Ritenuto in fatto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 7 dicembre 2007, depositato il successivo 17 dicembre, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 2 ottobre 2007, n. 24 (Attuazione dell'articolo 24, paragrafo 6, dell'Accordo relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio-Accordo TRIPs), in riferimento agli artt. 11, 117, primo comma, della Costituzione, ed agli artt. 117, commi secondo, lettera r), e quinto, della Costituzione ed all'«art. 4, commi 1 e 2», della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia).
La norma impugnata stabilisce: «Ai sensi dell'art. 117, quinto comma, della Costituzione, in attuazione dell'art. 24, paragrafo 6, dell'Accordo relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (Accordo TRIPs), ratificato in Italia con legge 29 dicembre 1994, n. 747, la denominazione “Tocai Friulano”, patrimonio della vitivinicoltura regionale ormai da secoli, può continuare ad essere utilizzata dai produttori vitivinicoli della Regione Friuli-Venezia Giulia, anche dopo il 31 marzo 2007, per designare il vino, derivante dall'omonimo vitigno, che viene commercializzato all'interno del territorio italiano».
2. – La difesa erariale premette che i regolamenti (CE) 29 aprile 2002, n. 753/2002 (Regolamento della Commissione che fissa talune modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1493/1999 del Consiglio per quanto riguarda la designazione, la denominazione, la presentazione e la protezione di taluni prodotti vitivinicoli) e 9 agosto 2004, n. 1429/2004 (Regolamento della Commissione recante modifica del regolamento (CE) n. 753/2002 che fissa talune modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1493/1999 del Consiglio per quanto riguarda la designazione, la denominazione, la presentazione e la protezione di taluni prodotti vitivinicoli) hanno stabilito che i produttori vitivinicoli italiani possono utilizzare la denominazione «Tocai Friulano» sino al 31 marzo 2007, confermando la prescrizione contenuta in tal senso nella Decisione del Consiglio del 23 novembre 1993, n. 93/724/CE (Decisione del Consiglio concernente la conclusione di un accordo tra la Comunità europea e la Repubblica d'Ungheria sulla tutela e il controllo reciproci delle denominazioni dei vini) (di seguito, Accordo del 1993), allo scopo di evitare di ingenerare nei consumatori confusione con la denominazione di origine ungherese «Tokaj».
Il ricorrente dubita della compatibilità della disposizione impugnata con le citate norme comunitarie, esponendo che l'utilizzabilità della suindicata denominazione entro detti limiti, sostanzialmente, era stata stabilita anche dal decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali del 26 settembre 2002 (Condizioni nazionali per l'utilizzo, in deroga al disposto dell'art. 19, paragrafo 1, lettera c, del regolamento (CE) n. 753/2002, dei nomi di varietà di vite o dei loro sinonimi comprendenti un'indicazione geografica, elencati nell'allegato II del citato regolamento, che possono figurare nell'etichettatura dei VQPRD e vini IGT italiani).
L'Avvocatura generale dello Stato dà conto di una serie di giudizi promossi innanzi al Tar del Lazio, aventi ad oggetto la legittimità di decreti concernenti la denominazione del vino prodotto con il vitigno Tocai, nel corso dei quali sono stati disposti rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia della Comunità europea, nonché di giudizi promossi, tra l'altro, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e dal Governo italiano davanti al Tribunale di primo grado delle Comunità europee, allo scopo di ottenere l'annullamento del regolamento (CE) 9 agosto 2004, n. 1429/2004.
La Corte di giustizia, con sentenza 12 maggio 2005, C-347/03, ha ritenuto che l'art. 113 del Trattato CE costituisce idonea base giuridica del citato accordo tra la Comunità europea e la Repubblica d'Ungheria, escludendo la fondatezza dei dubbi prospettati, sotto molteplici profili, in sede di rinvio pregiudiziale, in ordine alla legittimità del divieto di utilizzazione della denominazione in esame da parte dei produttori italiani.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, con decreto del 28 luglio 2006 (Modificazioni al registro nazionale delle varietà di vite), in vista della scadenza della deroga per l'uso della denominazione «Tocai Friulano», ha iscritto nel registro delle varietà di viti il sinonimo «Friulano», su richiesta della Regione Friuli-Venezia Giulia.
