma 1, alla legge reg. Veneto n. 56 del 1975, stabilisce la sanzione amministrativa applicabile ai trasgressori nel caso di violazione delle disposizioni in tema di obblighi di esposizione della bandiera veneta di cui al nuovo art. 7-bis, comma 2, di tale ultima legge, e dunque anche nei confronti dei soggetti preposti a organi e uffici statali e ad organismi ed enti a carattere statale o nazionale.
2.– Giova far precedere lo scrutinio delle questioni da una ricognizione del quadro normativo di riferimento.
2.1.– La Costituzione dedica, come è noto, alla bandiera un apposito articolo – l’art. 12 – collocato nella partizione preliminare intitolata «[p]rincipî fondamentali». In base ad esso, «[l]a bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni».
L’inserimento nella Costituzione di una disposizione sulla bandiera nazionale fu ritenuto pacificamente opportuno in sede di Assemblea costituente, in quanto, come ebbe a rilevare il Presidente della Commissione dei 75, on. Ruini, esso rispondeva all’esigenza, «che vi è in tutte le Costituzioni, di precisare, anche per ragioni internazionali, i caratteri del vessillo della propria Nazione». La bandiera rappresenta, in effetti, sin da epoche remote, un segno distintivo della personalità dello Stato sul piano internazionale. Nell’età moderna, essa ha peraltro assunto anche un altro e più profondo significato: quello, cioè, di strumento di identificazione della Nazione nel suo Stato. La bandiera costituisce, in altri termini, l’espressione in simbolo dello Stato nazionale.
La bandiera è, peraltro, l’unico dei simboli della Repubblica del quale la Costituzione si occupa. Per corrente notazione, l’effetto più rilevante di tale scelta risiede nel carattere rigido impresso all’emblema nazionale: individuando nel «tricolore italiano» la bandiera della Repubblica ed erigendolo a simbolo dell’unità nazionale, il Costituente ha escluso che tale strumento di identificazione possa essere mutato dalla maggioranza politica del momento, aggiungendovi, ad esempio, i simboli della propria ideologia, che non riflettono, per necessità di cose, quella unità.
Questa Corte ha avuto modo, peraltro, di porre in evidenza la diversa valenza che la bandiera nazionale assume nella democrazia pluralista delineata dalla Costituzione repubblicana, rispetto al regime che l’ha preceduta. Ciò è avvenuto, in specie, con la sentenza n. 189 del 1987, dichiarativa della illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 della legge 24 giugno 1929, n. 1085 (Disciplina della esposizione delle bandiere estere), nella parte in cui prevedevano il divieto, penalmente sanzionato, di esporre in pubblico bandiere estere senza la preventiva autorizzazione delle autorità politiche locali. Nell’occasione, questa Corte ha rilevato come, nello Stato autoritario, la bandiera costituisse il simbolo «della sovranità nazionale, d’uno Stato che “non riconosce” altri valori oltre quelli dei quali si fa detentore ed impositore»: da ciò, e dalla conseguente «impossibilità “in radice” d’un confronto tra valori “validi”, quelli nazionali, ed ideologie “non valide”», il generale divieto di esposizione di bandiere estere.
Nel mutato clima politico, per converso, le bandiere «non costituiscono più l’emblema, il simbolo della sovranità territoriale, concepita nel senso sopra indicato, ma designano simbolicamente un certo Paese, l’identità d’un determinato Stato» e, eventualmente, le idealità che esso propone al confronto internazionale. Situazione nella quale la ragione del divieto è venuta meno: «[l]o Stato democratico non può temere il confronto con le idealità perseguite da popoli di altri Stati e da Nazioni diverse».
2.2.– Per lungo tempo, peraltro, l’unica disciplina a carattere generale dell’uso della bandiera nazionale da parte delle pubbliche istituzioni – profilo che particolarmente interessa in questa sede – è rimasta quella recata da norme emanate nel precedente periodo fascista (segnatamente, il regio decreto-legge 24 settembre 1923, n. 2072, recante «Norme per l’uso della bandiera nazionale», convertito, con modificazioni, nella legge 24 dicembre 1925, n. 2264).
