Ritenuto in fatto
1.− Con ricorso spedito per la notifica il 5 febbraio 2013 e ricevuto l’8 febbraio 2013, iscritto al n. 19 del registro ricorsi dell’anno 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 17, 35 e 37 della legge della Regione Toscana 3 dicembre 2012, n. 69 (Legge di semplificazione dell’ordinamento regionale 2012).
Il ricorrente censura, innanzitutto, l’art. 1 della citata legge il quale modifica l’art. 2 della legge della Regione Toscana 3 gennaio 1995, n. 3 (Norme sull’attività di tassidermia e imbalsamazione).
Censura inoltre gli artt. 2 e 3 della legge impugnata i quali abrogano gli artt. 3 e 4 della legge reg. n. 3 del 1995 che, ai sensi della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), disciplinavano l’acceso all’attività di tassidermia subordinandolo ad apposita autorizzazione regionale attraverso una specifica abilitazione rilasciata dalla Regione, a seguito di superamento di un esame, nonché di una dichiarazione di inizio attività.
Le disposizioni impugnate non solo prevedono la Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) in luogo della preesistente Denuncia di inizio attività (DIA), ma altresì abrogano le disposizioni relative all’abilitazione tramite esame, prevedendo, in sostituzione, l’obbligo di frequenza di un corso di formazione professionale obbligatorio i cui contenuti devono essere definiti dalla Regione entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge regionale.
In tal modo gli artt. 1, 2 e 3 violerebbero l’art. 117, terzo comma, della Costituzione atteso che secondo il costante orientamento della giurisprudenza costituzionale nella materia concorrente delle professioni la potestà legislativa regionale deve rispettare il principio per cui la individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, alla normativa dello Stato, mentre rientra nella competenza regionale la disciplina degli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale (come precisato nelle sentenze n. 300 del 2010, n. 57 del 2007, nn. 424 e 153 del 2006).
2.– Il ricorrente impugna, altresì, l’art. 17 della legge reg. n. 69 del 2012 il quale sostituisce l’art. 41 della legge della Regione Toscana 27 luglio 2004, n. 38 (Norme per la disciplina della ricerca, della coltivazione e dell’utilizzazione delle acque minerali, di sorgente e termali), e prevede che l’avvio di un’attività di utilizzazione dell’acqua minerale naturale e di sorgente sia assoggettato a SCIA, attestante il possesso dei requisiti previsti dall’art 42 e dal regolamento (CE) 29 aprile 2004, n. 852/2004 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull’igiene dei prodotti alimentari). Il comma 4, inoltre, stabilisce che l’azienda USL «può effettuare entro trenta giorni dal ricevimento della SCIA di cui al comma 1, un sopralluogo di verifica presso la sede dell’attività di utilizzazione dell’acqua minerale naturale e di sorgente».
Tale disposizione contrasterebbe con gli artt. 6 e 22 del decreto legislativo 8 ottobre 2011, n. 176 (Attuazione della direttiva 2009/54/CE, sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali), che subordina l’utilizzazione dell’acqua minerale naturale e di sorgente ad autorizzazione regionale rilasciata «previo accertamento che gli impianti destinati all’utilizzazione siano realizzati in modo da escludere ogni pericolo di inquinamento e da conservare all’acqua le proprietà esistenti alla sorgente corrispondenti alla sua qualificazione». Inoltre gli artt. 7 e 23 del citato decreto stabiliscono che gli accertamenti devono essere effettuati dagli organi regionali per il rilascio dell’autorizzazione.
Ebbene, la previsione della SCIA, la quale costituisce una forma di controllo successivo, in luogo dell’autorizzazione, che costituisce una forma di controllo preventivo, esporrebbe i cittadini al pericolo di danni per la salute, tenuto anche conto della circostanza che la normativa regionale prevede che i sopralluoghi della ASL siano meramente facoltativi.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 244 del 2012, nel dichiarare non fondate le censure prospettate proprio dalla Regione Toscana in relazione agli artt. 6, 7, comma 1, 22 e 23 del d.lgs. n. 176 del 2011, ha affermato che l’autorizzazione, essendo prevista dalla normativa comunitaria, non può essere derogata dalla Regione, e che il legislatore comunitario, nell’esercizio della sua discrezionalità, ha ritenuto prevalente l’esigenza di tutela della salute dei consumatori rispetto a quella di semplificazione della attività amministrativa.
Inoltre la Corte ha affermato che il d.lgs. n. 176 del 2011 contiene una disciplina di principio della materia non modificabile dalla fonte regionale, pena la mancata o incompleta attuazione dell’atto comunitario.
Conseguentemente, la disposizione impugnata viola l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto contrasta con il d.lgs. n. 176 del 2011 che detta una disciplina di principio in materia di tutela della salute, nonché l’art. 117, primo comma, Cost. dal momento che, disattendendo le previsioni della normativa comunitaria, la quale subordina ad autorizzazione l’utilizzazione di una sorgente d’acqua minerale naturale, si pone in contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.
3.– È censurato, altresì, l’art. 35 della legge reg. n. 69 del 2012 il quale sostituisce l’art. 16 della legge della Regione Toscana 24 febbraio 2005, n. 39 (Disposizioni in materia di energia), prevedendo, al comma 1, che: «Gli interventi di cui ai commi 3 e 4 sono soggetti a SCIA, ai fini degli adempimenti in materia edilizia e di energia, nel rispetto delle disposizioni di cui al titolo VI della L.R. n. 1/2005, delle disposizioni di cui ai commi 2, 5 e 6, del presente articolo, nonché nel rispetto degli articoli 3, 3-bis, 3-ter, 8, 10, 18, 20, 21, 26, 39 e 42, della presente legge».
Tale disposizione violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. con riguardo alla materia di governo del territorio e protezione civile nella parte in cui prevede il rispetto dell’art. 10 della legge reg. n. 39 del 2005. Quest’ultimo articolo, infatti, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge della Regione Toscana 18 giugno 2012, n. 29 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2012), ha escluso talune opere dal rilascio delle autorizzazioni per l’inizio dei lavori nelle zone sismiche. Il ricorrente ricorda che proprio in relazione a tali disposizioni il Consiglio dei ministri, nella seduta del 3 agosto 2012, aveva deliberato l’impugnativa della suddetta legge regionale.
La previsione censurata contrasterebbe con l’art. 19, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), il quale stabilisce che le disposizioni in materia di SCIA non si applicano ai casi previsti dalla normativa per le costruzioni in zona sismica.
Inoltre, la violazione dei principi fondamentali della normativa statale che impongono specifici obblighi agli enti regionali sarebbe dimostrata dalla abrogazione, ad opera dell’art. 32 della legge reg. n. 69 del 2012, dell’art. 12, comma 5, legge reg. n. 39 del 2005 il quale prevedeva la possibilità per la Regione di intervenire nel procedimento e nella conferenza di servizi per il rilascio dell’autorizzazione unica, al fine di assicurare il coordinamento interregionale e infraregionale.
Sarebbe altresì dimostrata dalla abrogazione, ad opera dell’art. 47, comma 5, della legge censurata, dell’art. 39, comma 2, lettera k), legge reg. n. 39 del 2005 il quale prevedeva che il regolamento regionale di attuazione della suddetta legge disciplinasse le modalità e le forme di redazione e di presentazione degli elaborati progettuali e della documentazione (di cui all’art. 10, commi 5 e 6) da presentare ai competenti uffici regionali ai fini della prevenzione del rischio sismico.
4.– È impugnato, inoltre, l’art. 37, il quale sostituisce l’art. 17 della legge reg. n. 39 del 2005. Tale disposizione, ai commi 2, lettere a), b) e f), 3, lettera a), 5, lettere a), b) e c), e 11, individua gli interventi concernenti l’installazione di impianti a fonti rinnovabili che producono energia elettrica e termica per i quali non è necessario il titolo abilitativo.
La norma impugnata, disciplinando il regime abilitativo dei suddetti interventi in modo difforme rispetto a quanto previsto dalla normativa statale ed in particolare dal decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), e dal decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro per i beni e le attività culturali 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabil), contrasterebbe con il principio fondamentale della materia dei regimi di abilitazione alla costruzione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.
