Ritenuto in fatto
1.– Con tre distinte ordinanze di identico tenore, adottate il 21 gennaio 2014 (reg. ord. n. 84, n. 85 e n. 113 del 2014), il Tribunale di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale: 1) della «norma prodotta nel nostro ordinamento mediante il recepimento, ai sensi dell’art. 10, primo comma, Cost.», della consuetudine internazionale accertata dalla Corte internazionale di giustizia (CIG) nella sentenza del 3 febbraio 2012, nella parte in cui nega la giurisdizione, nelle azioni risarcitorie per danni da crimini di guerra commessi, almeno in parte, nello Stato del giudice adito, iure imperii dal Terzo Reich; 2) dell’art. 1 della legge 17 agosto 1957, n. 848 (Esecuzione dello Statuto delle Nazioni Unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945), nella parte in cui, recependo l’art. 94 dello Statuto dell’ONU, obbliga il giudice nazionale ad adeguarsi alla pronuncia della CIG quando essa ha stabilito l’obbligo del giudice italiano di negare la propria giurisdizione nella cognizione della causa civile di risarcimento del danno per crimini contro l’umanità, commessi iure imperii dal Terzo Reich, almeno in parte nel territorio italiano; 3) dell’art. 1 (recte: art. 3) della legge 14 gennaio 2013 n. 5 (Adesione della Repubblica italiana alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, firmata a New York il 2 dicembre 2004, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno), nella parte in cui obbliga il giudice nazionale ad adeguarsi alla pronuncia della CIG anche quando essa ha stabilito l’obbligo del giudice italiano di negare la propria giurisdizione nella cognizione della causa civile di risarcimento del danno per crimini contro l’umanità, commessi iure imperii dal Terzo Reich nel territorio italiano, in riferimento agli artt. 2 e 24 della Costituzione.
Le richiamate norme vengono censurate in riferimento agli artt. 2 e 24 Cost., in quanto, impedendo l’accertamento giurisdizionale e l’eventuale condanna delle gravi violazioni dei diritti fondamentali subìte dalle vittime dei crimini di guerra e contro l’umanità, perpetrati sul territorio dello Stato italiano, investito dall’obbligo di tutela giurisdizionale, ma commessi da altro Stato, anche se nell’esercizio dei poteri sovrani (iure imperii), contrasterebbero con il principio di insopprimibile garanzia della tutela giurisdizionale dei diritti, consacrato nell’art. 24 Cost., il quale è principio supremo dell’ordinamento costituzionale italiano ed in quanto tale costituisce limite all’ingresso sia delle norme internazionali generalmente riconosciute, ex art. 10, primo comma, Cost., che delle norme contenute in trattati istitutivi di organizzazioni internazionali aventi gli scopi indicati dall’art. 11 Cost. o derivanti da tali organizzazioni.
1.1.– Il giudice rimettente premette di essere stato adito: in riferimento al primo giudizio, dal signor F. S. per ottenere la condanna della Repubblica federale tedesca al risarcimento dei danni dal medesimo patiti nel corso della seconda guerra mondiale per essere stato catturato nel territorio italiano da forze militari tedesche e deportato a Mauthausen in dato 8 giugno 1944, dove fu liberato solo il 25 giugno 1945, dopo innumerevoli sofferenze; in riferimento al secondo giudizio, dai legittimi eredi del signor L. C. per ottenere la condanna della Repubblica federale tedesca al risarcimento dei danni dal medesimo patiti nel corso della seconda guerra mondiale per essere stato catturato nel territorio italiano da forze militari tedesche l’8 settembre 1943, deportato in Germania per essere adibito al lavoro forzato, ucciso in uno dei lager di Kahla-Thuringa in Germania e, secondo la Croce rossa internazionale, sepolto in una fossa comune con seimila prigionieri, ridotti in schiavitù; in relazione al terzo giudizio, dal sig. D. B., per ottenere la condanna della Repubblica federale tedesca al risarcimento dei danni dal medesimo patiti nel corso della seconda guerra mondiale per essere stato catturato nel territorio italiano da forze militari tedesche il 9 settembre 1943 a Verona, nell’ospedale dove era ricoverato, dal quale fu deportato in Germania per essere adibito al lavoro forzato, segregato nel campo di concentramento di Zeitz, uno dei sottolager di Buchenwald, prima di essere trasferito nel campo di Hartmannsdorf Stammlager IVF e poi ancora a Granschutz dove veniva liberato dagli alleati alla fine della guerra.
Il rimettente ricorda che la Repubblica federale di Germania, costituitasi nei giudizi, eccepiva il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana e chiedeva al giudice di dare attuazione alla sentenza del 3 febbraio 2012 della CIG, non accettando il contraddittorio sul merito della vicenda. Pertanto, il giudice rimettente sollevava la predetta questione di legittimità costituzionale delle norme che gli imponevano di declinare la giurisdizione.
1.2.– Il Tribunale di Firenze osserva che la questione oggetto dei giudizi consiste nel valutare se l’ordinamento giuridico entro il quale il giudice italiano è chiamato a decidere le controversie, nel conformarsi alle norme dell’ordinamento giuridico internazionale generalmente riconosciute, imponga al giudice dello Stato dove il crimine internazionale è stato commesso di negare l’accesso al giudizio civile risarcitorio di accertamento e condanna, anche quando sul proprio territorio sia stato leso un diritto fondamentale, mediante un crimine di guerra e contro l’umanità, ancorché ad opera di uno Stato estero nell’esercizio di poteri sovrani.
Dopo aver precisato che non è in contestazione la natura di crimine internazionale dei fatti oggetto di causa e la loro potenzialità lesiva di diritti fondamentali, il rimettente ricorda che, prima della sentenza della CIG, la Corte di cassazione aveva affermato che l’immunità dalla giurisdizione civile degli Stati esteri riconosciuta dal diritto internazionale non ha carattere assoluto, ma può trovare un limite anche quando lo Stato operi nell’esercizio della sua sovranità, ove le condotte integrino crimini contro l’umanità, tali da configurare un crimine internazionale (sentenze n. 5044 del 2004 e n. 14202 del 2008).
Il giudice rimettente rileva, tuttavia, che, a seguito della pronuncia emessa dalla CIG in data 3 febbraio 2012, secondo la quale «il diritto consuetudinario internazionale continu[a] a prevedere che ad uno Stato sia riconosciuta l’immunità in procedimenti per illeciti presumibilmente commessi sul territorio di un altro Stato dalle proprie forze armate ed altri organismi statali nel corso di un conflitto armato», anche allorquando lo si accusi di gravi violazioni delle leggi internazionali sui diritti umani, la Corte di cassazione, mutando orientamento sulla scia della predetta decisione internazionale, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano rilevando che «la tesi inaugurata dalla Cass. n. 5044 del 2004 è rimasta isolata e non è stata convalidata dalla comunità internazionale di cui la CIG è massima espressione, sicché il principio (…) non può essere portato ad ulteriori applicazioni» (sentenze n. 32139 del 2012 e n. 4284 del 2013).
A conferma di tale orientamento sarebbe, poi, sopraggiunta la legge 14 gennaio 2013, n. 5 (Adesione della Repubblica italiana alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, firmata a New York il 2 dicembre 2004 nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno) che all’art. 3 contiene l’espressa esclusione della giurisdizione italiana per i crimini di guerra commessi dal Terzo Reich anche per i procedimenti in corso.
Il Tribunale di Firenze precisa che la CIG ha ritenuto di non dover valutare l’interferenza tra la tutela del diritto fondamentale della persona umana ed il principio di sovranità dello Stato chiamato a rispondere del fatto illecito, escludendo l’esistenza di un conflitto tra norme di ius cogens materiali e norme (come l’immunità) ritenute formali o processuali in quanto operanti su piani differenti. Pertanto il rimettente rileva che, se, da una parte, al giudice italiano è sottratta l’interpretazione della valenza imperativa ed inderogabile dello ius cogens, ambito nel quale la Corte di giustizia ha una competenza assoluta ed esclusiva, non può negarsi la sua competenza a verificare se l’adozione indifferenziata di tale protezione in favore dei singoli Stati ed in danno dei singoli individui gravemente lesi sia conforme alla Costituzione italiana ed alle sue fonti integrative anche sovranazionali; se cioè l’apertura verso ordinamenti diversi, contenuta negli artt. 10, 11 e 117 Cost. sia priva o meno di filtri selettivi in grado di condizionare, nel caso in esame, la decisione della pregiudiziale sollevata dalla Repubblica federale di Germania.
Ad avviso del rimettente, è dubbio che l’immunità degli Stati, in specie fra quelli dell’Unione europea, possa ancora consentire, ancorché solo per effetto di consuetudini internazionali anteriori all’entrata in vigore della Costituzione e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, l’esclusione incondizionata della tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali violati da crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona.
