Ritenuto in fatto
1.- Con ricorso notificato il 19-22 ottobre 2009 e depositato in cancelleria il 22 ottobre 2009, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 9 e 15 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 11 agosto 2009, n. 16 (Norme per la costruzione in zona sismica e per la tutela del territorio), pubblicata nel Bollettino Ufficiale n. 33 del 19 agosto 2009, denunciandone il contrasto con gli artt. 114, 117, primo comma, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione e con gli artt. 4 e 5 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia).
La legge regionale, nel dettare norme per le costruzioni in zone sismiche e per la tutela del territorio, persegue, quanto al primo settore di intervento, «gli obiettivi di tutela della pubblica incolumità e di riduzione del rischio sismico sul territorio regionale, attraverso la salvaguardia della stabilità e della sicurezza delle costruzioni nelle zone dichiarate sismiche» (art. 1), e si applica «a chiunque esegua, con o senza titolo abilitativo, nelle zone del territorio della Regione soggette all’obbligo di progettazione antisismica, opere o interventi edilizi di manutenzione straordinaria, di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia, di nuova costruzione e di ristrutturazione urbanistica, che abbiano rilevanza strutturale, ovvero modifichi la destinazione d’uso di edifici e di opere, con o senza lavori edili, in modo tale da farli rientrare nelle categorie di cui all’articolo 6, comma 2, lettera a)» (art. 2).
Quanto al secondo settore di intervento, la finalità perseguita consiste nel «garantire la tutela dell’incolumità delle persone, la preservazione dei beni, nonché la sicurezza delle infrastrutture e del patrimonio ambientale e culturale» (art. 14).
Il ricorrente premette che la Regione Friuli-Venezia Giulia, ai sensi del proprio statuto, gode di una potestà legislativa primaria in materia di “urbanistica” (art. 4, primo comma, numero 12) e di competenza legislativa concorrente in materia di “opere di prevenzione e soccorso per calamità naturali” (art. 5, primo comma, numero 22): la Regione, quindi, deve legiferare nelle dette materie in armonia con la Costituzione, con i principi generali dell’ordinamento giuridico e con le norme fondamentali di riforma economico-sociale e, quanto alle “opere di prevenzione e soccorso per calamità naturali”, nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti con leggi dello Stato.
Il denunciato art. 9, rubricato “Disposizioni per i centri storici”, prevede che la Regione possa concedere deroghe all’osservanza delle norme tecniche per le costruzioni nelle zone sismiche. In base ad esso, «nel caso in cui sussistano ragioni determinate dall’esigenza di salvaguardare le caratteristiche ambientali dei centri storici che impediscano, anche parzialmente, il rispetto delle norme tecniche per le costruzioni» nelle zone sismiche, «la Regione, su richiesta dei soggetti interessati o, nel caso di opera di competenza della Regione, su iniziativa della struttura regionale competente in materia, è autorizzata a concedere deroghe all’osservanza delle citate norme tecniche».
Richiamata la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 302 del 1988) sulla potestà di legiferare in materia di costruzioni in zone sismiche, la difesa erariale ritiene che questa disposizione si ponga in contrasto con la normativa statale vigente e, in particolare, con l’art. 88 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), che attribuisce allo Stato, e per esso al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, la possibilità di concedere deroghe all’osservanza delle norme tecniche di cui all’art. 83 del medesimo decreto, previa apposita istruttoria da parte dell’ufficio periferico competente e il parere favorevole del Consiglio superiore dei lavori pubblici, quando sussistano ragioni particolari, che ne impediscano in tutto o in parte l’osservanza, dovute all’esigenza di salvaguardare le caratteristiche ambientali dei centri storici.
Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, il conferimento al Ministro del potere di deroga ha un contenuto precettivo, valevole erga omnes, ai fini della garanzia di applicazione in maniera uniforme sul territorio nazionale di una normativa avente particolari e delicati riflessi sulla tutela della pubblica incolumità. La disposizione contenuta nell’art. 88 del testo unico costituirebbe un principio che trascende anche l’ambito della disciplina del territorio, per attingere a valori di tutela dell’incolumità pubblica che fanno capo alla materia della protezione civile (sentenza n. 182 del 2006), quindi al di là delle competenze riconosciute in via esclusiva alla Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di urbanistica.