La prima regolamentazione della materia di epoca repubblicana la si deve ad un atto di normazione secondaria (il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 giugno 1986, recante «Disposizioni per l’uso della bandiera della Repubblica da parte delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici»). Tale provvedimento è stato indi surrogato dalla legge n. 22 del 1998, tuttora vigente e ampiamente richiamata dal Presidente del Consiglio dei ministri a sostegno del ricorso: legge che regola, peraltro, l’uso non soltanto della bandiera della Repubblica, ma anche di quella dell’Unione europea.
La legge del 1998 – che si autodichiara adottata «in attuazione dell’articolo 12 della Costituzione e in conseguenza dell’appartenenza dell’Italia all’Unione europea» (art. 1, comma 1) – prevede, in specie, l’esposizione permanente delle due bandiere all’esterno di una serie di edifici pubblici, a cominciare da quelli ove hanno la sede centrale gli organi costituzionali e di rilievo costituzionale (art. 2, commi 1 e 2).
Qualificando le proprie disposizioni come «norme generali regolatrici della materia» (art. 1, comma 2), la legge del 1998 affida, peraltro, a un regolamento governativo in delegificazione e alla normazione regionale il compito di emanare disposizioni attuative e integrative. Il discrimen tra l’area di intervento dell’uno e dell’altra è segnato dalla tipologia dell’edificio. È infatti previsto che le Regioni possano emanare norme di attuazione solo in rapporto ai casi di cui all’art. 2, comma 1, lettera c), della stessa legge n. 22 del 1998, ossia esclusivamente per ciò che concerne l’esposizione delle bandiere, nazionale ed europea, presso le sedi dei consigli regionali, provinciali e comunali (in occasione delle loro riunioni). In tutti gli altri casi indicati dal citato art. 2, è deputato a provvedere il regolamento (art. 1, comma 2).
Nei medesimi limiti di competenza ora indicati, regolamento e norme regionali vengono abilitati, altresì, a dettare una disciplina integrativa riguardo alle modalità di uso ed esposizione delle predette due bandiere, nonché di «gonfaloni, stemmi e vessilli», anche con riferimento a ulteriori organismi di diritto pubblico (art. 2, comma 3).
Il regolamento governativo, emanato con d.P.R. n. 121 del 2000, amplia il novero degli edifici all’esterno dei quali debbono essere esposte la bandiera della Repubblica italiana e quella dell’Unione europea, includendovi, tra gli altri, quelli adibiti a sede centrale o a ufficio periferico, con circoscrizione non inferiore alla provincia, delle autorità indipendenti e degli enti pubblici di carattere nazionale (art. 1, comma 1); prevede, altresì, una serie di casi nei quali le bandiere debbono essere esposte anche all’interno degli uffici pubblici (art. 6); regola, poi, le modalità e i tempi di esposizione (articoli da 2 a 5 e da 7 a 11).
Il regolamento si chiude con una disposizione specifica – l’art. 12 – relativa alle Regioni e agli enti locali. In base ad essa, «[l]’esposizione delle bandiere all’esterno e all’interno delle sedi delle regioni e degli enti locali è oggetto dell’autonomia normativa e regolamentare delle rispettive amministrazioni». Si prevede, nondimeno, che la bandiera nazionale e quella europea debbano essere «esposte congiuntamente al vessillo o gonfalone proprio dell’ente ogni volta che è prescritta l’esposizione di quest’ultimo, osservata la prioritaria dignità della bandiera nazionale».
2.3.– Uno degli aspetti maggiormente innovativi della legge del 1998 e del regolamento del 2000 è consistito, dunque, nella presa d’atto del carattere decentrato della Repubblica e del fatto che la bandiera nazionale si trovi conseguentemente a dover convivere con i simboli delle autonomie territoriali. Tale presa d’atto si è manifestata sotto due aspetti: da un lato, si è consentito alle Regioni e agli enti locali di disciplinare l’esposizione delle bandiere, compresa quella nazionale, all’esterno e all’interno delle proprie sedi; dall’altro, si è riconosciuta l’esistenza di «vessilli» e «gonfaloni» di tali enti, la cui disciplina resta affidata all’autonomia normativa e regolamentare dei medesimi.
