Ritenuto in fatto
1.– Il Tribunale di Livorno, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 5 agosto 2011, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, con riferimento agli articoli 3, 32, 36 e 38 della Costituzione, dell’articolo 71 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133. Tale disposizione prevede, per quanto rileva rispetto ai vizi denunciati, che «1. Per i periodi di assenza per malattia, di qualunque durata, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nei primi dieci giorni di assenza è corrisposto il trattamento economico fondamentale con esclusione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio. Resta fermo il trattamento più favorevole eventualmente previsto dai contratti collettivi o dalle specifiche normative di settore per le assenze per malattia dovute ad infortunio sul lavoro o a causa di servizio, oppure a ricovero ospedaliero o a day hospital, nonché per le assenze relative a patologie gravi che richiedano terapie salvavita. I risparmi derivanti dall’applicazione del presente comma costituiscono economie di bilancio per le amministrazioni dello Stato e concorrono per gli enti diversi dalle amministrazioni statali al miglioramento dei saldi di bilancio. Tali somme non possono essere utilizzate per incrementare i fondi per la contrattazione integrativa. […] 6. Le disposizioni del presente articolo costituiscono norme non derogabili dai contratti o accordi collettivi».
1.1.– Riferisce il giudice rimettente che R.C., A.B., M.R. ed altri, tutti dipendenti del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, avevano proposto ricorso innanzi ad esso al fine di ottenere l’accertamento del loro diritto a ricevere, in caso di malattia, l’intero trattamento retributivo in busta paga, e non solo il trattamento “minimo o fondamentale” siccome disposto dal succitato art. 71 del decreto-legge n. 112 del 2008, con conseguente condanna del Ministero convenuto a corrispondere, appunto, l’intero trattamento retributivo, spettante anche in caso di malattia del lavoratore, previa disapplicazione della norma censurata. Ne desume la centralità della verifica della legittimità costituzionale della norma in oggetto ai fini dell’accertamento richiesto, con conseguente rilevanza manifesta della questione, perché la precedente normativa, la quale prevedeva che il trattamento retributivo del periodo di malattia non fosse diverso da quello di effettivo lavoro, senza alcuna decurtazione retributiva, sarebbe stata modificata in senso deteriore e peggiorativo per i lavoratori del comparto scuola.
1.2.– Circa la non manifesta infondatezza, il giudice a quo formula le seguenti osservazioni.
1.2.1.– L’art. 71 del decreto-legge n. 112 del 2008 risulterebbe, innanzitutto, in palese contrasto con l’art. 3 Cost., il quale tutela la persona e la sua dignità e stabilisce il principio generale di eguaglianza dei cittadini di fronte all’ordinamento. Ad avviso del rimettente, infatti, la disposizione censurata determina un’illegittima disparità di trattamento nel rapporto di lavoro dei dipendenti del settore pubblico rispetto a quelli del settore privato. Nel settore privato, infatti, si giunge al massimo, in alcuni contratti collettivi, alla previsione dell’omesso pagamento dei primi tre giorni di malattia, subentrando dal quarto giorno l’Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS) e nessun contratto priva il lavoratore della retribuzione o di una parte sostanziale di essa oltre il terzo giorno. Conseguentemente, poiché la parità di condizioni, sancita dall’art. 3 Cost. come vincolo inderogabile posto al legislatore ordinario, può essere derogata solo sulla base di criteri o elementi che evitino di trattare situazioni omogenee in modo differenziato, il legislatore avrebbe nella specie finito col trattare in maniera differente le due categorie di lavoratori, discriminando quelli del settore pubblico. E, ciò, in violazione dell’art. 3 Cost. in relazione al principio di uguaglianza tra i lavoratori, la cui appartenenza al settore pubblico o privato non giustificherebbe la disparità di trattamento sotto il profilo in esame, «in quanto entrambi [i] rapporti di lavoro sono caratterizzati dagli stessi elementi di subordinazione ed in quanto la malattia è un evento rispetto al quale non ha alcuna rilevanza la natura pubblica o privata del datore di lavoro».