La disposizione regionale eccederebbe le competenze statutarie di cui all’art. 5, primo comma, numero 22, dello statuto speciale di autonomia ed invaderebbe la potestà legislativa statale riguardante la determinazione dei principi fondamentali in materia di protezione civile, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
L’art. 15 della legge regionale, sotto la rubrica “Classificazione del territorio regionale”, attribuisce al Comune la potestà di individuare le aree sicure o pericolose ai fini edificatori o infrastrutturali.
Ad avviso del ricorrente, la disposizione denunciata si porrebbe in contrasto con la disciplina statale di riferimento, che rimette alla pianificazione di bacino la competenza di individuare tali aree.
Infatti, ai sensi dell’art. 65, commi 4, 5 e 6, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), le prescrizioni più restrittive contenute negli atti di pianificazione di bacino hanno carattere vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici e sono sovraordinate ai piani territoriali e ai programmi regionali.
Secondo la difesa erariale, la norma regionale sarebbe illegittima nella parte in cui rende possibile la realizzazione degli interventi in tutti i casi in cui le norme di attuazione dei piani di bacino o la normativa di salvaguardia non consentono, nelle aree considerate, tale tipologia di interventi o, più in generale, nelle aree ad alto (elevato e molto elevato) rischio idrogeologico, nelle quali non è consentita l’edificazione in base agli strumenti di pianificazione.
Dettando disposizioni difformi dalla normativa nazionale di riferimento afferente alla materia della “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, che l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. riserva allo Stato, il denunciato art. 15 eccederebbe la competenza statutaria di cui all’art. 4 dello statuto speciale, secondo il quale la Regione esercita le proprie competenze legislative in armonia con la Costituzione.
In conclusione, secondo l’Avvocatura, «la normativa regionale in questione, dettando disposizioni confliggenti con la normativa nazionale vigente, espressione della potestà legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera s), Cost., nonché con i principi generali dettati dalla legislazione statale, in violazione dell’art.117, terzo comma, Cost., eccede le competenze regionali di cui agli artt. 4 e 5 dello statuto speciale di autonomia di cui alla legge costituzionale n. 1 del 1963 e va dichiarata illegittima negli articoli censurati per violazione dei suddetti parametri, nonché dei principi fondamentali dettati dagli artt. 114 (sulla equiordinazione tra Stato, Regioni ed Enti locali e, in particolare, sulle prerogative istituzionali dello Stato, con specifico riferimento a quanto disposto dall’art. 117 Cost.) e 117, primo comma (sulla preminenza delle disposizioni comunitarie e la necessità di rispettare i parametri imposti dagli organismi dell'Unione Europea) Cost.».
2.- Si è costituita la Regione Friuli-Venezia Giulia, chiedendo che la Corte respinga il ricorso in quanto inammissibile ed infondato.
Una prima ragione di inammissibilità del ricorso deriverebbe dalla contraddittorietà nella invocazione dei parametri.
Sostiene la difesa della Regione che nel ricorso sono invocate contemporaneamente le norme dello statuto speciale e le norme del Titolo V della parte seconda della Costituzione, giungendosi ad affermare che la violazione dei limiti statutari sarebbe avvenuta attraverso la violazione delle norme statali espressive dei poteri conferiti allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera s), e dall’art. 117, terzo comma, Cost.
Secondo la Regione Friuli-Venezia Giulia, il “limite costituzionale” di cui all’art. 4 dello statuto non comprende – di regola – le norme del Titolo V, destinate alle Regioni ordinarie: se così fosse, non avrebbe alcun senso la stessa esistenza delle Regioni speciali e dei relativi statuti.
Sarebbe dunque contraddittoria (e, perciò, inammissibile) l’impostazione del ricorso, che affianca continuamente e sovrappone i parametri statutari e quelli risultanti dal nuovo Titolo V.
L’Avvocatura generale dello Stato avrebbe dovuto valutare se, nelle materie oggetto delle norme impugnate, l’autonomia conferita dallo statuto speciale sia maggiore o minore di quella derivante dal Titolo V: nel primo caso, il parametro di legittimità della legge regionale si sarebbe dovuto identificare nel solo statuto speciale, mentre, nel secondo caso, nel Titolo V, ai sensi dell’art. 10, comma 1, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), senza la possibilità di invocare ulteriormente i limiti statutari.