Posto che è la stessa CIG a riconoscere che, nella specie, si determina una lesione concreta e definitiva della tutela giurisdizionale del diritto violato, e, tuttavia, ritiene che la violazione delle norme di natura materiale con valore imperativo inderogabile (dei diritti fondamentali dell’uomo anche se calpestati da una diffusa prassi di crimini di guerra e contro l’umanità) non contrasti con le norme internazionali di natura procedurale sull’immunità statale, il Tribunale di Firenze dubita che, nell’ambito del diritto interno, il principio di eguaglianza sovrana degli Stati, con riguardo al suo corollario in materia di immunità, possa giustificare il sacrificio della tutela giurisdizionale di un diritto fondamentale quando e se la tutela è richiesta verso uno Stato, diverso da quello di appartenenza del giudice adito, che abbia commesso un crimine internazionale ancorché nell’esercizio dei poteri sovrani.
Sebbene non sia più consentito alla giurisdizione interna verificare se il singolo atto criminoso compiuto dal Terzo Reich sul territorio italiano militarmente occupato sia o meno collocabile tra gli atti iure imperii dal punto di vista internazionale, a seguito della pronuncia della CIG, la quale non lascia più margini di valutazione sotto questo profilo, il rimettente ritiene che, però, non possa non considerarsi che il carattere assoluto dell’immunità internazionale preclude, per gli individui interessati, qualsiasi possibilità di veder accertati e tutelati i propri diritti, nella specie già negati nell’ordinamento interno tedesco.
Il Tribunale di Firenze ricorda che, sin da una risalente sentenza (n. 48 del 1979), la Corte costituzionale ha affermato che, nel contrasto fra norme internazionali immesse nell’ordinamento italiano mediante l’art. 10, primo comma, Cost. e principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano, devono essere questi ultimi a prevalere.
Con una successiva decisione (sentenza n. 73 del 2001), questa medesima Corte – prosegue ancora il rimettente – ha ribadito il principio secondo il quale «l’orientamento di apertura dell’ordinamento italiano nei confronti sia delle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, sia delle norme internazionali convenzionali incontra i limiti necessari a garantirne l’identità e, quindi, innanzitutto i limiti derivanti dalla Costituzione». Pertanto, i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituirebbero limite tanto all’ingresso delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma in virtù dell’art. 10, primo comma, Cost., quanto delle norme contenute in trattati istitutivi di organizzazioni internazionali aventi gli scopi indicati dall’art. 11 Cost. o derivanti da tali organizzazioni.
Considerato che il principio di cui all’art. 24 Cost. costituisce uno dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale italiano, essendo «intimamente connesso con lo stesso principio di democrazia l’assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio» (sentenza n. 18 del 1982), il rimettente dubita della legittimità costituzionale della norma consuetudinaria. Infatti, il principio supremo di insopprimibile garanzia della tutela giurisdizionale dei diritti sarebbe insuscettibile di cedere di fronte alla norma consuetudinaria di diritto internazionale che rileva nel caso concreto, così come esplicitata dalla CIG, ogniqualvolta a ledere il diritto fondamentale della persona umana sia un crimine contro l’umanità commesso nello Stato investito dall’obbligo di tutela giurisdizionale, ancorché commesso da altro Stato nell’esercizio dei poteri sovrani.
In definitiva, ad avviso del rimettente, il giudice italiano non potrebbe accogliere l’indicazione fornita dalla CIG e quindi negare l’accesso al processo rimettendo la protezione individuale alle dinamiche dei rapporti tra organi politici degli Stati che, per decenni, non sono riusciti a trovare la soluzione. Negare il processo civile di accertamento e condanna per le aberranti condotte del Terzo Reich implicherebbe sacrificare irrimediabilmente il diritto alla tutela dei diritti.
Il rimettente precisa, inoltre, che è una scelta obbligata quella di sollevare questione di legittimità costituzionale, tenuto conto di quanto già affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 311 del 2009 e cioè che il verificarsi dell’ipotesi in cui la norma internazionale risulti in contrasto con la Costituzione «esclude l’operatività del rinvio alla norma internazionale e, dunque, la sua idoneità ad integrare il parametro dell’art. 117, primo comma, Cost.»: e, pertanto, «non potendosi evidentemente incidere sulla sua legittimità, comporta (…) l’illegittimità (…) della legge di adattamento (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007)».
Per le ragioni esposte, il Tribunale di Firenze rimette la questione al vaglio di legittimità costituzionale, ritenendo non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma interna, prodotta, ex art. 10, primo comma, Cost., in conformità alla consuetudine internazionale formatasi prima della Costituzione, che nega nelle azioni risarcitorie per danni da crimini di guerra la giurisdizione dello Stato in cui l’illecito ha, almeno in parte, prodotto i suoi effetti lesivi.
Aggiunge il rimettente che l’art. 94 dello Statuto delle Nazioni Unite, che prescrive che «ciascun membro delle Nazioni Unite si impegna a conformarsi alla decisione della Corte internazionale di giustizia in ogni controversia di cui esso sia parte», essendo trasposto nell’ordinamento interno in forza della legge di ratifica avente valore sub-costituzionale anche se in forza di norma di rango costituzionale (l’art. 11 Cost.), obbliga l’ordinamento interno solo se e nella parte in cui è compatibile con la Costituzione. Pertanto, il dubbio di legittimità costituzionale deve coinvolgere – ad avviso del rimettente – anche la legge n. 848 del 1957, nella parte in cui, recependo la Carta ONU ed in particolare l’art. 94 della stessa, vincola tutti gli organi dello Stato ad adeguarsi alle sentenze della CIG, ivi compresa quella qui conferente del 3 febbraio 2012.
Sulla base dei medesimi argomenti il rimettente censura, altresì, l’art. 3 della legge n. 5 del 2013, in ragione del fatto che in esso è stato ulteriormente disciplinato l’obbligo del giudice nazionale di adeguarsi alla pronuncia della CIG che ha negato la giurisdizione del giudice italiano nella causa di risarcimento del danno per i crimini ritenuti iure imperii commessi dal Terzo Reich nel territorio italiano.
Infine, il Tribunale di Firenze precisa che le norme censurate sono tutte norme la cui legittimità costituzionale rileva autonomamente nel giudizio principale, in quanto aventi ad oggetto precetti che, anche singolarmente presi, sarebbero idonei ad escludere il proprio potere giurisdizionale.
2.– Nei giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale chiede che la questione di legittimità costituzionale sollevata sia dichiarata inammissibile e/o infondata.
La difesa statale sostiene, in primo luogo, l’inammissibilità della questione sollevata, in quanto volta a sottoporre al sindacato di legittimità costituzionale la norma consuetudinaria sull’immunità che sarebbe riconducibile ad una fase anteriore all’adozione della Costituzione e non sarebbe, pertanto, sottoponibile al giudizio promosso dal giudice a quo, secondo l’orientamento a suo dire consolidato della Corte costituzionale, la quale avrebbe affermato che solo le consuetudini internazionali venute ad esistenza dopo l’entrata in vigore della Costituzione possono essere oggetto del giudizio di legittimità costituzionale (a tale proposito, a pretesa conferma, sono richiamate le sentenze nn. 48 del 1979, 471 del 1992, 15 del 1996, 262 del 2009).
Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene, inoltre, che il vaglio circa la sussistenza della giurisdizione assuma un carattere logicamente pregiudiziale rispetto al sindacato di merito, cosicché sostenere che la semplice domanda di risarcimento per danni recati da atti contrari a norme materiali inderogabili sia idonea a fondare la giurisdizione dello Stato territoriale paleserebbe un inammissibile rovesciamento dei rapporti di logica precedenza tra le due distinte valutazioni in rito ed in merito.
Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato, anzitutto, richiama all’attenzione la circostanza che la Corte costituzionale avrebbe affermato che l’art. 10, primo comma, Cost. rinvia alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, attribuendo ad esse un valore di norme costituzionali ed avrebbe risolto l’apparente contrasto tra immunità e diritto alla tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost. alla luce del principio di specialità, riconoscendo che la compressione del principio espresso dall’art. 24 Cost. può giustificarsi in virtù dei preminenti interessi sottesi all’esigenza di garantire l’immunità degli Stati stranieri dalla giurisdizione territoriale. La ragionevolezza insita nella conformazione del diritto di difesa a fronte delle esigenze connesse al rispetto dell’immunità dello Stato estero dimostrerebbe, pertanto, l’infondatezza delle censure di illegittimità costituzionale rivolte alle disposizioni impugnate.
L’obbligo di rispettare l’immunità dello Stato estero troverebbe il suo fondamento anche in altre disposizioni (oggetto di impugnativa) ed in specie nell’art. 94 dello Statuto dell’ONU, recepito in Italia con la legge n. 848 del 1957, il quale impone a ciascuno Stato membro di conformarsi alle decisioni della CIG, e nell’art. 3 della legge n. 5 del 2013, che ne costituisce esatta integrazione. Il dovere per l’Italia di conformarsi alle consuetudini internazionali nonché alle decisioni della CIG, come statuito dal citato art. 94 dello Statuto dell’ONU, troverebbe il proprio fondamento anche nell’art. 11 Cost. il quale imporrebbe all’Italia di rispettare le norme consuetudinarie di diritto internazionale come individuate dalla CIG, alle cui decisioni l’Italia è tenuta a conformarsi ai sensi dello Statuto dell’ONU.
