Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 5 gennaio 2015, iscritta al n. 60 del registro ordinanze 2015, il Tribunale ordinario di Udine, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 14, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), per violazione degli artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, «nella parte in cui non prevede, per il calcolo della pensione ai superstiti di assicurati deceduti anteriormente ai 57 anni d’età, l’attualizzazione del coefficiente di trasformazione ai nuovi limiti d’età pensionabile in vigore».
1.1.– Il giudice a quo espone di dover decidere sul ricorso proposto il 29 maggio 2014 da A. S., titolare, insieme ai minori V. S., N. S. e L. S., di una pensione ai superstiti a carico del “Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti”.
Il ricorrente nel giudizio principale ha impugnato il provvedimento dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) del 21 ottobre 2013 che, nel determinare la trasformazione della pensione da provvisoria a definitiva, ne ha riliquidato l’importo nella misura di euro 125,27 per dodici mensilità, oltre ad euro 41,75 a titolo di tredicesima.
L’INPS ha applicato, sul montante contributivo, il coefficiente di trasformazione del 4,3040 per cento, relativo all’età anagrafica di cinquantasette anni, così come statuisce l’art. 1, comma 14, della legge n. 335 del 1995 nell’ipotesi di assicurato morto prima di compiere cinquantasette anni.
Il ricorrente lamenta l’inadeguatezza dell’importo così liquidato a titolo di pensione e imputa tale inadeguatezza, per un verso, all’art. 1, comma 16, della legge n. 335 del 1995, che omette di applicare l’integrazione al minimo per le pensioni liquidate esclusivamente con il sistema contributivo e, per altro verso, alla mancanza di un meccanismo di attualizzazione del coefficiente di trasformazione, che tenga conto dei successivi innalzamenti dell’età pensionabile.
Sulla scorta di tali premesse, il ricorrente ha sospettato di illegittimità costituzionale la normativa in esame e ha invocato l’applicazione del coefficiente di trasformazione previsto per un assicurato di età pari a sessantanove anni e tre mesi (6,283 per cento) e, con riguardo ai minori, una liquidazione della pensione in misura non inferiore al “minimo vitale”, costituito dall’assegno sociale.
L’INPS, nel resistere al ricorso, ha ribadito la correttezza della scelta di applicare il coefficiente di trasformazione relativo all’età figurativa di cinquantasette anni, determinato da una disciplina che attua il principio di «stretta proporzionalità tra contribuzione versata e prestazioni previdenziali».
Quanto all’insussistenza di un meccanismo di integrazione al minimo per le pensioni di reversibilità, liquidate per intero con il sistema contributivo (art. 1, comma 16, della legge n. 335 del 1995), l’INPS ha eccepito l’irrilevanza delle censure, in quanto il ricorrente avrebbe adombrato «un mero pericolo, non attuale, di disagio economico» e avrebbe trascurato di svolgere considerazioni più analitiche «in ordine alle concrete condizioni patrimoniali del nucleo familiare».
1.2.– Anche il giudice a quo reputa lacunose le allegazioni del ricorso sulle conseguenze pregiudizievoli della mancata integrazione al minimo e ritiene rilevanti e non manifestamente infondate le sole questioni di legittimità costituzionale che attengono al mancato adeguamento del coefficiente di trasformazione dei contributi versati.
In punto di rilevanza, il giudice rimettente specifica che «applicando le norme impugnate la domanda dovrebbe essere certamente rigettata».
1.3.– Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo muove dal rilievo che la legge n. 335 del 1995 calcola la pensione sulla base dei contributi versati e accreditati durante l’intera vita lavorativa, «sommati e rivalutati per costituire il cd. montante individuale, e moltiplicati per un coefficiente di trasformazione stabilito dalla legge in base all’età del lavoratore».
Quando l’assicurato muoia prima di raggiungere i cinquantasette anni di età, per il calcolo della pensione ai superstiti si deve sempre applicare il coefficiente di trasformazione corrispondente all’età figurativa di cinquantasette anni.