In ogni caso, il ricorso risulterebbe ulteriormente inammissibile, per genericità, là dove invoca l’art. 117, primo comma, Cost., per la totale assenza di qualsiasi argomentazione e dell’indicazione delle fonti comunitarie che sarebbero state violate.
Anche la censura fondata sull’art. 114 Cost. sarebbe priva di autonomia, perché si tradurrebbe nell’invocazione delle prerogative statali di cui all’art. 117 Cost.
2.1.- Nel merito, la questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto l’art. 9 della legge regionale n. 16 del 2009 sarebbe infondata. Poiché le costruzioni in zona sismica afferiscono all’urbanistica (come risulta non solo dall’evidenza dell’oggetto della disciplina – che è, appunto, l’attività edilizia di costruzione – ma anche dalla tradizione legislativa consolidata: art. 81 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 e art. 54, comma 1, lettera c, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112), nel caso in questione non sarebbe pertinente l’invocazione dei principi fondamentali in materia di protezione civile, ma bisognerebbe semmai dimostrare il superamento dei limiti della potestà legislativa primaria in materia di urbanistica.
La difesa della resistente ricorda che, in base all’art. 2, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, «le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la propria potestà legislativa esclusiva, nel rispetto e nei limiti degli statuti di autonomia e delle relative norme di attuazione», e ciò confermerebbe che i principi di tale decreto presidenziale non vincolano le Regioni speciali.
Trattandosi poi, nella presente controversia, della titolarità di una specifica funzione amministrativa, essa spetterebbe, in virtù delle competenze statutarie, alla Regione Friuli-Venezia Giulia, dove vige il principio del parallelismo stabilito dall’art. 8 dello statuto (è citata la sentenza n. 236 del 2004 di questa Corte). In attuazione di esso, l’assetto delle funzioni amministrative nella materia è definito dall’art. 22 del d.P.R. 26 agosto 1965, n. 1116 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di agricoltura e .foreste, industria e commercio, turismo e industria alberghiera, istituzioni ricreative e sportive, lavori pubblici), come modificato dal d.P.R. 25 novembre 1975, n. 902 (Adeguamento ed integrazione delle norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), che è, tra l’altro, successivo all’art. 12 della legge 3 febbraio 1974, n. 64 (Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche), divenuto poi l’art. 88 del testo unico, che il ricorso assume violato. In base alla citata disposizione delle norme di attuazione, sono trasferite alla Regione, relativamente al suo territorio, tutte le attribuzioni amministrative degli organi centrali e periferici dello Stato in materia, tra l’altro, di «urbanistica, edilizia popolare, opere di prevenzione e soccorso per calamità naturali»; laddove l’art. 26, primo comma, lettera i), del medesimo d.P.R. mantiene alla competenza statale le «opere di prevenzione e soccorso per calamità naturali, relative a materia di competenza statale, nonché gli interventi straordinari nelle opere di soccorso relative a calamità di estensione ed entità particolarmente gravi».
Coerentemente con tale ampio trasferimento, l’art. 22 del d.P.R. n. 902 del 1975 ha trasferito «alla Regione Friuli-Venezia Giulia gli uffici del provveditorato regionale alle opere pubbliche per il Friuli-Venezia Giulia e gli uffici del genio civile, con esclusione delle sezioni o servizi cui sono affidate le funzioni rimaste di competenza statale»; mentre, sin dal 1965, l’art. 24 del d.P.R. n. 1116 aveva stabilito che il «comitato tecnico amministrativo, costituito presso il Provveditorato regionale alle opere pubbliche», integrato con tre membri designati dal Presidente della giunta regionale, esercitasse nel territorio regionale, fino a quando la Regione non avesse diversamente disposto, le funzioni del Consiglio superiore dei lavori pubblici.
Secondo la difesa della resistente, siffatta funzione amministrativa, da esercitarsi sul piano locale, senza alcun riflesso che superi tale ambito, appartiene pienamente alla competenza statutaria della Regione e, come tale, è legittimamente disciplinata dalla legge regionale.