1.2.2.– Inoltre, la citata normativa si ripercuoterebbe negativamente sulla retribuzione del lavoratore in malattia, cui sarebbero sottratti, durante il periodo d’infermità, indennità o trattamenti aggiuntivi comunque di sua spettanza per diritto in tal senso già acquisito e sancito in busta paga e costitutivi della sua retribuzione globale di fatto, pur differenziata in varie voci. II lavoratore legittimamente ammalato, dunque, verrebbe a subire una riduzione dello stipendio in busta paga. Riduzione che, dati i livelli degli stipendi ad oggi percepiti dai lavoratori del comparto pubblico, sarebbe tale da non garantire agli stessi una vita dignitosa, in contrasto con l’art. 36 Cost. Il concreto danno economico (in senso retributivo e contributivo) subìto dal lavoratore del settore pubblico in virtù dell’applicazione della nuova legge sarebbe ingiusto e illegittimo anche alla luce del fatto che il lavoratore, e la parte sindacale stipulante nel suo interesse, quando sottoscrive un contratto di lavoro, non si vede garantito solamente il minimo retributivo tabellare, ma anche le indennità e le voci di compenso destinate, invece, ad essere perdute in caso di malattia.
1.2.3.– La Costituzione tutela, altresì, la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Sicché, la norma in questione, incidendo pesantemente sulla retribuzione del lavoratore ammalato, determinerebbe un abbassamento del livello di protezione della salute del lavoratore. Questi, infatti, spinto dalle necessità economiche, sarebbe in concreto indotto a lavorare, sì da aggravare il proprio stato di malattia con danno per se stesso e la collettività, in palese violazione dell’art. 32 Cost.
1.2.4.– Vi sarebbe, infine, una lesione dell’art. 38 Cost., integrata dalla privazione, in corso di malattia, di una parte della retribuzione globale di fatto dovuta al lavoratore, in misura tale da far mancare al cittadino, in quel momento inabile al lavoro, i mezzi di mantenimento e di assistenza.
2.– Con atto depositato il 3 gennaio 2012 è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, instando per la dichiarazione d’inammissibilità o, comunque, d’infondatezza delle questioni proposte dal Tribunale di Livorno con l’ordinanza succitata.
2.1.– In primo luogo, la difesa dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni sollevate dal Tribunale di Livorno.
2.1.1.– Le questioni dovrebbero essere considerate inammissibili, in primo luogo perché difetterebbero di descrizione puntuale e non consentirebbero di verificarne l’effettiva rilevanza nel giudizio a quo. Rileva la difesa dello Stato al riguardo che il rimettente, dopo avere affermato che la questione «è punto centrale dell’accertamento chiesto a questo giudice del lavoro e quindi […] è rilevante», non avrebbe specificato la sussistenza di concreti elementi idonei a fondare l’accoglimento dell’istanza, né, sotto altro profilo, avrebbe enucleato aspetti di concretezza del danno asseritamente sofferto dalle parti ricorrenti.
2.1.2.– L’inammissibilità delle questioni sarebbe dovuta anche all’irricevibilità della domanda formulata dai ricorrenti, poiché richiedenti la condanna dell’Amministrazione alla corresponsione dell’intero trattamento retributivo anche al lavoratore in malattia, previa la “disapplicazione” della norma sospettata d’incostituzionalità. Donde l’irricevibilità della domanda, non essendo ammesso nel nostro ordinamento alcun sindacato diffuso in ordine alla legittimità costituzionale.
2.1.3.– Ad avviso della difesa dello Stato, inoltre, il giudice rimettente muove dall’erroneo presupposto che il rapporto di pubblico impiego e il rapporto subordinato nel settore privato siano realtà giuridiche sovrapponibili. Diversamente, secondo un indirizzo consolidato della dottrina e della giurisprudenza, anche costituzionale, «il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni deve configurarsi, nel suo complesso, come speciale rispetto a quello alle dipendenze dell’imprenditore privato» (la difesa statale richiama Corte di cassazione, sezione lavoro, 13 agosto 2008, n. 21586; Corte costituzionale n. 313 del 1996, n. 309 del 1997, n. 89 [rectius 82] del 2003, n. 199 del 2003). In particolare, secondo l’Avvocatura dello Stato, nel «settore pubblico si deve rispondere al principio dell’interesse collettivo all’imparzialità e buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.), […]. La specialità dell’impiego pubblico, che va valutata anche sul piano dei costi finanziari sopportati dalla collettività, determina una grande dicotomia tra pubblico e privato che impedisce qualsiasi assimilazione. […]». Donde l’ulteriore inammissibilità delle questioni proposte sotto tale profilo.
