Ritenuto in fatto
1.− Con ordinanza depositata il 9 novembre 2006 il Consiglio di Stato, sezione VI, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione, degli artt. 28 e 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794 (Onorari di avvocato e di procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile), nella parte in cui, secondo il diritto vivente, non consentono che il procedimento semplificato ivi previsto, avente ad oggetto la liquidazione dei compensi spettanti agli avvocati in relazione all'attività prestata nei giudizi civili, si applichi nei giudizi amministrativi, per la liquidazione dei compensi riguardanti l'attività defensionale in essi svolta.
Nel giudizio principale si discute dell'appello proposto da un avvocato avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale dell'Abruzzo, che ha dichiarato inammissibile, per difetto di giurisdizione, il ricorso promosso ai sensi dell'art. 28 della legge n. 794 del 1942, dal medesimo professionista, per la liquidazione degli onorari professionali.
Il rimettente dà atto di condividere l'orientamento «pressoché uniforme» della Corte di cassazione (sono richiamate le sentenze: sez. II civile, 29 luglio 2004, n. 14394; sez. II civile, 27 marzo 2001, n. 4419; sez. II civile, 12 settembre 2000, n. 12035; sez. II civile, 27 marzo 1995, n. 3603; sez. II civile, 18 luglio 1991, n. 7993), e prevalente presso il Consiglio di Stato (sez. IV, 14 aprile 2006, n. 2133; sez. IV, decr. Pres. 21 ottobre 2005, n. 5957; in senso contrario, sez. VI, 1 marzo 2005, n. 820), secondo il quale il procedimento camerale previsto dagli artt. 28 e 29 della legge n. 794 del 1942 non è applicabile alla domanda di pagamento di compensi professionali formulata davanti al giudice amministrativo, per attività di patrocinio svolta nell'ambito della relativa giurisdizione. Più in generale, riferisce il giudice a quo, la costante giurisprudenza della Cassazione ritiene che lo speciale procedimento camerale non sia applicabile ai processi penali, amministrativi ovvero in materia di compensi riferiti ad attività stragiudiziali, ed anche la dottrina perviene alle medesime conclusioni.
Con riguardo al profilo di interesse, il rimettente espone gli argomenti che militano a sostegno dell'interpretazione restrittiva, richiamando in primo luogo il dato letterale, quale emerge sia dal titolo della legge n. 794 del 1942, che concerne la liquidazione dei corrispettivi dovuti agli avvocati per prestazioni rese nei giudizi civili, sia dal riferimento, contenuto negli artt. 28, 29 e 30 della citata legge, ad istituti propri del processo civile e all'organizzazione degli uffici giudiziari civili. Inoltre, il giudice a quo osserva come, «nel presupposto pacifico della giurisdizione del giudice civile su controversie inerenti alla determinazione di onorari professionali», la configurazione dello speciale procedimento abbia comportato l'intervento del legislatore sulla competenza, attribuita all'ufficio giudiziario che ha conosciuto l'attività defensionale oggetto di liquidazione.
Il rimettente si sofferma, quindi, sul profilo del riparto di giurisdizione, per affermare che «una giurisdizione esclusiva del GA in tema di diritti soggettivi patrimoniali necessiterebbe, specie alla luce dei canoni restrittivi enucleati dalle sentenze nn. 204/2004 e 191/2006 della Consulta, di un'espressa menzione legislativa che difetta nel testo normativo di cui trattasi».
Dopo aver illustrato gli argomenti a sostegno della soluzione interpretativa «conforme alla legislazione vigente come interpretata dal Giudice della giurisdizione», il Consiglio di Stato ritiene tuttavia che la stessa esponga «la norma a dubbi di costituzionalità rilevanti (atteso l'oggetto del presente giudizio di appello) e non manifestamente infondati».