Tali considerazioni varrebbero in ogni caso anche se, in denegata ipotesi, si ritenesse prevalente la materia «opere di prevenzione e soccorso per calamità naturali» (art. 5, numero 22, dello statuto). Difatti, la citata norma di attuazione si riferisce non soltanto alla materia “urbanistica”, ma ugualmente a quella delle «opere di prevenzione e soccorso per calamità naturali», cioè ai profili della sicurezza nel senso della incolumità pubblica ai quali allude il ricorso statale.
Ferma la piena competenza statutaria, la difesa della Regione in subordine rileva che, nello stesso sistema generale di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, alla disposizione dell’art. 88 non può attribuirsi il rango di un principio fondamentale della materia, giacché lo stesso d.P.R. attribuisce un ruolo assolutamente centrale alla Regione in relazione alle costruzioni in zona sismica (artt. 83, comma 3, 89, comma 1, 90, comma 2, 93, 94, 96 e 97). La norma impugnata non incide sulla derogabilità delle norme tecniche e sull’entità dei controlli, ma si limita ad attribuire la competenza alla concessione della deroga ad un organo regionale, mentre l’art. 88 del d.P.R. n. 380 del 2001 la attribuisce ad un organo statale.
Poiché la normativa contenuta nel d.P.R. n. 380 del 2001 evidenzia il ruolo centrale delle Regioni nell’applicazione delle norme tecniche in materia di costruzioni in zone sismiche, cioè nei controlli sull’attività edilizia in queste zone, non sussisterebbe alcuna ragione di interesse nazionale (nella prospettiva dello statuto speciale) o di esercizio unitario (nella prospettiva del Titolo V) che imponga la competenza statale in relazione alla deroga di cui all’art. 9 della legge regionale n. 16 del 2009.
La difesa della resistente – che ritiene non conferente il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 302 del 1988 operato in premessa dal ricorrente – ritiene illogico che la Regione possa individuare le zone sismiche e dare il parere sugli strumenti urbanistici generali e particolareggiati e non possa dare una deroga per le costruzioni nei centri storici.
La questione avente ad oggetto l’art. 15 della legge regionale n. 16 del 2009 sarebbe inammissibile, perché il ricorso non indicherebbe affatto la norma che attribuisce al piano di bacino la specifica competenza di individuare le aree sicure o pericolose ai fini edificatori o infrastrutturali, ma invocherebbe i commi 4, 5 e 6 dell’art. 65 del d.lgs. n. 152 del 2006, cioè le norme che sanciscono il carattere vincolante del piano di bacino per gli altri piani.
Nel merito, in ogni modo, la censura si fonderebbe su un equivoco circa l’esatto significato della disposizione impugnata.
Il ricorso muove dalla tesi secondo cui il denunciato art. 15 attribuirebbe ai Comuni il potere di disattendere i vincoli derivanti dai piani di bacino ma, in realtà, in nessun punto l’art. 15 consente la realizzazione degli interventi in tutti i casi in cui le norme di attuazione dei piani di bacino o la normativa di salvaguardia non permettono, nelle aree considerate, tale tipologia di interventi.
Premesso che in base all’art. 94, comma 2, lettera a), del d.lgs. n. 112 del 1998 e all’art. 3 della legge regionale n. 16 del 2009 l’individuazione delle zone sismiche spetta alle Regioni, la resistente osserva che il citato art. 15 non ha lo scopo di indebolire la tutela del territorio ma quello di rafforzarla, prevedendo uno strumento conoscitivo, che non incide affatto sulla realizzabilità degli interventi quale risulta dagli strumenti sovraordinati.
La disposizione impugnata, pur non richiamando espressamente le norme statali di settore, andrebbe letta in combinato con l’art. 65 del d.lgs. n. 152 del 2007.
In questa prospettiva, l’art. 15 della legge regionale non intenderebbe in alcun modo derogare alla normativa statale, per cui resta fermo il carattere vincolante del piano di bacino. Esso si limita a prevedere uno strumento conoscitivo e illustra la metodologia da seguire per la classificazione del territorio regionale. I “tecnici laureati abilitati” di cui all’art. 15, comma 4, che redigono lo studio, devono applicare le norme statali e regionali che governano la materia e considerare i piani sovraordinati a quelli comunali.
3.- In prossimità dell’udienza, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria illustrativa.