3.– Si sono costituiti, in tutti e tre i giudizi, (reg. ord. n. 84, n. 85 e n. 113 del 2014), gli attori dei processi principali, chiedendo che la Corte costituzionale accolga le questioni sollevate dal Tribunale di Firenze.
3.1.– La difesa degli attori del processo principale premette che la circostanza che la richiesta del risarcimento dei danni è stata effettuata solo dopo sessantasette anni è dovuta alla moratoria che la Repubblica federale tedesca aveva concordato con gli alleati, vincitori della seconda guerra mondiale, e che anche l’Italia aveva dovuto rispettare in base all’art. 18 del Trattato di pace. Precisa, altresì, che, dopo la fine della moratoria, le richieste di risarcimento erano state rigettate dalla Repubblica federale tedesca ed era stato negato qualsiasi altro rimedio per i crimini commessi dal Terzo Reich e dal suo governo.
Con specifico riferimento alle questioni sollevate dal Tribunale di Firenze, la difesa degli attori del processo principale svolge alcune considerazioni preliminari.
Essa ricorda che, a partire dal 26 giugno 1945, a San Francisco, in risposta alle gravi violazioni dei diritti fondamentali dell’uomo, gli Stati della Comunità internazionale si obbligavano, con l’art. 1, comma 3, e con l’art. 55, lettera c), della Carta dell’ONU, a rispettare i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali, senza distinzioni di razza, sesso, lingua, religione. Fra tali diritti era annoverato anche quello di adire un giudice (art. 14 del Patto per i diritti civili e politici del 19 dicembre 1966), divenuto poi un cardine del sistema internazionale per l’osservanza dei diritti dell’uomo (Risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU n. 60/147 recante «Basic principles and Guidelines on the Right to a Remedy and Reparation for Victims of Gross Violation of International Human Rights Law and Serious violations of International Umanitarian Law»). Pertanto, il conflitto tra la tutela dei diritti dell’uomo ed il divieto di ingerenza negli affari interni (cui si collega l’immunità giurisdizionale degli Stati) non può essere risolto a danno dei diritti fondamentali.
La difesa, quindi, osserva che l’illegittimità costituzionale della legge n. 5 del 2013 non deriverebbe soltanto da una violazione dell’art. 24 Cost., ma dal contrasto con lo stesso diritto internazionale e con la sua pretesa di tutelare i diritti fondamentali, incluso il diritto di adire un giudice competente in materia.
La difesa degli attori chiede, quindi, che la Corte costituzionale accolga la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Firenze, anche al fine di evitare che la CIG venga denunciata per aver ecceduto dalla sua competenza.
Rileva, inoltre, che, alla luce del diritto internazionale vigente, esisterebbe la giurisdizione del giudice italiano e che, quindi, le norme censurate, nella parte in cui escludono la giurisdizione del giudice italiano per le azioni risarcitorie inerenti ai danni derivanti dai crimini contro l’umanità posti in essere dalle forze armate tedesche durante la seconda guerra mondiale, si porrebbero in contrasto anche con gli artt. 10 e 117 Cost. in quanto lederebbero il diritto della parte privata di adire il competente giudice per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, in contrasto con il diritto internazionale consuetudinario e convenzionale.
Pertanto, la difesa degli attori dei processi principali chiede che la Corte costituzionale dichiari l’illegittimità costituzionale della legge n. 5 del 2013 per contrasto con gli artt. 24, 11 e 117 Cost. ed ammetta la giurisdizione del giudice italiano, escludendo l’efficacia anche indiretta della sentenza della CIG del 3 febbraio 2012.
Conseguentemente, chiede che vengano valutati ulteriori profili di illegittimità costituzionale della normativa denunciata attinenti, fra l’altro: al divieto di retroattività di una legge procedurale e al divieto di retroattività del nuovo orientamento giurisprudenziale relativo ai diritti fondamentali affermatosi rispetto al precedente orientamento della Corte di cassazione; al divieto di disapplicare il diritto internazionale generalmente riconosciuto, in virtù del quale lo Stato convenuto può implicitamente o esplicitamente rinunciare alla sua immunità giurisdizionale, non gode di immunità per cause fondate su illeciti commessi mediante atti iure imperii se questi sono avvenuti nel territorio dello Stato ove il giudice adito ha sede e non gode di immunità in cause civili fondate su gravi violazioni dei diritti fondamentali; all’obbligo di rispettare, in base agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., l’art. 28, comma 2, della Convenzione europea per il rimedio pacifico delle controversie tra gli Stati europei del 29 aprile 1957, e l’art. 6 della CEDU; al divieto di disattendere gli artt. 24 e 111 Cost. e/o gli artt. 1, comma 3, e 55, lettera c), della Carta dell’ONU se una persona fisica è stata vittima di un crimine di guerra o di gravi crimini contro l’umanità; agli artt. 101 e 102 Cost., in quanto l’impugnato art. 3 della legge n. 5 del 2013 contiene un ordine del Parlamento o del Governo al giudice, in relazione a specifiche cause, di rinunciare alla propria competenza giurisdizionale senza poter valutare i fatti e il diritto applicabile e di annullare decisioni già definite.
4.– All’udienza pubblica, le parti costituite nel giudizio ed il Presidente del Consiglio dei ministri hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate nelle difese scritte.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale di Firenze dubita della legittimità costituzionale di alcune norme che gli imporrebbero di declinare la giurisdizione, come eccepito dalla convenuta, in relazione a tre giudizi instaurati contro la Repubblica federale di Germania (RFG) per ottenere la condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni patiti nel corso della seconda guerra mondiale da tre cittadini italiani, catturati nel territorio italiano da forze militari tedesche e deportati in Germania per essere adibiti al lavoro forzato nei campi di concentramento.
Più precisamente, il Tribunale di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale: 1) della norma «prodotta nel nostro ordinamento mediante il recepimento, ai sensi dell’art. 10, primo comma, Cost.», della norma consuetudinaria di diritto internazionale sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati, così come interpretata dalla Corte internazionale di giustizia (CIG) nella sentenza Germania c. Italia del 3 febbraio 2012, nella parte in cui comprende tra gli atti iure imperii sottratti alla giurisdizione di cognizione anche i crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona, commessi in Italia e in Germania nei confronti di cittadini italiani nel periodo 1943-1945 dalle truppe del Terzo Reich; 2) dell’art. 1 della legge di adattamento alla Carta delle Nazioni Unite (legge 17 agosto 1957, n. 848, recante «Esecuzione dello Statuto delle Nazioni Unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945»), nella parte in cui obbliga il giudice italiano ad adeguarsi alla pronuncia della CIG, pertanto, anche quando essa ha stabilito l’obbligo dello stesso di negare la propria giurisdizione nella causa civile di risarcimento del danno per crimini contro l’umanità, commessi iure imperii dal Terzo Reich nel territorio italiano; 3) dell’art. 1 (recte art. 3) della legge 14 gennaio 2013, n. 5 (Adesione della Repubblica italiana alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, firmata a New York il 2 dicembre 2004, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno), che ha imposto al giudice di adeguarsi alla sentenza della CIG e per ciò stesso di negare la propria giurisdizione in futuro per tutti gli atti iure imperii dello Stato straniero, anche quando tali atti consistano in violazioni gravi del diritto internazionale umanitario e dei diritti fondamentali, quali i crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Italia e in Germania nei confronti di cittadini italiani nel periodo 1943-1945 dalle truppe del Terzo Reich, nonché di ammettere la revocazione delle sentenze già passate in giudicato che non avessero riconosciuto l’immunità.
Le richiamate norme vengono censurate in riferimento agli artt. 2 e 24 Cost., in quanto, impedendo l’accertamento giurisdizionale e la valutazione della pretesa di risarcimento dei danni derivanti dalle gravi violazioni dei diritti fondamentali subìte dalle vittime dei crimini di guerra e contro l’umanità, commessi da altro Stato, anche se nell’esercizio di poteri sovrani (iure imperii), contrasterebbero con il principio di insopprimibile garanzia della tutela giurisdizionale dei diritti, consacrato nell’art. 24 Cost., che è un principio supremo dell’ordinamento costituzionale italiano e, quindi, costituisce un limite all’ingresso sia delle norme internazionali generalmente riconosciute, ex art. 10, primo comma, Cost., che delle norme contenute in trattati istitutivi di organizzazioni internazionali aventi gli scopi indicati dall’art. 11 Cost. o derivanti da tali organizzazioni e oggetto di leggi di adattamento.