Per quanto attiene, in particolare, alle Regioni, sia ad autonomia differenziata che ordinaria, già prima della legge del 1998 loro plurimi statuti prevedevano che la Regione avesse propri simboli ufficiali. Ed alcune leggi regionali erano, in effetti, intervenute ad individuare tali simboli.
Con la sentenza n. 365 del 1990, questa Corte ha riconosciuto alle Regioni la competenza a legiferare in materia di adozione e definizione dei propri simboli anche in assenza di una espressa previsione statutaria, individuandone il generale fondamento nel principio di autonomia enunciato dall’art. 5 Cost., in relazione agli artt. 115 e seguenti Cost.: principio «teso a conferire il massimo rilievo alle collettività locali, e […] particolarmente a quelle regionali, come soggetti reali del nostro ordinamento (che risulta unitariamente dalla loro molteplicità), punti sicuri di riferimento della sua consistenza democratica». La portata del principio stesso, così individuata, «implica che non può non ritenersi contenuto minimale dell’autonomia della regione il potere di scegliere i segni più idonei a distinguere l’identità stessa della collettività che essa rappresenta».
2.4.– Di seguito alla legge n. 22 del 1998, si è registrato, in fatto, un ampio e diffuso intervento della legislazione regionale sulla materia, particolarmente con riguardo alle bandiere. La legislazione regionale successiva al 1998 non si limita, d’altro canto, come quella precedente, a descrivere i simboli ufficiali della Regione, ma regola in modo specifico i luoghi, i casi e i modi della loro esposizione: dettando, così, una disciplina parallela a quella recata dalla legge n. 22 del 1998 e dal d.P.R. n. 121 del 2000 con riguardo alla bandiera nazionale.
Per quel che attiene in particolare alla Regione Veneto, essa è intervenuta a disciplinare i propri simboli ufficiali già con la legge reg. Veneto n. 56 del 1975. Tale legge, già nel testo originario, includeva tra i simboli ufficiali della Regione, accanto al gonfalone e allo stemma, anche la bandiera (art. 3, secondo comma). Conformemente all’indirizzo dell’epoca, la legge si limitava peraltro a individuare le caratteristiche di quest’ultima, senza regolare in alcun modo l’uso della stessa da parte delle pubbliche autorità.
Disposizioni in ordine all’uso e all’esposizione della bandiera regionale sono state introdotte – all’indomani della legge statale n. 22 del 1998 – con la legge della Regione Veneto 10 aprile 1998, n. 10 (Disposizioni per l’uso e l’esposizione della bandiera della Regione del Veneto), successivamente integrata dalla legge della Regione Veneto 24 novembre 2003, n. 35 (Modifica alla legge regionale 10 aprile 1998, n. 10 “Disposizioni per l’uso e l’esposizione della bandiera della Regione del Veneto” e successive modificazioni). Tale legge prevedeva, in specie, che la bandiera dovesse essere esposta (con limiti temporali diversi a seconda dei casi) all’esterno delle sedi degli organi regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, nonché dei «seggi elettorali durante le consultazioni» tenute nella Regione Veneto e degli «edifici scolastici» (art. 2).
Dopo che la legge regionale statutaria del Veneto 17 aprile 2012, n. 1 (Statuto del Veneto) aveva stabilito, all’art. 1, comma 4, che «[l]a Regione è rappresentata dalla bandiera, dal gonfalone e dallo stemma», la materia è stata, peraltro, ridisciplinata ex novo, e in senso fortemente ampliativo, dalla legge reg. Veneto n. 28 del 2017 – oggi impugnata – la quale, abrogando la citata legge reg. n. 10 del 1998, ha inserito, tramite novellazione, le disposizioni in materia di uso dei simboli ufficiali all’interno della legge reg. Veneto n. 56 del 1975.
L’art. 3, comma 1, della legge denunciata aggiunge, in specie, alla legge del 1975 l’art. 7-bis, il cui comma 1 stabilisce che la bandiera veneta è esposta all’esterno degli edifici pubblici nella Regione Veneto «nei casi previsti dalla legge e, previa espressa disposizione od autorizzazione del Presidente della Giunta regionale, in occasione di avvenimenti che rivestano particolare importanza e solennità regionale o locale».