La difesa erariale ribadisce – con riferimento alla questione avente ad oggetto l’art. 9 della legge regionale – che la scelta effettuata dall’art. 88 del d.lgs. n. 380 del 2001 (e, prima ancora, dall’art. 12 della legge n. 64 del 1974) è una scelta di principio non derogabile dalle leggi regionali, perché espressione del superiore interesse all’incolumità pubblica.
Con riguardo alla questione concernente l’art. 15 della legge regionale, la difesa del ricorrente, richiamata la sentenza di questa Corte n. 254 del 2009, osserva che la norma regionale sarebbe illegittima, perché consente la realizzazione degli interventi in tutti i casi in cui le norme di attuazione dei piani di bacino o la normativa di salvaguardia non permettono, nelle aree considerate, tale tipologia di interventi o, più in generale, nelle aree ad alto rischio idrogeologico.
Considerato in diritto
1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, in riferimento agli artt. 114, 117, primo comma, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione, nonché agli artt. 4 e 5 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale per la Regione Friuli-Venezia Giulia), questione di legittimità costituzionale degli artt. 9 e 15 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 11 agosto 2009, n. 16 (Norme per la costruzione in zona sismica e per la tutela del territorio).
In particolare, l’art. 9 della legge regionale – il quale prevede che la Regione possa concedere deroghe all’osservanza delle norme tecniche per le costruzioni nelle zone sismiche, nel caso in cui sussistano ragioni determinate dall’esigenza di salvaguardare le caratteristiche ambientali dei centri storici che ne impediscano, anche parzialmente, il rispetto – invaderebbe, ad avviso del ricorrente, la potestà legislativa statale riguardante la determinazione dei principi fondamentali in materia di protezione civile, eccedendo le competenze statutarie, giacché l’art. 88 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), attribuisce allo Stato, e per esso al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, la possibilità di concedere simili deroghe, previa apposita istruttoria da parte dell’ufficio periferico competente e il parere favorevole del Consiglio superiore dei lavori pubblici.
L’art. 15 della legge regionale, a sua volta, nell’attribuire al Comune la potestà di individuare le aree sicure o pericolose ai fini edificatori o infrastrutturali, si porrebbe in contrasto con la disciplina statale di riferimento (art. 65, commi 4, 5 e 6, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante “Norme in materia ambientale”), che rimette alla pianificazione di bacino la competenza di individuare tali aree.
2.- Preliminarmente, deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa della Regione, sul rilievo che nel ricorso sarebbero invocate contemporaneamente le norme dello statuto speciale e le norme del Titolo V della parte seconda della Costituzione, senza spiegare perché le norme del Titolo V, destinate alle Regioni ordinarie, dovrebbero applicarsi ad una Regione a statuto speciale.
2.1.- L’eccezione non è fondata.
Il ricorrente ritiene che l’art. 9 della legge regionale eccederebbe la competenza statutaria di cui all’art. 5, primo comma, numero 22), dello statuto di autonomia, contrastando con un principio fondamentale, di uniformità degli standard costruttivi nelle zone sismiche, dettato dalla legislazione statale nella materia della protezione civile, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.
Quanto alla questione avente ad oggetto l’art. 15 della medesima legge regionale, il ricorrente sostiene che la norma impugnata sia espressione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di “tutela dell’ambiente”, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., e che essa violi l’art. 4 della legge costituzionale n. 1 del 1963, secondo il quale la Regione Friuli-Venezia Giulia esercita le proprie competenze legislative in armonia con la Costituzione.
Dalla motivazione del ricorso, dunque, è agevolmente comprensibile che il ricorrente lamenta in primo luogo la violazione della competenza legislativa attribuita alla Regione dallo statuto speciale, e, in secondo luogo, e quindi in via gradata, fa riferimento alla disposizione costituzionale di cui all’art. 117, terzo comma, in un caso, e di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), nell’altro, per l’ipotesi in cui si ritenga applicabile detto parametro costituzionale alla luce dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). Non vi è, quindi, da parte del ricorrente, alcuna contraddizione nel citare, nel suo ricorso, sia la specifica disposizione statutaria sia, in via subordinata, le disposizioni contenute nell’art. 117, comma secondo, lettera s), e terzo comma, Cost.
3.- E’, invece, fondata l’ulteriore eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa della Regione con riferimento alla dedotta violazione degli artt. 114 e 117, primo comma, Cost., dato che il ricorrente non svolge alcuna argomentazione, limitandosi ad una generica invocazione di detti parametri.