A fronte dell'ampia discrezionalità che va riconosciuta al legislatore nella regolamentazione degli istituti processuali e nella previsione di forme di tutela differenziate, il giudice a quo ritiene che la censurata esclusione non trovi giustificazione sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto le situazioni poste a confronto sarebbero in tutto sovrapponibili, coincidendo l'oggetto della tutela (compensi professionali) e sussistendo, anche per il processo amministrativo, l'esigenza di dotare il professionista «di un efficiente strumento procedurale, aggiuntivo alla procedura finalizzata all'emissione di un decreto ingiuntivo ex art. 633 c.p.c., dato dalla via del ricorso al capo dell'ufficio giudiziario adito per il processo».
Il rimettente individua la ratio dell'istituto nella «connessione ontologica» tra il contenzioso introdotto dal professionista per il recupero del compenso e la controversia di base, il che per un verso giustifica la previsione dell'«incidente di esecuzione» davanti al giudice della cognizione e, per altro verso, vale anche a differenziare «tali questioni» dagli altri crediti pecuniari, per i quali risulta esperibile soltanto la procedura di ingiunzione di cui agli artt. 633 e seguenti cod. proc. civ.
Tale connessione, secondo il giudice a quo, verrebbe in rilievo anche nel processo amministrativo, con la conseguenza che la «scelta omissiva» del legislatore, il quale ha configurato il procedimento in esame per la liquidazione dei compensi soltanto in ambito giudiziale civile, si porrebbe in contrasto con i parametri costituzionali della ragionevolezza (art. 3), del diritto di difesa (art. 24), e della pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo (artt. 24, 103 e 113).
2. – Con memoria depositata il 22 maggio 2007 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ed ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
La difesa erariale evidenzia, in primo luogo, che il rimettente non ha precisato se il compenso professionale oggetto di domanda afferisca a materia rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; inoltre, avuto riguardo alla formulazione delle censure, osserva come la questione sia posta cumulativamente con riferimento ai parametri evocati, e manchi dell'esposizione analitica delle ragioni di contrasto con ciascuno di essi, con sostanziale esclusiva denunzia della irragionevolezza delle norme censurate.
Ancora, secondo la difesa dello Stato, la questione risulterebbe inammissibile sia perché il rimettente avrebbe omesso la doverosa verifica della possibilità di pervenire ad una interpretazione costituzionalmente orientata, sia in quanto il predetto chiede alla Corte costituzionale un intervento manipolativo, quale sarebbe l'introduzione di una nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
L'Avvocatura generale richiama quindi la sentenza n. 204 del 2004 della Corte costituzionale, ove si afferma che l'art. 103 Cost. non ha attribuito al legislatore una discrezionalità assoluta ed incondizionata nella individuazione delle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, «ma gli ha conferito il potere di indicare “particolari materie” nelle quali “la tutela nei confronti della pubblica amministrazione” investe “anche” diritti soggettivi». Da ciò consegue che nel caso in esame, mancando il collegamento funzionale tra il contenzioso finalizzato al recupero del credito professionale e la posizione autoritativa della pubblica amministrazione, non sarebbe configurabile una nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva.
La difesa erariale rileva inoltre che gli artt. 103 e 113 Cost. sono inconferenti rispetto all'oggetto della questione, posto che «non di tutela nei confronti della pubblica amministrazione si verte nel giudizio principale, ma di diritti sorti tra privati o azionati iure privatorum».
Quanto al merito della questione posta in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., infine, l'Avvocatura generale ritiene che la stessa sia manifestamente infondata.
La difesa erariale richiama la costante giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di discrezionalità del legislatore nel predisporre gli strumenti della tutela giurisdizionale e quindi osserva come, a fronte dell'adeguatezza degli strumenti a disposizione degli avvocati per il recupero dei compensi professionali, la previsione di uno strumento ulteriore e specifico, in relazione ad una categoria di giudizi (quelli civili), costituisca un plus che non vulnera la garanzia e l'effettività della generale tutela assicurata agli avvocati i quali prestano la loro opera professionale nei giudizi diversi da quello civile. In ogni caso, conclude l'Avvocatura generale, «una norma eccezionale non può costituire parametro di riferimento per una disciplina generale».