In particolare, il ricorrente evidenzia i seguenti profili di incostituzionalità:
a) mentre l’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2011 consente la comunicazione di inizio lavori secondo il regime di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), ovvero del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115 (Attuazione della direttiva 2006/32/CE relativa all’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici e abrogazione della direttiva 93/76/CEE), ove ricorrano specifiche condizioni, l’art. 17, comma 2, lettere a) e b), della legge reg. n. 39 del 2005 – come modificato dall’art. 37 della legge reg. n. 69 del 2012 – pur prevedendo per gli stessi interventi la comunicazione, non specifica quale delle due tipologie si debba applicare, né recepisce le condizioni previste dalla normativa statale per l’applicazione del regime semplificato;
b) mentre l’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 consente alle Regioni di prevedere il regime della comunicazione per gli impianti a fonte rinnovabile qualunque essa sia, vale a dire tanto se producono energia elettrica o termica, purché si tratti di impianti con potenza non superiore a 50 KW, l’art. 17, comma 2, lettera f), della legge reg. n. 39 del 2005 prevede il regime della comunicazione per gli impianti alimentati da biomassa fino a 0,5 MW termici, e quindi con potenza superiore a 50 KW;
c) in base al combinato disposto dell’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 e del paragrafo 12.5, lettera a), dell’allegato al d.m. 10 settembre 2010, il regime della comunicazione si applica ai singoli generatori eolici purché collocati su edifici esistenti e aventi una potenza nominale massima di 50 KW. L’art. 17, comma 3, lettera a), della legge reg. n. 39 del 2005, invece, non prevede tale ultimo limite ed estende la comunicazione anche agli impianti non collocati su edifici;
d) l’art. 17, comma 5, lettera a), della legge reg. n. 39 del 2005 contrasta con l’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 in quanto, nell’assoggettare al regime della comunicazione anche gli impianti di produzione di energia elettrica e termica alimentati da fonti rinnovabili, non fissa il limite di potenza fino a 50 KW stabilito dalla normativa statale;
e) l’art. 17, comma 5, lettera b), della legge reg. n. 39 del 2005 assoggetta a comunicazione di inizio lavori gli impianti che producono energia elettrica aventi una capacità di generazione compatibile con il regime di scambio sul posto (i quali sono quelli con capacità di generazione fino a 200 KW e in taluni casi superiore) in contrasto con quanto statuito dall’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 il quale prevede per l’applicazione del regime della comunicazione il limite di potenza fino a 50 KW;
f) il comma 5, lettera c), della disposizione regionale in parola contrasta con l’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2011 in quanto assoggetta a comunicazione gli impianti solari senza richiamare le condizioni previste dalla legge statale, nonché in quanto non specifica a quale comunicazione faccia riferimento (se quella di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, ovvero a quella del d.lgs. n. 115 del 2008). Inoltre contrasta con l’art. 7, comma 5, del medesimo d.lgs. n. 28 del 2011 perché consente la collocazione di detti impianti anche oltre i casi previsti dalla normativa statale (edifici e spazi liberi privati annessi).
Ulteriori censure vengono mosse avverso l’art. 17, comma 11, della legge reg. n. 39 del 2005 come modificato dalla legge reg. n. 69 del 2012. Tale disposizione, stabilendo che non è necessario il titolo abilitativo per le modifiche e manutenzioni degli impianti di cui agli artt. 11, 13, 15, 16, comma 3, e 16-bis, comma 4, esistenti o in corso di realizzazione, assoggetta tutte le modifiche degli impianti, siano esse sostanziali o meno, alla mera comunicazione. In tal modo la norma impugnata viola l’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011 il quale rinvia ad un apposito decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza unificata, la individuazione degli interventi di modifica sostanziale degli impianti da fonti rinnovabili da assoggettare ad autorizzazione, e detta in via transitoria criteri per individuare le modifiche non sostanziali da assoggettare alla procedura abilitativa semplificata (PAS).
Ad avviso del ricorrente, la norma regionale, nell’assoggettare tutte le modifiche impiantistiche al regime di libera attività, contrasta con la richiamata disposizione statale che assoggetta in via transitoria a PAS (la quale, sebbene costituisca un regime semplificato, è pur sempre più stringente della mera comunicazione) le sole modifiche non sostanziali e per i soli impianti esistenti.
Quanto alle modifiche sostanziali, il legislatore statale, in attesa della adozione di apposito decreto interministeriale, ha fatto salvo il principio della identità di forma tra il provvedimento abilitativo originario e la sua variante.
Conseguentemente, la disposizione impugnata violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto l’individuazione del regime abilitativo delle modifiche costituisce principio fondamentale della materia «produzione trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», atteso che detto regime non può che essere omogeneo su tutto il territorio nazionale onde evitare ingiustificate discriminazioni tra iniziative economiche ed assicurare «un equilibrio tra la competenza esclusiva statale in materia di ambiente e paesaggio e quella concorrente in materia di energia».
5.– La Regione Toscana, costituitasi in giudizio, ha sostenuto che le censure svolte dalla Stato sono inammissibili o infondate.
Ad avviso della resistente gli artt. 1, 2 e 3 della legge reg. n. 69 del 2012 sarebbero espressione della competenza attribuita alla Regione dall’art. 6 della legge n. 157 del 1992 a disciplinare, con apposito regolamento, l’attività di tassidermia e imbalsamazione.
La legge regionale impugnata da un lato avrebbe inteso ribadire la necessità della acquisizione di specifica preparazione per coloro che svolgono tale attività; dall’altro lato avrebbe voluto superare la previgente scelta legislativa della Regione che richiedeva il superamento di un esame prevedendo, in suo luogo, un sistema di qualificazione con svolgimento di un corso obbligatorio. E ciò la Regione avrebbe fatto ispirandosi ai nuovi principi statali volti ad attuare la semplificazione dei rapporti tra cittadini, imprese e istituzioni.
In tal modo le norme impugnate non darebbero vita ad una nuova figura professionale, ma, in attuazione dell’art. 6 della legge n. 157 del 1992, avrebbero introdotto «un nuovo sistema di acquisizione della conoscenza».
6.– Riguardo alle censure aventi ad oggetto l’art. 17 della legge reg. n. 69 del 2012, la resistente sostiene che l’iter di formazione di detta legge era già in uno stadio avanzato (essendo stato il relativo progetto licenziato dalla Giunta regionale il 27 agosto 2012) allorché è intervenuta la sentenza n. 244 del 2012 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di costituzionalità prospettate dalla Regione Toscana aventi ad oggetto le norme del d.lgs. n. 176 del 2011 che imponevano alle Regioni il rilascio dell’autorizzazione per l’avvio dell’attività di utilizzazione delle acque naturali e di sorgente.
La resistente afferma che sarebbe in fase di predisposizione una proposta di legge di modifica della norma impugnata allo scopo di renderla conforme alle disposizioni del d.lgs. n. 176 citato.
7.– Inammissibile sarebbe la doglianza avente ad oggetto l’art. 35, atteso che essa non risponderebbe ai requisiti di chiarezza e completezza per la proposizione delle questioni di legittimità nei giudizi in via principale.
La Regione fa inoltre presente che non le sarebbe mai stato notificato un ricorso dello Stato avverso la legge reg. n. 29 del 2012 avanti alla Corte costituzionale.
Nel merito, la resistente sostiene che ove la censura si dovesse intendere nel senso che il ricorrente lamenta che la normativa regionale – attraverso il richiamo all’art. 10 della legge reg. n. 39 del 2005 − avrebbe esteso la previsione della SCIA anche per costruzioni in zone sismiche in contrato con l’art. 19 della legge n. 241 del 1990, con conseguente violazione di un principio fondamentale in materia di governo del territorio, essa sarebbe infondata.
L’art. 10, infatti, sarebbe norma generale che riguarda tutto il procedimento da seguire per ottenere titoli abilitativi (qualunque essi siano) per la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione, trasporto, trasmissione e distribuzione di energia, di impianti per la lavorazione e lo stoccaggio di oli minerali, gas naturali e liquefatti, nonché impianti di illuminazione esterna.
Inoltre esso richiama espressamente la necessità che tutti gli interventi disciplinati rispettino la normativa antisismica.
Solo con riguardo ai titoli abilitativi per la costruzione e l’esercizio delle linee elettriche aeree il comma 5 dell’art. 10 della legge reg. n. 39 del 2005 richiama una normativa speciale e ciò fa allo scopo di adeguare la disposizione legislativa a tre pronunce del Consiglio di Stato (sentenze n. 1526 e n. 1527 del 2008, n. 5278 del 2007) le quali hanno annullato i decreti del Ministro dei lavori pubblici del 21 dicembre 2000 e 9 aprile 1999 concernenti la normativa tecnica relativa alle linee aeree esterne.
Secondo quanto statuito dalle richiamate decisioni del giudice amministrativo, mentre a tutte le opere in conglomerato cementizio, normale, precompresso e a struttura metallica si applicano le norme in materia antisismica contenute nel d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), alla costruzione delle linee elettriche esterne si applica la normativa speciale di cui alla legge 28 giugno 1986, n. 339 (Nuove norme per la disciplina della costruzione e dell’esercizio di linee elettriche aeree esterne), e alla relativa normativa di attuazione. Pertanto, la disposizione regionale impugnata avrebbe inteso unicamente adeguare la normativa regionale a quanto stabilito dall’art. 2 della legge n. 339 del 1986.
