Ritenuto in fatto
1.– Con il ricorso in epigrafe, spedito per la notifica il 23 giugno 2017 e depositato il 27 giugno del 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 7, 8, 9, commi 2 e 3, 41, 48, comma 6, e 49 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 21 aprile 2017, n. 10 (Disposizioni in materia di demanio marittimo regionale e demanio marittimo stradale, nonché modifiche alle leggi regionali 17/2009, 28/2002 e 22/2006).
Le disposizioni impugnate, ad avviso del ricorrente, sono in contrasto con l’art. 117, primo comma, secondo comma, lettera e), e terzo comma, della Costituzione, quest’ultimo in riferimento all’art. 6, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122.
2.– Il ricorrente premette che la legge regionale impugnata reca una disciplina organica della gestione dei beni del demanio marittimo nella laguna di Marano-Grado, introducendo, inoltre, modifiche alle disposizioni contenute nelle previgenti discipline della Regione chiamate a regolare le materie del demanio marittimo, idrico e stradale.
Precisa, ancora, che le norme oggetto di scrutinio afferiscono alle materie «industria e commercio» e «turismo e industria alberghiera», attribuite alla potestà legislativa primaria della Regione resistente, ai sensi dell’art. 4, numero 6) e numero 10), della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 29 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), non senza rimarcare, al contempo, che la relativa competenza primaria, per quanto espressamente previsto dalla medesima disposizione statutaria, deve comunque esplicarsi «[i]n armonia con la Costituzione, con i principi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato, nonché nel rispetto degli interessi nazionali e di quelli delle altre Regioni […]» e che, tra le norme di grande riforma economico-sociale poste dallo Stato, vanno annoverate quelle emanate in tema di «tutela della concorrenza».
Sempre in via di premessa, il Governo evidenzia, ancora, che le disposizioni censurate ineriscono a beni appartenenti al demanio idrico regionale in forza del trasferimento operato con il decreto legislativo 25 maggio 2001, n. 265 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia per il trasferimento di beni del demanio idrico e marittimo, nonché di funzioni in materia di risorse idriche, e di difesa del suolo); che la gestione relativa ai detti beni deve comunque rispettare direttive e principi comunitari, le leggi nazionali in materia di ambiente e paesaggio, oltre a quanto previsto dal regio decreto 30 marzo 1942, n. 327 (Codice della navigazione); che le disposizioni censurate ineriscono agli aspetti relativi all’affidamento ed alla durata delle concessioni demaniali marittime, eccedendo le competenze statutarie nella parte in cui restringono il campo di applicazione delle procedure ad evidenza pubblica finalizzate all’affidamento della concessione, così da limitare il meccanismo della concorrenza nella scelta dell’affidatario in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.; che le stesse si pongono in contrasto anche con i principi dettati dal diritto dell’Unione europea nella materia e segnatamente, per quel che qui immediatamente interessa, dalla direttiva 2006/123/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (da qui: direttiva servizi), attuata nell’ordinamento interno con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno).
Alla luce di tali premesse, il ricorrente mette in evidenza, per ciascuna delle disposizioni censurate, gli aspetti di contrarietà rispetto ai citati parametri costituzionali così integrati dai riferimenti inerenti al diritto dell’Unione.
3.– Secondo il Governo, l’art. 7 della legge regionale impugnata, nel disciplinare la procedura per l’affidamento in concessione di aree demaniali marittime, al comma 4 detta una serie di deroghe all’obbligo di pubblicazione delle istanze di concessione imposto dai commi precedenti, senza fornire alcuna giustificazione, così da porsi in contrasto con i principi di derivazione comunitaria in tema di trasparenza nelle procedure di assegnazione nonché con la normativa statale in materia e segnatamente con l’art. 18 della legge 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale) nonché con l’art. 18 del d.P.R. 15 febbraio 1952, n. 328, recante «Approvazione del Regolamento per l’esecuzione del Codice della navigazione (Navigazione marittima»).
Di qui l’addotta lesione dell’art. 117, primo comma, Cost., per la ritenuta violazione dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario; nonchè, il contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. per la stretta correlazione funzionale tra le disposizioni in materia di pubblicità e trasparenza delle procedure di assegnazione e la materia della concorrenza, così che spetterebbe al legislatore statale fissare i principi fondamentali in materia.
4.– Il Governo censura anche l’art. 8 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2017.
Evidenzia il ricorrente che l’articolo in questione, nel disciplinare la procedura che porta alla aggiudicazione della concessione, al comma 1 indica i criteri da applicare in caso di domande concorrenti; al comma 2 impone alla Giunta regionale di comunicare, contestualmente all’invito a presentare le istanze di concessione, il principio che dovrà guidare, insieme ai criteri di cui al comma 1, il giudizio relativo all’aggiudicazione, scelto tra quelli espressamente indicati nella citata disposizione; al comma 3, infine, rimanda ad un regolamento l’individuazione delle procedure, dei termini e dei criteri attuativi dei principi di cui ai primi due commi e le disposizioni per l’aggiudicazione «[…] anche ai fini di una valorizzazione dell’esperienza e della professionalità del concessionario».
La norma, ad avviso del ricorrente, si pone in contrasto con le indicazioni di principio contenute nella direttiva servizi, applicabili alle concessioni in questione in ragione di quanto statuito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, quinta sezione, con la sentenza 14 luglio 2016, nelle cause riunite C-458/14, Promoimpresa srl e C-67/15, Mario Melis e altri.
Di qui l’addotta violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
La procedura comparativa introdotta, in particolare, riposerebbe su criteri eccessivamente generici senza delineare un quadro sufficientemente chiaro né pro-concorrenziale. Nel consentire, poi, che, attraverso il regolamento attuativo, possa essere presa in considerazione e valorizzata l’esperienza e la professionalità del concessionario uscente, permetterebbe, tramite la fonte secondaria, l’introduzione di prescrizioni volte a favorire quest’ultimo, creando discriminazioni tra i diversi operatori economici. I temi oggetto del rinvio al regolamento, sarebbero, inoltre, troppo ampi e involgerebbero, comunque, campi coperti da disposizioni di rango primario quali quelle dettate dal decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 1993, n. 494. Anche con riferimento alla disposizione in esame, infine, la stretta correlazione con il tema della concorrenza renderebbe concreta la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
5.– Il ricorrente dubita, inoltre, della legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 2, della legge regionale impugnata, sempre per l’addotta violazione dell’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera e), Cost.
Ad avviso del Governo, la disposizione censurata, nel prevedere che la durata delle concessioni possa estendersi sino ad un limite massimo di anni cinquanta con riguardo alle concessioni per finalità produttive, commerciali, industriali, ivi comprese le attività di cantieristica navale e per la realizzazione di strutture dedicate alla nautica da diporto (inerenti ai beni ricompresi nel demanio marittimo afferente alla laguna di Marano-Grado), si pone in contrasto con la disciplina statale che, all’art. 03, comma 4-bis, del d.l. n. 400 del 1993, fissa in una forbice tra i sei e i venti anni la durata dei relativi titoli; si pone, ancora, in conflitto, con le indicazioni di principio emergenti dalla direttiva servizi, come interpretate dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea con la citata sentenza del 14 luglio 2016.