Il decreto è stato impugnato da alcuni produttori innanzi al Tar del Lazio che, con ordinanze del 4 dicembre 2006, n. 6622/2006 e n. 6624/2006, ha sospeso l'efficacia del decreto, disponendo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia delle Comunità europee (Cause riunite C-23/07 e C-24/07).
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, con istanza del 18 dicembre 2006, ha chiesto alla Commissione europea la proroga del citato termine del 31 marzo 2007, fino alla decisione del rinvio pregiudiziale disposto dal Tar del Lazio (cause riunite C-23/07 e C-24/07) e dei ricorsi proposti al Tribunale di primo grado.
La Commissione europea, in data 19 dicembre 2006, ha presentato relazione al Consiglio nell'ambito del Comitato speciale agricoltura del 22 gennaio 2007, con la quale, benché abbia tenuto conto delle cause pendenti innanzi alla Corte di giustizia, ha manifestato l'intenzione di assicurare la protezione esclusiva alla indicazione geografica ungherese «Tokaj»; con la nota 16 febbraio 2007, n. 4568, ha confermato dette conclusioni, vietando l'uso del nome del vitigno «Tocai Friulano» per i vini italiani dopo il termine 31 marzo 2007.
Il regolamento (CE) 4 aprile 2007, n. 382/2007 (Regolamento della Commissione recante modifica del regolamento (CE) n. 753/2002 che fissa talune modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1493/1999 del Consiglio per quanto riguarda la designazione, la denominazione, la presentazione e la protezione di taluni prodotti vitivinicoli) ha soppresso le deroghe per l'uso del «Tocai Friulano» e del sinonimo «Tocai italico», inserendo il sinonimo «Friulano» per l'Italia, come richiesto dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e come concordato con la Regione Friuli-Venezia Giulia in apposito protocollo d'intesa.
Il Ministro delle politiche agricole e forestali, in vista della vendemmia 2007, con decreto del 31 luglio 2007 (Disposizioni transitorie per l'uso del sinonimo «Friulano», della varietà di vite «Tocai Friulano», nella designazione e presentazione della relativa tipologia di vino a denominazione di origine della regione Friuli-Venezia Giulia), ha autorizzato, in via transitoria, fino alla decisione delle questioni pregiudiziali poste alla Corte di giustizia, l'uso del sinonimo «Friulano».
2.1. – Posta questa premessa, il ricorrente deduce che la norma impugnata violerebbe gli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione.
La difesa erariale osserva che l'art. 24, paragrafo 6, dell'Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (Accordo TRIPs) dispone: la «presente sezione non obbliga in alcun modo un membro ad applicarne le disposizioni in relazione ad un'indicazione geografica di qualsiasi altro membro per vini per i quali la pertinente indicazione sia identica alla denominazione comune di una varietà d'uva esistente nel territorio di detto membro alla data di entrata in vigore dell'accordo OMC».
Pertanto, una parte contraente può mantenere il nome di un vino, qualora sia eguale al nome del relativo vitigno. La Corte di giustizia, nel parere 14 novembre 1994, n. 1/94, ha qualificato l'Accordo TRIPS come «accordo misto», ritenendo in tal modo che la sua attuazione spetti sia alla Comunità europea, sia agli Stati membri. Inoltre, i diritti di proprietà intellettuale oggetto di detto Accordo possono essere anche quelli previsti dagli ordinamenti nazionali degli Stati membri e, tra questi, rientrano anche le denominazioni che detti Stati possono adottare per i prodotti vitivinicoli, come previsto dal regolamento (CE) 17 maggio 1999, n. 1493/1999 (Regolamento del Consiglio relativo all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo), il cui art. 52, paragrafo 1, stabilisce che solo gli Stati membri possono abbinare il nome di una varietà di vite alla zona geografica di produzione.
Dunque, poiché il citato art. 24, paragrafo 6, si riferisce anche agli Stati membri per le materie rientranti nella loro competenza, ogni Stato può applicare la disposizione in relazione alle proprie denominazioni di prodotti vitivinicoli, con la conseguenza che non sussisterebbe una competenza della Comunità europea, preclusiva dell'attuazione della stessa da parte di ogni Stato membro.