Il giudice rimettente muove dalla constatazione che la CIG, con la sentenza del 3 febbraio 2012, ha affermato la perdurante vigenza della norma consuetudinaria internazionale che sancisce l’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati per tutti indistintamente gli atti ritenuti iure imperii, escludendo che si sia formata, per consuetudine, un’eccezione relativa agli atti iure imperii qualificabili, come espressamente riconosciuto nella specie con riguardo agli episodi di deportazione, lavoro forzato, eccidi, compiuti in Italia e in Germania nei confronti di cittadini italiani nel periodo 1943-1945 dalle truppe del Terzo Reich, quali crimini di guerra o contro l’umanità lesivi di diritti fondamentali della persona; ed ha negato l’esistenza di un conflitto tra norme materiali cogenti (diritto internazionale a tutela dei diritti umani) e norme processuali (immunità degli Stati dalla giurisdizione di altri Stati), in quanto operanti su piani diversi.
Tuttavia, pur riconoscendo alla CIG una “competenza assoluta ed esclusiva” quanto all’interpretazione delle norme di diritto internazionale, il giudice di Firenze dubita della conformità alla Costituzione sia della norma interna corrispondente alla norma consuetudinaria internazionale, che incontra il limite dei principi fondamentali e dei diritti inviolabili costituzionalmente garantiti, fra i quali vi è il diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti inviolabili, sia delle corrispondenti norme di recepimento. Il rimettente precisa, infatti, che non può non tenersi in debito conto che il «conferire all’immunità internazionale il carattere assoluto confermato dalla Corte di giustizia internazionale vuol dire precludere, per gli individui interessati, qualsiasi possibilità di veder accertati e tutelati i propri diritti, nel caso di specie già negati nell’ordinamento interno tedesco» (ordinanze di rimessione n. 84 del 2014, pag. 7; n. 85 del 2014, pag. 7, n. 113 del 2014, pag. 7). Conseguentemente, prospetta lo stesso dubbio di legittimità costituzionale nei confronti di quelle disposizioni contenute sia nella legge di adattamento alla Carta delle Nazioni Unite (art. 1 della legge n. 848 del 1957), che nella legge di adesione alla Convenzione di New York (art. 3 della legge n. 5 del 2013), nella parte in cui gli impongono, al pari della richiamata norma consuetudinaria internazionale, di negare la propria giurisdizione in ottemperanza alla sentenza della CIG.
Infine, il Tribunale di Firenze precisa che quelle censurate sono tutte norme la cui legittimità costituzionale rileva autonomamente nel giudizio principale, in quanto aventi ad oggetto precetti che, anche singolarmente presi, sarebbero idonei ad escludere l’esercizio della sua giurisdizione.
Inoltre, lo stesso giudice rimettente limita le questioni sollevate alla giurisdizione relativa alla cognizione della pretesa risarcitoria, non anche alla esecuzione.
I tre giudizi, a ragione dell’identità di petitum e di argomentazione, vanno riuniti e definiti con decisione unica.
2.– In via preliminare, questa Corte deve valutare le eccezioni di inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze.
2.1.– Con la prima eccezione, l’Avvocatura generale dello Stato deduce che l’immunità dalla giurisdizione qui evocata è oggetto di una norma internazionale consuetudinaria generalmente riconosciuta formatasi in epoca precedente all’entrata in vigore della Costituzione italiana e per tale ragione sarebbe insuscettibile di verifica di costituzionalità. Questa Corte avrebbe affermato, nella sentenza n. 48 del 1979 (v. punto 2. del Ritenuto in fatto), che la verifica di compatibilità costituzionale delle norme consuetudinarie internazionali sarebbe consentita esclusivamente per le norme formatesi successivamente all’entrata in vigore della nostra Costituzione.
L’eccezione non è fondata.
Invero, nell’occasione evocata dall’Avvocatura, questa Corte valutò precisamente la legittimità costituzionale della norma consuetudinaria internazionale sulla immunità degli agenti diplomatici, dopo averla definita espressamente «consuetudine più che secolare degli Stati nelle loro reciproche relazioni» e affermando che «La prospettazione della questione così come formulata dal giudice a quo, riferita all’ordine di esecuzione di cui alla legge n. 804 del 1967, in relazione all’art. 31, paragrafi 1 e 3 della Convenzione di Vienna, appare solo formalmente esatta perché, sul punto che interessa, la disposizione pattizia è meramente ricognitiva della norma di diritto internazionale generale sopra descritta. Il fondamento della questione va considerato, pertanto, con riferimento a quest’ultima norma, ed il vero oggetto del giudizio, cui va rivolto l’esame della Corte, concerne la compatibilità con gli invocati principi costituzionali della norma interna di adeguamento alla consuetudine internazionale generale» (punto 3. del Considerato in diritto).
In un passaggio successivo, poi, questa Corte aggiunse: «Occorre comunque affermare, più in generale, per quanto attiene alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute che venissero ad esistenza dopo l’entrata in vigore della Costituzione, che il meccanismo di adeguamento automatico previsto dall’art. 10 Cost. non potrà in alcun modo consentire la violazione dei principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, operando in un sistema costituzionale che ha i suoi cardini nella sovranità popolare e nella rigidità della Costituzione» (punto 3. del Considerato in diritto).
Ora, indipendentemente dalla correttezza o meno della lettura operata dall’Avvocatura della decisione n. 48 del 1979, questa Corte intende confermare specificamente quanto rilevato con chiarezza nella sentenza n. 1 del 1956: «L’assunto che il nuovo istituto della “illegittimità costituzionale” si riferisca solo alle leggi posteriori alla Costituzione e non anche a quelle anteriori non può essere accolto, sia perché, dal lato testuale, tanto l’art. 134 della Costituzione quanto l’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, parlano di questioni di legittimità costituzionale delle leggi, senza fare alcuna distinzione, sia perché, dal lato logico, è innegabile che il rapporto tra leggi ordinarie e leggi costituzionali e il grado che ad esse rispettivamente spetta nella gerarchia delle fonti non mutano affatto, siano le leggi ordinarie anteriori, siano posteriori a quelle costituzionali».
E qui oggi si riconosce, pertanto, che il principio affermato nella appena ricordata sentenza n. 1 del 1956, secondo il quale il controllo di legittimità costituzionale riguarda sia norme posteriori che norme anteriori alla Costituzione repubblicana, vale anche per le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute di cui al meccanismo di adattamento automatico dell’art. 10, primo comma, Cost. che si siano formate prima o dopo la Costituzione.
Neppure si può escludere dallo scrutinio di legittimità costituzionale la norma oggetto del rinvio operato all’art. 10, primo comma, Cost. ad una norma consuetudinaria internazionale solo perché l’art. 134 Cost. non contempla espressamente questa specifica ipotesi. Tale disposizione assoggetta al controllo accentrato di costituzionalità tutte le leggi, gli atti e le norme le quali, pur provviste della stessa efficacia delle leggi formali, ordinarie e costituzionali, siano venute ad esistenza per vie diverse dal procedimento legislativo, anche quelle da ultimo richiamate. Sono esclusi dallo scrutinio riservato a questa Corte soltanto gli atti che hanno un rango ed una forza inferiori rispetto alla legge. In definitiva, non sussistono, sul piano logico e sistematico, ragioni per le quali il controllo di legittimità costituzionale dovrebbe essere escluso per le consuetudini internazionali o limitato solo a quelle posteriori alla Costituzione, tenuto conto che a queste ultime è riconosciuta la medesima efficacia delle consuetudini formatesi in epoca precedente ed il medesimo limite del rispetto degli elementi identificativi dell’ordinamento costituzionale, vale a dire dei principi fondamentali e dei diritti inviolabili della persona.
La prima eccezione della difesa del Presidente del Consiglio dei ministri non è pertanto fondata.
2.2.– La seconda eccezione si fonda sull’assunto che il difetto di giurisdizione non potrebbe essere verificato in base alla portata della norma internazionale sull’immunità degli Stati per gli atti ritenuti iure imperii, in quanto altrimenti si determinerebbe un «inammissibile rovesciamento dei rapporti di logica precedenza tra le due distinte valutazioni in rito e in merito».
Anche questa eccezione non è fondata, per il semplice motivo che un’eccezione relativa alla giurisdizione richiede necessariamente una valutazione del petitum in base alla prospettazione della domanda, come formulata dalle parti.
2.3.– Ancora in via preliminare, occorre ribadire che sono inammissibili le deduzioni della parte privata dirette ad estendere il thema decidendum attraverso l'evocazione di ulteriori parametri costituzionali.
L'oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione (sentenza n. 32 del 2014; ma anche sentenze n. 271 del 2011 e n. 56 del 2009). Pertanto, non possono essere prese in considerazione le censure svolte dalle parti dei giudizi principali, costituitesi nei giudizi davanti a questa Corte, sollevate in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. ed alle norme del diritto internazionale invocate per il suo tramite.
2.4.– Occorre, infine, rilevare che, benché nel dispositivo di tutte e tre le ordinanze di rimessione, fra le norme censurate, sia indicato l’art. 1 della legge n. 5 del 2013, dall’intero contesto delle tre ordinanze si desume con chiarezza come le doglianze riguardino non già il predetto art. 1, che contiene l’autorizzazione all’adesione alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, del 2 dicembre 2004, ma l’art. 3 della medesima legge nella parte in cui ha recepito – con procedimento di adattamento ordinario – quanto deciso dalla CIG con la sentenza del 3 febbraio 2012.