Secondo il ricorrente, la disposizione censurata, autorizzando un utilizzo prolungato di una risorsa scarsa, limita la concorrenza e la rende recessiva nel confronto con l’esigenza di garantire sia l’integrale ammortamento degli investimenti, sia una piena remunerazione del capitale investito dal concessionario. L’equilibrio economico-finanziario dell’iniziativa del concessionario non può infatti sacrificare il confronto concorrenziale lungo un arco temporale eccessivamente esteso.
Di qui la ritenuta violazione dei parametri costituzionali evocati, richiamati dal ricorrente anche per addurre l’illegittimità costituzionale, giustificata dalle medesime considerazioni argomentative, sia dell’art. 9, comma 3, della legge regionale impugnata, che pone in anni quaranta il medesimo limite massimo di durata per la concessioni con finalità turistico ricreative relative a beni ricompresi all’interno della laguna di Marano-Grado; sia dell’art. 41 della stessa legge, il quale, introducendo l’art. 6-bis nella legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 13 novembre 2006, n. 22 (Norme in materia di demanio marittimo con finalità turistico-ricreativa e modifica alla legge regionale n. 16/2002 in materia di difesa del suolo e di demanio idrico), prevede, per i beni estranei alla laguna di Marano-Grado, che «[n]el rispetto del principio di proporzionalità, le concessioni aventi finalità turistico-ricreativa sono rilasciate per il periodo richiesto dal soggetto istante e, comunque, per il periodo massimo di quaranta anni, sulla base del piano economico-finanziario di cui all’articolo 8, comma 1, lettera c), tale da giustificare la durata della concessione».
6.– Il Governo censura, ancora, l’art. 48, comma 6, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2017, con il quale si dispone che, per i componenti esterni del «Comitato tecnico di valutazione-Sezione demaniale» previsto dal medesimo articolo, il gettone da corrispondere per ogni seduta venga determinato in euro 120. Tanto contrasterebbe con l’art. 6 del d.l. n. 78 del 2010 (che fissa in 30 euro la soglia massima del gettone di presenza), quale norma di coordinamento della finanza pubblica, non derogabile dalla Regione nell’esercizio della sua potestà legislativa concorrente, con conseguente violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
7.– Ad avviso del Governo, infine, è costituzionalmente illegittimo l’art. 49 della legge regionale impugnata, perché in asserito conflitto con l’art. 117, primo comma, secondo comma, lettera e), e terzo comma, Cost. La previsione in oggetto impone al concessionario subentrante il pagamento, in favore dell’uscente, di un indennizzo computato considerando il valore degli investimenti non ancora ammortizzati e l’avviamento maturato nella gestione pregressa del bene.
La mancata rinnovazione del titolo, dunque, potrebbe determinare riflessi negativi per la finanza pubblica, legittimando l’uscente ad una azione risarcitoria nei confronti dell’amministrazione, statale o regionale, cui va riferita la titolarità dominicale sul bene coinvolto, così da contrastare con la normativa statale in materia di coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
La disposizione, inoltre, avrebbe l’effetto di attribuire all’uscente un indebito vantaggio, così da provocare una restrizione della concorrenza, in aperto contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., integrato dal tenore dell’art. 12 della direttiva servizi, e con il comma secondo, lettera e), della stessa norma costituzionale.
8.– La Regione autonoma resistente si è costituita in giudizio con memoria depositata il 1° agosto 2017, concludendo per la inammissibilità o comunque per la infondatezza delle questioni prospettate dal Governo.
8.1.– In linea generale, la resistente eccepisce l’inammissibilità delle questioni, tutte prospettate con esclusivo riferimento ai parametri costituzionali in luogo delle previsioni contenute nello statuto speciale, pur nella consapevolezza espressa nel ricorso, che la legge impugnata è stata approvata nell’esercizio della competenza legislativa primaria in materia di turismo e industria alberghiera, ai sensi dell’art. 4, n. 10), del citato statuto.
Eccepisce, ancora, l’inammissibilità delle questioni prospettate in riferimento all’art. 117, primo e terzo comma, Cost., parametri non richiamati nella delibera autorizzativa.
8.2.– Relativamente all’art. 7, la resistente deduce l’inammissibilità della questione avuto riguardo alle disposizioni diverse da quella contenuta nel comma 4, avendo il Governo argomentato la censura riferendosi esclusivamente a tale ultima previsione. Nel merito, ne contrasta la fondatezza perché la pubblicazione della domanda di concessione non è imposta neppure dalla stessa legislazione nazionale richiamata dal ricorrente. In ogni caso, diversamente da quanto addotto nel ricorso, le deroghe al sistema di pubblicità previste dalla disposizione censurata avrebbero ragion d’essere perché afferenti a concessioni in cui l’occupazione del bene demaniale risponde ad un interesse pubblico specifico preminente, tanto da risultare strumentale o servente rispetto ad altri provvedimenti emessi all’esito di procedure ad evidenza pubblica; in alternativa, sarebbero riferibili a concessioni prive di rilevanza economica, così da rendere inconferenti i principi evocati in tema di trasparenza e tutela della concorrenza.
8.3.– Quanto alle censure rivolte all’art. 8 della legge regionale impugnata, la resistente evidenzia che, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, i criteri dettati dalla norma censurata contribuiscono ad offrire un quadro chiaro e delineato, utile ad orientare la discrezionalità amministrativa nel valutare le domande di affidamento concessorio, in linea con quanto previsto dall’art. 12 della direttiva servizi ed in assenza di una legislazione statale che, altrettanto precisamente, segni le linee guida della relativa azione amministrativa. L’unica norma rilevante al fine, ad avviso della resistente, andrebbe individuata nell’art. 37 del codice della navigazione, il cui contenuto non si pone in conflitto con le disposizioni censurate.
Né, ancora, può ritenersi sanzionabile l’asserita eccessiva latitudine del rinvio alla norma regolamentare, considerato il grado di analiticità della norma primaria. Le disposizioni censurate, inoltre, non sarebbero in contrasto con il diritto dell’Unione europea, o con la disciplina statale, non identificabile nell’inconferente riferimento al contenuto del d.l. n. 400 del 1993.
Il riferimento, poi, alla valorizzazione dell’esperienza e della professionalità del concessionario è erroneamente interpretato: nella sua corretta esegesi si riferisce ad una esperienza generalmente acquista nel settore di riferimento, in linea con quanto previsto del resto dall’art. 83, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture).
