Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza depositata il 6 marzo 2009 la Sezione specializzata agraria della Corte di appello di Trento - Sezione distaccata di Bolzano ha sollevato, in riferimento all’art. 116 della Costituzione nonché all’art. 8, numero 8), del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 2, della legge 24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1999), come sostituito dall’art. 22, comma 1, della legge 29 luglio 2003, n. 229 (Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione - Legge di semplificazione 2001), il quale prevede che «Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa all’ordinamento dei masi chiusi è tenuto ad esperire il tentativo di conciliazione ai sensi dell’art. 46 della legge 3 maggio 1982, n. 203».
1.1.– Riferisce la Corte rimettente di essere chiamata a giudicare, in grado di appello, in ordine alla domanda con la quale, per quanto ora interessa, M. K. ha chiesto la condanna di L. E. al rilascio di due fondi, ciascuno dei quali costituente un “maso chiuso”, osservando che gli stessi erano detenuti senza titolo dal convenuto.
Precisa il rimettente che il convenuto si è difeso, in primo grado, sostenendo, in via preliminare, la improponibilità della domanda giudiziale per non avere l’attore svolto il preventivo tentativo di conciliazione previsto dalla norma impugnata e, nel merito, affermando che non si trattava di detenzione sine titulo ma che essa era giustificata dalla esistenza di un contratto agrario che consentiva il godimento da parte sua dei fondi in questione. L’affermazione della esistenza di tale rapporto agrario era, peraltro, oggetto di specifica domanda riconvenzionale da parte del convenuto, che la aveva fatta precedere dalla istanza volta all’esperimento del tentativo di conciliazione ai sensi dell’art. 46 della legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari).
Prosegue la Corte territoriale riferendo che il giudice di prime cure, assunta prova per testi, si era pronunziato espressamente sulla non necessità dell’esperimento del tentativo di conciliazione (peraltro promosso dal convenuto, attore in riconvenzionale) di cui all’art. 46 della citata legge n. 203 del 1982, mentre aveva taciuto sulla eccezione di improponibilità della domanda principale formulata da parte convenuta, e, provvedendo nel merito, aveva accertato, in accoglimento della domanda riconvenzionale, la sussistenza sui terreni in questione di un rapporto contrattuale configurabile come affitto agrario a coltivatore diretto, rigettando, pertanto, l’azione di rilascio.
1.2.– Avverso questa sentenza proponeva appello l’originario attore. Questi, dedotta l’incompletezza della istruttoria svolta, di cui domandava, pertanto, l’integrazione, ha chiesto che, in toto riformata la sentenza di primo grado, fosse accolta l’azione di rilascio e fosse rigettata la riconvenzionale.
Costituitosi in appello, l’originario convenuto, oltre ad opporsi all’accoglimento del gravame, proponeva, a sua volta, appello incidentale avverso l’omessa pronuncia da parte del primo giudice sulla eccezione preliminare di improponibilità per non essere stato esperito, né richiesto, il tentativo di conciliazione.
Prosegue il rimettente osservando che, a questo punto, aveva prospettato alle parti la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 2, della legge n. 340 del 2000.
1.3.– Illustrandone la rilevanza nel giudizio a quo, la Corte altoatesina, osserva che nel novero delle domande giudiziali relative all’ordinamento dei masi chiusi, cui si riferisce la norma censurata, vi è anche quella volta al rilascio di uno di essi. Al riguardo, rileva la pregiudizialità dell’esame dei motivi dell’appello incidentale proposto dal convenuto in primo grado, tanto più ove si consideri che l’eventuale difetto del preventivo tentativo di conciliazione sarebbe, comunque, rilevabile anche d’ufficio dallo stesso giudice d’appello.
Con riferimento alla non manifesta infondatezza della questione, il rimettente ricorda che, a norma dell’art. 8, numero 8), del d.P.R. n. 670 del 1972, la disciplina dell’ordinamento dei masi chiusi è riservata alla potestà legislativa primaria della Provincia autonoma di Bolzano. Tale potestà, secondo l’indirizzo costante della Corte costituzionale, si esplicherebbe entro dei limiti più ampi di quelli previsti per le altre materie rimesse alla competenza legislativa primaria provinciale, estendendosi anche alla pertinente normativa processuale, né, riguardo a detto riparto di competenze, alcuna modifica o innovazione è stata apportata dalle riforme costituzionali approvate con le leggi costituzionali 31 gennaio 2001, n. 2 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano), e 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).