3. – Con atto depositato il 21 maggio 2007 si è costituita la parte appellante nel giudizio a quo, A.A.T., la quale insiste per l'accoglimento della questione.
La parte privata richiama l'iter argomentativo dell'ordinanza di rimessione, evidenziando, in riferimento alla violazione dell'art. 3 Cost., l'identità del rapporto che intercorre tra professionista e cliente nei giudizi civili e in quelli amministrativi, a fronte della quale sarebbe irrilevante la natura dell'oggetto del giudizio.
La limitazione del procedimento speciale ai soli giudizi civili determinerebbe, inoltre, un trattamento deteriore dell'avvocato che svolge la propria attività nei giudizi amministrativi, incidendo in generale sull'esercizio del diritto di azione e sulla sua realizzazione concreta.
Ancora, secondo la parte privata, la normativa censurata sarebbe in contrasto con l'art. 103 Cost., il quale, riconoscendo nella giurisdizione amministrativa lo strumento per la tutela degli interessi legittimi e dei diritti soggettivi, qualifica tali situazioni giuridiche «su un piano di parità rispetto alle analoghe situazioni di pertinenza del Giudice civile e, invece, di fatto differenziate per la carenza organizzativa del sistema per quanto attiene ai rapporti tra il professionista e il cliente nei giudizi di pertinenza del Giudice amministrativo».
Risulterebbe vulnerato, infine, il precetto di cui all'art. 113 Cost., il quale, nel prevedere che «contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria e amministrativa», esige che la tutela debba realizzarsi su un piano di assoluta parità nell'ambito dei due tipi di giudizio, laddove, per effetto della «scelta omissiva del Legislatore», in relazione ai giudizi amministrativi, la tutela risulta ingiustificatamente differenziata.
La parte privata richiama, quindi, due decisioni del Consiglio di Stato (sez. V, 31 gennaio 2007, n. 385 e n. 386), nella quali si legge che è tuttora operante «il principio secondo il quale sono applicabili al giudizio amministrativo le norme della procedura civile che, costituendo espressione di principi generali sul processo, risultano, in mancanza di apposita disciplina, compatibili con le peculiarità del processo amministrativo». La normativa censurata sarebbe perciò applicabile al giudizio amministrativo, essendo oltretutto indubitabile che il giudice amministrativo, per le cause rientranti nella propria competenza, sia l'autorità giurisdizionale che meglio può apprezzare il valore della prestazione resa dal difensore.
4. – Con atto depositato il 21 maggio 2007, sono intervenuti in giudizio L.V. e la Società italiana degli avvocati amministrativisti, al fine di sostenere la fondatezza della questione.
4.1. – Preliminarmente, gli intervenienti affermano di essere entrambi parti in due giudizi sospesi dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n. 1 e n. 2 del 2007), in attesa della decisione della presente questione, in quanto aventi il medesimo oggetto del giudizio principale. Tale circostanza fonderebbe la titolarità, per entrambi i soggetti intervenuti, di un interesse qualificato a partecipare al presente giudizio di costituzionalità, laddove, diversamente opinando, «si dovrebbe sollevare la questione di legittimità costituzionale del limite che sarebbe derivato dalla particolare situazione in questione per violazione dei principi di cui agli artt. 3 e 24 della Costituzione in relazione al carattere generale, assoluto ed indifferenziato del titolo a partecipare al giudizio (anche costituzionale) per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi».
La Società italiana degli avvocati amministrativisti afferma poi che la propria legittimazione a partecipare al giudizio costituzionale discenderebbe anche dalla previsione contenuta nell'art. 2 dello statuto sociale, ai sensi del quale essa «concorre alla soluzione dei problemi degli avvocati che esercitano la loro attività professale nel settore del diritto amministrativo» (primo comma), a tal fine «assumendo ogni altra iniziativa ritenuta opportuna per la realizzazione dello scopo, anche dinanzi alle pubbliche amministrazioni ed agli organi giudiziari» (secondo comma).