Conseguentemente, il richiamo all’art. 10 contenuto nella disposizione impugnata non può essere interpretato nel senso che esso escluda per talune opere la necessità del rilascio dell’autorizzazione per l’inizio dei lavori in zone sismiche.
Inoltre il legislatore regionale avrebbe inteso adeguare la normativa concernente gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili allo specifico titolo abilitativo semplificato (PAS) in armonia con quanto previsto dall’art. 19 della legge n. 241 del 1990 e dall’art. 5 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106.
La norma impugnata, inoltre, rinviando alla legge della Regione Toscana 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio), che riguarda l’attività edilizia − la quale all’art. 84 stabilisce che il progettista che presenta la SCIA deve dare atto nella sua relazione del rispetto delle norme antisismiche − rende evidente che detta segnalazione non sostituisce i nulla osta e le autorizzazioni richieste a fini sismici la cui acquisizione è obbligatoria.
Inconferente sarebbe poi il richiamo all’abrogazione, disposta dall’art. 32, comma 2, della legge reg. n. 69 del 2012, dell’art. 12, comma 5, della legge reg. n. 39 del 2005 che prevedeva che, al fine di assicurare il coordinamento interregionale e infraregionale, la Regione potesse intervenire nel procedimento e nella conferenza di servizi di cui al comma 2. Tale abrogazione avrebbe avuto lo scopo di semplificare il procedimento unico per il rilascio dell’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di energia, posto che la disposizione regionale era priva di collegamento con i principi statali.
Né il ricorrente ha indicato quale norma statale di principio sarebbe stata violata dalla abrogazione dell’art. 12, comma 5.
Diversamente, nei casi in cui la normativa statale configura l’intervento della Regione come necessario, la normativa regionale è intervenuta con specifica disciplina.
8.– Riguardo alle censure relative all’art. 37, che ha sostituito l’art. 17 della legge reg. n. 39 del 2005, il quale disciplina una serie di interventi relativi all’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica e termica, la Regione osserva, preliminarmente, come la norma impugnata sia stata introdotta per la necessità di adeguare la normativa regionale alle norme statali in materia di semplificazione (in particolare, al d.l. n. 70 del 2011, al decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, recante «Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei cosiddetti “caroselli” e “cartiere”, di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori», convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73, alle linee guida dettate dal d.m. 10 settembre 2010, nonché al d.lgs. n. 28 del 2011, ai decreti-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, e 9 febbraio 2012, n. 5, recante «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo», convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35) nonché alle sentenze n. 313 del 2010 e n. 248 del 2006 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di talune disposizioni della legge reg. n. 39 del 2005.
Inoltre, alcune previsioni contenute nella disposizione impugnata costituirebbero legittimo esercizio della facoltà espressamente prevista al legislatore regionale di individuare ulteriori interventi edilizi da sottoporre al regime dell’attività libera, in conformità di quanto stabilito dall’art. 6, comma 6, del d.P.R. n. 380 del 2001 e dall’art. 11, comma 4, del d.lgs. n. 115 del 2008, i quali riguardano anche gli interventi relativi all’utilizzo di fonti alternative mediante apparecchi omogenei agli edifici per l’autoconsumo (come si evince dalla sentenza n. 313 del 2010).
Esaminando nel dettaglio le singole censure, la difesa regionale sostiene l’infondatezza di quelle relative all’art. 17, comma 2, lettere a) e b), della legge reg. n. 39 del 2005 come modificato dall’art. 37 della legge reg. n. 69 del 2012, con cui lo Stato deduce la violazione dell’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2011. Infatti tali ultime previsioni sarebbero state pedissequamente recepite rispettivamente dal comma 3, lettera b), e dal comma 6 dell’art. 17 della legge regionale.
Invece gli interventi previsti dall’art. 17, comma 2, lettere a) e b), riguarderebbero unicamente gli interventi minimi, per la produzione della sola energia termica destinata all’utilizzo diretto, relativi alla installazione di pannelli solari termici di sviluppo uguale o inferiore a 20 mq, ovvero ai pannelli solari per applicazioni nel settore vivaistico. Tali interventi sarebbero già sottoposti al solo regime edilizio. Argomentando diversamente, si dovrebbe ritenere che l’elencazione contenuta nell’art. 7 del d.lgs. n. 28 del 2011 sia tassativa e sostitutiva della vigente disciplina per gli impianti da fonti rinnovabili già sottoposti ad attività libera e ciò in contrasto con la direttiva 23 aprile 2009, n. 2009/28/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE – Testo rilevante ai fini del SEE), che persegue la finalità di incentivare il ricorso alla produzione di energia da fonti rinnovabili anche attraverso percorsi semplificati per l’installazioni di tali tipologie di impianti.
Infondate sarebbero, inoltre, le censure mosse avverso l’art. 37 nella parte in cui introduce l’art. 17, comma 2, lettera f), alla legge reg. n. 39 del 2005 per violazione dell’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011. Ad avviso della Regione, infatti, la disposizione statale evocata sarebbe inconferente atteso che essa avrebbe ad oggetto unicamente gli impianti di produzione di energia elettrica e non termica, di tal che il limite di 50 KW da essa prevista dovrebbe intendersi riferito unicamente ai KW elettrici, laddove invece la norma regionale fa riferimento alla sola potenza termica. Si tratterebbe peraltro di una previsione già contenuta nel testo originario della legge reg. n. 39 del 2005.
Inconferente sarebbe altresì il richiamo all’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 di cui si deduce la violazione ad opera dell’art. 17, comma 3, lettera a), della legge reg. n. 39 del 2005.
La disposizione statale, infatti, la quale prevede la possibilità per le Regioni di estendere il regime semplificato delle comunicazioni ai progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili con potenza nominale fino a 50 KW, riguarderebbe unicamente l’ipotesi in cui il legislatore regionale voglia individuare tipologie di interventi da sottoporre al regime di attività libera ulteriori rispetto a quelli già previsti ai sensi dei paragrafi 11 e 12 delle linee guida.
La disposizione regionale impugnata, invece, costituirebbe fedele riproduzione dell’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 115 del 2008 richiamato dal d.lgs. n. 28 del 2011 il quale dispone che «gli interventi di incremento dell’efficienza energetica che prevedano l’installazione di singoli generatori eolici con altezza complessiva non superiore a 1,5 metri e diametro non superiore a 1 metro, nonché di impianti solari termici o fotovoltaici aderenti o integrati nei tetti degli edifici con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda e i cui componenti non modificano la sagoma degli edifici stessi, sono considerati interventi di manutenzione ordinaria e non sono soggetti alla disciplina della denuncia di inizio attività di cui agli articoli 22 e 23» del d.P.R. n. 380 del 2001, «qualora la superficie dell’impianto non sia superiore a quella del tetto stesso».
Le censure relative all’art. 17, comma 5, lettere a), b) e c), benché formulate distintamente dal ricorrente, dovrebbero essere trattate unitariamente, atteso che solo dalla lettura complessiva delle disposizioni impugnate sarebbe possibile comprenderne la reale portata.
Il comma 5 prevede che non necessitino di titolo abilitativo due diverse tipologie di impianti di produzione energetica e cioè quelli realizzati in edifici esistenti, sempre che non alterino i volumi e le superfici, non comportino modifiche delle destinazioni d’uso, non riguardino le parti strutturali dell’edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento di parametri urbanistici ed alla ulteriore condizione che:
1) vi sia produzione di energia elettrica e la relativa capacità di generazione sia compatibile con il regime di scambio sul posto (lettera b);
2) vi sia produzione di calore e questo sia destinato alla climatizzazione o alla produzione di acqua calda sanitaria dell’edificio stesso (lettera c).
Anche in questo caso la Regione non prevederebbe nuove forme di semplificazione, ma si limiterebbe a recepire la disciplina statale che identifica gli interventi soggetti al regime di attività libera.
In particolare, quanto agli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, verrebbero in considerazione il paragrafo 12 delle linee guida e l’art. 123 del d.P.R. n. 380 del 2001, nonché il connesso art. 6, comma 1, lettera a), e comma 2, lettera a), dello stesso decreto.
Quanto agli impianti di produzione di calore da fonti rinnovabili di cui al combinato disposto delle lettere a) e c) del comma 5 dell’art. 17, la normativa recepirebbe le disposizioni dell’art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 28 del 2011.
Riguardo poi alle censure relative alla lettera b) del comma 5, la resistente sostiene che il parametro evocato sarebbe inconferente atteso che la norma regionale «non riguarda gli impianti solari termici che per loro intrinseca natura si posizionano sugli edifici, [e dunque] sul loro involucro e mai all’interno degli edifici».