Di seguito a tale previsione, il comma 2 del medesimo art. 7-bis reca un lungo elenco di ipotesi nelle quali la bandiera «viene altresì esposta»: formula che, con l’impiego dell’indicativo presente, imprime inequivocabilmente all’adempimento connotati di doverosità. Ciò è peraltro confermato dalla disposizione di cui al successivo art. 7-septies (aggiunto dall’art. 8, comma 1, della legge reg. Veneto n. 28 del 2017) – sulla quale parimente si appuntano le censure del ricorrente – ove si stabilisce che «[l]a violazione delle norme di cui al comma 2 dell’articolo 7-bis comporta a carico dei trasgressori l’applicazione della sanzione amministrativa da euro 100 (cento) a euro 1.000 (mille)».
Il dato saliente agli odierni fini – costituente, al tempo stesso, anche un tratto distintivo della legislazione veneta nel folto panorama della normativa regionale in materia – è che, diversamente dall’abrogato art. 2, comma 2, della legge reg. Veneto n. 10 del 1998, la disposizione impugnata prescrive l’esposizione del vessillo regionale anche su edifici adibiti a sede di organi e uffici statali, nonché su edifici e natanti di enti e organismi pubblici nazionali.
Le censure del Presidente del Consiglio dei ministri investono in modo specifico le previsioni di cui alle lettere a), d), f) ed n) del comma 2 del nuovo art. 7-bis, in forza delle quali la bandiera veneta deve essere esposta: «a) all’esterno degli edifici sedi della Prefettura e degli uffici periferici delle amministrazioni dello Stato, della Regione, dei comuni e delle province, della Città metropolitana, nonché sedi di consorzi ed unioni di enti locali, delle comunità montane e degli altri organismi pubblici» (locuzione, quest’ultima, che nella sua genericità si presta a ricomprendere anche gli organismi pubblici nazionali); «d) all’esterno degli enti pubblici che ricevono in via ordinaria finanziamenti o contributi a carico del bilancio regionale» (non esclusi, dunque, anche in questo caso, gli enti pubblici nazionali); «f) ogni qualvolta sia esposta la bandiera della Repubblica o dell’Unione Europea»; «n) sulle imbarcazioni di proprietà della Regione, dei comuni, delle province e della Città metropolitana e degli altri organismi pubblici nonché delle imbarcazioni private acquistate con il contributo, anche parziale, della Regione del Veneto» (laddove, di nuovo, l’indifferenziata espressione «organismi pubblici» risulta atta a conglobare anche gli organismi nazionali).
3.– Ciò premesso, le questioni con le quali si denuncia l’incompatibilità dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Veneto n. 28 del 2017 con gli artt. 5 e 117, secondo comma, lettera g), Cost., sono fondate.
3.1.– Seguendo l’ordine delle censure prospettato dal ricorrente, che riflette il relativo rapporto di pregiudizialità logico-giuridica (sul carattere pregiudiziale delle censure che denunciano la violazione del riparto delle competenze legislative rispetto a quelle che investono il contenuto della norma regionale denunciata, sentenza n. 81 del 2017), deve rilevarsi, anzitutto, come la disposizione impugnata invada la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali» (art. 117, secondo comma, lettera g, Cost.).
La giurisprudenza di questa Corte è, infatti, costante nell’affermare che le Regioni – pena la violazione del parametro costituzionale ora indicato – «non possono porre a carico di organi e amministrazioni dello Stato compiti e attribuzioni ulteriori rispetto a quelli individuati con legge statale» (sentenze n. 9 del 2016, n. 104 del 2010, n. 10 del 2008 e n. 322 del 2006; in senso analogo, altresì, sentenze n. 2 del 2013, n. 159 del 2012 e n. 134 del 2004).
Tale preclusione opera anche con riguardo alla previsione di «forme di collaborazione e di coordinamento», le quali, ove coinvolgano compiti e attribuzioni di organi dello Stato, «non possono essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle Regioni, nemmeno nell’esercizio della loro potestà legislativa», dovendo trovare il loro fondamento o il loro presupposto in leggi statali che le prevedano o le consentano, o in accordi tra gli enti interessati (sentenze n. 9 del 2016, n. 104 del 2010, n. 10 del 2008, n. 322 e n. 30 del 2006; analogamente, sentenza n. 213 del 2006). Ciò, a prescindere dalla improprietà del richiamo dell’odierna resistente al principio di leale collaborazione, di fronte ad una previsione normativa introdotta in modo affatto unilaterale dalla Regione.