2.2.– Oltre ad essere palesemente inammissibili, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Livorno sarebbero, altresì, destituite di fondamento nel merito.
2.2.1.– In relazione all’asserita illegittimità dell’art. 71 del decreto-legge n. 112 del 2008 con riferimento all’art. 3 Cost., premette la difesa dello Stato che il principio di eguaglianza si specifica nel principio di ragionevolezza, il quale impone di trattare in modo uguale situazioni uguali ed in modo differenziato situazioni diverse. Una disparità di trattamento, quindi, potrebbe essere lamentata solo a fronte di situazioni di fatto identiche o analoghe.
Nel caso di specie, alla luce della giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 287 del 2006) e conformemente a quella amministrativa espressasi in ordine al dubbio di legittimità costituzionale della disposizione contenuta nell’art. 71 del decreto-legge n. 112 del 2008 (Tribunale amministrativo regionale del Lazio 24 aprile 2009, n. 4078), sarebbero state accomunate due situazioni non omogenee dal punto di vista della determinazione dei rispettivi trattamenti retributivi, «perché i lavoratori privati, a differenza di quelli pubblici, fruiscono, in caso di malattia, dell’indennità corrisposta dall’INPS che sostituisce la retribuzione». Peraltro, l’incomparabilità delle discipline del lavoro pubblico e privato sarebbe confermata dal fatto che, pur essendo vero che la disciplina relativa ai lavoratori del settore privato prevede un massimo di tre giorni di decurtazioni, è altrettanto vero che per alcune categorie di dipendenti privati la contrattazione collettiva dispone una vera e propria interruzione integrale della retribuzione per il primo giorno di assenza (in questo senso, l’accordo Fiat Mirafiori del 23 dicembre 2010).
Secondo la difesa dello Stato, dunque, la piena legittimità della disposizione oggetto di censura deriva dall’assoluta diversità del regime delle due tipologie di rapporti, connessa anche alla specialità di quello di tipo pubblicistico diffusamente riconosciuta dalla giurisprudenza e tale da escludere senz’altro la lesione del principio di eguaglianza.
2.2.2.– In relazione all’asserita illegittimità della disciplina posta dall’art. 71 del decreto-legge n. 112 del 2008 rispetto all’art 36 Cost., la difesa dello Stato rileva in via preliminare che analoghe riduzioni o decurtazioni del trattamento economico erano previste già dalla regolamentazione pubblicistica del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, laddove, con le opportune esclusioni, era stata introdotta, onde evitare abusi nella fruizione del congedo straordinario per malattia, la riduzione di un terzo di tutti gli assegni spettanti per la prima giornata di assenza.
Ne conseguirebbe la non fondatezza, altresì, della censura in esame, tenuto conto del principio, reiteratamente ribadito dalla Coste costituzionale (sentenze n. 287 del 2006, n. 470 del 2002 e n. 164 del 1994), secondo cui, al fine di verificare la legittimità delle norme in tema di trattamento economico dei dipendenti in relazione al disposto dell’art. 36 Cost., occorre far riferimento, non già alle singole componenti di quel trattamento, ma alla retribuzione nel suo complesso.
Dovendosi avere riguardo – in sede di giudizio di non conformità della retribuzione ai requisiti costituzionali di proporzionalità e sufficienza – al principio di omnicomprensività della retribuzione medesima, non ci si potrebbe arrestare alla mera trattenuta degli emolumenti accessori connessi con lo svolgimento effettivo della prestazione lavorativa.
Né il legislatore avrebbe dovuto indicare specificamente le voci retributive ridotte, piuttosto che riferirsi genericamente alle indennità e agli emolumenti di carattere accessorio. Da un lato, infatti, con la predetta terminologia il legislatore si sarebbe limitato a recepire le tradizionali locuzioni già contenute nei contratti collettivi e comunemente accettate senza sospetti d’illegittimità. Dall’altro, la precisazione che la decurtazione tocca unicamente le voci retributive accessorie (con salvezza del trattamento economico fondamentale) varrebbe ad escludere ogni possibile lesione dei principi costituzionali di sufficienza, proporzionalità e intangibilità della retribuzione, nel quadro del già rilevato carattere di onnicomprensività della stessa e nel solco della disciplina dettata dai contratti collettivi, siccome ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR del Lazio 24 aprile 2009, n. 4078, cit.).