Ancora, sarebbe inammissibile il profilo di incompetenza prospettato evocando l’art 117, secondo comma, lettera e), Cost. sia perché, a fronte di una competenza primaria, sarebbe stata violata la clausola di cui all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione); sia perché non possono coesistere, se non dedotte nel ricorso in termini di subordinazione, censure attinenti sia all’an che al quomodo di esercizio della potestà regionale. Nel merito la relativa prospettazione sarebbe inoltre infondata considerato il carattere trasversale della relativa competenza, non evocabile quando la concorrenza, come nel caso, non è l’oggetto immediato della disciplina censurata.
8.4.– La resistente, inoltre, eccepisce l’inammissibilità delle censure prospettate avverso gli artt. 9, comma 2, 41 e 48, comma 6, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2017, trattandosi di disposizioni non ricomprese nella delibera di autorizzazione approvata dal Consiglio dei ministri.
Nel merito ne afferma l’infondatezza.
8.5.– Con riguardo al comma 3 dell’art. 9 della legge regionale impugnata, la resistente evidenzia che il limite massimo di durata del titolo concessorio previsto dalla disposizione censurata deve essere considerato alla luce del dato offerto dal riferimento al piano economico-finanziario che deve supportare l’affidamento del bene demaniale: una tale durata massima sarà, dunque, assentita se lo impongono la complessità delle opere da realizzare e degli impegni economici da assumere. Del resto, la durata delle concessioni si pone in linea con quanto previsto dall’art. 168 del d.lgs. n. 50 del 2016, in attuazione della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione. Né la competenza esclusiva in materia della Regione autonoma è ostacolata dalla previsione di cui al comma 4-bis dell’art. 03 del d.l. n. 400 del 1993, disposizione che non integra una norma di grande riforma economico-sociale, perché la legge attraverso la quale è stata introdotta – l’art. 1, comma 253, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)» – impone di interpretarne il contenuto in modo compatibile con le disposizioni degli statuti speciali (ai sensi del comma 1363 del citato art. 1).
8.6.– Infine, con riferimento all’art. 49 della legge regionale impugnata, ferma la eccepita inammissibilità della censura prospettata in relazione all’art 117, terzo comma, Cost., per la mancata menzione del parametro in oggetto nella delibera autorizzativa, la difesa della resistente evidenzia che la disposizione in questione non si pone in conflitto con il comma secondo, lettera e), dello stesso art. 117 Cost., perché il rispetto della remunerazione degli investimenti operati dal concessionario uscente deve ritenersi coerente con quanto evidenziato nel considerando n. 52 della direttiva 2014/23/UE; il riconoscimento dell’avviamento, quale ulteriore parametro dell’indennizzo dovuto dal subentrante, finisce, inoltre, per riequilibrare la situazione provocata dal subentro di un nuovo concessionario, il quale si avvantaggia di tale componente positiva inerente all’attività di impresa svolta sul bene concesso in affidamento.
9.– Con memoria depositata il 16 marzo 2018, l’Avvocatura generale dello Stato ha precisato che le questioni portate allo scrutinio della Corte vanno limitate a quelle indicate nella delibera autorizzativa. Ancora, la difesa erariale ha replicato alle ulteriori eccezioni di inammissibilità sollevate dalla resistente, segnalandone l’infondatezza, ribadendo, inoltre, le argomentazioni esposte nel merito a fondamento dell’impugnazione.
10.– La Regione autonoma resistente ha ulteriormente replicato alle difese erariali con memoria depositata il 20 marzo 2018.
Oltre a ribadire le eccezioni di inammissibilità nonché i motivi di infondatezza prospettati in riferimento alle diverse questioni poste dal Governo, la resistente ha anche segnalato che, dopo la proposizione del ricorso, con la legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 4 agosto 2017, n. 31 (Assestamento del bilancio per gli anni 2017-2019 ai sensi dell’articolo 6 della legge regionale 10 novembre 2015, n. 26) è stata sospesa l’efficacia di tutte le disposizioni impugnate, ad eccezione dell’art. 48, fino alla definizione del giudizio costituzionale.
La Regione segnala altresì che, con il comma 22 dell’art. 11 della legge regionale da ultimo citata, è stato, inoltre, modificato il tenore dell’impugnato comma 6 dell’art. 48 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2017, eliminando il riferimento quantitativo al gettone di presenza in origine previsto e disponendo che l’ammontare del detto gettone venga determinato «[…] nel rispetto dei principi di contenimento della spesa pubblica per gli organi collegiali secondo quanto previsto dalla legge regionale 29 dicembre 2010, n. 22 (Legge finanziaria 2011)».
Tale modifica, ad avviso della resistente, dovrebbe soddisfare le ragioni di doglianza esposte dal Governo a sostegno della relativa questione, con conseguente cessazione della materia del contendere; declaratoria, tuttavia, impedita nella specie in ragione della già rilevata inammissibilità del ricorso in parte qua, non essendo la disposizione impugnata tra quelle espressamente indicate nella delibera autorizzativa.
Avuto riguardo, poi, alla questione proposta in relazione all’art. 49 della legge regionale impugnata, la resistente, pur mostrandosi consapevole della analogia di contenuti tra la disposizione censurata e quella della Regione Toscana scrutinata da questa Corte con la sentenza n. 157 del 2017, ha tuttavia evidenziato che in quella occasione la declaratoria di illegittimità costituzionale è stata ancorata al parametro di cui al comma secondo, lettera e), dell’art 117 Cost.; parametro, questo, che nel presente giudizio non dovrebbe trovare applicazione in ragione della autonomia speciale della resistente, nonché della riferibilità dell’intervento legislativo in esame alla competenza legislativa primaria dettata dall’art. 4, numero 6), dello statuto regionale ed in considerazione del limite deducibile dall’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 7, 8, 9, commi 2 e 3, 41, 48, comma 6, e 49 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 21 aprile 2017, n. 10 (Disposizioni in materia di demanio marittimo regionale e demanio marittimo stradale, nonché modifiche alle leggi regionali 17/2009, 28/2002 e 22/2006), ritenuti in contrasto con l’art. 117, primo comma, secondo comma, lettera e), e terzo comma, della Costituzione.
2.– In via preliminare, va evidenziato che le conclusioni prospettate con il ricorso, in linea con la delibera del Consiglio dei ministri che ha autorizzato la proposizione delle questioni di legittimità costituzionale (il cui contenuto è definito dal pedissequo richiamo alla relazione del Dipartimento degli Affari regionali e per le autonomie resa nell’occasione), non contengono alcun riferimento agli artt. 9, comma 2, 41 e 48 della legge impugnata.
Nel contesto del ricorso, tuttavia, si argomenta diffusamente e viene in coerenza chiesta anche la declaratoria di illegittimità costituzionale di queste ultime disposizioni. L’interpretazione dell’atto di promovimento, letto nel suo complessivo tenore, porta dunque a ritenere che l’impugnazione è stata estesa anche alle citate disposizioni, malgrado le stesse certamente esondino dagli argini tracciati dall’atto autorizzativo.