Infondate sarebbero, infine, le censure relative all’art. 17, comma 11, il quale si limiterebbe a chiarire che, ove gli interventi di modifica o manutenzione degli impianti non comportino modifiche assoggettate a PAS o a SCIA, esse possono essere realizzate in regime di attività libera ai sensi degli artt. 16, 16-bis e 17 della legge reg. n. 39 del 2005.
Peraltro la disposizione censurata sarebbe stata contenuta nella stessa formulazione nel testo dell’art. 17 anteriore alle modifiche introdotte dalla legge reg. n. 69 del 2012.
In prossimità dell’udienza, la resistente ha depositato una memoria nella quale dà atto che, successivamente alla proposizione del ricorso, è stata emanata la legge della Regione Toscana 9 agosto 2013, n. 47 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2013), il cui art. 59 ha modificato l’art. 41 della legge reg. n. 38 del 2004 disponendo che l’avvio dell’attività di utilizzazione dell’acqua minerale naturale e di sorgente sia assoggettato al rilascio di autorizzazione, e non più a SCIA. In considerazioni di tali modifiche, la resistente ha chiesto che sia dichiarata la cessazione della materia del contendere con riguardo alle censure prospettate in relazione all’art. 17 della legge reg. n. 69 del 2012.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 17, 35 e 37 della legge della Regione Toscana 3 dicembre 2012, n. 69 (Legge di semplificazione dell’ordinamento regionale 2012).
2.– Il ricorrente impugna, innanzitutto, gli artt. 1, 2 e 3 della legge richiamata i quali modificano talune previsioni contenute nella legge della Regione Toscana 3 gennaio 1995, n. 3 (Norme sull’attività di tassidermia e imbalsamazione).
In particolare l’art. 1 della legge reg. n. 69 del 2012 modifica l’art. 2 della legge reg. n. 3 del 1995, mentre gli artt. 2 e 3 abrogano rispettivamente gli artt. 3 e 4 della legge reg. n. 3 del 1995.
Per effetto di tali modifiche nella Regione Toscana l’esercizio dell’attività di tassidermia ed imbalsamazione è subordinato alla presentazione, in luogo della denuncia di inizio attività (DIA) originariamente prevista, di una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) nella quale viene attestata la frequenza ad un corso di formazione professionale obbligatoria.
Vengono, inoltre, abrogate le disposizioni della legge reg. n. 3 del 1995 che subordinavano l’esercizio di tale attività al superamento di un esame di abilitazione, prevedendosi, in sostituzione, la frequenza obbligatoria di un corso di formazione, i cui contenuti sono rimessi ad un atto del dirigente della competente struttura regionale.
Il ricorrente sostiene che tali disposizioni violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto interverrebbero nella materia concorrente delle professioni senza rispettare il principio secondo il quale la individuazione delle figure professionali con i relativi profili e titoli abilitanti è riservata alla normativa dello Stato.
2.1.– La questione non è fondata.
Questa Corte, con orientamento ormai costante, ha affermato che «la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle “professioni” deve rispettare il principio secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale; tale principio, al di là della particolare attuazione ad opera dei singoli precetti normativi, si configura infatti quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale, da ciò derivando che non è nei poteri delle Regioni dar vita a nuove figure professionali» (da ultimo, sentenza n. 98 del 2013).
Una volta, però, che la legge statale abbia dato vita ad un’autonoma figura professionale «non si spiega per quale motivo le Regioni, dotate di potestà primaria in materia di formazione professionale, non possano regolare corsi di formazione relativi alle professioni […] già istituite dallo Stato, fermo restando che l’esercizio di tale attribuzione regionale non è necessariamente subordinato a siffatto requisito preliminare, ma può venire realizzato nell’interesse formativo di qualunque lavoratore, anche al di fuori di un tipico inquadramento professionale di quest’ultimo, purché con ciò non si dia vita ad una nuova professione, rilevante in quanto tale nell’ordinamento giuridico» (sentenze n. 108 del 2012 e n. 271 del 2009).
Con riguardo all’attività di tassidermia e di imbalsamazione, le uniche disposizioni dettate dalla normativa statale sono contenute nell’art. 6 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), il quale, al comma 1, stabilisce che «Le regioni sulla base di apposito regolamento disciplinano l’attività di tassidermia ed imbalsamazione e la detenzione o il possesso di preparazioni tassidermiche e trofei», e al comma 4 dispone che «Le regioni provvedono ad emanare, non oltre un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, un regolamento atto a disciplinare l’attività di tassidermia ed imbalsamazione di cui al comma 1».
La Regione Toscana aveva già dato attuazione a tali previsioni con la legge reg. n. 3 del 1995 la quale, nella formulazione originaria, subordinava l’esercizio di questa attività alla presentazione di una DIA e al superamento di un apposito esame.
La legge impugnata ha eliminato la necessità di tale esame prevedendo, invece, la partecipazione obbligatoria ad un corso di formazione disciplinato dalla Regione stessa.
Alla luce di questo quadro normativo si può affermare che le modifiche introdotte dalla legge reg. n. 69 del 2012 non hanno istituito una nuova figura professionale, ma sono intervenute sulla disciplina regionale già vigente in materia, prevedendo una diversa modalità di accesso allo svolgimento dell’attività di imbalsamazione e tassidermia per la quale è richiesta obbligatoriamente la frequenza di un corso di formazione. Le disposizioni impugnate, pertanto, costituiscono esercizio della potestà residuale delle Regioni in tema di formazione professionale.
3.– Lo Stato ha poi impugnato l’art. 17 della legge reg. n. 69 del 2012 il quale sostituisce l’art. 41 della legge della Regione Toscana 27 luglio 2004, n. 38 (Norme per la disciplina della ricerca, della coltivazione e dell’utilizzazione delle acque minerali, di sorgente e termali).
A seguito di tali modifiche, la nuova versione dell’art. 41 della legge reg. n. 38 del 2004 stabilisce che l’avvio dell’attività di utilizzazione dell’acqua minerale naturale e di sorgente è assoggettato a SCIA, attestante il possesso dei requisiti previsti dal regolamento (CE) 29 aprile 2004, n. 852/2004 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull’igiene dei prodotti alimentari). Stabilisce, inoltre, che l’ASL può effettuare un sopralluogo di verifica entro 30 giorni.
Il ricorrente deduce la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto, prevedendo in luogo dell’autorizzazione (forma di controllo preventivo), la SCIA (che implica controlli successivi), la norma impugnata contrasterebbe con la disciplina di principio in materia di tutela della salute dettata dal decreto legislativo 8 ottobre 2011, n. 176 (Attuazione della direttiva 2009/54/CE, sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali). Gli artt. 6 e 22 del citato decreto, infatti, subordinano l’inizio di tale attività ad autorizzazione, la quale è rilasciata previo accertamento che gli impianti destinati all’utilizzazione siano realizzati in modo da escludere ogni pericolo di inquinamento e da conservare all’acqua le proprietà, corrispondenti alla sua qualificazione, esistenti alla sorgente.
Ad avviso del ricorrente, la disposizione impugnata violerebbe, altresì, l’art. 117, primo comma, Cost. in quanto, disattendendo le previsioni della normativa comunitaria, la quale subordina ad autorizzazione l’utilizzazione di una sorgente d’acqua minerale naturale, si porrebbe in contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.
3.1.– Successivamente alla proposizione del ricorso, la Regione Toscana ha emanato la legge 9 agosto 2013, n. 47 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2013), la quale, all’art. 59, ha modificato l’art. 41 della legge reg. n. 38 del 2004 disponendo che l’avvio dell’attività di utilizzazione dell’acqua minerale naturale e di sorgente sia assoggettato al rilascio di autorizzazione, e non più a SCIA.
La resistente ha chiesto che sia dichiarata cessata la materia del contendere essendo dette modifiche satisfattive delle censure mosse dallo Stato e non avendo avuto medio tempore applicazione la disposizione impugnata.
3.2.– Come noto, lo ius superveniens può determinare la cessazione della materia del contendere solo ove al contempo rivesta efficacia satisfattiva rispetto alle ragioni del ricorrente e la normativa censurata non abbia avuto medio tempore applicazione (ex plurimis, sentenze n. 73 e n. 18 del 2013, n. 300 e n. 193 del 2012).
Se nel caso in esame le modifiche introdotte dalla legge reg. n. 47 del 2013, recependo senz’altro la normativa statale appaiono soddisfare le censure mosse dal ricorrente, non vi è, tuttavia, alcuna dimostrazione del fatto che la disposizione impugnata – la quale contiene previsioni dotate di immediata efficacia – non abbia avuto applicazione. Non ricorrono pertanto, nella specie, le condizioni richieste dalla giurisprudenza di questa Corte perché possa essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.
3.3.– La disposizione censurata va pertanto sottoposta allo scrutinio di costituzionalità.