Pertanto, in linea con una costante giurisprudenza costituzionale, secondo la quale il thema decidendum, con riguardo alle norme censurate, va identificato tenendo conto della motivazione delle ordinanze o comunque dell’intero contesto del provvedimento di rimessione (ex plurimis, sentenze n. 258 del 2012 e n. 181 del 2011; ordinanza n. 162 del 2011), è l’art. 3 della legge n. 5 del 2013, e non già l’art. 1, l’oggetto del sindacato di legittimità costituzionale.
3. – Nel merito, la questione di legittimità costituzionale della norma «prodotta nel nostro ordinamento mediante il recepimento, ai sensi dell’art. 10, primo comma, Cost»., della norma consuetudinaria di diritto internazionale sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati, non è fondata nei termini di seguito precisati.
3.1.– È anzitutto da prendere atto che dal thema decidendum sottoposto a questa Corte è stata esclusa dal giudice rimettente ogni valutazione sulla interpretazione da parte della CIG della norma internazionale consuetudinaria relativa all’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati.
D’altra parte, la Corte non potrebbe procedere ad un tale scrutinio. Si tratta, infatti, di una norma di diritto internazionale, dunque esterna all’ordinamento giuridico italiano, la cui applicazione da parte dell’amministrazione e/o del giudice, in virtù del rinvio operato nella specie dall’art. 10, primo comma, Cost., deve essere effettuata in base al principio di conformità, e cioè nell’osservanza dell’interpretazione che ne è data nell’ordinamento di origine, che è l’ordinamento internazionale. In questa occasione, la norma che interessa è stata interpretata dalla CIG, precisamente in vista della definizione della controversia tra Germania ed Italia, avente ad oggetto la giurisdizione del giudice italiano su atti imputabili alla RFG.
Con la sentenza del 3 febbraio 2012, la CIG ha affermato che, allo stato, non si rinvengono sufficienti elementi nella prassi internazionale per dedurre l’esistenza di una deroga alla norma sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati per atti iure imperii relativa alle ipotesi, che ha ritenuto sussistenti nella specie, e come ammesso dalla stessa RFG, di crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona. La medesima Corte ha anche espressamente riconosciuto (sentenza, pag. 144, punto 104) – e risulta confermato dalla difesa della RFG, che ha escluso l’esistenza di altri rimedi giurisdizionali a tutela delle vittime dei predetti crimini (replica RFG, 5 ottobre 2010, pag. 11, punto 34) – che il difetto di giurisdizione dei giudici italiani comporta un sacrificio dei diritti fondamentali dei soggetti che hanno subito le conseguenze dei crimini commessi dallo Stato straniero ed ha individuato, sul piano del diritto internazionale, nell’apertura di un nuovo negoziato il solo strumento per definire la questione.
Ora, deve riconoscersi che, sul piano del diritto internazionale, l’interpretazione da parte della CIG della norma consuetudinaria sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati per atti ritenuti iure imperii è un’interpretazione particolarmente qualificata, che non consente un sindacato da parte di amministrazioni e/o giudici nazionali, ivi compresa questa Corte. Lo stesso principio è stato con chiarezza affermato già nelle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 con riguardo all’interpretazione delle norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) resa dalla Corte di Strasburgo.
E infatti il giudice rimettente non entra nel merito dell’interpretazione resa dalla CIG della norma internazionale sull’immunità per atti ritenuti iure imperii. Egli prende atto, sia pure con preoccupazione, che quella è la portata attuale della norma consuetudinaria internazionale in quanto così definita dalla CIG. Riferisce, altresì, che neppure è contestato che gli atti attribuiti alla RFG siano atti illeciti, qualificati dalla stessa RFG e dalla CIG crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona, questione che comunque rientra nella valutazione di merito della pretesa principale ed è dunque estranea al thema decidendum affidato a questa Corte.
Ciò premesso, è tuttavia evidente che resta da verificare e risolvere il prospettato conflitto tra la norma internazionale da immettere ed applicare nell’ordinamento interno, così come interpretata nell’ordinamento internazionale, norma che ha rango equivalente a quello costituzionale, in virtù del rinvio di cui all’art. 10, primo comma, Cost., e norme e principi della Costituzione che con essa presentino elementi di contrasto tali da non essere superabili con gli strumenti ermeneutici.
È ciò che si verifica con i principi qualificanti e irrinunciabili dell’assetto costituzionale dello Stato e, quindi, con i principi che sovraintendono alla tutela dei diritti fondamentali della persona. In tali ipotesi spetta al giudice nazionale, ed in particolare esclusivamente a questa Corte, una verifica di compatibilità costituzionale, nel caso concreto, che garantisca l’intangibilità di principi fondamentali dell’ordinamento interno ovvero ne riduca al minimo il sacrificio.
Ed è precisamente questo il thema decidendum che ha sottoposto a questa Corte il Tribunale di Firenze nel sollevare le questioni di legittimità costituzionale precisate in epigrafe: di verificare la compatibilità della norma internazionale sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati, così come interpretata dalla CIG, con un principio fondamentale del nostro ordinamento costituzionale quale il diritto al giudice (art. 24), congiuntamente al principio posto a tutela di diritti fondamentali della persona (art. 2). D’altra parte, la possibilità della verifica di compatibilità resta intatta comunque, anche tra norme – come nella specie – entrambe di rango costituzionale, il bilanciamento rientrando tra «le ordinarie operazioni cui questa Corte è chiamata in tutti i giudizi di sua competenza» (sentenza n. 236 del 2011).
3.2.– Non v’è dubbio, infatti, ed è stato confermato a più riprese da questa Corte, che i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituiscano un «limite all’ingresso […] delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma secondo l’art. 10, primo comma della Costituzione» (sentenze n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001) ed operino quali “controlimiti” all’ingresso delle norme dell’Unione europea (ex plurimis: sentenze n. 183 del 1973, n.170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991, n. 284 del 2007), oltre che come limiti all’ingresso delle norme di esecuzione dei Patti Lateranensi e del Concordato (sentenze n. 18 del 1982, n. 32, n. 31 e n. 30 del 1971). Essi rappresentano, in altri termini, gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale, per ciò stesso sottratti anche alla revisione costituzionale (artt. 138 e 139 Cost.: così nella sentenza n. 1146 del 1988).
In un sistema accentrato di controllo di costituzionalità, è pacifico che questa verifica di compatibilità spetta alla sola Corte costituzionale, con esclusione di qualsiasi altro giudice, anche in riferimento alle norme consuetudinarie internazionali. Vero è, infatti, che la competenza di questa Corte è determinata dal contrasto di una norma con una norma costituzionale e, ovviamente, con un principio fondamentale dell’assetto costituzionale dello Stato ovvero con un principio posto a tutela di un diritto inviolabile della persona, contrasto la cui valutazione non può competere ad altro giudice che al giudice costituzionale. Ogni soluzione diversa si scontra – nel sistema accentrato di controllo – con la competenza riservata dalla Costituzione a questa Corte, restando scolpito nella sua giurisprudenza, fin dal primo passo, che «La dichiarazione di illegittimità costituzionale di una legge non può essere fatta che dalla Corte costituzionale in conformità dell’art. 136 della stessa Costituzione» (sentenza n. 1 del 1956). Anche di recente, poi, questa Corte ha ribadito che la verifica di compatibilità con i principi fondamentali dell’assetto costituzionale e di tutela dei diritti umani è di sua esclusiva competenza (sentenza n. 284 del 2007); ed ancora, precisamente con riguardo al diritto di accesso alla giustizia (art. 24 Cost.), che il rispetto dei diritti fondamentali, così come l’attuazione di principi inderogabili, è assicurato dalla funzione di garanzia assegnata alla Corte costituzionale (sentenza n. 120 del 2014).
3.3.– La norma internazionale consuetudinaria sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati, in origine assoluta in quanto comprensiva di tutti i comportamenti degli Stati, in tempi meno remoti, ossia nella prima parte del secolo scorso, è stata oggetto di un’evoluzione progressiva dovuta alla giurisprudenza nazionale della maggior parte degli Stati, fino alla individuazione di un limite negli acta iure gestionis, formula di immediata comprensione. Ed è notorio che è stato merito principalmente della giurisprudenza italiana (ex multis, Tribunale di Firenze, 8 giugno 1906, Riv. Dir. Int. 1907, 379; Cass. 13 marzo 1926, idem 1926, 250; Corte d’appello di Napoli, 16 luglio 1926, idem 1927,104; Corte d’appello di Milano, 23 gennaio 1932, idem 1932, 549; Cassazione 18 gennaio 1933, idem 1933, 241) e di quella belga (ex multis, Cass. 11 giugno 1903, Journ dr. Int. Privé 1904, 136; App. Bruxelles 24 giugno 1920, Pasicrisie belge 1922, II, 122; App. Bruxelles, 24 maggio 1933, Journ. dr. Int. 1933, 1034) la progressiva affermazione del limite appena ricordato all’applicazione della norma sull’immunità (c.d. tesi italo-belga). In definitiva, si è ridotta, ad opera delle giurisdizioni nazionali, la portata della norma del diritto consuetudinario internazionale, nel senso che essa attribuisce l’immunità dalla giurisdizione civile degli altri Stati solo per gli atti ritenuti iure imperii. E ciò principalmente allo scopo di escludere la concessione del beneficio dell’immunità almeno quando lo Stato agisce come privato, ipotesi che appariva una iniqua limitazione dei diritti dei contraenti privati.