In questi limiti, le questioni sollevate devono essere dichiarate inammissibili.
4.- La questione avente ad oggetto l’art. 9 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia è fondata.
La norma impugnata autorizza «la Regione, su richiesta dei soggetti interessati o, nel caso di competenza della Regione, su iniziativa della struttura regionale competente in materia», «a concedere deroghe all’osservanza» delle norme tecniche per le costruzioni nelle zone sismiche «nel caso in cui sussistano ragioni determinate dall’esigenza di salvaguardare le caratteristiche ambientali dei centri storici che impediscano, anche parzialmente, il rispetto» di tali norme. La deroga «è disposta dalla Giunta regionale sulla base dell’istruttoria della struttura regionale competente in materia, sentita la struttura regionale competente in materia di tutela dei beni paesaggistici».
Anche l’art. 88 del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede – in continuità con quanto stabiliva l’art. 12 della legge 2 febbraio 1974, n. 64 (Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche) – la possibilità di concedere deroghe all’osservanza delle norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche «quando sussistano ragioni particolari, che ne impediscano in tutto o in parte l’osservanza, dovute all’esigenza di salvaguardare le caratteristiche ambientali dei centri storici», ma rimette questo potere al Ministro per le infrastrutture ed i trasporti, «previa apposita istruttoria dell’ufficio periferico competente e parere favorevole del Consiglio superiore dei lavori pubblici».
Con l’affidare al Ministro per le infrastrutture ed i trasporti, e con il previo parere favorevole del Consiglio superiore dei lavori pubblici, il potere di riconoscere le ragioni particolari che impediscono, in nome della salvaguardia delle caratteristiche ambientali dei centri storici, il rispetto delle norme tecniche per le costruzioni nelle zone sismiche, il legislatore statale ha inteso dettare una disciplina unitaria a tutela dell’incolumità pubblica, mirando a garantire, per ragioni di sussidiarietà e di adeguatezza, una normativa unica, valida per tutto il territorio nazionale, in un settore nel quale entrano in gioco sia l’alta tecnicità dei provvedimenti in questione, sia l’esigenza di una valutazione uniforme dei casi di deroga.
In questo contesto, il citato art. 88 – completando la disciplina statale che rimette a decreti del Ministro l’approvazione delle norme tecniche per le costruzioni la cui sicurezza possa interessare la pubblica incolumità, da realizzarsi in zone dichiarate sismiche (art. 83 del d.P.R. n. 380 del 2001) – costituisce la chiara espressione di un principio fondamentale.
D’altro canto, seguendo il criterio della “specificità”, fondato sui concetti dell’“oggetto” e della “ratio”, appare evidente che la disciplina regionale di cui si discute ha come suo oggetto le costruzioni nelle zone ad alto rischio sismico e come sua ratio la tutela dell’interesse generale alla sicurezza delle persone; essa, pertanto, trascende l’ambito della materia dell’urbanistica, nella quale la Regione Friuli-Venezia Giulia ha potestà legislativa primaria (art. 4, primo comma, numero 12, dello statuto speciale), per attingere a valori di tutela dell’incolumità pubblica che fanno capo alla materia delle “opere di prevenzione e soccorso per calamità naturali” (art. 5, primo comma, numero 22, dello statuto speciale), ovvero della “protezione civile” (cfr. sentenza n. 182 del 2006 di questa Corte), gradatamente invocate dal ricorrente.
Si tratta, dunque, nel caso di specie, dell’esercizio della competenza regionale concorrente in materia di “opere di prevenzione e soccorso per calamità naturali” (art. 5, primo comma, numero 22, dello statuto speciale). Nell’esercitare tali competenze, però, la Regione ha violato il principio fondamentale espresso dall’art. 88 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 9 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 16 del 2009, per contrasto con la norma statale di principio – alla cui osservanza la Regione era tenuta ai sensi dell’art. 5, primo comma, numero 22, dello statuto speciale – che affida al Ministro per le infrastrutture ed i trasporti, previo parere favorevole del Consiglio superiore dei lavori pubblici, la possibilità di concedere deroghe all’osservanza delle norme tecniche per le costruzioni nelle zone sismiche.