Di qui la fondatezza della eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa della resistente con riguardo alla impugnazione delle disposizioni contenute negli artt. 9, comma 2, 41 e 48, comma 6, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2017, per la corrispondenza che deve sussistere, relativamente alle norme censurate, tra la deliberazione con cui l’organo legittimato si determina all’impugnazione ed il contenuto del ricorso.
L’evidenziata inammissibilità del ricorso, per la pregiudizialità che la connota, non rende necessario approfondire il profilo della sopravvenuta modifica del censurato art. 48, comma 6, della legge regionale impugnata, apportata dall’art. 11, comma 22, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 4 agosto 2017, n. 31 (Assestamento del bilancio per gli anni 2017-2019 ai sensi dell’articolo 6 della legge regionale 10 novembre 2015, n. 26).
3.– Sempre in via preliminare, va anche rimarcato che la delibera autorizzativa del Consiglio dei Ministri prospetta la violazione del secondo comma, lettere e) ed l), dell’art. 117 Cost., in ragione della ritenuta lesione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nelle materie della tutela della concorrenza e dell’ordinamento civile.
3.1.– Il ricorso si allinea solo parzialmente all’atto autorizzativo.
In primo luogo, nell’atto di promovimento non viene prospettata alcuna censura in riferimento all’art. 117, comma secondo, lettera l), Cost., evocando espressamente la lettera e) del medesimo secondo comma dell’articolo in questione, parametro riferito a tutte le questioni.
In termini di evidente eccentricità rispetto alla delibera di autorizzazione, nel ricorso si fa altresì riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., integrato dallo specifico richiamo all’art. 12 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (da qui: direttiva servizi); si adduce, altresì, la violazione dell’art. 117, comma terzo, Cost., limitatamente alla sola impugnazione dell’art. 49 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2017.
Infine, in linea con l’argomentare complessivo dell’autorizzazione governativa, l’atto di promovimento individua le competenze legislative primarie della resistente, dettate dall’art. 4, numero 6) e numero 10), della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), rispettivamente afferenti alle materie dell’industria e del commercio, nonché del turismo e dell’industria alberghiera, queste ultime due richiamate anche dal legislatore regionale (art. 1 della legge regionale impugnata) per legittimare l’adozione delle disposizioni censurate. Al contempo, nel ricorso, viene puntualmente rimarcata la recessività di siffatte previsioni rispetto al limite, imposto dal primo periodo del citato art. 4 dello statuto speciale, inerente al necessario rispetto delle norme «fondamentali delle riforme economico-sociali», emanate dallo Stato nella materia della «tutela della concorrenza», cui risultano connesse, ad avviso del Governo ricorrente, le disposizioni censurate.
3.2.– I rilievi che precedono portano alla inammissibilità delle questioni prospettate con riferimento all’art. 117, commi primo e terzo, Cost.; parametri, questi, certamente estranei al contenuto, anche solo argomentativo, della delibera autorizzativa.
Sebbene la giurisprudenza costituzionale attribuisca alla difesa del ricorrente un’autonomia tecnica nella indicazione dei parametri di censura, riconoscendo ad essa il potere di integrare il tenore della autorizzazione (sentenza n. 39 del 2017), tale discrezionalità trova comunque «[…] il suo limite nel perimetro delle ragioni espresse nella deliberazione a ricorrere poiché è evidente che non possono essere introdotte censure diverse o ulteriori rispetto a quelle indicate dall’organo politico» (così, da ultimo, sentenze n. 270 e n. 228 del 2017).
3.3.– Non è fondata, invece, l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa della resistente in ordine alla mancata evocazione dei parametri statutari nelle conclusioni del ricorso.
3.3.1.– È ben vero che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione) limita l’applicabilità alle Regioni a statuto speciale «dell’art. 117 Cost., nel testo introdotto da quest’ultima legge, alle parti in cui esso assicura forme di autonomia più ampie rispetto alle disposizioni statutarie. Laddove venga sottoposta a censura di legittimità costituzionale una disposizione di legge di un soggetto ad autonomia speciale, la compiuta definizione dell’oggetto del giudizio […] non può pertanto prescindere dall’indicazione delle competenze legislative assegnate dallo Statuto speciale, tanto più se queste risultino astrattamente pertinenti all’oggetto del giudizio […]» (da ultimo, sentenza n. 52 del 2017).
Tuttavia la stessa giurisprudenza costituzionale ha precisato che siffatto requisito di ammissibilità va inteso nel senso che, dal contesto del ricorso, deve emergere l’esclusione della possibilità di operare il sindacato di legittimità costituzionale in base allo statuto speciale, ritenendo sufficiente, ma necessaria, un’indicazione, sia pure sintetica al riguardo, in ordine all’estraneità della materia alla sfera di attribuzioni stabilita dallo stesso, nonché una pur non diffusamente argomentata evocazione dei limiti di competenza fissati da quest’ultimo (sentenze n. 142 del 2015 e n. 288 del 2013).
Nel caso in esame, per quanto prima evidenziato, il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, in coerenza con la delibera di autorizzazione, sotto questo profilo non può ritenersi sfornito degli elementi argomentativi minimi richiesti per valutarne positivamente l’ammissibilità.
Ne consegue l’infondatezza della relativa eccezione.
3.4.– Il ricorso, risulta, quindi, correttamente articolato rivendicando congiuntamente (sentenza n. 151 del 2015) sia la lesione del parametro statutario, in ragione dei limiti che lo stesso statuto detta rispetto all’espansione della competenza legislativa primaria della Regione autonoma; sia la conflittualità delle disposizioni impugnate rispetto al parametro di cui all’art. 117 Cost., ora delimitato, in ragione dei profili di inammissibilità già riscontrati, al solo secondo comma, lettera e), relativo alla «tutela della concorrenza».
4.– Definito il perimetro oggettivo della verifica ascritta a questa Corte, giova sottolineare che le disposizioni impugnate si inseriscono in un più ampio intervento normativo destinato a coinvolgere oggetti diversi, innovando le previgenti discipline della Regione autonoma in tema di demanio marittimo, idrico e stradale. Per quel che qui immediatamente interessa, le norme censurate attengono primariamente al demanio marittimo regionale e, solo in minima parte, anche al demanio idrico; ed ineriscono al profilo della concessione in uso dei relativi beni demaniali.
4.1.– La legge impugnata introduce, in primo luogo, una apposita disciplina relativa alle funzioni amministrative inerenti al demanio marittimo della laguna di Marano-Grado, individuata in ragione di quanto previsto dall’art. 30, comma 2, della legge 5 marzo 1963, n. 366 (Nuove norme relative alle lagune di Venezia e di Marano-Grado). A tale ambito demaniale viene dedicato il Titolo II della legge de qua, cui si riferiscono, in particolare, gli impugnati artt. 7, 8 e 9, inseriti nel Capo afferente alle concessioni ed autorizzazioni e rispettivamente inerenti all’affidamento concessorio, ai criteri che devono guidare le procedure di aggiudicazione nonché alla durata dei titoli in questione.