Questo processo di progressiva definizione del contenuto della norma internazionale si è ormai da tempo affermato nella Comunità internazionale (sentenza n. 329 del 1992): e va valutata al giusto la circostanza certo significativa che l’evoluzione nel senso precisato sia stata provocata dalla giurisprudenza dei giudici nazionali, ai quali è naturale spetti la valutazione del rispettivo titolo di competenza, lasciando agli organi internazionali la ricognizione della prassi ai fini della rilevazione delle norme consuetudinarie e della loro evoluzione.
Se un simile effetto di ridimensionamento dell’immunità in una prospettiva di tutela dei diritti si è delineato, anche per quanto attiene all’ordinamento italiano, ad opera del controllo dei giudici comuni, in un contesto istituzionale contraddistinto da una Costituzione flessibile, nella quale il riconoscimento dei diritti non era assistito che da ridotte garanzie, è ineludibile affermare che nell’ordinamento costituzionale repubblicano, fondato sulla tutela dei diritti e sulla connessa limitazione del potere ad essa funzionale e garantito da una Costituzione rigida, lo stesso controllo compete a questa Corte. Ad essa spetta in via esclusiva il compito di assicurare il rispetto della Costituzione ed a maggior ragione dei suoi principi fondamentali e quindi la necessaria valutazione della compatibilità della norma internazionale sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati con i predetti principi, con l’effetto di produrre un ulteriore ridimensionamento della portata della predetta norma, limitato al diritto interno ma tale da concorrere, altresì, ad un’auspicabile e da più parti auspicata evoluzione dello stesso diritto internazionale.
3.4.– Una simile verifica si rivela, peraltro, indispensabile alla luce dell’art. 10, primo comma, Cost., il quale impone a questa Corte di accertare se la norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta sull’immunità dalla giurisdizione degli Stati stranieri, come interpretata nell’ordinamento internazionale, possa entrare nell’ordinamento costituzionale, in quanto non contrastante con principi fondamentali e diritti inviolabili. Il verificarsi di tale ultima ipotesi, infatti, «esclude l’operatività del rinvio alla norma internazionale» (sentenza n. 311 del 2009), con la conseguenza inevitabile che la norma internazionale, per la parte confliggente con i principi ed i diritti inviolabili, non entra nell’ordinamento italiano e non può essere quindi applicata.
E ciò è proprio quanto è accaduto nella specie.
Ripetutamente questa Corte ha osservato che fra i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale vi è il diritto di agire e di resistere in giudizio a difesa dei propri diritti riconosciuto dall’art. 24 Cost., in breve il diritto al giudice. A maggior ragione, poi, ciò vale quando il diritto in questione è fatto valere a tutela dei diritti fondamentali della persona.
Nella specie, il giudice rimettente ha non casualmente indicato congiuntamente gli artt. 2 e 24 Cost., inestricabilmente connessi nella valutazione di legittimità costituzionale chiesta a questa Corte. Il primo è la norma sostanziale posta, tra i principi fondamentali della Carta costituzionale, a presidio dell’inviolabilità dei diritti fondamentali della persona, tra i quali, nella specie conferente a titolo primario, la dignità. Il secondo è anch’esso a presidio della dignità della persona, tutelando il suo diritto ad accedere alla giustizia per far valere il proprio diritto inviolabile.
La diversità di piano, sostanziale e processuale, non consente di scinderne la comune rilevanza rispetto alla compatibilità costituzionale della regola dell’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati. Sarebbe invero arduo individuare quanto resterebbe di un diritto se non potesse essere fatto valere dinanzi ad un giudice per avere effettiva tutela.
Fin dalla sentenza n. 98 del 1965 in materia comunitaria, questa Corte affermò che il diritto alla tutela giurisdizionale «è tra quelli inviolabili dell’uomo, che la Costituzione garantisce all’art. 2, come si arguisce anche dalla considerazione che se ne è fatta nell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo» (punto 2. del Considerato in diritto). In una meno remota occasione, questa Corte non ha esitato ad ascrivere il diritto alla tutela giurisdizionale «tra i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale, in cui è intimamente connesso con lo stesso principio di democrazia l’assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio» (sentenze n. 18 del 1982, nonché n. 82 del 1996). D’altra parte, in una prospettiva di effettività della tutela dei diritti inviolabili, questa Corte ha anche osservato che «al riconoscimento della titolarità di diritti non può non accompagnarsi il riconoscimento del potere di farli valere innanzi ad un giudice in un procedimento di natura giurisdizionale»: pertanto, «l’azione in giudizio per la difesa dei propri diritti (…) è essa stessa il contenuto di un diritto, protetto dagli articoli 24 e 113 della Costituzione e da annoverarsi tra quelli inviolabili e caratterizzanti lo stato democratico di diritto» (sentenza n. 26 del 1999, nonché n. 120 del 2014, n. 386 del 2004 e n. 29 del 2003). Né è contestabile che il diritto al giudice ed a una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti inviolabili è sicuramente tra i grandi principi di civiltà giuridica in ogni sistema democratico del nostro tempo.
Tuttavia, proprio con riguardo ad ipotesi di immunità dalla giurisdizione degli Stati introdotte dalla normativa internazionale, questa Corte ha riconosciuto che nei rapporti con gli Stati stranieri il diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale possa subire un limite ulteriore rispetto a quelli imposti dall’art. 10 Cost. Ma il limite deve essere giustificato da un interesse pubblico riconoscibile come potenzialmente preminente su un principio, quale quello dell’art. 24 Cost., annoverato tra i “principi supremi” dell’ordinamento costituzionale (sentenza n. 18 del 1982); inoltre la norma che stabilisce il limite deve garantire una rigorosa valutazione di tale interesse alla stregua delle esigenze del caso concreto (sentenza n. 329 del 1992).
Nella specie, la norma consuetudinaria internazionale sull’immunità dalla giurisdizione degli Stati stranieri, con la portata definita dalla CIG, nella parte in cui esclude la giurisdizione del giudice a conoscere delle richieste di risarcimento dei danni delle vittime di crimini contro l’umanità e di gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona, determina il sacrificio totale del diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti delle suddette vittime: il che è peraltro riconosciuto dalla stessa CIG, che rinvia la soluzione della questione, sul piano internazionale, ad eventuali nuovi negoziati, individuando nella sede diplomatica l’unica sede utile (punto 104 della sentenza del 3 febbraio 2012). Né si ravvisa, nell’ambito dell’ordinamento costituzionale, un interesse pubblico tale da risultare preminente al punto da giustificare il sacrificio del diritto alla tutela giurisdizionale di diritti fondamentali (artt. 2 e 24 Cost.), lesi da condotte riconosciute quali crimini gravi.
L’immunità dalla giurisdizione degli altri Stati, se ha un senso, logico prima ancora che giuridico, comunque tale da giustificare, sul piano costituzionale, il sacrificio del principio della tutela giurisdizionale dei diritti inviolabili garantito dalla Costituzione, deve collegarsi – nella sostanza e non solo nella forma – con la funzione sovrana dello Stato straniero, con l’esercizio tipico della sua potestà di governo.
Anche in una prospettiva di realizzazione dell’obiettivo del mantenimento di buoni rapporti internazionali, ispirati ai principi di pace e giustizia, in vista dei quali l’Italia consente a limitazioni di sovranità (art. 11 Cost.), il limite che segna l’apertura dell’ordinamento italiano all’ordinamento internazionale e sovranazionale (artt. 10 ed 11 Cost.) è costituito, come questa Corte ha ripetutamente affermato (con riguardo all’art. 11 Cost.: sentenze n. 284 del 2007, n. 168 del 1991, n. 232 del 1989, n. 170 del 1984, n. 183 del 1973; con riguardo all’art. 10, primo comma, Cost.: sentenze n. 73 del 2001, n. 15 del 1996 e n. 48 del 1979; anche sentenza n. 349 del 2007), dal rispetto dei principi fondamentali e dei diritti inviolabili dell’uomo, elementi identificativi dell’ordinamento costituzionale. E ciò è sufficiente ad escludere che atti quali la deportazione, i lavori forzati, gli eccidi, riconosciuti come crimini contro l’umanità, possano giustificare il sacrificio totale della tutela dei diritti inviolabili delle persone vittime di quei crimini, nell’ambito dell’ordinamento interno.