Gli artt. 6 e 22 del d.lgs. n. 176 del 2011, nel disciplinare l’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali in attuazione della direttiva 18 giugno 2009, n. 2009/54/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali), stabiliscono che l’utilizzazione delle acque minerali naturali e l’immissione in commercio delle acque di sorgente siano subordinate ad una previa autorizzazione rilasciata dopo aver accertato la ricorrenza delle condizioni ivi indicate.
Questa Corte, nella sentenza n. 244 del 2010, esaminando le censure proposte proprio dalla Regione Toscana avverso tali disposizioni, laddove subordinano lo svolgimento delle attività in parola ad una previa autorizzazione rilasciata dopo l’accertamento della sussistenza delle condizioni ivi indicate, ha affermato che «Il legislatore comunitario, nell’esercizio della propria discrezionalità normativa, ha ritenuto prevalente, rispetto a quella della semplificazione amministrativa dei procedimenti, la finalità di assicurare la tutela della salute dei consumatori di acque minerali. Nell’ordinamento nazionale analoga finalità costituisce un interesse generale, costituzionalmente rilevante, in quanto species del più ampio genus della salute del singolo individuo e della collettività di cui all’art. 32 Cost. e, nel caso di specie, anche pienamente conforme alla regola introdotta dal legislatore comunitario […]. La normativa nazionale di recepimento, contenuta nel d.lgs. n. 176 del 2011 e censurata dalla Regione Toscana, proprio perché in larga misura pedissequamente riproduttiva delle previsioni comunitarie – sintetiche per definizione quanto ai loro enunciati – contenute nella direttiva 2009/54/CE, detta nella specie una disciplina di principio della materia, comunque non modificabile dalla fonte regionale, pena la mancata o incompleta attuazione dell’atto comunitario».
Alla luce di tale pronuncia le censure prospettate, sia con riferimento al primo che al terzo comma dell’art. 117 Cost., risultano fondate.
La disposizione regionale impugnata, infatti, subordinando lo svolgimento dell’attività a semplice SCIA, anziché ad autorizzazione, viola un principio fondamentale della materia della tutela della salute, ed inoltre si pone in contrasto la normativa comunitaria.
4.– Il ricorrente ha impugnato l’art. 35 della legge reg. n. 69 del 2012 il quale sostituisce l’art. 16 della legge della Regione Toscana 24 febbraio 2005, n. 39 (Disposizioni in materia di energia).
L’art. 16, inserito nel Capo III della legge, concernente la disciplina delle attività energetiche, individua gli interventi soggetti a SCIA.
Al comma 1 la citata disposizione stabilisce che gli interventi previsti ai commi 3 e 4 «sono soggetti a SCIA, ai fini degli adempimenti in materia edilizia e di energia, nel rispetto» tra le altre, delle disposizioni di cui all’art. 10 della stessa legge regionale.
Il Presidente del Consiglio sostiene che la disposizione impugnata violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. con riguardo alla materia di governo del territorio e protezione civile nella parte in cui prevede il rispetto dell’art. 10 della legge reg. n. 39 del 2005, il quale ha escluso talune opere dal rilascio delle autorizzazioni per l’inizio dei lavori nelle zone sismiche, laddove invece l’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), stabilisce che le disposizioni in materia di SCIA non si applicano ai casi previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche.
La difesa della Regione Toscana ha eccepito l’inammissibilità della censura in quanto essa difetterebbe dei requisiti di chiarezza e completezza necessari per sollevare una questione di legittimità costituzionale.
L’eccezione è fondata.
Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, il ricorso in via principale deve anzitutto «identificare esattamente la questione nei suoi termini normativi», indicando «le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di costituzionalità», e altresì «contenere una seppur sintetica argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di incostituzionalità della legge» (ex plurimis, sentenze n. 41 del 2013 e n. 114 del 2011, nonché ordinanza n. 123 del 2012), ponendosi l’esigenza di una adeguata motivazione a supporto della impugnativa «in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti che in quelli incidentali» (ordinanza n. 123 del 2012, che menziona anche le sentenze n. 139 del 2006 e n. 450 del 2005).
Nel caso in esame, le argomentazioni svolte dal ricorrente a sostegno dell’impugnazione dell’art. 35 della legge reg. n. 69 del 2012 sono formulate in termini confusi e non raggiungono quella soglia minima di chiarezza e completezza cui è subordinata l’ammissibilità delle impugnative in via principale (ex plurimis, sentenza n. 312 del 2013).
5.– È impugnato l’art. 37 della legge reg. n. 69 del 2012 il quale sostituisce l’art. 17 della legge reg. n. 39 del 2005. A seguito delle modifiche introdotte, la citata disposizione individuerebbe, ai commi 2, lettere a), b), ed f), 3, lettera a), 5, lettere a), b) e c), e 11, una serie di interventi concernenti l’installazione di impianti da fonti rinnovabili che producono energia elettrica e termica per i quali non è necessario il titolo abilitativo.
In tal modo la disposizione censurata violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto disciplinerebbe il regime abilitativo per i suddetti interventi in modo difforme rispetto a quanto previsto dalla normativa statale dettata dagli artt. 6 comma 11, e 7, commi 1, 2 e 5, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), nonché dal decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro per i beni e le attività culturali 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili). I regimi di abilitazione alla costruzione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili previsti dalle disposizioni richiamate costituirebbero infatti principio fondamentale della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».
Il ricorrente evidenzia, analiticamente, diversi profili di contrasto della disposizione impugnata con i parametri interposti evocati.
Innanzitutto censura le modifiche introdotte dall’art. 37 della legge reg. n. 69 del 2012 all’art. 17, comma 2, lettere a) e b), della legge reg. n. 39 del 2005 le quali prevedono che «Non necessitano di titolo abilitativo, ai sensi della presente legge e della L.R. n. 1/2005, i seguenti interventi laddove realizzati secondo le condizioni stabilite dal PAER e dai provvedimenti attuativi dello stesso:
a) l’installazione di pannelli solari termici di sviluppo uguale o inferiore a 20 metri quadrati;
b) l’installazione di pannelli solari termici per applicazioni nel settore florovivaistico».
Tale disposizione violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto disciplina il regime abilitativo per i suddetti interventi in modo difforme rispetto a quanto previsto dall’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2011. Le difformità sono individuate dal ricorrente nella mancata specificazione della tipologia di comunicazione alla quale gli interventi in esso previsti sono soggetti, vale a dire se a quella di cui al decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115 (Attuazione della direttiva 2006/32/CE relativa all’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici e abrogazione della direttiva 93/76/CEE), ovvero a quella di cui all’art. 6, comma 2, lettera a), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia). Inoltre la realizzazione degli impianti in parola non sarebbe subordinata alle condizioni previste dalla norma statale.
5.1.– Al fine di valutare la fondatezza delle censure proposte è necessario preliminarmente analizzare la disciplina dettata dall’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2011, evocato dall’Avvocatura a parametro interposto.
Tale disposizione ha ad oggetto il regime di autorizzazione degli impianti di produzione di energia termica da fonti rinnovabili.
Il comma 1 riguarda gli interventi di installazione di impianti solari termici. Essi sono considerati attività libera subordinata alla sola previa comunicazione di cui all’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 115 del 2008 alle seguenti congiunte condizioni: a) siano installati impianti aderenti o integrati nei tetti di edifici esistenti con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda e i cui componenti non modifichino la sagoma degli edifici stessi; b) la superficie dell’impianto non sia superiore a quella del tetto su cui viene realizzato; c) gli interventi non ricadano nel campo di applicazione del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d.lgs. n. 42 del 2004 e successive modificazioni.
Laddove ricorrano tali condizioni, per la realizzazione degli impianti è richiesta la mera comunicazione preventiva, anche per via telematica, al Comune, secondo quanto previsto dall’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 115 del 2008.
Il comma 2 dell’art. 7 disciplina l’installazione di impianti solari termici per i quali ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: a) siano realizzati su edifici esistenti o su loro pertinenze, ivi inclusi i rivestimenti delle pareti verticali esterne agli edifici; b) gli impianti siano realizzati al di fuori della zona A), di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444.
In questi casi gli impianti sono realizzati previa comunicazione secondo le modalità definite dagli artt. 6, comma 2, lettera a), e 123, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001.
L’art. 6, in particolare, stabilisce che gli interventi di manutenzione straordinaria da essa previsti «possano essere eseguiti senza alcun titolo abilitativo» previa comunicazione al Comune dell’inizio dei lavori. Il comma 4 dello stesso art. 6, aggiunge che, unitamente a tale comunicazione, l’interessato deve trasmettere i dati identificativi dell’impresa cui saranno affidati i lavori e una relazione tecnica, provvista di data certa e corredata degli opportuni elaborati progettuali, a firma di tecnico abilitato, il quale assevera, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici e che per essi la normativa statale e regionale non prevede il rilascio di un titolo abilitativo.