4.2.– Sempre in tema di demanio marittimo, la legge in esame ha inoltre ampliato l’oggetto della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 13 novembre 2006, n. 22 (Norme in materia di demanio marittimo con finalità turistico-ricreativa e modifica alla legge regionale n. 16/2002 in materia di difesa del suolo e di demanio idrico), in origine chiamata a dettare la disciplina delle sole concessioni demaniali aventi finalità turistico-ricreativa relative ad ambiti demaniali estranei alla citata laguna di Marano-Grado (l’art. 1, comma 3, ne prevede, ancora oggi, l’espressa esclusione).
Innovando l’art. 1 della citata legge, la relativa disciplina normativa risulta oggi rivolta, con la precisazione territoriale sopra richiamata, a regolare tutte le concessioni in uso dei beni del demanio marittimo della Regione resistente.
4.3.– Infine, per quel che qui interessa, il Titolo IV della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2017 introduce alcune disposizioni generali, indistintamente rivolte alla disciplina amministrativa dei beni demaniali.
Tra queste, rileva quella dettata dal censurato art. 49, con la quale si impone al concessionario subentrante il pagamento di un indennizzo in favore dell’uscente in caso di mancato rinnovo dei relativi titoli inerenti al demanio marittimo e idrico.
5.– Ad avviso del ricorrente, le disposizioni impugnate sono tutte caratterizzate da una stretta correlazione funzionale con la materia della «tutela della concorrenza», riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, da ritenersi applicabile in luogo di quelle primarie della Regione autonoma resistente, rivendicate dalla stessa a sostegno della legittima emanazione delle disposizioni impugnate.
6.– La disciplina concernente il rilascio delle concessioni su beni demaniali investe, in via di principio, diversi ambiti materiali di spettanza sia statale che regionale.
6.1.– Si è già evidenziato che le norme censurate afferiscono alla disciplina delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo e di demanio idrico, trasferite alla Regione resistente, quanto al demanio marittimo, in attuazione dell’art. 7 del d.P.R. 15 gennaio 1987, n. 469 (Norme integrative di attuazione dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia); quanto ai beni ricompresi nella laguna di Marano-Grado, in forza degli artt. 1, comma 2, e 2, comma 3, del decreto legislativo 25 maggio 2001, n. 265 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia per il trasferimento di beni del demanio idrico e marittimo, nonché di funzioni in materia di risorse idriche e di difesa del suolo); infine, quanto al demanio idrico, in virtù dell’art. 2 del citato d.lgs. n. 265 del 2001.
6.2.– Le norme impugnate, nella comune opinione delle stesse parti in giudizio, intersecano anche competenze primarie ascritte alla Regione resistente in ragione di quanto previsto dall’art. 4, n. 10), dello statuto (in materia di turismo e industria alberghiera), espressamente richiamato dall’art. 1 della legge impugnata. Non sono poi estranee anche alla competenza, sempre primaria, prevista in materia di commercio (art. 4, n. 6 dello statuto), peraltro richiamata dallo stesso ricorrente.
6.3.– Tuttavia, laddove l’intervento legislativo riguardi l’affidamento in concessione del bene demaniale, le citate competenze regionali trovano un limite insuperabile in quella, esclusiva, ascritta allo Stato ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in materia di «tutela della concorrenza».
I criteri e le modalità di affidamento delle concessioni inerenti al demanio marittimo (ex plurimis, sentenze n. 157 e n. 40 del 2017) e idrico (sentenze n. 117 del 2015, n. 114 del 2012 e n. 235 del 2011) devono, infatti, essere stabiliti nell’osservanza dei principi della libera concorrenza e della libertà di stabilimento, previsti dalla normativa dell’Unione comunitaria e nazionale; ambiti da ritenersi generalmente estranei alla possibilità di intervento legislativo delle Regioni per la natura trasversale che viene ascritta alla citata competenza legislativa statale (sentenza n. 30 del 2016).
6.4.– Diversamente da quanto ritenuto dalla difesa della resistente, l’autonomia speciale e la potenziale, concomitante, riconducibilità delle norme censurate anche alle citate ipotesi di competenza legislativa, anche primaria, della stessa, non impediscono, a monte, l’evocazione delle competenze statali, in ragione di quanto previsto dall’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
6.4.1.– Si tratta di competenze, quelle evocate dalla Regione autonoma a supporto della legittima approvazione delle disposizioni censurate, che, in forza di espressa previsione statutaria, trovano comunque un limite – per quel che qui immediatamente interessa, in ragione delle censure prospettate rimaste estranee ai già rilevati profili di inammissibilità – nel necessario rispetto delle «norme fondamentali delle riforme economico-sociali». Limite, questo, come si è detto, puntualmente evocato dalla difesa statale, con specifico riferimento al disposto del primo periodo dell’art. 4 dello statuto speciale della resistente; e che, certamente, ricomprende le disposizioni che incidono sulla tutela della concorrenza, ancor di più considerando il legame che corre, in detta materia, tra l’ordinamento interno e quello derivato dal diritto dell’Unione europea, tanto da imporre un’imprescindibile uniformità territoriale di regolazione.
6.4.2.– Non a caso, sul tema in oggetto, assume un rilievo dirimente l’art. 16 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), emanato in attuazione dell’art. 12 della già citata direttiva servizi; disposizione, quest’ultima, pacificamente attratta all’area della tutela della concorrenza, che trova applicazione in tema di affidamento in uso dei beni demaniali, come più volte affermato da questa Corte (sentenze n. 117 del 2015 e n. 171 del 2013) in riferimento al demanio marittimo ed a quello idrico, in linea, del resto, con quanto recentemente ribadito dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea (sentenza 14 luglio 2016, nelle cause riunite C-458/14, Promoimpresa srl e C-67/15, Mario Melis e altri).
In particolare, il citato art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2010, ribadendo il contenuto della direttiva, impone – laddove l’attività sottesa all’affidamento in uso debba essere contingentata a causa della scarsità delle risorse naturali suscettibili di sfruttamento – procedure di evidenza pubblica per la scelta del concessionario, nonché una durata limitata del titolo assentito ed il divieto di norme volte ad avvantaggiare il concessionario uscente.
Indicazioni di principio, queste, che, per espressa e coerente indicazione resa dal medesimo legislatore, costituiscono «norme fondamentali di riforma economico-sociale» (ai sensi dell’art. 1, comma 3, del citato d.lgs.), così da limitare le competenze legislative anche primarie delle autonomie speciali in forza di previsioni statutarie omologhe a quella vigente nella Regione autonoma resistente.