L’immunità dello Stato straniero dalla giurisdizione del giudice italiano consentita dagli artt. 2 e 24 Cost. protegge la funzione, non anche comportamenti che non attengono all’esercizio tipico della potestà di governo, ma sono espressamente ritenuti e qualificati illegittimi, in quanto lesivi di diritti inviolabili, come riconosciuto, nel caso in esame, dalla stessa CIG e, dinanzi ad essa, dalla RFG (supra, punto 3.1.), ma ciò nonostante sprovvisti di rimedi giurisdizionali, come pure è attestato nella sentenza della CIG, nella parte ove dichiara di non ignorare «che l’immunità dalla giurisdizione riconosciuta alla Germania conformemente al diritto internazionale può impedire ai cittadini italiani interessati una riparazione giudiziaria» (punto 104), auspicando conseguentemente la riapertura di negoziati.
Pertanto, in un contesto istituzionale contraddistinto dalla centralità dei diritti dell’uomo, esaltati dall’apertura dell’ordinamento costituzionale alle fonti esterne (sentenza n. 349 del 2007), la circostanza che per la tutela dei diritti fondamentali delle vittime dei crimini di cui si tratta, ormai risalenti, sia preclusa la verifica giurisdizionale rende del tutto sproporzionato il sacrificio di due principi supremi consegnati nella Costituzione rispetto all’obiettivo di non incidere sull’esercizio della potestà di governo dello Stato, allorquando quest’ultima si sia espressa, come nella specie, con comportamenti qualificabili e qualificati come crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona, in quanto tali estranei all’esercizio legittimo della potestà di governo.
Vale, infine, precisare che il diritto al giudice sancito dalla Costituzione italiana, come in tutti gli ordinamenti democratici, richiede una tutela effettiva dei diritti dei singoli (sull’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti ex art. 24 Cost., tra le tante, di recente, sentenze n. 182 del 2014 e n. 119 del 2013; anche sentenze n. 281 del 2010 e n. 77 del 2007).
Questa Corte, che pure aveva, come sopra ricordato, riconosciuto che il sistema di controllo giurisdizionale previsto per l’ordinamento comunitario appariva rispondere ai caratteri di un sistema di tutela giurisdizionale equivalente a quello richiesto dall’art. 24 Cost. (sentenza n. 98 del 1965), ha espresso una valutazione diversa di fronte alla prassi della stessa Corte di giustizia UE di differire gli effetti favorevoli di una sentenza su rinvio pregiudiziale anche per le parti che avevano fatto valere i diritti poi riconosciuti, così vanificando la funzione del rinvio pregiudiziale, riducendo vistosamente l’effettività della tutela giurisdizionale richiesta e pertanto non rispondendo in parte qua a quanto richiesto dal diritto al giudice sancito dalla Costituzione italiana (sentenza n. 232 del 1989, che indusse la Corte di giustizia UE a mutare la sua giurisprudenza in proposito).
Significativo è del pari che la Corte di giustizia UE, in riferimento all’impugnazione di un regolamento del Consiglio che disponeva il congelamento dei beni delle persone inserite in un elenco di presunti terroristi predisposto da un organo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (comitato delle sanzioni), ha anzitutto respinto la tesi del Tribunale di primo grado che aveva sostanzialmente stabilito il difetto di giurisdizione del giudice comunitario, affermandone il dovere di garantire il controllo di legittimità di tutti gli atti dell’Unione, anche di quelli che attuano risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La Corte ha poi affermato che gli obblighi derivanti da un accordo internazionale non possono violare il principio del rispetto dei diritti fondamentali che deve caratterizzare tutti gli atti dell’Unione. L’esito è stato l’annullamento del regolamento comunitario, per quanto di ragione, per la violazione del principio di tutela giurisdizionale effettiva e la mancanza, nel sistema delle Nazioni Unite, di un adeguato meccanismo di controllo del rispetto dei diritti fondamentali (Corte di giustizia UE, sentenza 3 settembre 2008, cause C-402 P e 415/05 P, punti 316 e seguenti, 320 e seguenti).
3.5. – Nella specie, l’insussistenza della possibilità di una tutela effettiva dei diritti fondamentali mediante un giudice, rilevata, come detto, dalla CIG e confermata, dinanzi alla predetta, dalla RFG, rende manifesto il denunciato contrasto della norma internazionale, come definita dalla predetta CIG, con gli artt. 2 e 24 Cost.
Tale contrasto, laddove la norma internazionale sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati comprende anche atti ritenuti iure imperii in violazione del diritto internazionale e dei diritti fondamentali della persona, impone a questa Corte di dichiarare che rispetto a quella norma, limitatamente alla parte in cui estende l’immunità alle azioni di danni provocati da atti corrispondenti a violazioni così gravi, non opera il rinvio di cui al primo comma dell’art. 10 Cost. Ne consegue che la parte della norma sull’immunità dalla giurisdizione degli Stati che confligge con i predetti principi fondamentali non è entrata nell’ordinamento italiano e non vi spiega, quindi, alcun effetto.
La questione prospettata dal giudice rimettente con riguardo alla norma «prodotta nel nostro ordinamento mediante il recepimento, ai sensi dell’art. 10, primo comma, Cost.», della norma consuetudinaria di diritto internazionale sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati è, dunque, non fondata, considerato che la norma internazionale alla quale il nostro ordinamento si è conformato in virtù dell’art. 10, primo comma, Cost. non comprende l’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile in relazione ad azioni di danni derivanti da crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona, i quali risultano per ciò stesso non privi della necessaria tutela giurisdizionale effettiva.
4.– Diversamente va valutata la questione di legittimità costituzionale sollevata nei confronti dell’art. 1 della legge di adattamento alla Carta delle Nazioni Unite (legge 17 agosto 1957, n. 848). Tale disposizione è censurata per violazione degli artt. 2 e 24 Cost., nella parte in cui, dando esecuzione alla Carta delle Nazioni Unite, ed in specie all’art. 94 della medesima, che prescrive che «ciascun membro delle Nazioni Unite si impegna a conformarsi alla decisione della CIG in ogni controversia di cui esso sia parte», impone espressamente all’ordinamento interno di adeguarsi alla pronuncia della CIG anche quando essa, come nella specie, ha stabilito l’obbligo del giudice italiano di negare la propria giurisdizione in riferimento ad atti di quello Stato che consistano in violazioni gravi del diritto internazionale umanitario e dei diritti fondamentali quali i crimini di guerra e contro l’umanità.
4.1.– La questione è fondata nei limiti di seguito precisati.
L’art. 1 della legge n. 848 del 1957 ha provveduto a dare «piena ed intera esecuzione» allo Statuto delle Nazioni Unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945, il cui scopo è il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Fra gli organi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite è istituita la CIG (art. 7), organo giudiziario principale delle Nazioni Unite (art. 92), le cui decisioni vincolano ciascuno Stato membro in ogni controversia di cui esso sia parte (art. 94). Tale vincolo, che spiega i suoi effetti nell’ordinamento interno tramite la legge di adattamento speciale (autorizzazione alla ratifica e ordine di esecuzione), costituisce una delle ipotesi di limitazione di sovranità alle quali lo Stato italiano ha consentito in favore di quelle organizzazioni internazionali, come l’ONU, volte ad assicurare pace e giustizia fra le Nazioni, ai sensi dell’art. 11 Cost., sempre però nel limite del rispetto dei principi fondamentali e dei diritti inviolabili tutelati dalla Costituzione (sentenza n. 73 del 2001). Ora, la previsione dell’obbligo di conformarsi alle decisioni della CIG, che discende dal recepimento dell’art. 94 della Carta delle Nazioni Unite, non può non riguardare anche la sentenza con la quale la predetta Corte ha imposto allo Stato italiano di negare la propria giurisdizione nelle cause civili di risarcimento del danno per i crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona, commessi dal Terzo Reich nel territorio italiano.
Ed è comunque con esclusivo e specifico riguardo al contenuto della sentenza della CIG, che ha interpretato la norma internazionale generale sull’immunità dalla giurisdizione degli Stati stranieri come comprensiva dell’ipotesi di atti ritenuti iure imperii qualificati come crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona, che si delinea il contrasto della legge di adattamento alla Carta delle Nazioni Unite con gli artt. 2 e 24 Cost. Considerato che, come si è già ricordato più volte, la tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali costituisce uno dei “principi supremi dell’ordinamento costituzionale”, ad esso non può opporre resistenza la norma denunciata (l’art. 1 della legge di adattamento), limitatamente alla parte in cui vincola lo Stato italiano, e per esso il giudice, a conformarsi alla sentenza del 3 febbraio 2012 della CIG, che lo costringe a negare la propria giurisdizione in ordine alle azioni di risarcimento danni per crimini contro l’umanità, in palese violazione del diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali.
Per il resto, è del tutto ovvio che rimane inalterato l’impegno dello Stato italiano al rispetto di tutti gli obblighi internazionali derivanti dall’adesione alla Carta delle Nazioni Unite, ivi compreso il vincolo ad uniformarsi alle decisioni della CIG.