Tale coefficiente di trasformazione, giustificato alla luce della normativa dell’epoca, che disponeva il pensionamento di vecchiaia al compimento del cinquantasettesimo anno di età, ha registrato nel corso degli anni una progressiva riduzione, per effetto del combinarsi di due fattori: l’innalzamento dell’età pensionabile e la necessità, imposta dall’art. 1, comma 11, della legge n. 335 del 1995, di rideterminare periodicamente i coefficienti di trasformazione sulla base delle rilevazioni demografiche e delle variazioni del prodotto interno lordo (PIL) in un’ottica di lungo periodo.
Con riferimento alle pensioni erogate ai superstiti di assicurati morti prima di compiere cinquantasette anni, il giudice rimettente assume che il mancato adeguamento «del coefficiente di trasformazione ai nuovi limiti d’età pensionabile in vigore» contrasti con il principio di ragionevolezza espresso dall’art. 3 Cost., in quanto contraddice l’originario intento del legislatore e non consente di mantenere il valore del coefficiente «ancorato alla nuova – più elevata – età pensionabile».
La mancata previsione di un aggiornamento del coefficiente di trasformazione alla nuova età pensionabile sarebbe inoltre lesiva del principio di adeguatezza delle prestazioni previdenziali, consacrato dall’art. 38, secondo comma, Cost. Un sistema così congegnato determinerebbe «una ingiustificata riduzione dell’entità del trattamento pensionistico nella fattispecie liquidato ai superstiti» e pregiudicherebbe l’adeguatezza del trattamento previdenziale a soddisfare le esigenze di vita.
2.– Si è costituito l’INPS, con memoria del 7 maggio 2015, e ha chiesto di dichiarare manifestamente inammissibile o comunque infondata la questione di legittimità costituzionale proposta dal Tribunale ordinario di Udine.
2.1.– L’INPS prospetta l’inammissibilità della questione, alla luce di molteplici ragioni.
Non sarebbe perspicua, anzitutto, la rimodulazione del coefficiente di trasformazione, auspicata dal giudice rimettente.
Un’ulteriore ragione di inammissibilità risiederebbe nell’erronea premessa che condiziona, sotto un duplice profilo, il ragionamento del giudice a quo.
L’ordinanza di rimessione prende le mosse dall’erroneo presupposto che i coefficienti di trasformazione non siano stati nel frattempo aggiornati e che non sia più attuale l’età di cinquantasette anni, alla quale si correlano i coefficienti di trasformazione delle pensioni ai superstiti.
Quanto al primo aspetto, il decreto direttoriale del Ministero del lavoro del 15 maggio 2012 (Revisione triennale dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo) e l’allegato 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 247 (Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale), nel ridefinire i coefficienti di trasformazione, avrebbero attribuito rilievo alla più elevata età pensionabile, introducendo, per gli assicurati settantenni, un coefficiente di trasformazione superiore rispetto a quello contemplato dalle precedenti tabelle.
Quanto al requisito dei cinquantasette anni di età, non potrebbe dirsi del tutto superato dall’evoluzione normativa.
La perdurante rilevanza di tale requisito sarebbe confermata dalla disciplina sulle pensioni di invalidità e ai superstiti, che non modifica l’età pensionabile, e dalla cosiddetta “opzione donna”, che consente alle donne di conseguire la pensione al compimento dei cinquantasette anni di età, associati a trentacinque anni di anzianità (legge 23 agosto 2004, n. 243, recante «Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all’occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria»).
2.2.– La difesa dell’INPS argomenta, nel merito, che l’erogazione della pensione ai superstiti, in virtù di un meccanismo ispirato a ragioni di evidente favore, prescinde dal raggiungimento dell’età per accedere al trattamento pensionistico diretto e può precedere di gran lunga – come dimostra il caso di specie – il compimento dei cinquantasette anni di età dell’assicurato.