6.4.3.– Ne consegue che il parametro costituzionale ritualmente evocato nel ricorso, quello afferente alla tutela della concorrenza, finisce per riempire di contenuti il limite statutario altrettanto prospettato a fondamento dell’impugnazione (sentenza n. 263 del 2016).
Nel disciplinare l’affidamento in concessione di detti beni demaniali, la legislazione regionale, anche se espressione di una correlata competenza primaria, è dunque destinata a cedere il passo alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «tutela della concorrenza» ogni qualvolta l’oggetto della regolazione finisca per influire sulle modalità di scelta del contraente o sulla durata del rapporto, ove si incida sull’assetto concorrenziale dei mercati in termini tali da restringere il libero esplicarsi delle iniziative imprenditoriali.
6.5.– Lo scrutinio di legittimità costituzionale impone, pertanto, di verificare se le norme impugnate, considerate in ragione della ratio, della finalità, dell’oggetto e del contenuto che le connota, hanno o meno invaso la competenza esclusiva in materia di tutela della concorrenza. Non senza trascurare, tuttavia, che il riferimento alla detta materia non può ritenersi così pervasivo da impedire, aprioristicamente, ogni spazio di intervento alle Regioni nella materia che interessa (sentenza n. 98 del 2017); e che, in particolare, non sono in grado di arrecare l’addotto vulnus competenziale quelle norme che possano ritenersi dotate di una valenza pro-competitiva (sentenze n. 97 del 2014 e n. 288 del 2010).
7.– Alla luce delle superiori indicazioni di principio, può ora procedersi allo scrutinio delle singole questioni residuate al giudizio di inammissibilità anticipato in precedenza con riguardo all’impugnazione proposta nei confronti degli artt. 9, comma 2, 41 e 48 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2017.
8.– Prendendo le mosse dalla questione proposta nei confronti dell’art. 7 della legge impugnata, il comma 1 di esso prevede che «[i]l procedimento per l’affidamento in concessione di aree demaniali marittime, nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità e concorrenza, può essere avviato su istanza di parte o d’ufficio».
Lo stesso articolo dispone, inoltre, che, in linea di principio, le istanze di concessione sono pubblicate con le forme imposte dal comma 2, diversificate nei tempi e modi di pubblicazione avuto riguardo alle strutture dedicate alla nautica di diporto (comma 3).
Il comma 4 del detto articolo, limitatamente all’affidamento avviato su istanza di parte, dispone che «[…] non sono soggette a pubblicazione le istanze di: a) concessione per la realizzazione o il mantenimento di opere pubbliche, di pubblica utilità o destinate all’erogazione di pubblici servizi; b) concessione per la realizzazione o il mantenimento di opere finalizzate al trasporto o all’erogazione di fonti energetiche; c) autorizzazioni di cui all’articolo 5, commi 2 e 3; d) concessione per la realizzazione di interventi di ripristino e protezione delle barene, degli argini o di pulizia dei canali; e) concessione per l’utilizzo temporaneo dei beni del demanio marittimo regionale di cui all’articolo 9, comma 7; f) concessione finalizzata allo svolgimento di esercitazioni o manifestazioni di protezione civile o alla prevenzione dell’incolumità pubblica o alla salvaguardia ambientale».
Gli ulteriori commi dell’articolo in questione ineriscono alla pubblicità delle istanze concorrenti aventi un oggetto diverso da quella in scadenza (comma 5); alla procedura di affidamento avviata dall’ufficio (comma 6); alla concessione in uso finalizzata alla realizzazione di manifestazioni organizzate da enti pubblici o da associazioni senza scopo di lucro, per una durata massima di dieci giorni (comma 7).
8.1.– Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, le deroghe all’onere di pubblicità previste dal comma 4 dell’impugnato art. 7 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2017 non sarebbero in alcun modo giustificate. Si porrebbero, dunque, in contrasto con i principi di matrice europea ribaditi dalla normativa statale in tema di trasparenza nelle procedure di assegnazione, violando la competenza statale in materia di «tutela della concorrenza».
8.2.– Il ricorso, anche con riferimento a siffatta questione, è inammissibile.
8.3.– In linea preliminare va segnalato che la censura è esclusivamente riferita alle disposizioni contenute nel comma 4 dell’articolo in esame.
L’oggetto della questione va dunque limitato solo a tale comma.
8.4.– Ciò premesso, non è revocabile in dubbio che il tema della pubblicità delle istanze che portano all’affidamento in concessione è immediatamente connesso ai profili della competizione concorrenziale, garantita, quanto alla scelta dell’affidatario, da una selezione aperta, pubblica e trasparente così come delineata, in via di principio, prima dalla direttiva servizi e poi dalla normativa interna di attuazione della stessa, già richiamata.
Tuttavia, per evocare la tutela della concorrenza, è necessario che l’affidamento riguardi un utilizzo del bene demaniale strettamente correlato ad iniziative economiche suscettibili di attivare la dinamica concorrenziale. In mancanza, le relative disposizioni devono ritenersi estranee alla citata competenza statale, per rientrare nei campi regolatori coperti dalle competenze legislative ascritte alla Regione, più volte citate, prima tra tutte quella immediatamente inerente alla disciplina delle funzioni amministrative legate alla gestione dei beni del demanio marittimo (nel caso, quelli relativi alla laguna di Marano-Grado).
8.4.1.– Questa Corte ha più volte chiarito che «il ricorso in via principale […] deve contenere una argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale, giacché l’esigenza di un’adeguata motivazione a supporto della impugnativa si pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti rispetto a quelli incidentali» (ex plurimis, sentenze n. 64 del 2016 e n. 82 del 2015).
8.4.2.– La censura in esame non si pone in linea con tali indicazioni.
Il ricorso, in parte qua, riposa esclusivamente sull’addotto legame che corre, in linea di principio, tra l’onere di pubblicità dell’istanza di concessione ed il profilo competitivo del libero accesso al mercato di riferimento, altrimenti pretermesso in mancanza della adeguata conoscibilità della prospettiva di affidamento in uso del bene demaniale.
Il ricorrente trascura, invece, integralmente di descrivere e precisare in che termini le deroghe previste dalla legge regionale impugnata inciderebbero sulla competitività imprenditoriale; e siffatta carenza di approfondimento assume ancor più rilievo ove si consideri, in linea con quanto prospettato dalla difesa della resistente, il portato letterale delle ipotesi prese in considerazione dalle disposizioni censurate, prima facie legate ad occupazioni del bene demaniale prive di rilievo economico o correlate ad attività di interesse pubblico, rispetto alle quali la selezione dell’affidatario è stata svolta in precedenza, nel rispetto delle regole di evidenza pubblica.
Di qui l’inammissibilità della questione riferita al comma 4 dell’art. 7 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2017.