L’art. 123 del medesimo d.P.R. n. 380 del 2001 rinvia al richiamato art. 6 e al regime ivi previsto per l’installazione di impianti da fonti rinnovabili sugli edifici.
Il comma 5 dell’art. 7 del d.lgs. n. 28 del 2011, infine, prevede che gli impianti di produzione di energia termica diversi da quelli indicati sopra, i quali siano realizzati negli edifici esistenti e negli spazi liberi privati annessi e purché destinati unicamente alla produzione di acqua calda e aria per l’uso nei medesimi edifici, sono soggetti alla previa comunicazione di cui all’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001.
5.2.– L’art. 17 della legge reg. n. 39 del 2005, al comma 2, stabilisce che sono considerati attività libera, e «non necessitano di titolo abilitativo ai sensi della presente legge e della L.R. n. 1/2005», tra gli altri: a) l’installazione di pannelli solari termici di sviluppo uguale o inferiore a 20 metri quadrati; b) l’installazione di pannelli solari termici per applicazioni nel settore florovivaistico.
Per questi interventi il comma 10 dell’art. 17 della legge reg. dispone che l’interessato dia «preventiva comunicazione al comune».
La Regione nelle sue difese sostiene che le previsioni della norma statale asseritamente violata sono pedissequamente recepite dall’art. 17 al comma 3, lettera b) e al comma 6 della legge reg. n. 39 del 2005; inoltre che la disposizione censurata concerne interventi diversi da quelli suddetti.
Questi sarebbero assoggettati ad attività libera in coerenza con la normativa statale che già sottopone al solo regime edilizio tali interventi (art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001 e art. 11, comma 4, del d.lgs. n. 115 del 2008) nonché della normativa comunitaria che prevede percorsi semplificati per l’installazione di impianti da fonti rinnovabili al fine di incentivarne l’utilizzo.
La censura è fondata.
Per ciò che concerne la ricostruzione iniziale, è esatto quanto sostiene la resistente. La normativa regionale recepisce, infatti, le disposizioni dell’art. 7 del d.lgs. n. 28 del 2011 dal momento che l’art. 17, comma 3, lettera b), della legge reg. n. 39 del 2005 ha un disposto che richiama il contenuto dell’art. 7, comma 1, mentre il comma 6 recepisce il disposto dell’art. 7, comma 2, del d.lgs. n. 28.
Tuttavia, la disposizione regionale impugnata ha ad oggetto due specifiche tipologie di impianti solari termici e cioè i pannelli solari di sviluppo uguale o inferiore a 20 metri quadrati e i pannelli solari per applicazioni nel settore florovivaistico. Poiché questi impianti sono descritti unicamente con riferimento alle suddette caratteristiche, risultano diversi da quelli considerati dalla norma statale, potendo trattarsi di pannelli solari non collocati su edifici esistenti o che comunque non ne rispettino le dimensioni e le caratteristiche. Tali interventi sono, altresì, assoggettati dal legislatore regionale ad un regime ancora più semplificato rispetto a quello dettato dall’art. 7 del d.lgs. n. 28 del 2011 dal momento che, in luogo della comunicazione di cui all’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001 – la quale, come si è detto sopra, richiede anche ulteriori adempimenti tra cui, in particolare, la presentazione di una relazione tecnica – prevede (art. 17, comma 10) la mera comunicazione al Comune e cioè un regime analogo a quello dell’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 115 del 2008 riservato dal legislatore statale solo a particolari interventi, comunque diversi da quelli in oggetto.
Questa Corte, occupandosi più volte della materia, ha affermato che la normativa del d.lgs. n. 28 del 2011 «è espressione della competenza statale in materia di energia, poiché detta il regime abilitativo per gli impianti non assoggettati all’autorizzazione unica, regime da applicarsi in tutto il territorio nazionale» (sentenza n. 272 del 2012).
Inoltre, nella sentenza n. 313 del 2010 (avente ad oggetto proprio la legge reg. n. 39 del 2005) ha dichiarato costituzionalmente illegittime quelle disposizioni che o assoggettavano a DIA o deregolamentavano, qualificando come attività libera, interventi che, ai sensi della normativa, statale avrebbero dovuto essere assoggettati ad autorizzazione unica. La ragione dell’illegittimità costituzionale di tali disposizioni è stata individuata nel fatto che le procedure previste dalla disciplina statale sono volte a consentire il vaglio dei molteplici interessi coinvolti (per la tutela dei quali è disposta la partecipazione di soggetti diversi alla conferenza di servizi prevista per il rilascio dell’autorizzazione).
Le medesime considerazioni possono svolgersi con riguardo al caso di specie. La Regione, nell’estendere il regime semplificato della mera comunicazione ad interventi ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa statale, ha violato il principio fondamentale nella materia dell’energia costituito dalla disciplina del regime dei titoli abilitativi dettata dall’art. 7 del d.lgs. n. 28 del 2011.
6.– L’art. 37 della legge reg. n. 69 del 2012 è poi censurato nella parte in cui modifica l’art. 17, comma 2, lettera f), della legge reg. n. 39 del 2005. La disposizione legislativa inserisce alla lettera f) «l’installazione di impianti di produzione energetica alimentati a biomassa fino a 0,5 megawat termici» tra gli interventi che «non necessitano di titolo abilitativo ai sensi della presente legge e della L.R. n. 1/2005, […] laddove [essi siano] realizzati secondo le condizioni stabilite dal PAER e dai provvedimenti attuativi dello stesso».
L’Avvocatura dello Stato ha dedotto la violazione dell’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 che consente alle Regioni di estendere il regime dell’attività libera agli impianti alimentati da fonti rinnovabili, purché aventi potenza nominale fino a 50 KW.
Secondo la difesa regionale, tali censure sarebbero prive di pregio dal momento che la norma statale, richiamando le “Linee guida” dettate dal d.m. 10 settembre 2010, si riferirebbe solo agli impianti di produzione di energia elettrica, mentre la norma regionale riguarderebbe gli impianti di produzione di energia termica.
6.1.– La censura è fondata.
L’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011, di cui si lamenta la violazione, stabilisce che «La comunicazione relativa alle attività in edilizia libera, di cui ai paragrafi 11 e 12 delle linee guida adottate ai sensi dell’articolo 12, comma 10 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 continua ad applicarsi, alle stesse condizioni e modalità, agli impianti ivi previsti. Le Regioni e le Province autonome possono estendere il regime della comunicazione di cui al precedente periodo ai progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili con potenza nominale fino a 50 kW, nonché agli impianti fotovoltaici di qualsivoglia potenza da realizzare sugli edifici, fatta salva la disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale e di tutela delle risorse idriche».
Nel procedere all’esame di questa censura è necessario fare una premessa che precisi l’incidenza che, nel processo valutativo demandato a questa Corte, assumono atti di normazione secondaria che, come le “Linee guida”, costituiscono, in un ambito esclusivamente tecnico, il completamento del principio contenuto nella disposizione legislativa. Se è ovvio che essi, qualora autonomamente presi, non possono assurgere al rango di normativa interposta, altra è la conclusione cui deve giungersi ove essi vengano strettamente ad integrare, in settori squisitamente tecnici, la normativa primaria che ad essi rinvia. In detti campi applicativi essi vengono ad essere un corpo unico con la disposizione legislativa che li prevede e che ad essi affida il compito di individuare le specifiche caratteristiche della fattispecie tecnica che, proprio perché frutto di conoscenze periferiche o addirittura estranee a quelle di carattere giuridico le quali necessitano di applicazione uniforme in tutto il territorio nazionale, mal si conciliano con il diretto contenuto di un atto legislativo. Non a caso per la loro definizione è prevista una procedura partecipativa estremamente ampia ed articolata. Poiché essi, come si è detto, fanno corpo con la disposizione legislativa che ad essi rinvia, il loro mancato rispetto comporta la violazione della norma interposta e determina, nel caso si verta nelle materie di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost. e qualora la norma interposta esprima principi fondamentali, l’illegittimità costituzionale della norma censurata.
Si tratta, peraltro, di principi già espressi da questa Corte, quando ha affermato (sentenza n. 275 del 2011) che: «Il d.m. 10 settembre 2010 contiene norme finalizzate a disciplinare, in via generale ed astratta, il procedimento di autorizzazione alla installazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, alle quali sono vincolati tutti i soggetti, pubblici e privati, coinvolti nell’attività in questione». O quando, con molteplici pronunce (ex multis: sentenze nn. 344 e 168 del 2010) si è affermato che in assenza delle suddette “Linee guida” era preclusa alle Regioni la possibilità di determinare l’individuazione dei parchi eolici «poiché l’indicazione da parte delle Regioni dei luoghi preclusi alla costruzione dei suddetti impianti può avvenire solo a seguito dell’approvazione delle linee guida nazionali per il corretto inserimento degli impianti eolici nel paesaggio da parte della Conferenza unificata ex art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003».