4.2. – Nel merito della questione, la difesa dei soggetti intervenuti prospetta argomenti in tutto coincidenti con quelli svolti nella memoria di costituzione della parte privata A.A.T., già sintetizzata al paragrafo 3, al quale si rinvia.
5. – In data 26 febbraio 2008 la parte privata A.A.T. ha depositato memoria illustrativa per argomentare ulteriormente in merito alla fondatezza della questione.
L'interveniente si sofferma sulle pronunce della Corte costituzionale che hanno già esaminato il procedimento previsto dagli artt. 28 e seguenti della legge n. 794 del 1942, e richiama in particolare la sentenza n. 197 del 1998, nella quale si trova affermato che «il rito camerale disciplinato dall'art. 29 della legge n. 794 del 1942 si correla ontologicamente ad uno specifico giudizio contenzioso finalizzato soltanto alla sollecita liquidazione degli onorari di avvocato e di procuratore, che il professionista chiede con il ricorso previsto dal precedente art. 28, avente natura di semplice domanda». Da tale affermazione, secondo la parte privata, discenderebbe che lo speciale procedimento può essere utilizzato in tutti i casi in cui il legale agisca per il soddisfacimento del proprio credito per spese, onorari e diritti per prestazioni giudiziali in materia civile od equiparata, e quindi anche per i compensi per prestazioni rese in ambito processuale amministrativo, rimanendo escluse le sole ipotesi in cui il credito dell'avvocato riguardi compensi per prestazioni in materia penale o per attività stragiudiziali.
L'interveniente rileva ancora come le caratteristiche del giudizio camerale, nelle cui forme si svolge il procedimento semplificato, appartengano anche al processo amministrativo, e che «l'interesse – di cui il rito camerale è portatore – alla sollecita liquidazione delle parcelle degli avvocati, essendo correlato alla sussistenza di una connessione “ontologica” di detto contenzioso con la controversia di base, prescinde dalla natura del giudizio in cui il credito del professionista è maturato tutte le volte in cui il giudizio stesso, per il modo in cui è strutturato e disciplinato, non ponga ostacoli concreti all'esperibilità del rito speciale» (è citata la decisione del Consiglio di Stato, sez. VI, 1 marzo 2005, n. 820, che ha ritenuto l'applicabilità del procedimento in esame al giudizio amministrativo).
La parte privata richiama quindi parte della giurisprudenza costituzionale sul principio di uguaglianza (sentenze n. 24 del 2004, n. 441 del 2000, n. 89 del 1996 e n. 82 del 1973), evidenziando, quanto all'ampiezza del sindacato sul merito delle scelte legislative, che detto sindacato «è possibile solo ove esse trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio, come avviene allorquando la sperequazione normativa tra fattispecie omogenee assuma aspetti e dimensioni tali da non potersi considerare sorretta da alcuna ragionevole giustificazione» (sentenza n. 394 del 2006).
La mancata estensione del procedimento semplificato ai giudizi amministrativi, a parere dell'interveniente, non risponde ad alcun interesse qualificato a soddisfare un'esigenza propria o esclusiva del processo civile, essendo di carattere storico le ragioni per cui le norme censurate fanno riferimento al solo giudizio civile: all'epoca, infatti, era ancora prevista la giurisdizione in unico grado del Consiglio di Stato, avente carattere di giurisdizione superiore, e come tale esclusa dalla disciplina in esame, al pari di quella riferibile alla Corte di cassazione.
Diversamente oggi, nel mutato contesto ordinamentale, non troverebbe più giustificazione il diritto vivente che esclude l'applicabilità della procedura semplificata al giudizio amministrativo «da un lato in forza di un'interpretazione strettamente letterale della stessa, dall'altro nella considerazione del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in materia di controversie tra privati». Quanto al profilo della carenza di giurisdizione del giudice amministrativo in materia di controversie tra privati, il deducente sottolinea come il ricorso proposto ai sensi dell'art. 28 della legge n. 794 del 1942 introduca una «domanda meramente conseguente, eventuale ed accessoria al giudizio principale (radicato nel rispetto delle regole della giurisdizione)», così risultando correttamente introdotta davanti al giudice che ha conosciuto il predetto giudizio.