9.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha anche censurato l’intero disposto dell’art. 8 della legge regionale in esame.
9.1.– Il comma 1 di tale articolo prevede che « [i]n caso di pluralità di domande di concessione per l’utilizzo del bene demaniale la comparazione delle domande è fatta sulla base dei seguenti quattro principi: a) migliore utilizzo pubblico del bene demaniale; b) armonizzazione delle azioni sul territorio per uno sviluppo sostenibile; c) valutazione degli standard qualitativi dei servizi; d) misure migliorative della fruibilità e accessibilità per i soggetti diversamente abili».
Ai sensi del comma 2, in aggiunta ai predetti criteri, la Giunta regionale è chiamata ad individuare «[…] preventivamente almeno uno dei seguenti principi che sono comunicati contestualmente all’invito a presentare istanze concorrenti: a) qualità degli impianti e manufatti, da valutarsi anche con riferimento al pregio architettonico; b) valorizzazione paesaggistico-ambientale; c) ricadute a favore del territorio e sviluppo occupazionale dell’area interessata; d) piano di manutenzione, conservazione e salvaguardia del bene demaniale; e) utilizzo di impianti e manufatti costruiti con pratiche eco-sostenibili; f) somministrazione di prodotti locali».
Il comma 3, infine, prevede che «[l]e procedure, i termini, i criteri attuativi dei principi di cui ai commi 1 e 2, con riferimento agli utilizzi previsti all’articolo 4, comma 2, e le disposizioni per l’aggiudicazione delle concessioni sono individuati, anche ai fini di una valorizzazione dell’esperienza e della professionalità del concessionario, con regolamento da adottarsi, previo parere della competente Commissione consiliare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge».
9.2.– Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la norma è in contrasto con le indicazioni di principio contenute nella direttiva servizi: la procedura comparativa introdotta riposerebbe su criteri eccessivamente generici senza delineare un quadro sufficientemente chiaro né pro-concorrenziale. Nel consentire, poi, che attraverso il regolamento attuativo, possano essere prese in considerazione e valorizzata l’esperienza e la professionalità del concessionario, la norma assegnerebbe alla fonte secondaria la possibilità di introdurre prescrizioni volte a favorire il concessionario uscente, creando discriminazioni tra i diversi operatori economici. Le tematiche oggetto del rinvio alla fonte secondaria sarebbero, inoltre, troppo ampie e involgerebbero, comunque, campi coperti da disposizioni di rango primario, quali quelle dettate dal decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 1993, n. 494.
9.3.– Le censure non sono fondate.
9.3.1.– Giova precisare che il dato normativo di riferimento, sia nazionale che di matrice europea, non contiene indicazioni di dettaglio sui criteri che devono guidare la pubblica amministrazione nel selezionare i soggetti che competono per l’affidamento in uso del bene facente parte del demanio marittimo.
La direttiva servizi, all’art 12, primo comma, si limita ad imporre procedure di selezione improntate ad «imparzialità e […] trasparenza». Il d.lgs. n. 59 del 2010, che ne costituisce attuazione, all’art. 16, comma 1, impone la predeterminazione dei criteri e la propalazione degli stessi in epoca antecedente l’affidamento; al comma 2 dello stesso articolo, dispone altresì che nel «[…] fissare le regole della procedura di selezione le autorità competenti possono tenere conto di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario».
A sua volta, il codice della navigazione non contiene indicazioni precettive particolarmente dettagliate, imponendo la preferenza, tra più domande concorrenti, per quella che offre «[…] maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione» e che a giudizio dell’amministrazione «risponda ad un più rilevante interesse pubblico» (art. 37). Il d.l. n. 400 del 1993, genericamente evocato in ricorso, non contiene, infine, argomenti in proposito.
Ciò, del resto, risponde ad una logica coerenza di sistema, se si considera che la definizione dei criteri dettagliati chiamati a guidare la selezione dei concorrenti all’affidamento rientra tra le competenze legislative demandate alle Regioni in esito al trasferimento delle funzioni amministrative legate al demanio marittimo e idrico nel rispetto dei principi di concorrenza. E tanto legittima le conseguenti, diverse, discipline territoriali: l’interesse pubblico correlato all’utilizzo del bene demaniale ben può giustificare linee guida di selezione motivate dalle peculiarità di riferimento e dagli obiettivi di matrice collettiva che ciascuna realtà regionale, sulla base delle indicazioni di principio contenute nella legislazione statale di riferimento, può ritenere preminenti nel procedere alla scelta dei possibili utilizzatori.
9.3.2.– La relativa predisposizione normativa dei criteri, in sé, non invade, dunque, la competenza legata alla tutela della concorrenza. Semmai, è il contenuto dei criteri che, di caso in caso, può portare alla violazione addotta, ove siano fonte di discriminazioni e pongano in discussione la par condicio dei partecipanti.
Tuttavia, i criteri dettati dai primi due commi dell’articolo censurato non mettono in crisi il profilo della dinamica competitiva; né, del resto, la difesa erariale, segnala profili effettivi del vulnus prospettato.
9.3.3.– Anche il riferimento che il comma 3 dell’articolo in esame pone all’intervento integrativo demandato alla fonte regolamentare non merita di essere censurato, perché coerente con la tipica dinamica che intercorre tra fonte primaria e momenti regolatori di ulteriore dettaglio, rimessi alla normazione secondaria rispetto alle indicazioni offerte dalla prima.
E ciò vale anche con riferimento alla scelta, adottata dal legislatore regionale, di attribuire al regolamento il potere di introdurre, nell’attuare i principi di cui ai primi due commi dell’articolo censurato, parametri di valutazione diretti a valorizzare l’esperienza e la professionalità del concessionario.
La disposizione censurata, nel suo portato letterale, non fa riferimento al concessionario uscente; più genericamente, si riferisce al concessionario, il che lascia coerentemente pensare al soggetto chiamato all’affidamento in esito alla selezione.
Un tale riferimento, alla luce delle indicazioni di principio provenienti dalla direttiva servizi (e oggi dalla relativa normativa interna di attuazione) – poste a fondamento della modifica del comma 1 dell’art. 37 cod. nav., apportata dall’art. 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 2010, n. 25, nella parte in cui accordava al concessionario uscente una preferenza nella competizione con altri soggetti interessati all’affidamento in uso della relativa area demaniale – non può che essere letto in termini tali da dare rilievo all’esperienza genericamente maturata nel settore, prescindendo dalla specifica correlazione con il bene oggetto della concessione.
Una diversa interpretazione della norma primaria, erroneamente posta a fondamento dell’intervento regolamentare da adottare e che si risolva nell’introduzione di un ulteriore criterio valutativo diretto a favorire il concessionario uscente rispetto agli altri concorrenti dotati della medesima esperienza professionale, si porrebbe, infatti, in immediato conflitto con il disposto del comma 4 dell’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2010 nella parte in cui, in attuazione della direttiva servizi e proprio al fine di evitare discriminazioni nel libero accesso al mercato di riferimento, impone il divieto di accordare «vantaggi al prestatore uscente» al momento del conferimento del titolo.