Con l’effetto, in conclusione, che la decurtazione prevista dalla disposizione oggetto di censura, limitata agli emolumenti accessori e ai primi dieci giorni di assenza, non sarebbe concretamente idonea ad arrecare al lavoratore un serio pregiudizio in relazione al diritto a percepire una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro.
2.2.3.– Neppure il preteso contrasto della norma censurata con l’art. 32 Cost. avrebbe ragion d’essere.
A tale riguardo, la difesa dello Stato osserva, in primo luogo, che nell’assetto dello stato sociale attualmente vigente nell’ordinamento italiano, la tutela della salute quale fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività è assicurata, sotto il profilo pubblicistico, garantendo cure gratuite agli indigenti e rendendo disponibili ai cittadini strumenti di diagnosi e cura, anche in relazione all’entità del reddito. E sotto tale aspetto la norma censurata non avrebbe alcuna incidenza, perché concernente solamente la misura del trattamento economico da riconoscere in caso di assenza per malattia.
Del tutto evanescente sarebbe, inoltre, l’argomento, meramente suggestivo, secondo cui la prevista riduzione del trattamento economico in costanza di malattia potrebbe indurre il lavoratore a continuare a lavorare e, in tal modo, a trascurare le cure, poiché «la descrizione di un eventuale fenomeno psicologico non è di per sé sufficiente a dimostrare la violazione dell’invocato parametro di costituzionalità. […] l’ammontare della decurtazione è abbastanza esiguo e non è tale da causare un’incisione pesante sul trattamento economico ordinariamente spettante al dipendente. […] la norma si aggiunge alle analoghe previsioni già presenti da numerosi anni nei contratti collettivi dei comparti e delle aree del settore pubblico e, pertanto, un eventuale effetto di induzione alla prestazione lavorativa non può di certo essere imputato alla sopravvenuta disciplina di rango legislativo».
Inoltre, anche la scelta di non curarsi costituirebbe entro dati limiti una forma di esercizio del diritto alla salute, quale espressione dell’autodeterminazione dell’individuo, rappresentando una libertà costituzionalmente tutelata dal medesimo art. 32 Cost.
In ogni caso, in presenza della prognosi contenuta in un’attestazione di malattia, sarebbe inesorabilmente precluso al dipendente il rientro anticipato in servizio, senza che l’Amministrazione possa assentire anzitempo lo svolgimento dell’attività lavorativa.
2.2.4.– Quanto, infine, al sospettato scostamento della norma denunciata dall’art. 38 Cost., anche tale censura, a parere della difesa dello Stato, si rivela infondata.
Secondo l’impostazione da essa accreditata, infatti, la tutela costituzionale in oggetto non si estende fino al punto di pretendere la corresponsione durante il periodo di malattia dell’intero trattamento economico, ma richiede, invece, la garanzia di «mezzi adeguati alle esigenze di vita», alla stregua di un criterio di sufficienza e proporzione rispetto ai bisogni dell’assicurato e con la possibilità di comprimere persino questo “zoccolo duro” qualora sia imperativa la tutela di altri interessi costituzionalmente rilevanti, come i crediti alimentari. Sicché, solo l’irrisorietà della provvidenza, nella specie esclusa dalla salvaguardia dell’intero trattamento fondamentale, potrebbe far dubitare della legittimità costituzionale della disciplina sul trattamento economico in malattia.
D’altro canto, osserva la difesa dello Stato che pure la disciplina contenuta nel codice civile delinea il trattamento in favore del lavoratore ammalato nei termini di «un’indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali […], dagli usi o secondo equità» (art. 2110 cod. civ.), riconoscendo, quindi, che l’indennità de qua – in misura da determinarsi in base alle fonti ivi richiamate – possa essere di ammontare diverso da quello del normale trattamento economico, purché risulti comunque adeguata alle esigenze di vita del lavoratore (in tal senso, Corte di cassazione, sezioni unite, 24 novembre 1992, n. 12516, preceduta da Corte di cassazione, sezione lavoro, 27 giugno 1986, n. 4287 e 15 giugno 1988, n. 4060).