La parte privata evidenzia ancora come l'estensione al giudice amministrativo della «nuova competenza giurisdizionale ex lege n. 794/1942 in materia di diritti soggettivi, sottrae alla giurisdizione civile ordinaria soltanto la cognizione dei procedimenti camerali, lasciando impregiudicata quella sui procedimenti instaurati con il rito ordinario e quella sulle procedure monitorie previste dagli artt. 633 e seguenti del codice di procedura civile». Il risultato dell'estensione, quindi, non sarebbe la creazione di una sorta di “ulteriore giurisdizione esclusiva” del giudice amministrativo, rimanendo ferma la giurisdizione del giudice ordinario tutte le volte in cui, per scelta del professionista, o in conseguenza del comportamento processuale della controparte, il giudizio camerale non possa avere luogo.
6. – In data 26 febbraio 2008 hanno depositato ulteriore memoria L.V. e la Società italiana degli avvocati amministrativisti.
Gli intervenienti richiamano l'orientamento restrittivo della giurisprudenza costituzionale in tema di ammissibilità dell'intervento di soggetti che non siano parti del giudizio principale (in particolare, ordinanze n. 162 del 2002 e n. 361 del 1988), ritenendo, tuttavia, che nel caso di specie possa trovare applicazione il principio derogatorio espresso dalla stessa Corte con riferimento alle situazioni in cui il giudizio di costituzionalità risulti direttamente incidente su posizioni giuridiche soggettive «quando non vi sia la possibilità per i titolari delle medesime posizioni di difenderle come parti nel processo stesso» (sentenze n. 315 e n. 314 del 1992).
Con riferimento al merito della questione, nella memoria sono sviluppati argomenti in tutto identici a quelli prospettati nella memoria della parte privata A.A.T., già sintetizzata al paragrafo 5, al quale si rinvia.
Considerato in diritto
1. − Il Consiglio di Stato ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione, degli artt. 28 e 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794, nella parte in cui non consentono, secondo il diritto vivente, che il procedimento semplificato ivi previsto, avente ad oggetto la liquidazione dei compensi spettanti agli avvocati in relazione all'attività prestata nei giudizi civili, si applichi nei giudizi amministrativi, per la liquidazione dei compensi riguardanti l'attività defensionale in essi svolta.
2. – Devono essere dichiarati inammissibili gli interventi di L.V. e della Società italiana degli avvocati amministrativisti, che non sono parti nel giudizio a quo, ma in giudizi aventi analogo oggetto e sospesi in attesa della decisione sulla presente questione. È costante giurisprudenza di questa Corte che possono partecipare al giudizio di legittimità costituzionale le sole parti del giudizio principale ed i terzi portatori di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto nel giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma oggetto di censura.
3. – Preliminarmente occorre rilevare che il richiamo, da parte del rimettente, agli artt. 103 e 113 Cost. è privo di argomentazioni atte a rendere comprensibile il legame tra tali parametri costituzionali e le controversie nascenti tra avvocati e clienti, aventi ad oggetto il recupero di crediti professionali. Sia la prima che la seconda delle norme costituzionali citate si riferiscono in modo chiaro e incontrovertibile alla tutela nei confronti della pubblica amministrazione, mentre nel caso di specie si tratta di controversie insorte tra privati, a seguito di un contratto di prestazione d'opera professionale. La carenza di motivazione in ordine alla pertinenza dei suddetti parametri rende pertanto inammissibile la questione sollevata in riferimento agli stessi.
4.1. – In riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la questione non è fondata.