In un contesto, che non ha riscontrato alcun aumento dell’età richiesta per beneficiare della pensione ai superstiti, non si potrebbe reputare irragionevole la scelta di mantenere inalterato il riferimento al coefficiente previsto per l’età di cinquantasette anni, in tutti i casi in cui l’assicurato sia morto prima di raggiungere quest’età.
In un sistema, legato alle aspettative di vita dell’assicurato e ispirato al riconoscimento di un trattamento pensionistico più elevato per gli assicurati più anziani, l’equiparazione degli assicurati più giovani a quelli che hanno avuto accesso più tardi al trattamento previdenziale non soltanto sarebbe foriera di incongruenze e di una «evidente ingiustizia», ma potrebbe anche mettere a repentaglio la tenuta stessa del sistema pensionistico generale.
3.– Si è costituito, con memoria del 12 maggio 2015, A. S., in proprio e come genitore responsabile dei minori V. S., N. S., L. S., e ha chiesto l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale proposta dal Tribunale ordinario di Udine.
La difesa della parte rileva che una declaratoria di fondatezza condurrebbe a un miglioramento apprezzabile della posizione dei ricorrenti, incrementando del 50 per cento la pensione ai superstiti, oggi corrisposta nel complessivo importo di euro 144,89.
Nella liquidazione della pensione ai superstiti di un assicurato morto prima di compiere cinquantasette anni, al progressivo innalzamento dell’età pensionabile farebbe riscontro una riduzione ragguardevole del valore del coefficiente di trasformazione applicato al montante contributivo.
Tale riduzione, dal 4,720 per cento al 4,304 per cento, in difetto di un meccanismo di adeguamento all’età pensionabile di volta in volta vigente, pregiudicherebbe proprio coloro che, per eventi involontari, siano costretti a uscire anzitempo dal circuito lavorativo.
L’assetto delineato entrerebbe così in conflitto con il principio di ragionevolezza, che prescrive la coerenza logica, la non arbitrarietà, la sussistenza di una ragione giustificatrice plausibile per ogni intervento discrezionale del legislatore, e comprometterebbe, al tempo stesso, l’effettività della tutela previdenziale dei superstiti.
Tale tutela, sottoposta a limiti sempre più rigorosi, non potrebbe essere arbitrariamente sacrificata «in nome di mere esigenze finanziarie o di bilancio e senza un corretto bilanciamento dei diritti ed interessi in gioco».
4.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto di dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale.
La difesa statale muove dall’assunto che la liquidazione di una pensione diretta debba essere nettamente distinta dalla liquidazione della pensione ai superstiti, analizzata nell’ipotesi sottoposta allo scrutinio di questa Corte, e da tale distinzione evince l’irrilevanza dei più elevati requisiti di età per accedere alla pensione diretta, menzionati dal giudice rimettente a fondamento delle censure.
Gli adeguamenti riduttivi dei coefficienti di trasformazione, previsti dapprima con cadenza triennale e poi, a decorrere dal 2019, biennale, perseguirebbero l’obiettivo di tener conto dell’aumento della speranza di vita e non avrebbero alcuna incidenza sulle pensioni già liquidate, peraltro garantite nella loro adeguatezza attraverso il sistema di rivalutazione dei prezzi.
A ciò si aggiunge il rilievo che, nel caso di morte dell’assicurato in età inferiore ai cinquantasette anni, l’applicazione del coefficiente di trasformazione relativo all’età di cinquantasette anni risponderebbe «all’esigenza di consentire l’integrazione di tutti gli elementi del sistema di calcolo contributivo», che non prevede coefficienti relativi a età inferiori ai cinquantasette anni.
5.– In prossimità dell’udienza, A. S. ha depositato una memoria illustrativa, in cui ha ribadito le conclusioni già svolte sull’irragionevolezza della norma impugnata e ha replicato agli argomenti esposti dall’INPS e dall’Avvocatura generale dello Stato.