In sostanza, la norma codicistica, che rappresenta la cornice legale di riferimento, non impone alcuna soglia minima di protezione economica del lavoratore in caso di malattia, mancando nella stessa qualunque indicazione in ordine all’entità del trattamento economico correlativo. Con la conseguenza di escludere che tale misura debba necessariamente coincidere con l’intera retribuzione normalmente percepita dal lavoratore e di assegnare alla contrattazione collettiva, anche con riferimento al settore del lavoro privato, un ruolo regolativo fondamentale al riguardo.
Peraltro, l’Avvocatura generale dello Stato richiama la giurisprudenza costituzionale in base alla quale non sussiste violazione dell’art. 38 Cost. allorché, con apposita normativa, siano regolati l’insorgenza e l’esercizio del diritto all’erogazione di mezzi adeguati alle esigenze di vita per l’evento malattia («siano poste con essa condizioni requisiti ed anche oneri», sentenza n. 78 del 1988; sentenza n. 180 del 1982). Perché rientra nella discrezionalità del legislatore la ricerca di un contemperamento tra le esigenze di vita dei lavoratori e la soddisfazione di altri princìpi, pure costituzionalmente garantiti, come il buon andamento dell’amministrazione, gravemente pregiudicato dal fenomeno del cosiddetto assenteismo, il cui contenimento costituirebbe l’obiettivo della norma censurata insieme con l’evidente necessità di riduzione della spesa pubblica.
Inoltre, l’ammontare dei trattamenti potrebbe essere condizionato dalla situazione economica e dalle esigenze finanziarie da fronteggiare. Tali da indurre la Corte costituzionale a valorizzare con intensità crescente, nel bilanciamento complessivo degli interessi costituzionalmente protetti (tra cui la tutela previdenziale), anche l’aspetto delle risorse finanziarie disponibili e dei mezzi necessari per far fronte agli impegni di spesa (sentenze n. 531 del 2001, n. 417 del 1996, n. 361 del 1996, n. 421 del 1995, n. 240 del 1994, n. 243 del 1993, n. 226 del 1993 e n. 119 del 1991), con la riaffermata discrezionalità legislativa nella fissazione dell’ammontare delle prestazioni sociali anche alla luce delle disponibilità finanziarie. Da questo punto di vista, sarebbe illuminante la collocazione della disposizione censurata in un contesto di misure finanziarie di contenimento della spesa pubblica, con lo scopo specifico di contrastare il fenomeno dell’assenza ingiustificata dal lavoro (o meglio falsamente giustificata).
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale di Livorno, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 5 agosto 2011, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 32, 36 e 38 della Costituzione, dell’articolo 71 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133.
2.– Il giudice rimettente dubita della legittimità costituzionale della disposizione censurata, nella parte in cui stabilisce che «1. Per i periodi di assenza per malattia, di qualunque durata, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nei primi dieci giorni di assenza è corrisposto il trattamento economico fondamentale con esclusione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio. Resta fermo il trattamento più favorevole eventualmente previsto dai contratti collettivi o dalle specifiche normative di settore per le assenze per malattia dovute ad infortunio sul lavoro o a causa di servizio, oppure a ricovero ospedaliero o a day hospital, nonché per le assenze relative a patologie gravi che richiedano terapie salvavita. I risparmi derivanti dall’applicazione del presente comma costituiscono economie di bilancio per le amministrazioni dello Stato e concorrono per gli enti diversi dalle amministrazioni statali al miglioramento dei saldi di bilancio. Tali somme non possono essere utilizzate per incrementare i fondi per la contrattazione integrativa. […] 6. Le disposizioni del presente articolo costituiscono norme non derogabili dai contratti o accordi collettivi».
La norma in esame è sospettata di illegittimità, perché, durante il periodo d’infermità, priverebbe ingiustificatamente i lavoratori pubblici, diversamente da quelli privati, di una parte della retribuzione di fatto di loro spettanza, inducendoli a lavorare e a mettere, così, a repentaglio la salute, pur di non subire la relativa decurtazione. In tal modo sarebbero lesi gli artt. 3, 32, 36 e 38 Cost.
2.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce l’inammissibilità delle questioni sollevate dal Tribunale di Livorno, in primis, per difetto di rilevanza.
L’eccezione non è fondata.