1.4.– Da quanto precede il giudice a quo deduce che la norma censurata, violando la potestà legislativa primaria della Provincia autonoma di Bolzano fissata dall’art. 8, numero 8), dello statuto di autonomia, sia costituzionalmente illegittima.
2.– È intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, concludendo nel senso della inammissibilità o, comunque, della infondatezza della questione.
2.1.– Secondo la difesa dello Stato, la questione sarebbe inammissibile in quanto il giudice a quo avrebbe del tutto omesso di esaminare in qual modo la disposizione censurata sarebbe idonea a pregiudicare la conservazione delle essenziali e specifiche finalità dell’istituto del maso chiuso.
2.2.– La questione sarebbe, comunque, anche infondata in quanto la competenza normativa primaria conferita al legislatore altoatesino in materia di ordinamento dei masi chiusi – che anche la interveniente difesa riconosce essere più ampia di quella che è connessa alle altre materie elencate dall’art. 8 dello statuto di autonomia – si esplica, tuttavia, a livello di disciplina sostanziale e non anche a livello, unico oggetto della disposizione censurata, di disciplina processuale.
Che la competenza provinciale nella materia in questione si esplichi esclusivamente a livello sostanziale lo si deduce – sempre secondo l’Avvocatura dello Stato – dal fatto che lo stesso art. 8, numero, 8), dello statuto si riferisce all’«ordinamento dei masi chiusi» e dal fatto che la competenza legislativa primaria deve comunque essere esercitata entro i limiti fissati dall’art. 4 dello statuto, cioè in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e delle norme fondamentali di riforma economico-sociale.
Aggiunge la difesa pubblica che la potestà legislativa provinciale incontra, oltre al limite – definito «interno» – fissato dall’art. 8, numero 8), dello statuto, anche un limite esterno costituito dalla competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione in materia di giurisdizione e norme processuali. In assenza di disposizioni di rango costituzionale atte a rimuovere tale limite deve, pertanto, escludersi la competenza provinciale riguardo alle norme regolatrici del processo.
2.3.– Né ad un diverso risultato potrebbe condurre, come invece prospettato dal rimettente, l’esame della giurisprudenza della Corte costituzionale in argomento. In particolare, l’Avvocatura si sofferma sulla sentenza n. 4 del 1956 per chiarire che con essa la Corte costituzionale, lungi dal riconoscere la competenza legislativa provinciale in materia processuale, ha solo affermato la legittimità di una norma recata da una legge provinciale, avente ad oggetto un procedimento di volontaria giurisdizione. Ciò in quanto detta previsione normativa si giustificava poiché, per il tramite di essa, si restituiva ad un organo della giurisdizione una competenza che già era attribuita, nella precedente legislazione austriaca, al corrispondente organo giurisdizionale, così ripristinandosi, conformemente alla ratio della peculiare competenza legislativa in materia, un aspetto della tradizione dell’istituto del “maso chiuso”.
Considerato in diritto
1.– La Sezione specializzata agraria della Corte di appello di Trento - Sezione distaccata di Bolzano dubita, in riferimento all’art. 116 della Costituzione nonché all’art. 8, numero 8), del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), della legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 2, della legge 24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1999), come sostituito dall’art. 22, comma 1, della legge 29 luglio 2003, n. 229 (Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione - Legge di semplificazione 2001).
1.1.– In particolare, il citato giudice rimettente – premesso che la norma oggetto dell’incidente di costituzionalità prevede che «Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa all’ordinamento dei masi chiusi è tenuto ad esperire il tentativo di conciliazione ai sensi dell’art. 46 della legge 3 maggio 1982, n. 203», con l’unica variante, rispetto al modello di riferimento, che all’ispettorato provinciale della agricoltura è sostituita la «Ripartizione agricoltura della provincia autonoma di Bolzano» – ritiene che siffatta disposizione sia in contrasto con l’art. 116 della Costituzione e con l’art. 8, numero 8), del d.P.R. n. 670 del 1972 atteso che, secondo i termini della disposizione ultima citata, «la disciplina della materia dell’ordinamento dei masi chiusi è riservata alla potestà legislativa primaria della Provincia autonoma».