5.- Circa la questione avente ad oggetto l’art. 15 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 16 del 2009, va innanzitutto rigettata l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa della Regione, perché – contrariamente a quanto sostenuto da quest’ultima – il ricorso richiama esattamente la disposizione – l’art. 65 del d.lgs. n. 152 del 2006 – che disciplina il valore, la finalità ed i contenuti del piano di bacino, e che attribuisce ad esso la competenza di individuare i diversi gradi di pericolosità, sotto il profilo della difesa del suolo, degli ambiti territoriali, a nulla rilevando che il ricorso medesimo si soffermi, specificamente, sui commi 4, 5 e 6 di tale disposizione.
Nel merito, la questione è fondata.
La norma impugnata è inserita nell’ambito della disciplina della tutela fisica del territorio, attraverso il quale la Regione «persegue l’obiettivo generale di garantire la tutela dell’incolumità delle persone, la preservazione dei beni, nonché la sicurezza delle infrastrutture e del patrimonio ambientale e culturale», nel rispetto «delle condizioni di sicurezza idrogeologica e nella considerazione dei limiti imposti dalla vulnerabilità del territorio stesso e dei beni, nonché dei rischi connessi» (art. 14).
In particolare, la norma impugnata, dopo avere stabilito che «il quadro conoscitivo del territorio regionale viene delineato mediante la classificazione del territorio in ambiti caratterizzati da un diverso grado di pericolosità sotto il profilo “geologico, idraulico e valanghivo”, ai fini della previsione e della prevenzione dei relativi rischi», affida al Comune il compito di definire tali ambiti territoriali e di suddividerli in: (a) aree sicure ai fini edificatori o infrastrutturali; (b) aree che, in caso di destinazione d’uso ai fini edificatori o infrastrutturali, possono assumere un rischio di pericolosità sotto il profilo geologico, idraulico e “valanghivo”; (c) aree pericolose ai fini edificatori o infrastrutturali, caratterizzate da situazioni di pericolosità sotto il profilo geologico, idraulico e “valanghivo”, eventualmente suddivise in subaree qualificate da diversi gradi di pericolosità. La definizione di tali ambiti avviene tramite uno studio (costituito da una relazione geologica, geologico-tecnica e idraulica e da rappresentazioni cartografiche) che i Comuni provvedono a trasmettere alla struttura regionale competente in materia, ai fini della verifica sulla conformità dei contenuti dello studio alle condizioni geologiche, idrauliche e valanghive del territorio.
Si tratta di una disposizione che ha ad oggetto la descrizione dello stato della stabilità del suolo e dell’equilibrio idrogeologico di taluni territori, con particolare riguardo ai rischi “geologici, idraulici e valanghivi”. In ragione di tale contenuto, essa rientra nella materia esclusiva statale della tutela dell’ambiente e non tra le competenze attribuite alla Regione Friuli-Venezia Giulia dallo statuto speciale di autonomia.
La disposizione impugnata si pone in contrasto con l’art. 65 del d.lgs. n. 152 del 2006, che rimette alla pianificazione di bacino l’individuazione di dette aree.
Detta norma statale, infatti, definisce il piano di bacino come «piano territoriale di settore» e «strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d’uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e alla corretta utilizzazione delle acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato».
Tale piano – oggetto, nella concreta attuazione, di una procedura concertata – contiene non solo «il quadro conoscitivo organizzato ed aggiornato del sistema fisico» e «delle utilizzazioni del territorio previste dagli strumenti urbanistici comunali ed intercomunali», ma anche l’individuazione e la quantificazione «delle situazioni, in atto e potenziali, di degrado del sistema fisico, nonché delle relative cause», l’indicazione delle «direttive alle quali devono uniformarsi la difesa del suolo, la sistemazione idrogeologica ed idraulica e l’utilizzazione delle acque e dei suoli», nonché l’individuazione «delle zone da assoggettare a specifici vincoli e prescrizioni in rapporto alle specifiche condizioni idrogeologiche, ai fini della conservazione del suolo, della tutela dell’ambiente e della prevenzione contro presumibili effetti dannosi di interventi antropici».
La norma impugnata è pertanto incostituzionale in quanto reca una disciplina che viola la competenza dello Stato nella materia della “tutela dell’ambiente” (sentenze n. 378 del 2007, n. 104 del 2008 e n. 12 del 2009).