Quanto all’eccezione preliminare di inammissibilità, sollevata dall’INPS, si pone in risalto l’univocità delle censure, avvalorata anche dalle analitiche repliche dell’ente previdenziale.
Nel merito, si censurano le incongruenze prodotte dalla mancata previsione di un meccanismo di adeguamento del coefficiente di trasformazione delle pensioni ai superstiti, legato al graduale innalzarsi dell’età pensionabile. Tale carenza si risolverebbe in una ingiustificata riduzione delle pensioni ai superstiti, in antitesi con il fondamento solidaristico che le contraddistingue.
Il contrasto con il parametro di adeguatezza della prestazione previdenziale sarebbe ancora più stridente nell’ipotesi in esame, che presuppone una «“fuoriuscita” dal sistema» indipendente da una scelta volontaria del soggetto e concerne «prestazioni pensionistiche già di per sé estremamente basse che ex lege non beneficiano della integrazione al minimo».
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale ordinario di Udine, in funzione di giudice del lavoro, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 14, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), «nella parte in cui non prevede, per il calcolo della pensione ai superstiti di assicurati deceduti anteriormente ai 57 anni d’età, l’attualizzazione del coefficiente di trasformazione ai nuovi limiti d’età pensionabile in vigore».
La norma censurata dispone che, quando l’assicurato muoia «ad un’età inferiore ai 57 anni», la pensione ai superstiti sia calcolata «assumendo il coefficiente di trasformazione relativo all’età di 57 anni».
1.1.– Il giudice a quo denuncia l’irragionevolezza insita in tale modalità di calcolo della pensione ai superstiti, svincolata da ogni meccanismo di adeguamento alle successive modificazioni dell’età pensionabile, ben oltre l’originario limite dei cinquantasette anni.
Ad avviso del giudice rimettente, le variazioni dell’età pensionabile e la revisione periodica dei coefficienti di trasformazione, sulla base delle rilevazioni demografiche e delle dinamiche del prodotto interno lordo (PIL) di lungo periodo, convergono nel ridurre il valore del coefficiente di trasformazione, applicato alle pensioni ai superstiti di assicurati morti prima dei cinquantasette anni.
Pertanto, la mancata previsione di un meccanismo di adeguamento, che consenta «di mantenere, secondo l’originaria intenzione del legislatore, il valore del coefficiente ancorato alla nuova – più elevata – età pensionabile», contravverrebbe al principio di ragionevolezza, espresso dall’art. 3 della Costituzione.
1.2.– Il giudice rimettente evidenzia che il meccanismo descritto determina «una ingiustificata riduzione dell’entità del trattamento pensionistico nella fattispecie liquidato ai superstiti» e si pone perciò in contrasto con l’art. 38, secondo comma, Cost. e con il vincolo costituzionale di costante adeguatezza delle prestazioni previdenziali.
1.3.– Il giudice a quo disattende le censure articolate dal ricorrente sull’eliminazione, per le pensioni ai superstiti, dell’originario meccanismo di integrazione al minimo, ritenendo che – su tale tema – non siano stati addotti elementi di fatto circostanziati e idonei a suffragare la rilevanza della questione di legittimità costituzionale.
2.– Così delimitata, la questione di legittimità costituzionale sottoposta al vaglio di questa Corte non incorre nei profili di inammissibilità eccepiti dalla difesa dell’INPS e attinenti all’ambiguità delle censure e alla carente ricostruzione del quadro normativo.
2.1.– Quanto al primo aspetto, si deve rilevare che il giudice rimettente illustra in maniera adeguata le ragioni del contrasto con i parametri costituzionali evocati e, nell’ipotesi dell’assicurato che muoia prima dei cinquantasette anni, sollecita a questa Corte un intervento manipolativo dal contenuto univoco, volto a correlare il coefficiente di trasformazione applicato alle pensioni ai superstiti a quello previsto per l’età, di volta in volta più avanzata, necessaria per conseguire la pensione di vecchiaia.