4.2. – La normativa denunciata presenta caratteristiche di marcata specialità, essendo stata dettata dal legislatore in considerazione della omogeneità del ramo di giurisdizione e della identità dell'ufficio giudiziario esistenti tra la lite instaurata per recuperare il credito insoddisfatto, vantato dall'avvocato nei confronti del proprio cliente per prestazioni giudiziali in materia civile, ed il giudice davanti al quale si può svolgere la procedura camerale semplificata prevista dall'art. 29 della legge n. 794 del 1942. Si tratta infatti di un credito di natura squisitamente civilistica, nascente da un contratto di prestazione d'opera professionale stipulato tra l'avvocato ed il cliente normalmente prima dell'instaurazione della controversia giudiziaria e in ogni caso distinto e separato rispetto alla stessa. Questa Corte ha già avuto modo di precisare, con riguardo alla procedura de qua, che «il procedimento trova giustificazione e limite nella peculiarità delle fattispecie che ne consentono l'instaurazione e ne consigliano la definizione possibilmente in via conciliativa». A tale argomentazione fondamentale si può aggiungere «la relativa semplicità degli accertamenti di fatto, solitamente desumibili dagli atti del processo nel quale le prestazioni sono state eseguite o che, comunque, in riferimento alla controversia, sono normale esplicazione di attività di patrocinio» (sentenza n. 22 del 1973). Proprio per la particolarità del contenzioso a cui è applicabile il procedimento semplificato previsto dalle norme censurate, «non appare arbitrario né irrazionale che tale trattamento non sia stato esteso a tutti i professionisti di cui all'art. 633 del codice di procedura civile» (sentenza n. 238 del 1976).
4.3. – Alla base del procedimento previsto dall'art. 29 della legge n. 794 del 1942 non sta la qualità del creditore (avvocato), bensì il collegamento della domanda mirante al pagamento del compenso con un ben delimitato tipo di controversie (civili), che, come specificato dall'art. 28, si sono svolte nell'ambito dello stesso ufficio giudiziario.
La specificità di cui sopra esclude che il rito camerale previsto dalle norme censurate possa estendersi ad altri tipi di controversie, in quanto tale rito «si correla ontologicamente ad uno specifico giudizio contenzioso finalizzato soltanto alla sollecita liquidazione degli onorari di avvocato e procuratore» (sentenza n. 197 del 1998). La giurisprudenza di questa Corte non ha pertanto affermato una inesistente connessione «ontologica» tra il contenzioso volto al recupero del compenso professionale e la controversia di base, come invece ritenuto dal giudice rimettente e ribadito dalla parte privata regolarmente costituita in questo giudizio, ma, al contrario, ha messo in rilievo il legame, questo sì ontologico, tra il rito camerale previsto dall'art. 29 ed il giudizio specifico mirante al pagamento degli onorari per prestazioni effettuate in un procedimento giudiziale civile.
Nel caso, invece, di prestazioni professionali date nell'ambito di un procedimento svoltosi davanti al giudice amministrativo, emerge in modo evidente l'eterogeneità tra la controversia di base – volta alla tutela di situazioni giuridiche soggettive asseritamente lese dalla pubblica amministrazione o da soggetti privati posti in particolare posizione di preminenza (quali, ad esempio, i concessionari di pubblici servizi) – e lo specifico contenzioso volto ad ottenere l'adempimento di un obbligo nascente da un rapporto contrattuale intercorrente tra soggetti privati. Quest'ultimo è da considerare estraneo rispetto alle «particolari materie» ritenute dalla giurisprudenza di questa Corte suscettibili di essere inserite, anche dallo stesso legislatore, nella sfera della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, quale configurata dall'art. 103, primo comma, Cost. Non ricorre difatti la figura della pubblica amministrazione-autorità, necessario presupposto perché possa estendersi la giurisdizione esclusiva (sentenze n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006), ma rilevano soltanto un attore e un convenuto, entrambi soggetti privati, al di fuori di qualsiasi esercizio di poteri autoritativi.