Con riguardo a tematica che presenta qualche assonanza con quella dei simboli, questa Corte ha avuto anche modo di affermare, in sede di conflitto di attribuzioni, che non spetta alla Regione il potere di disciplinare l’ordine delle precedenze tra le cariche pubbliche, coinvolgendo in tale ordine anche organi statali, trattandosi di intervento che – se pure limitato alle sole cerimonie locali – incide, comunque sia, sulla materia «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali», attribuita dall’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost. alla competenza esclusiva dello Stato per assicurarne l’esercizio unitario (sentenza n. 311 del 2008).
Va da sé, per altro verso, che, alla luce dell’univoco tenore della norma costituzionale evocata, i principi ora ricordati sono destinati a valere allo stesso modo anche in rapporto agli organi degli «enti pubblici nazionali».
Nel caso in esame, la disposizione regionale impugnata pone a carico di organi e amministrazioni dello Stato (a cominciare dai prefetti), nonché di organismi ed enti pubblici nazionali, uno specifico obbligo di facere (l’esposizione della bandiera veneta all’esterno degli edifici in cui gli uffici in questione hanno sede, o sulle imbarcazioni di proprietà degli organismi).
Il carattere meramente materiale dell’attività, in sé e per sé considerata, non esclude che si tratti di obbligo riconducibile alla sfera dell’«organizzazione amministrativa», posto che l’esposizione pubblica di un simbolo ufficiale è destinata ad assumere una valenza connotativa delle funzioni che gli uffici ed enti considerati sono chiamati ad esercitare (e degli stessi uffici ed enti).
Né può farsi leva, in senso contrario – come ipotizza la resistente – sul ricordato riconoscimento, da parte di questa Corte, già prima della riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, della competenza delle Regioni a legiferare in materia di adozione e definizione dei simboli regionali, sulla base del generale principio di autonomia espresso dall’art. 5 Cost. (sentenza n. 365 del 1990). Nel frangente non è infatti in discussione – per valersi delle parole della sentenza ora citata – il potere della Regione «di scegliere i segni più idonei a distinguere l’identità stessa della collettività che essa rappresenta», ma la pretesa della Regione di imporre l’uso di tali segni ad organi ed enti che, se pure operanti nel territorio regionale, sono espressivi di una collettività distinta e più vasta (quella dell’intiera nazione).
Questa stessa considerazione rende non rilevante la circostanza – sulla quale pure pone l’accento la difesa regionale – che la norma impugnata intervenga in un ambito distinto da quello regolato dalla legge n. 22 del 1998, la quale si occupa della sola esposizione della bandiera nazionale e di quella della Unione europea, affidando ad ulteriori norme di attuazione, statali e regionali, il compito di introdurre una disciplina più circostanziata, nonché previsioni di carattere integrativo. Da ciò non è lecito, comunque sia, inferire che il legislatore regionale sia abilitato a vincolare all’impiego del vessillo veneto anche organi dello Stato e di enti pubblici nazionali.
3.2.– Fondata è, peraltro, anche la censura di violazione dell’art. 5 Cost., nella parte in cui enuncia il principio di unità e indivisibilità della Repubblica.
Per questo verso, il citato art. 5 Cost. deve essere letto alla luce della specifica disposizione costituzionale – collocata anch’essa, come detto, tra i «[p]rincipî fondamentali» – relativa alla bandiera: ossia l’art. 12, pur non evocato come parametro dal ricorrente, che individua nel «tricolore italiano» la bandiera della Repubblica, erigendola a simbolo dell’unità nazionale.
Traguardato alla luce dell’art. 12, l’art. 5 Cost. esclude che lo Stato-soggetto possa essere costretto dal legislatore regionale a fare uso pubblico di simboli – quali, nella specie, le bandiere regionali – che la Costituzione non consente di considerare come riferibili all’intera collettività nazionale.