2.2.– Anche la ricostruzione del quadro normativo non presenta le lacune indicate dalla difesa dell’INPS con specifico riguardo al costante aggiornamento dei coefficienti di trasformazione e alla perdurante vigenza del limite di età di cinquantasette anni.
Il giudice rimettente, difatti, incentra le censure sull’aggiornamento dei coefficienti di trasformazione, che si ripercuote sul trattamento previdenziale corrisposto, e argomenta che soltanto un meccanismo di adeguamento dei coefficienti di trasformazione, connesso all’età per accedere alla pensione di vecchiaia, può porre rimedio alla disarmonia segnalata.
3.– La questione, pertanto, può essere scrutinata nel merito.
Essa non è fondata, in relazione ai parametri costituzionali congiuntamente evocati.
3.1.– La norma censurata si raccorda al nuovo sistema di calcolo contributivo delle pensioni, introdotto dalla legge n. 335 del 1995 allo scopo di favorire il riequilibrio finanziario e di rimuovere le sperequazioni e le diseguaglianze provocate dal calcolo retributivo (relazione dell’undicesima commissione permanente, Lavoro e Previdenza sociale, al disegno di legge di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare).
In un sistema volto a valorizzare la contribuzione versata nel corso dell’intera vita lavorativa, il coefficiente di trasformazione, via via più vantaggioso con il progredire dell’età del pensionamento dell’assicurato, opera sul montante contributivo individuale, costituito dalla somma di tutte le annualità di contribuzione e delle relative rivalutazioni.
Il coefficiente di trasformazione riveste così un ruolo cruciale nella determinazione della pensione che spetta a ciascun assicurato e nell’attuazione della garanzia costituzionale dell’adeguatezza dei trattamenti pensionistici, in un quadro di compatibilità con le risorse finanziarie disponibili e con le grandezze macroeconomiche rilevanti (andamento demografico, dinamiche del PIL di lungo periodo).
La concreta modulazione di tale componente rispecchia, difatti, le aspettative di vita e l’andamento effettivo «del tasso di variazione del PIL di lungo periodo rispetto alle dinamiche dei redditi soggetti a contribuzione previdenziale, rilevati dall’ISTAT» (art. 1, comma 11, della legge n. 335 del 1995), nell’àmbito di un processo di revisione periodica, dal 2019 scandito secondo una cadenza biennale (art. 24, comma 16, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante «Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici», convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214).
3.2.– Per la pensione ai superstiti il legislatore dispone che il coefficiente di trasformazione sia quello relativo all’età di cinquantasette anni, quando l’assicurato muoia prima di avere superato tale soglia e riconosce il diritto al trattamento previdenziale anche quando l’assicurato non abbia maturato i requisiti per accedere alla pensione di vecchiaia.
La legge assume come coefficiente di trasformazione quello relativo all’età figurativa dei cinquantasette anni, originariamente prevista per l’accesso alla pensione di vecchiaia contributiva (art. 1, commi 19 e 20, della legge n. 335 del 1995).
4.– La determinazione del coefficiente di trasformazione, applicabile alle pensioni ai superstiti, si sottrae ai rilievi di irragionevolezza e di contrasto con il parametro costituzionale di adeguatezza dei trattamenti previdenziali.
4.1.– La norma censurata attua e specifica il fondamento solidaristico, che contraddistingue le pensioni ai superstiti (sentenza n. 174 del 2016) e a tale categoria di beneficiari accorda un trattamento previdenziale anche quando l’assicurato non possieda i requisiti per accedere alla pensione diretta.
Il legislatore, nella discrezionalità che gli compete con riguardo alla determinazione dei presupposti e della misura delle pensioni, ha ritenuto di applicare in questa fattispecie un coefficiente di trasformazione uniforme, convenzionalmente ancorato all’età di cinquantasette anni.