La Corte di giustizia, con la sentenza 11 settembre 2007, C-431/05, ha affermato che nei casi in cui una disposizione dell'Accordo TRIPs debba applicarsi a materie rientranti nella competenza degli Stati membri, in quanto la Comunità europea non ha ancora legiferato o non ha legiferato a tal punto da far ritenere che la materia rientri in ambito comunitario, detta disposizione è applicabile nell'ordinamento interno, in primo luogo da parte del giudice nazionale, che può attribuirle efficacia diretta, in secondo luogo, mediante una norma nazionale, in terzo luogo, attraverso atti dell'amministrazione.
Tuttavia, nella materia oggetto della legge regionale impugnata, la Comunità europea ha esercitato la propria competenza, emanando il regolamento (CE) n. 753/2002, modificato dal regolamento (CE) n. 382/2007, il quale, a seguito della adesione della Repubblica d'Ungheria alla Comunità europea, ha soppresso la norma transitoria relativa alla utilizzazione della denominazione «Tocai Friulano», inserendo la deroga per l'uso del sinonimo «Friulano».
In conclusione, l'Unione europea, dal 1° aprile 2007, non consente la coesistenza delle denominazioni «Tocai friulano» (per i vini di produzione italiana) e «Tokaj» (per i vini di produzione ungherese), ed ha stabilito la protezione esclusiva della indicazione geografica ungherese, con conseguente illegittimità costituzionale della legge regionale impugnata.
2.2. – Secondo il ricorrente, la legge regionale in esame violerebbe anche l'art. 117, secondo comma, lettera r), e quinto, della Costituzione e l'«art. 4, commi 1 e 2», dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia.
La competenza ad esercitare la facoltà prevista dall'art. 24, paragrafo 6, dell'Accordo TRIPs spetterebbe allo Stato. La formula «opere dell'ingegno» (art. 117, secondo comma, lettera r, Cost.) sarebbe omologa a «proprietà intellettuale», spesso utilizzata in alternativa a «proprietà industriale», che indica beni immateriali, che possiedono «un'autonomia esistenziale propria, a prescindere dal prodotto stesso». D'altronde, sarebbe irragionevole un'interpretazione che limitasse la formula «opere dell'ingegno» al solo diritto d'autore, in quanto essa è idonea a comprendere tutti i beni immateriali, i quali, anche in virtù del principio di territorialità, devono avere eguale efficacia ed identica disciplina sull'intero territorio nazionale.
La riconducibilità della denominazione in esame alla materia «proprietà intellettuale (o industriale)», confermata dal fatto che la relativa regolamentazione si interseca con la disciplina dei marchi (in particolare dei marchi geografici e dei marchi collettivi), sarebbe altresì confortata: dall'Accordo TRIPs, ratificato con legge 29 dicembre 1994, n. 747 (Ratifica ed esecuzione degli atti concernenti i risultati dei negoziati dell'Uruguay Round, adottati a Marrakech il 15 aprile 1994), che, nel Capo II, contiene una Sezione, la III (artt. 22-24), dedicata alle indicazioni geografiche; dal decreto legislativo 19 marzo 1996, n. 198 (Adeguamento della legislazione interna in materia di proprietà industriale alle prescrizioni obbligatorie dell'accordo relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale concernenti il commercio-Uruguay Round), il cui capo VI è intitolato «Disciplina delle indicazioni geografiche»; dall'art. 1 del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale, a norma dell'art. 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273), nel quale si precisa che l'espressione proprietà industriale comprende anche le indicazioni geografiche e le denominazioni di origine.
Le denominazioni protette costituiscono istituti di diritto industriale – riconducibili ai diritti di monopolio – che attribuiscono un diritto di esclusiva, la cui violazione, secondo la giurisprudenza, integra ipotesi di concorrenza sleale, per appropriazione di pregi (art. 2598, numero 2, del codice civile), ovvero per violazione dei principi di correttezza professionale (art. 2598, numero 3, del codice civile).
Inoltre, questa Corte ha dato della materia «tutela della concorrenza» una nozione che rende legittime le norme statali che interferiscono con materie riconducibili alla competenza legislativa delle Regioni, concorrente o residuale; la sentenza numero 14 del 2004, ha affermato che la politica agricola spetta alla competenza esclusiva dello Stato, appunto in quanto riconducibile alla «tutela della concorrenza», mentre la sentenza numero 272 del 2004 ha ritenuto legittime le norme che recano una disciplina dettagliata ed autoapplicativa dei servizi pubblici locali, poiché strumentali a garantire la libertà di concorrenza.