Né vale obiettare – come fa la parte privata costituita – che la richiesta pronuncia additiva si limiterebbe ad introdurre una possibilità aggiuntiva rispetto a quelle offerte dal rito civile (processo ordinario di cognizione, giudizio monitorio ex art. 633 cod. proc. civ.), giacché l'esclusività della giurisdizione amministrativa sarebbe data, nella fattispecie, in caso di accoglimento della questione, dalla competenza del giudice amministrativo a giudicare su controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi, al di fuori da ogni connessione degli stessi con l'operare della pubblica amministrazione come autorità. Il fatto che restino percorribili altre vie, davanti al giudice civile, per il recupero giudiziario del credito insoddisfatto, non fa venir meno la circostanza che la pronuncia richiesta a questa Corte dovrebbe, secondo il rimettente, creare un nuovo ed inedito caso di cognizione piena del giudice amministrativo su diritti soggettivi, senza i presupposti individuati da questa Corte come unici compatibili con l'art. 103 Cost.
4.4. – Alla luce di quanto detto sopra, quella che viene definita dal giudice a quo una irragionevole «scelta omissiva», si presenta invece come una non irragionevole restrizione all'accesso alla procedura speciale di cui agli artt. 28 e 29 della legge n. 794 del 1942, imposta dalle regole generali di riparto delle giurisdizioni, che impediscono una completa equiparazione a tal fine – postulata dal rimettente e dalla parte privata costituita – tra giudizi civili e giudizi amministrativi.
D'altra parte, la tutela dei diritti degli avvocati che prestano la loro opera in giudizi diversi da quelli civili o in sede extragiudiziaria è comunque assicurata in modo pieno, in via generale per tutti i professionisti, sia dall'ordinario giudizio di cognizione che dal procedimento d'ingiunzione di cui agli artt. 633 e seguenti del codice di procedura civile. La norma assunta dal rimettente come tertium comparationis è senza dubbio derogatrice della disciplina generale di cui sopra e deve ritenersi giustificata, come già detto, dalla omogeneità del tipo di giurisdizione e dalla identità dell'ufficio giudiziario. Questa Corte peraltro ha fissato il principio che «quando si adotti come tertium comparationis la norma derogatrice, la funzione del giudizio di legittimità costituzionale non può essere se non il ripristino della disciplina generale, (…), non l'estensione ad altri casi di quest'ultima» (sentenza n. 298 del 1994).
Si può aggiungere che l'estensione di una disciplina derogatrice più favorevole, dettata dal legislatore per una fattispecie particolare, ad una fattispecie altrettanto particolare, ancorché simile, non deve porsi in contrasto con principi insiti nel sistema costituzionale (nel caso di specie quelli che presiedono al riparto delle giurisdizioni), salvo che sia necessario assicurare l'adeguata tutela di un diritto fondamentale, in ipotesi carente nella legislazione ordinaria. Tale eventualità, come chiarito prima, non ricorre nel presente giudizio.
4.5. – Prova ulteriore della perdurante non irragionevolezza della scelta operata dal legislatore del 1942 è la circostanza che una eventuale estensione del rito speciale previsto dalle norme censurate – nel quale, per esplicita previsione legislativa, non sono ammesse impugnazioni, ma solo, per giurisprudenza costante di legittimità, il ricorso per cassazione – produrrebbe paradossalmente una diminuzione di tutela poiché, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 111 Cost., contro le decisioni dei giudici amministrativi il ricorso per cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione. Per evitare tale inaccettabile conseguenza, occorrerebbe pertanto parificare il ricorso al Consiglio di Stato avverso la decisione di un TAR ad un ricorso per cassazione ed escludere del tutto l'invocata tutela speciale per i compensi dovuti in seguito a prestazioni effettuate nell'ambito di cause svoltesi davanti al medesimo supremo organo della giurisdizione amministrativa.
Le difficoltà sistemiche sopra evidenziate contribuiscono a far ritenere non irragionevole l'attuale restrizione ai soli giudizi civili dell'applicabilità del procedimento semplificato previsto dalle norme censurate.