Ritiene, pertanto, il rimettente che, essendo la potestà legislativa primaria della Provincia autonoma in materia di ordinamento dei masi chiusi – in quanto istituto sconosciuto nell’ordinamento statale – più ampia rispetto a quella ordinariamente riconosciutagli e tale da estendersi sino alla connessa materia processuale, il legislatore statale – nel prevedere, quale condizione di proponibilità dell’azione nei giudizi aventi ad oggetto l’ordinamento di detto istituto, l’esperimento del preventivo tentativo di conciliazione – avrebbe violato i propri limiti competenziali, esondando in quelli propri della Provincia autonoma.
2.– La questione non è fondata.
2.1.– Invero, più volte questa Corte è stata chiamata a precisare l’ambito della competenza legislativa primaria della Provincia autonoma di Bolzano in materia di «ordinamento dei masi chiusi e delle comunità familiari rette da antichi statuti e consuetudini», chiarendo che l’istituto, che «non trova precedenti nell’ordinamento italiano, non può qualificarsi né rivivere se non con le caratteristiche sue proprie derivanti dalla tradizione e dal diritto vigente fino all’emanazione di quel r.d. 4 novembre 1928, n. 2325, in base al quale esso […] cessò di avere formalmente vita». In tal senso è stato ulteriormente specificato che la più ampia potestà di cui il legislatore provinciale gode in relazione all’istituto in discorso, anche rispetto a quella ordinariamente spettantegli laddove essa si caratterizza per essere primaria, trova la sua giustificazione nell’esigenza di rispettare e, se del caso, ristabilire la disciplina del maso chiuso quale si è stratificata nella tradizione e nell’esperienza giuridica riconducibile al diritto preesistente a quello nazionale (sentenze n. 405 del 2006 e n. 4 del 1956).
3.– In applicazione di siffatti principi questa Corte, scrutinando la legittimità di talune disposizioni legislative provinciali, relative alla disciplina del maso chiuso, che incidevano anche sul diritto privato e sulla giurisdizione, ne ha affermato la compatibilità costituzionale là dove, per il tramite di esse, si tendeva a ripristinare alcuni aspetti originari e tradizionali della complessiva normativa afferente all’istituto (fra le altre, oltre alla già ricordata sentenza n. 4 del 1956, v. la sentenza n. 55 nel 1964).
3.1.– Considerato, pertanto, che la peculiare dilatazione della competenza legislativa provinciale trova esclusiva giustificazione nella circostanza che essa sia funzionale «alla conservazione dell’istituto nelle sue essenziali finalità e specificità» (sentenza n. 340 del 1996), ne deriva che, ogni qualvolta la predetta finalità non sia riscontrabile, da un lato, riemergono gli ordinari impedimenti alla competenza legislativa primaria della Provincia autonoma in materia di diritto privato e di esercizio della giurisdizione (sentenza n. 405 del 2006) e, dall’altro, la competenza nelle predette materie del legislatore statale, simmetricamente, conserva l’abituale estensione.
3.2.– Applicando i suddetti principi anche alla fattispecie ora all’esame di questa Corte, si rileva che la disposizione oggetto di censura – concernente il necessario esperimento del tentativo di conciliazione ai sensi dell’art. 46 della legge n. 203 del 1982 prima di proporre una domanda giudiziale relativa all’ordinamento dei masi chiusi – non opera alcuna, sia pur marginale, trasformazione della disciplina sostanziale dell’istituto stesso rispetto ai suoi contenuti fissati nella tradizione giuridica. Essa si limita ad introdurre, peraltro conformemente non solo alla ordinaria normativa in materia di rapporti agrari, ma persino in coerenza con altra disposizione di fonte provinciale – si tratta dell’art. 21, comma 1, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 novembre 2001, n. 17 (Legge sui masi chiusi), inspiegabilmente non ricordata dal rimettente – una misura di carattere processuale con chiari intenti di deflazione del contenzioso, la cui estraneità rispetto alla trama normativa che, conformemente alla sua cristallizzazione nel tempo, regola la figura giuridica del maso chiuso è evidente.
4.– Poiché gli ambiti di competenza legislativa provinciale risultano, per come sopra dimostrato, inviolati dalla norma censurata, la questione di legittimità costituzionale in esame deve essere dichiarata non fondata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 2, della legge 24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1999), come sostituito dall’art. 22, comma 1, della legge 29 luglio 2003, n. 229 (Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione - Legge di semplificazione 2001), sollevata, in riferimento agli artt. 116 della Costituzione e 8, numero 8), del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), dalla Sezione specializzata agraria della Corte di appello di Trento - Sezione distaccata di Bolzano, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 maggio 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 maggio 2010.
Il Cancelliere
F.to: FRUSCELLA