Si è in presenza, come si è detto, di un canone interpretativo di carattere generale, avendo questa Corte, anche recentemente (sentenza n. 62 del 2013) ribadito che «nelle materie di competenza concorrente, allorché vengono attribuite funzioni amministrative a livello centrale allo scopo di individuare norme di natura tecnica che esigono scelte omogenee su tutto il territorio nazionale improntate all’osservanza di standard e metodologie desunte dalle scienze, il coinvolgimento della Conferenza Stato Regioni può limitarsi all’espressione di un parere obbligatorio (sentenze n. 265 del 2011, n. 254 del 2010, n. 182 del 2006, n. 336 e n. 285 del 2005). In tali casi la disciplina statale costituisce principio generale della materia (sentenze n. 254 del 2010 e n. 182 del 2006)»
Ciò precisato, occorre osservare che le “Linee guida” dettate dal d.m. 10 settembre 2010 al paragrafo 12.3, lettera a), assoggettano a comunicazione la realizzazione di impianti alimentati a biomasse purché «operanti in assetto cogenerativo» e «aventi una capacità di generazione massima inferiore a 50 kWe».
Il paragrafo 12.4 assoggetta a DIA (oggi «procedura abilitativa semplificata» − PAS − ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011) gli impianti di generazione elettrica alimentati da biomasse i quali abbiano una capacità di generazione massima inferiore a 1.000 kWe ovvero a 3.000 kWt.
Le “Linee guida”, pertanto, nell’individuare il diverso regime abilitativo degli impianti alimentati da biomasse, fanno riferimento tanto ad un limite di potenza espresso in kW elettrici, quanto ad un limite espresso in kW termici.
Tutto ciò considerato, si rileva che, mentre la normativa statale stabilisce che gli impianti alimentati da biomassa che hanno una capacità di generazione massima fino a 3.000 kWt sono assoggettati alla PAS (procedura abilitativa semplificata), la disposizione regionale invece assoggetta gli impianti, con capacità di produzione fino a 0,5 MWt (e cioè 500 kWt) ad un regime diverso rispetto a quello previsto dalle disposizioni statali, richiedendo per la loro realizzazione la semplice comunicazione (secondo quanto disposto dall’art. 17, commi 2, lettera f, e 10).
Tale intervento regionale contrasta, dunque, con quanto previsto dall’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011, il quale consente alle Regioni di estendere il regime semplificato soltanto limitatamente agli impianti con potenza nominale fino a 50 kW.
Pertanto la disposizione impugnata contrasta con la normativa statale concernente la disciplina dei titoli abilitativi di tal che essa, violando un principio fondamentale in materia della «produzione e trasporto di energia», deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima.
7.– L’art. 37 della legge reg. n. 69 del 2012 è poi censurato nella parte in cui modifica l’art. 17, comma 3, lettera a), della legge reg. n. 39 del 2005, assoggettando al regime della attività libera l’installazione di singoli generatori eolici con altezza complessiva non superiore ad 1,5 metri e diametro non superiore a 1 metro.
Ad avviso dell’Avvocatura, la disposizione contrasterebbe con il combinato disposto dell’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 e del paragrafo 12.5, lettera a), del d.m. 10 settembre 2010, in quanto non rispetterebbe i limiti posti da tale disposizione la quale prevede il regime della comunicazione per i singoli generatori eolici purché collocati su edifici esistenti e aventi una potenza nominale massima di 50 KW.
7.1.– La censura non è fondata.
Come si è innanzi detto, l’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 consente alle Regioni di estendere il regime della comunicazione di cui alle Linee guida ad impianti da fonti rinnovabili con potenza fino a 50 KW nonché agli impianti fotovoltaici di qualunque potenza da realizzare sugli edifici.
Il paragrafo 12.5, lettera a), delle “Linee guida” assoggetta a comunicazione la realizzazione degli impianti eolici installati sui tetti degli edifici esistenti purché si tratti di singoli generatori eolici con altezza complessiva non superiore a 1,5 metri e diametro non superiore ad un metro e purché gli interventi non ricadano nel campo di applicazione del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).
Ciò posto, si osserva che l’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011, al primo periodo, stabilisce che il regime della comunicazione previsto dai paragrafi 11 e 12 delle “Linee guida” continua ad applicarsi alle stesse condizioni e modalità agli impianti ivi previsti. Ciò significa che la previsione del secondo periodo del comma 11 dell’art. 6, che consente alle Regioni di estendere il regime semplificato, concerne interventi diversi ed ulteriori rispetto a quelli già contemplati dalle Linee guida ed è pertanto solo ad essi che si applica il limite dei 50 KW.
La disposizione regionale, invece, è conforme a quanto statuito dal paragrafo 12.5, lettera a), delle “Linee guida”. Essa, inoltre, appare rispettosa di quanto previsto dall’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 115 del 2008 il quale dispone espressamente che «gli interventi di incremento dell’efficienza energetica che prevedano l’installazione di singoli generatori eolici con altezza complessiva non superiore a 1,5 metri e diametro non superiore a 1 metro […] sono considerati interventi di manutenzione ordinaria» e per essi è sufficiente una «comunicazione preventiva al Comune».
8.– Il Presidente del Consiglio impugna, inoltre, l’art. 17, comma 5, lettere a), b) e c), della legge reg. n. 39 del 2005, come modificato dall’art. 37 della legge reg. n. 69 del 2012, il quale stabilisce che «Nel rispetto di quanto disposto dall’articolo 80, comma 2, lettera a), e comma 5, della L.R. n. 1/2005, non necessitano di titolo abilitativo, anche ai sensi della presente legge, l’installazione degli impianti di produzione energetica aventi tutte le seguenti caratteristiche: a) realizzati in edifici esistenti sempre che non alterino i volumi e le superfici, non comportino modifiche delle destinazioni d’uso, non riguardino le parti strutturali dell’edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici; b) laddove vi sia produzione di energia elettrica, la relativa capacità di generazione sia compatibile con il regime di scambio sul posto; c) laddove vi sia produzione di calore, questo sia destinato alla climatizzazione o alla produzione di acqua calda sanitaria dell’edificio stesso».
Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 117, terzo comma Cost., perché la disposizione impugnata si porrebbe in contrasto con i principi fondamentali in materia di energia. Diversi sono i parametri interposti che si assumono violati dalla disposizione. In particolare: la lettera a) dell’art. 17, comma 5, contrasterebbe con l’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 in quanto, nell’assoggettare al regime della comunicazione anche gli impianti di produzione di energia elettrica e termica alimentati da fonti rinnovabili, non fissa il limite di potenza fino a 50 KW stabilito dalla normativa statale; la lettera b) assoggetta a comunicazione di inizio lavori gli impianti che producono energia elettrica aventi una capacità di generazione compatibile con il regime di scambio sul posto (i quali sono quelli con capacità di generazione fino a 200 KW e in taluni casi superiore) in contrasto con quanto statuito dall’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 il quale prevede per l’applicazione del regime della comunicazione il limite di potenza fino a 50 KW; la lettera c) contrasterebbe con l’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2011 in quanto assoggetta a comunicazione gli impianti solari senza richiamare le condizioni previste dalla legge statale ed in quanto non specifica a quale comunicazione la disposizione regionale faccia riferimento, se a quella di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, ovvero a quella di cui al d.lgs. n. 115 del 2008.
La disposizione impugnata, inoltre, contrasterebbe con l’art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 28 del 2011 perché consente la collocazione di detti impianti anche oltre i casi previsti dalla normativa statale (edifici e spazi liberi privati annessi).
8.1.– La censura non è fondata.
Il comma 5 dell’art. 17 individua le condizioni che devono sussistere congiuntamente perché gli interventi in esso previsti siano assoggettati al regime della libera attività.
La disposizione contempla due tipi di interventi. Innanzitutto quelli descritti dal combinato disposto delle lettere a) e b), vale a dire l’installazione di impianti di produzione di energia elettrica in edifici esistenti che non alterino i volumi e le superfici, non comportino modifiche delle destinazioni d’uso, non riguardino le parti strutturali dell’edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici, i quali, nel caso vi sia produzione di energia elettrica, abbiano capacità di generazione compatibile con il regime di scambio sul posto.
La disposizione regionale stabilisce che l’installazione di tali impianti, «nel rispetto di quanto disposto dall’art. 80, comma 2, lettera a), e comma 5», della legge della Regione Toscana 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio), non necessita di titolo abilitativo.