L’impedimento all’ingresso nel nostro ordinamento della norma convenzionale, sia pure esclusivamente in parte qua, si traduce – non potendosi incidere sulla legittimità di una norma esterna – nella dichiarazione di illegittimità della legge di adattamento speciale limitatamente a quanto contrasta con i conferenti principi costituzionali fondamentali (sentenza n. 311 del 2009).
Ciò è conforme alla prassi costante di questa Corte, come emerge significativamente dalla sentenza n. 18 del 1982 con cui questa Corte ha dichiarato, tra l’altro, «l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 27 maggio 1929, n. 810 (Esecuzione del Trattato, dei quattro allegati annessi, e del Concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e l’Italia, l’11 febbraio 1929), limitatamente all’esecuzione data all’art. 34, commi quarto, quinto e sesto, del Concordato, e dell’art. 17, della legge 27 maggio 1929, n. 847 (Disposizioni per l’applicazione del Concordato dell’11 febbraio 1929 tra la Santa Sede e l’Italia, nella parte relativa al matrimonio), nella parte in cui le suddette norme prevedono che la Corte d’appello possa rendere esecutivo agli effetti civili il provvedimento ecclesiastico, col quale è accordata la dispensa dal matrimonio rato e non consumato, e ordinare l’annotazione nei registri dello stato civile a margine dell’atto di matrimonio» (nello stesso senso, fra le tante, sentenze n. 223 del 1996, n. 128 del 1987, n. 210 del 1986 e n. 132 del 1985).
Rimane ferma e indiscussa la perdurante validità ed efficacia della legge di adattamento n. 848 del 1957 per la parte restante.
Deve, pertanto, dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge di adattamento n. 848 del 1957, limitatamente all’esecuzione data all’art. 94 della Carta delle Nazioni Unite, esclusivamente nella parte in cui obbliga il giudice italiano ad adeguarsi alla pronuncia della CIG del 3 febbraio 2012, che gli impone di negare la propria giurisdizione in riferimento ad atti di uno Stato straniero che consistano in crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona.
5.– Occorre, infine, esaminare la questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto l’art. 3 della legge n. 5 del 2013. Sulla base di argomenti analoghi a quelli svolti a sostegno delle altre questioni (supra, punto 3. e seguenti), il giudice rimettente solleva, in riferimento agli artt. 2 e 24 Cost., il dubbio di legittimità costituzionale del predetto articolo, nella parte in cui obbliga il giudice nazionale ad adeguarsi alla pronuncia della CIG anche quando essa, come nella specie, gli impone di negare la propria giurisdizione di cognizione nella causa civile di risarcimento del danno per crimini contro l’umanità, ritenuti iure imperii, commessi dal Terzo Reich nel territorio italiano. Tale articolo, infatti, impedendo l’accertamento giurisdizionale e l’eventuale condanna delle gravi violazioni dei diritti fondamentali subìte dalle vittime dei crimini di guerra e contro l’umanità, perpetrati sul territorio dello Stato italiano investito dall’obbligo di tutela giurisdizionale, ma commessi da altro Stato nell’esercizio, ancorché illegittimo, dei poteri sovrani, contrasterebbe con il principio di tutela giurisdizionale dei diritti inviolabili, consacrato negli artt. 2 e 24 Cost.
5.1.– La questione è fondata.
La norma censurata si inserisce nell’ambito della legge n. 5 del 2013, con la quale l’Italia ha disposto l’autorizzazione all’adesione e la piena ed intera esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, adottata a New York il 2 dicembre 2004. Tale Convenzione, che entrerà in vigore trenta giorni dopo la data del deposito del trentesimo strumento di ratifica, è volta a recepire, in via convenzionale, il principio del diritto internazionale consuetudinario dell’immunità giurisdizionale degli Stati generalmente riconosciuto, delimitandone l’ambito di operatività mediante l’individuazione dei casi di esenzione (quali, ad esempio, quelli inerenti alle transazioni commerciali, ai contratti di lavoro ed alle lesioni all’integrità fisica delle persone: artt. 10, 11 e 12), al fine di garantire «la certezza del diritto, in particolare nei rapporti tra gli Stati e le persone fisiche e giuridiche» (così nel preambolo). Il legislatore italiano, pertanto, con la citata legge di adattamento speciale n. 5 del 2013, ha provveduto a recepire nell’ordinamento interno la suddetta Convenzione, mediante la richiamata previsione dell’autorizzazione all’adesione (art. 1), nonché mediante la formula dell’ordine di esecuzione (art. 2), vincolandosi a rispettarne tutti i precetti. Esso ha, tuttavia, anche inserito il censurato art. 3, con il quale ha testualmente disposto che «1. Ai fini di cui all’articolo 94, paragrafo 1, dello Statuto delle Nazioni Unite, […] quando la CIG, con sentenza che ha definito un procedimento di cui è stato parte lo Stato italiano, ha escluso l’assoggettamento di specifiche condotte di altro Stato alla giurisdizione civile, il giudice davanti al quale pende controversia relativa alle stesse condotte rileva, d’ufficio e anche quando ha già emesso sentenza non definitiva passata in giudicato che ha riconosciuto la sussistenza della giurisdizione, il difetto di giurisdizione in qualunque stato e grado del processo. 2. Le sentenze passate in giudicato in contrasto con la sentenza della CIG di cui al comma 1, anche se successivamente emessa, possono essere impugnate per revocazione, oltre che nei casi previsti dall’articolo 395 del codice di procedura civile, anche per difetto di giurisdizione civile e in tale caso non si applica l’articolo 396 del citato codice di procedura civile».
Si tratta, nella sostanza, di una disposizione di adattamento ordinario, diretta alla esecuzione della sentenza della CIG del 3 settembre 2012. Con tale articolo, in altri termini, si è provveduto a disciplinare puntualmente l’obbligo dello Stato italiano di conformarsi a tutte le decisioni con le quali la CIG abbia escluso l’assoggettamento di specifiche condotte di altro Stato alla giurisdizione civile, imponendo al giudice di rilevare d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo, il difetto di giurisdizione, e giungendo fino al punto di individuare un ulteriore caso di impugnazione per revocazione delle sentenze passate in giudicato, rese in contrasto con la decisione della CIG.
Dall’esame dei lavori parlamentari risulta con evidenza che tale articolo è stato adottato, peraltro a breve distanza dalla sentenza del 3 febbraio 2012 della CIG, al fine di garantirne espressamente ed immediatamente il rispetto ed «evitare situazioni incresciose come quelle createsi con il contenzioso dinanzi alla Corte dell’Aja» (atti Camera n. 5434, Commissione III Affari Esteri, seduta del 19 settembre 2012).
E ciò senza escludere le ipotesi in cui la CIG, come nel caso della sentenza del 3 febbraio 2012, abbia affermato l’immunità dalla giurisdizione civile degli Stati in relazione ad azioni risarcitorie di danni prodotti da atti che siano configurabili quali crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona, anche ove posti in essere dalle forze armate dello Stato sul territorio dello Stato del foro. In tal modo la norma impugnata deroga anche a quanto espressamente previsto dalla stessa Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, come risulta confermato dalla dichiarazione interpretativa depositata, unitamente all’adesione, dal Governo italiano, nella quale si esclude espressamente l’applicazione della Convenzione e delle limitazioni in essa previste alla regola dell’immunità nel caso di danni o lesioni prodotte dalle attività delle forze armate sul territorio dello Stato del foro.
L’obbligo del giudice italiano, stabilito dal censurato art. 3, di adeguarsi alla pronuncia della CIG del 3 febbraio 2012, che gli impone di negare la propria giurisdizione nella causa civile di risarcimento del danno per crimini contro l’umanità, commessi iure imperii da uno Stato straniero nel territorio italiano, senza che sia prevista alcuna altra forma di riparazione giudiziaria dei diritti fondamentali violati, si pone, pertanto, come si è già ampiamente dimostrato in relazione alle precedenti questioni (supra, punti 3. e 4.), in contrasto con il principio fondamentale della tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali assicurata dalla Costituzione italiana agli artt. 2 e 24 Cost. Come si è già osservato, il totale sacrificio che si richiede ad uno dei principi supremi dell’ordinamento italiano, quale senza dubbio è il diritto al giudice a tutela di diritti inviolabili, sancito dalla combinazione degli artt. 2 e 24 della Costituzione repubblicana, riconoscendo l’immunità dello Stato straniero dalla giurisdizione italiana, non può giustificarsi ed essere tollerato quando ciò che si protegge è l’esercizio illegittimo della potestà di governo dello Stato straniero, quale è in particolare quello espresso attraverso atti ritenuti crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona.
Deve, pertanto, dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge n. 5 del 2013.
6.– L’affermazione della giurisdizione del giudice rimettente lascia impregiudicato il merito delle domande proposte nei giudizi principali, il cui esame resta a lui riservato.
La pretesa di danni avanzata dai ricorrenti, infatti, non rientra nel thema decidendum attribuito al giudizio di questa Corte, per ciò stesso neppure la valutazione di ogni elemento di fatto o di diritto che ne confermi ovvero ne escluda il fondamento.