Il punto di mediazione individuato dalla legge non presta il fianco alle censure proposte, per il sol fatto che l’evoluzione normativa abbia elevato l’età per accedere alla pensione diretta.
I mutamenti che hanno investito tale disciplina non determinano l’irragionevolezza del discrimine di età identificato, per il coefficiente di trasformazione relativo al diverso àmbito delle pensioni ai superstiti, in corrispondenza dei cinquantasette anni.
L’intervento prefigurato dal giudice rimettente mira a trasporre nell’àmbito della pensione ai superstiti princìpi e presupposti caratteristici della pensione diretta, lungo una direttrice disarmonica rispetto all’odierna disciplina del diritto alla pensione ai superstiti, configurato come diritto autonomo e originario (sentenze n. 228 del 2010, n. 74 del 2008 e n. 446 del 2002, ordinanza n. 274 del 2015).
Per altro verso, una ridefinizione del coefficiente di trasformazione, ancorato a quello più favorevole previsto per chi acceda alla pensione di vecchiaia a un’età apprezzabilmente più elevata rispetto ai cinquantasette anni, assimilerebbe situazioni eterogenee e governate da princìpi peculiari: da un lato, la pensione diretta di vecchiaia, con coefficienti di trasformazione rimodulati in armonia con la scelta legislativa di innalzare l’età pensionabile, dall’altro la pensione ai superstiti, erogata anche ai congiunti di un assicurato che non abbia conseguito la pensione di vecchiaia e sia morto prima di compiere i cinquantasette anni di età.
La soluzione tratteggiata vanificherebbe la logica premiale, che presiede all’attribuzione di un coefficiente di trasformazione più cospicuo a chi rimanga in servizio per un periodo più lungo, anche oltre la data di maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia (art. 24, comma 4, del d.l. n. 201 del 2011) e condurrebbe a uniformare indiscriminatamente verso l’alto il trattamento riservato ai superstiti, in tutte le ipotesi in cui l’assicurato muoia prima di avere conseguito il diritto alla pensione diretta.
Per questa via, che non è costituzionalmente imposta dal fondamento solidaristico delle pensioni ai superstiti, si accomunerebbero situazioni diversificate, in contrasto con una linea di graduale ed equilibrato incremento del trattamento previdenziale in relazione al progredire dell’età di accesso alla pensione e al più consistente importo dei contributi versati.
4.2.– Quanto al vulnus che il sistema descritto arrecherebbe all’adeguatezza della tutela previdenziale, si deve rilevare che la ridefinizione dei coefficienti di trasformazione opera secondo un criterio di gradualità e in senso solo parzialmente riduttivo.
Come traspare anche dal recente decreto del direttore generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 22 giugno 2015 (Revisione triennale dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo), la rideterminazione dei coefficienti di trasformazione è l’approdo di un procedimento complesso, chiamato a ponderare un’ampia gamma di variabili: l’adeguamento dei requisiti di accesso al pensionamento all’incremento della speranza di vita, i dati ufficiali forniti dall’ISTAT in merito alle rilevazioni demografiche e all’andamento effettivo del tasso di variazione del PIL di lungo periodo e, nel caso di specie, le valutazioni della Conferenza di servizi Lavoro/Economia del 17 giugno 2015, che ha approfondito la metodologia applicata e i risultati ottenuti.
I vincoli imposti dalla legge al procedimento di revisione dei coefficienti di trasformazione, che si iscrive in una considerazione comparativa di ampio respiro, rivolta alla platea di tutti i destinatari coinvolti, contemperano la tutela dei diritti previdenziali dei singoli con la complessiva sostenibilità del sistema pensionistico e concorrono a individuare un punto di equilibrio ragionevole, coerente con i richiamati valori di rango costituzionale.