Il giudice rimettente, premessa la richiesta dei ricorrenti (tutti dipendenti del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca) di ottenere il trattamento di malattia in misura corrispondente all’intero trattamento retributivo in busta paga, ha chiaramente enunciato di dover fare applicazione, ai fini della definizione della lite, dell’art. 71 del decreto-legge n. 112 del 2008, modificativo in peius della precedente normativa di settore e, dunque, ostativo all’accoglimento della domanda.
Ciò è sufficiente a dimostrare la rilevanza delle questioni proposte, perché è di tutta evidenza che il giudice a quo abbia inteso riferirsi ad ipotesi rispetto alle quali l’art. 71 del decreto-legge n. 112 del 2008 avrebbe, a suo avviso, davvero introdotto un trattamento meno favorevole.
2.2.– Anche l’eccezione d’inammissibilità proposta dalla difesa dello Stato per avere i ricorrenti sollecitato la disapplicazione della norma è destituita di fondamento. Difatti, il giudice rimettente ha interpretato correttamente l’istanza dei lavoratori nel senso di voler rimettere a questa Corte, secondo il sistema di controllo accentrato previsto dall’ordinamento giuridico italiano, il giudizio di legittimità costituzionale della norma in esame.
2.3.– Dev’essere, infine, disattesa l’eccezione d’inammissibilità per erronea e/o incompleta ricostruzione del quadro normativo, perché basata su elementi, come quello dell’asserita incomparabilità tra lavoro pubblico e privato, che ridondano sul merito delle questioni sollevate.
3.– Nel merito, le questioni non sono fondate.
3.1.– La disposizione censurata prevede inderogabilmente la detrazione delle competenze accessorie dal trattamento dovuto al lavoratore in malattia per i primi dieci giorni, in un quadro di misure dirette alla riduzione dei giorni di assenza per malattia dei dipendenti pubblici, al fine di «riportare il tasso di assenteismo del settore pubblico nei limiti di quello privato» (relazione al disegno di legge n. 1386 presentato alla Camera dei deputati il 25 giugno 2008) e con l’effetto dichiarato di utilizzare i risparmi in tal modo realizzati per il miglioramento dei saldi di bilancio delle pubbliche amministrazioni, senza alcuna confluenza nei fondi per la contrattazione integrativa.
La differenza più rilevante rispetto alla disciplina previgente, di fonte eminentemente contrattuale (art. 17 del contratto collettivo relativo al personale del comparto scuola sottoscritto il 29 novembre 2007) risiede nella generalizzata operatività della riduzione in esame, indipendentemente dalla durata della malattia.
Così ricostruita la ratio legis, la disposizione in oggetto si sottrae alle censure del rimettente.
3.2.– Dev’essere, anzitutto, esclusa la denunciata violazione dell’art. 3 Cost.
In primo luogo, l’art. 2110 del codice civile dispone che, in caso di malattia, spettano al lavoratore la retribuzione o un’indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, dalla contrattazione collettiva, dagli usi o secondo equità. Ciò significa che già la norma generale di disciplina dell’istituto è programmaticamente aperta ad una pluralità di soluzioni regolative di dettaglio.
In secondo luogo, sotto il profilo in esame, l’impianto normativo del lavoro pubblico non è confrontabile con quello del lavoro privato, per il fatto che nell’àmbito di quest’ultimo convivono regimi notevolmente diversificati. Invero, per esso, talora si fa ricorso ad un sistema assicurativo obbligatorio (destinato peraltro solo ad una parte dei lavoratori: operai, agricoli ed altre specifiche categorie), rispetto al quale, di conseguenza, la contrattazione collettiva svolge una funzione integrativa nei vari settori merceologici (intervenendo con una quota della retribuzione in aggiunta alla prestazione previdenziale). Talora, invece, la copertura previdenziale non è prevista (come nel caso degli impiegati). La legge speciale (art. 6 del regio decreto-legge 13 novembre 1924, n. 1825, recante «Disposizioni relative al contratto d’impiego privato») e i contratti collettivi dispongono, quindi, autonomamente un trattamento retributivo a favore del lavoratore malato.
Diversamente, nel lavoro pubblico privatizzato – al quale appartengono i lavoratori della scuola che sono parti nel giudizio a quo – la materia è sostanzialmente demandata alla contrattazione collettiva, in ossequio ai princìpi regolatori della normativa del settore, di cui agli artt. 2, 45 e 51 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), con una varietà di discipline che risentono delle peculiarità di ciascun comparto di riferimento.