Le disposizioni richiamate prevedono il regime della comunicazione, assoggettandolo ad una disciplina del tutto analoga a quella dettata dall’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, vale a dire, la previa comunicazione, anche per via telematica, dell’inizio dei lavori da parte dell’interessato all’amministrazione comunale e la trasmissione di una relazione tecnica provvista di data certa e corredata degli opportuni elaborati progettuali, a firma di un tecnico abilitato, il quale asseveri, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti e che per essi le vigenti norme non prevedono la formazione di un titolo abilitativo.
Ciò posto, si osserva che gli interventi contemplati dall’art. 17, comma 5, lettere a) e b), corrispondono a quelli già previsti da disposizioni statali.
In particolare, le “Linee guida” al paragrafo 12.3, lettera b), assoggettano gli impianti alimentati da biomasse, gas di discarica ecc., al regime della comunicazione laddove si tratti di interventi che «non alterino i volumi e le superfici, non comportino modifiche delle destinazioni di uso, non riguardino parti strutturali dell’edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici» ed inoltre abbiano «una capacità di generazione compatibile con il regime di scambio sul posto».
Il paragrafo 12.7, lettera a), prevede le medesime condizioni per gli impianti idroelettrici e geotermici.
L’art. 123 del d.P.R. n. 380 del 2001 al secondo periodo del comma 1 stabilisce che gli interventi di utilizzo delle fonti di energia rinnovabili in edifici ed impianti industriali non sono soggetti ad autorizzazione specifica e sono assimilati alla manutenzione straordinaria di cui all’art. 3, comma 1, lettera a), dello stesso decreto. Il paragrafo 11.7 delle “Linee guida” precisa che tale disposizione deve intendersi riferita a «quegli interventi in edifici ed impianti industriali esistenti in cui gli impianti hanno una capacità di generazione compatibile con il regime di scambio sul posto».
Tali tipi di interventi sono assoggettati dall’art. 6, comma 2, lettera a), e comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001 alla previa comunicazione, sempre che «non riguardino le parti strutturali dell’edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici».
Dall’esame complessivo delle disposizioni richiamate, appare chiaro come la disciplina dettata dall’art. 17, comma 5, lettere a) e b), della legge reg. n. 39 del 2005 sia conforme alla normativa statale concernente i medesimi impianti, laddove invece, l’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, di cui lo Stato lamenta la violazione, concerne interventi ulteriori e diversi rispetto a quelli in oggetto.
8.2.– La seconda tipologia di interventi disciplinata dall’art. 17 risulta dal combinato disposto delle lettere a) e c). Si tratta dell’installazione degli impianti di produzione energetica realizzati in edifici esistenti, sempre che non alterino i volumi e le superfici, non comportino modifiche delle destinazioni d’uso, non riguardino le parti strutturali dell’edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici, i quali producano calore che sia destinato alla climatizzazione o alla produzione di acqua calda sanitaria dell’edificio stesso. Anche tali interventi sono assoggettati al medesimo regime semplificato visto sopra della comunicazione di cui all’art. 80 della legge reg. n. 1 del 2005.
Il ricorrente sostiene che tale disposizione contrasterebbe con l’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2011: a) in quanto prevede la comunicazione senza tuttavia richiamare le condizioni previste dalla legge statale; b) in quanto non specifica a quale comunicazione essa faccia riferimento, se a quella di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, ovvero a quella del d.lgs. n. 115 del 2008. Inoltre violerebbe l’art. 7, comma 5, perché consentirebbe la collocazione di detti impianti anche oltre i casi previsti dalla normativa statale (edifici e spazi liberi privati annessi).
Anche tali censure non sono fondate.
Innanzitutto si rileva che il richiamo all’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2011, è inconferente in quanto esso disciplina interventi diversi da quelli contemplati dalla disposizione impugnata e per i quali la legge regionale detta una disciplina uguale a quella prevista dalla norma statale (cfr. art. 17, comma 3, lettera b, e comma 6).
La norma impugnata, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, riproduce la disciplina statale risultante dal combinato disposto dell’art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 28 del 2011 e dell’art. 6, comma 2, lettera a), e comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001.
Essa, infatti, contempla impianti di produzione di energia termica diversi da quelli previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 7 del d.lgs. n. 28 del 2011. Mentre tale ultima disposizione ha ad oggetto gli impianti solari termici aderenti e integrati nei tetti di edifici esistenti, ovvero posti su tali edifici, la disposizione impugnata fa riferimento a impianti realizzati all’interno di edifici esistenti e destinati alla produzione di acqua calda e aria per gli edifici stessi. Essa, inoltre, richiede il rispetto dei parametri urbanistici e degli altri requisiti previsti dall’art. 6, comma 2, lettera a), dal d.P.R. n. 380 del 2001.
Non fondata è anche la censura relativa alla asserita mancata specificazione di quale tipologia di comunicazione troverebbe applicazione riguardo agli interventi in parola.
Infatti, come si è già detto, la norma regionale richiama l’art. 80, commi 2, lettera a), e 5, della legge reg. n. 1 del 2005 che prevede il medesimo regime di cui all’art. 6, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001.
9.– Il Presidente del Consiglio ha, infine, impugnato l’art. 17, comma 11, della legge reg. n. 39 del 2005 come modificato dalla legge reg. n. 69 del 2012.
Tale disposizione stabilisce che «Non necessitano di titolo abilitativo, ai sensi della presente legge e della L.R. n. 1/2005, le modifiche e manutenzioni degli impianti di cui agli articoli 11, 13, 15, 16, comma 3, e 16-bis, comma 4, esistenti o in corso di realizzazione, salvo quanto previsto dall’articolo 16, comma 4 e dall’articolo 16-bis, comma 5».
Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto la disposizione impugnata contrasterebbe con il principio fondamentale della materia «produzione trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» dettato dall’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011 il quale in via transitoria assoggetta alla procedura abilitativa semplificata (PAS) le sole modifiche non sostanziali e per i soli impianti esistenti, mentre per le modifiche sostanziali, in attesa della adozione di apposito decreto interministeriale, fa salvo il principio della identità di forma tra il provvedimento abilitativo originario e la sua variante.
In particolare, l’art. 5, comma 3, richiamato stabilisce che «Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza unificata, di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono individuati, per ciascuna tipologia di impianto e di fonte, gli interventi di modifica sostanziale degli impianti da assoggettare ad autorizzazione unica, fermo restando il rinnovo dell’autorizzazione unica in caso di modifiche qualificate come sostanziali ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Fino all’emanazione del decreto di cui al periodo precedente non sono considerati sostanziali e sono sottoposti alla disciplina di cui all’articolo 6 gli interventi da realizzare sugli impianti fotovoltaici, idroelettrici ed eolici esistenti, a prescindere dalla potenza nominale, che non comportano variazioni delle dimensioni fisiche degli apparecchi, della volumetria delle strutture e dell’area destinata ad ospitare gli impianti stessi, né delle opere connesse. Restano ferme, laddove previste, le procedure di verifica di assoggettabilità e valutazione di impatto ambientale di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Per gli impianti a biomassa, bioliquidi e biogas non sono considerati sostanziali i rifacimenti parziali e quelli totali che non modifichino la potenza termica installata e il combustibile rinnovabile utilizzato».
La questione non è fondata nei termini di seguito specificati.
Il ricorrente sostiene che la norma regionale assoggetterebbe tutte le modifiche impiantistiche, a prescindere dalla loro natura sostanziale, al regime della libera attività, in contrasto con quanto stabilito in via transitoria dall’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011.
In realtà, l’art. 17, comma 11, stabilisce che non necessitano di titolo abilitativo le manutenzioni e le modifiche di tutti gli impianti esistenti che non rientrino tra quelle per cui è prevista la PAS ai sensi dell’art. 16-bis, comma 5, o la SCIA, ai sensi dell’art. 16, comma 4. Nulla prevede invece con riguardo alle modifiche sostanziali.
La mancanza di un espresso richiamo a tale tipologia di modificazioni non può tuttavia essere interpretata nel senso che le medesime siano senz’altro assoggettate al regime della libera attività, tanto più in presenza di una specifica disciplina per tipologie di modifiche meno incisive, dettata dagli art. 16, comma 4, e 16-bis, comma 5.
In realtà, le modifiche sostanziali devono ritenersi rientrare nell’art. 13 della legge reg. n. 39 del 2005 il quale, nel disciplinare l’autorizzazione per gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, al comma 10 rinvia per quanto da esso non disciplinato alle norme di cui al d.lgs. n. 28 del 2011.
Pertanto, la norma regionale impugnata deve essere interpretata nel senso che essa sottopone al regime semplificato unicamente le modifiche non sostanziali. Per quelle sostanziali, invece, in forza del rinvio operato dall’art. 13 della legge reg., si applicano le disposizioni contenute nell’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011.