Non è condivisibile, al riguardo, la tesi della difesa della Regione, secondo la quale la disposizione censurata, lungi dal violare l’art. 5 Cost., lo attuerebbe, nella parte in cui, pur qualificando la Repubblica come «una e indivisibile», le affida però il compito di promuovere le autonomie locali, affermando così il principio del pluralismo. L’esposizione della bandiera veneta, in aggiunta alla (e non già in sostituzione della) bandiera nazionale, mirerebbe – secondo la resistente – segnatamente ad esaltare il raccordo tra gli uffici statali e la realtà territoriale in cui operano, realizzando una istanza di sintesi della pluralità in unità non dissimile, nella sostanza, da quella che giustifica l’accostamento – voluto dallo stesso legislatore statale – della bandiera nazionale alla bandiera dell’Unione europea nelle sedi dei massimi organi dello Stato.
Al riguardo, va osservato che l’unità e l’indivisibilità della Repubblica, costituzionalmente imposte come tratti che qualificano lo Stato-soggetto espressivo della comunità nazionale, comportano che le Regioni non possano avanzare la pretesa di affiancare imperativamente alla bandiera della Repubblica, configurata dalla Costituzione quale elemento simbolico “tipizzante”, i vessilli delle autonomie locali in tutte le ipotesi in cui il simbolo stesso sia chiamato a palesare il carattere “nazionale” dell’attività svolta da determinati organismi, enti o uffici.
Né è probante, in contrario, il richiamo della Regione alla esposizione congiunta delle bandiere italiana e dell’Unione europea, prevista dalla stessa legislazione statale. A prescindere dalla chiara eterogeneità dei rapporti tra Unione europea e Stati membri rispetto ai rapporti tra Repubblica italiana e Regioni, vale osservare che con la legge n. 22 del 1998 lo Stato ha disposto la contemporanea esposizione delle due bandiere, italiana ed europea, all’esterno degli uffici pubblici italiani, allo stesso modo in cui le Regioni ben possono prevedere l’esposizione congiunta delle bandiere regionale e italiana – nonché europea – nei loro uffici e negli uffici degli enti locali. Lo Stato italiano non ha preteso, per contro, di imporre l’esposizione della bandiera nazionale ad organi e uffici rappresentativi della comunità sovranazionale di cui l’Italia è parte, come invece ha inteso fare, mutatis mutandis, la Regione Veneto con la norma impugnata, nei rapporti con lo Stato.
3.3.– L’art. 3, comma 1, della legge reg. Veneto n. 28 del 2017, va dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, aggiungendo alla legge reg. Veneto n. 56 del 1975 l’art. 7-bis, comma 2, lettere a), d), f) ed n), prevede l’obbligo di esporre la bandiera regionale all’esterno di edifici adibiti a sede di organi e uffici statali e di enti e organismi pubblici nazionali, nonché su imbarcazioni di proprietà di questi ultimi.
3.4.– La questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. resta assorbita.
4.– Per quanto attiene, invece, alle questioni che investono la disposizione sanzionatoria di cui all’art. 7-septies, comma 1, della legge reg. Veneto n. 56 del 1975, introdotta dall’art. 8, comma 1, della legge reg. Veneto n. 28 del 2017, occorre rilevare che tale disposizione individua le condotte sanzionate tramite mero rinvio alla norma impositiva dell’obbligo di esposizione della bandiera regionale (nuovo art. 7-bis, comma 2, della legge reg. Veneto n. 56 del 1975).
L’ablazione parziale di quest’ultima norma, conseguente alla dichiarazione di illegittimità costituzionale nei termini dianzi indicati, comporta, dunque, che la disposizione sanzionatoria resti applicabile esclusivamente in rapporto a fattispecie diverse da quelle dichiarate illegittime e alle quali si riferiscono le censure del ricorrente, senza che sia necessario alcun ulteriore ed autonomo intervento di limitazione della sfera di operatività della disposizione stessa.
Le questioni aventi ad oggetto il citato art. 8, comma 1, debbono essere dichiarate pertanto non fondate (per una ipotesi analoga, sentenza n. 121 del 2018, punto 11.3 del Considerato in diritto).
5.– La decisione sul merito del ricorso assorbe, infine, l’istanza cautelare di sospensione dell’efficacia delle disposizioni impugnate, formulata dal Presidente del Consiglio dei ministri (sentenze n. 5 del 2018, n. 145 e n. 141 del 2016).