Sicché, i due sistemi, privato e pubblico, già significativamente differenziati al loro interno, risultano assolutamente incomparabili, contrariamente a quanto ritenuto dal rimettente, proprio in relazione al regime della malattia.
A tutto ciò va aggiunto che, malgrado la tendenziale omogeneizzazione derivante dalla privatizzazione della disciplina del pubblico impiego, la Corte non ha mancato di escludere l’equiparabilità tra gli àmbiti del lavoro pubblico e del lavoro privato, affermando a più riprese la non perfetta coincidenza dei relativi regimi (sentenze n. 146 del 2008, n. 367 del 2006, nn. 199 e 82 del 2003, n. 309 del 1997, nonché nn. 313 e 388 del 1996).
Peraltro, la scelta di depurare del trattamento accessorio la retribuzione fissa mensile del dipendente assente per malattia, sia pure con diverse sfumature, rappresenta una costante nei contratti collettivi del pubblico impiego, e non soltanto nel comparto scuola. Con l’effetto che la norma censurata s’iscrive nel sistema risultante dal complesso della contrattazione collettiva rivolta al personale pubblico dei singoli settori.
3.3.– Neppure la questione di legittimità dell’art. 71 del decreto-legge n. 112 del 2008, proposta in relazione all’art. 36 Cost., è fondata.
La conservazione del trattamento fondamentale garantisce, per definizione, l’adeguatezza della retribuzione e la sua funzione alimentare durante il periodo di malattia, tanto più che la durata della riduzione è contenuta dalla disposizione censurata nei limiti della decade.
Del resto, questa Corte ha reiteratamente chiarito che il giudizio sulla conformità di un trattamento all’art. 36 Cost. non può essere svolto per singoli istituti, né – può aggiungersi – giorno per giorno, ma occorre valutare l’insieme delle voci che compongono il trattamento complessivo del lavoratore in un arco temporale di una qualche significativa ampiezza (sentenze nn. 366 e 287 del 2006, n. 470 del 2002 e n. 164 del 1994). Con la conseguenza che la decurtazione del trattamento accessorio per i soli primi dieci giorni di malattia non arreca alla retribuzione del lavoratore una perdita che possa pregiudicarne, in spregio al dettato costituzionale, la “proporzionalità” o la “sufficienza”.
3.4.– Per ragioni analoghe non è ravvisabile alcun contrasto della norma in oggetto con l’art. 38 Cost. Infatti, nessuna disposizione, né generale, né settoriale, impone che la prestazione economica in costanza di malattia coincida o tenda a coincidere con la retribuzione del lavoratore in servizio o con una sua determinata porzione. Sicché, il ragguaglio di essa al mero trattamento fondamentale per i soli primi dieci giorni di assenza non è così drastico da privare il lavoratore infermo di mezzi idonei di sussistenza.
D’altro canto, si realizza in tal modo il ponderato bilanciamento, sia con altri princìpi costituzionalmente garantiti, come quello di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), indirettamente perseguito scoraggiando con la forza deterrente della penalizzazione economica fenomeni di assenteismo, sia con ulteriori esigenze di rango primario, come quella (particolarmente avvertita in materia previdenziale) di controllo della spesa pubblica.
3.5.– Infine, non sussiste la denunciata lesione dell’art. 32 Cost.
È, infatti, non sostenibile che la riduzione di retribuzione sancita dalla norma in questione, con la salvezza del trattamento fondamentale e la brevità della durata, costringa il lavoratore ammalato, come opina il rimettente, a rimanere in servizio pur di non subirla, anche a costo di compromettere ulteriormente la salute.
La decurtazione retributiva de qua, non comportando aggravi particolari, è del tutto inidonea ad esercitare qualunque coazione al riguardo.
D’altro canto, a tutto voler concedere, questa Corte ha già riconosciuto che anche il diritto alla salute dev’essere contemperato con altre esigenze costituzionalmente tutelate (sentenze n. 212 del 1998 e n. 212 del 1983; ordinanza n. 140 del 1995). E nella specie viene, altresì, in rilievo, come si è visto, il buon andamento della pubblica amministrazione, che la norma censurata si propone a ragion veduta di perseguire disincentivando l’assenteismo.