Così interpretata la disposizione in oggetto, ne consegue la non fondatezza della censura riferita alla stessa.
10.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha censurato anche l’art. 9, comma 3, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n 10 del 2017, il quale, per le concessioni aventi finalità turistico-ricreative relative a beni che insistono nella laguna di Marano-Grado, fissa in quaranta anni il termine di durata massima del titolo.
10.1.– La disposizione censurata, ad avviso del ricorrente, si pone in contrasto con la disciplina statale che, all’art. 03, comma 4-bis, del citato d.l. n. 400 del 1993, fissa in una forbice tra i sei e i venti anni la durata per le concessioni aventi la medesima finalità; sarebbe altresì in conflitto con le indicazioni di principio emergenti dalla direttiva servizi e dal decreto legislativo che ha dato attuazione alla stessa. Autorizzando una utilizzazione prolungata di una risorsa scarsa, la norma limiterebbe la concorrenza, rendendola recessiva rispetto alle esigenze di integrale ammortamento degli investimenti e alla piena remunerazione del capitale investito dal concessionario, sottese all’intervento normativo regionale impugnato.
10.2.– La questione è fondata.
Le indicazioni di disciplina derivanti dalla direttiva servizi (comma secondo dell’art. 12) e dalla norma di attuazione della stessa (ultimo comma dell’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2010) impongono una durata limitata del titolo concessorio, in ragione dell’incidenza che il prolungarsi dell’affidamento assume sulle prospettive legate alle potenzialità di ingresso nel mercato di riferimento di altri potenziali operatori economici.
Di qui l’affermazione di questa Corte in forza della quale la disciplina inerente alla durata delle concessioni demaniali marittime è di esclusiva competenza legislativa dello Stato, in quanto immediatamente attinente alla materia della «tutela della concorrenza» ex art. 117, secondo comma, lettera e) (da ultimo, sentenza n. 40 del 2017).
Tale competenza, del resto, è stata esercitata dallo Stato con la previsione, contenuta nel comma 4-bis dell’art. 03 del d.l. n. 400 del 1993, così come introdotto dall’art. 1, comma 253, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)». Disposizione, questa, con la quale è stato fissato, in modo uniforme per l’intero territorio nazionale, un termine di durata delle concessioni aventi finalità turistico-ricreative, quali quelle considerate dalla norma impugnata, nel massimo pari ad anni venti, palesemente diverso da quello, sempre nel massimo, previsto dalla legge regionale in esame.
Ne consegue l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 3, della legge regionale impugnata per la riscontrata violazione del limite della tutela della concorrenza.
11.– Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri ha anche impugnato l’art. 49 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2017, esteso, in rubrica, in via generale, alle concessioni demaniali marittime e idriche di pertinenza della Regione resistente.
11.1.– Il comma 1, lettere a) e b), dell’articolo censurato prevede che il concessionario subentrante debba corrispondere all’uscente un indennizzo che tenga conto sia della quota parte degli investimenti non ammortizzati, sia del valore commisurato all’avviamento maturato in forza dell’attività imprenditoriale svolta utilizzando il bene concesso in uso. Indennizzo, questo, che andrà «determinato dall’amministrazione concedente sulla base di una perizia asseverata, redatta da un professionista abilitato, nominato dal concessionario uscente a sue spese e sottoposta al parere di congruità del Comitato tecnico di valutazione di cui all’articolo 48» (comma 2); il cui valore, inoltre, dovrà essere «reso pubblico in occasione della indizione della procedura comparativa di selezione» (comma 3); e, infine, che costituirà l’oggetto di apposita fideiussione rilasciata da ogni partecipante alla procedura comparativa di selezione, a pena di esclusione dalla stessa (comma 4).
11.2.– Ad avviso del ricorrente, la disposizione avrebbe l’effetto di attribuire all’uscente un indebito vantaggio, così da determinare una restrizione della concorrenza, in aperto contrasto con le già richiamate indicazioni di principio derivanti dalla direttiva servizi e dalle norme di attuazione della stessa.
11.3.– La questione è fondata.
11.3.1.– La disposizione impugnata riproduce, nei suoi tratti essenziali, il contenuto di altra norma, approvata dalla Regione Toscana, recentemente scrutinata da questa Corte e ritenuta costituzionalmente illegittima (sentenza n. 157 del 2017), per la riscontrata violazione del parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., con valutazioni che possono essere certamente estese alla odierna verifica.
La difesa della Regione, nella consapevolezza dell’omologo contenuto delle due disposizioni, con la memoria depositata prima dell’udienza, ha eccepito l’inapplicabilità del citato parametro costituzionale in virtù di quanto previsto dall’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. Eccezione, questa, come già anticipato, che deve ritenersi infondata in ragione del limite statutario alla competenza legislativa primaria puntualmente evocato nel ricorso del Governo insieme alla competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela della concorrenza».
11.3.2.– Piuttosto, va rimarcato che il pagamento dell’indennizzo previsto dalla norma censurata si lega sia alle aspettative patrimoniali del concessionario uscente all’esito della definizione del rapporto concessorio, sia agli obblighi che dovrà assumere il nuovo concessionario in conseguenza dell’avvenuto subentro. Temi, questi, che non trovano regolamentazione nella disciplina legislativa statale di riferimento, contenuta nel codice della navigazione, in caso di ordinaria definizione del rapporto.
In particolare, in ordine al mancato rinnovo della concessione in essere, il codice della navigazione non assegna alcun rilievo alle componenti economico-aziendali dell’impresa del concessionario uscente e, in ogni caso, non prevede oneri destinati a gravare sul nuovo concessionario.
11.3.3.– Non diversamente dalla citata disposizione della Regione Toscana già dichiarata illegittima, anche quella oggetto della odierna impugnazione introduce, pertanto, evidenti novità nella regolamentazione delle situazioni patrimoniali conseguenti alla cessazione, per scadenza del termine, delle relative concessioni demaniali, differenziando la disciplina della Regione resistente da quella prevista per il resto del territorio nazionale.
Ne viene che, quali che siano le «[…] giustificazioni addotte dalla Regione a sostegno della scelta normativa in esame, è di chiara evidenza che un siffatto obbligo […] influisce sensibilmente sulle prospettive di acquisizione della concessione, rappresentando una delle componenti del costo dell’affidamento. La previsione dell’indennizzo […] incide infatti sulle possibilità di accesso al mercato di riferimento e sulla uniforme regolamentazione dello stesso, potendo costituire, per le imprese diverse dal concessionario uscente, un disincentivo alla partecipazione al concorso che porta all’affidamento» (sentenza n. 157 del 2017)
Di qui la ritenuta violazione del parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.