Infine, dovrebbe escludersi che la norma impugnata, siccome avente ad oggetto le indicazioni geografiche di prodotti agricoli, rientri nella materia dell'agricoltura, spettante alla Regione Friuli-Venezia Giulia, in virtù dell'art. 4, comma primo, n. 2, dello statuto speciale, anche tenendo conto che la Corte di giustizia, con la sentenza 12 maggio 2005, C-347/03, ha ricondotto l'Accordo del 1993 stipulato tra Comunità europea e Repubblica d'Ungheria alla organizzazione comune di mercato vitivinicolo, non sussistendo coincidenza tra le competenze costituzionali nazionali e quelle comunitarie.
In conclusione, anche qualora si ritenga che la Comunità Europea non abbia esercitato la facoltà di scelta riconosciuta dall'art. 24, paragrafo 6, dell'Accordo TRIPs, la competenza nella materia oggetto della norma impugnata spetterebbe allo Stato.
3. – Si è costituita nel giudizio la Regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del Presidente della Giunta Regionale pro-tempore, che ha eccepito l'inammissibilità e l'infondatezza delle questioni, svolgendo gli argomenti a conforto di dette conclusioni in una memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica ed articolata in tre parti.
3.1. – In sintesi, la resistente, nella prima parte della memoria, premette riferimenti «storici», «poetici e letterari» e «geografici», diretti a dimostrare la notorietà del vino «Tocai» sin dal 1600 e la circostanza che questo toponimo è presente nelle mappe militari austriache sin dal 1763, per indicare un borgo, un ruscello e una collina siti nella Regione Friuli-Venezia Giulia.
La resistente ripercorre la storia della denominazione «Tocai friulano», per dimostrare che è stata utilizzata da tempo risalente ed è coesistita con l'omonima denominazione ungherese, senza che ciò abbia dato luogo a rischi di confusione (al riguardo, sono richiamati numerosi atti – tra i quali, l'Arrangement di Lisbona del 31 ottobre 1958, nel testo riveduto a Stoccolma nel 1967, ratificato con legge 4 luglio 1967, n. 676, recante «Ratifica ed esecuzione dei seguenti atti internazionali, firmati a Lisbona il 31 ottobre 1958: a) Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale del 20 marzo 1883, riveduta successivamente a Bruxelles, a Washington, a l'Aja, a Londra e a Lisbona; b) Accordo di Madrid per la repressione delle indicazioni di provenienza false o fallaci del 14 aprile 1891, riveduto successivamente a Washington, a l'Aja, a Londra e a Lisbona; c) Accordo di Lisbona per la protezione e la registrazione internazionale delle denominazioni di origine»; il Bollettino n. 210 del 1948 dell'Office International du Vin; il decreto del Presidente della Repubblica 24 dicembre 1969, n. 1164; i regolamenti 16 dicembre 1981, n. 3800/81, recante «Regolamento della Commissione che stabilisce la classificazione delle varietà di viti», e 16 ottobre 1990, n. 3201/90, recante «Regolamento della Commissione recante modalità di applicazione per la designazione e la presentazione dei vini e dei mosti di uve» – e la sentenza della Corte di cassazione 30 aprile 1962, n. 1659).
A suo avviso, soltanto «per motivi rimasti oscuri, che possono essere unicamente spiegati con gli sconvolgimenti politici intervenuti in Italia nella prima metà degli anni '90», il Governo Italiano avrebbe consentito all'Accordo del 1993, che ha precluso ai produttori italiani l'uso della denominazione «Tocai».
La resistente offre poi una propria ricostruzione della genesi dell'Accordo da ultimo citato, per contestarne la legittimità; espone le ragioni che dovrebbero far dissentire dalla sentenza della Corte di giustizia del 12 maggio 2005, C-347/03 e dubitare della legittimità del regolamento (CE) n. 1429/2004, impugnato da essa istante e dalle Associazioni dei produttori friulani, con due ricorsi dichiarati irricevibili dal Tribunale di primo grado (ordinanze 12 marzo 2007, T-417/04 e T-418/04), nonché dallo Stato italiano (ricorso quest'ultimo non deciso, benché sia stata rigettata la domanda cautelare con l'ordinanza 12 marzo 2007, T-431/04); prende in esame l'ordinanza della Corte di giustizia 12 giugno 2008, C-23/07 e C-24/07, che ha ribadito i principi affermati nella sentenza 12 maggio 2005, C-347/03.
3.2. – La Regione, nella seconda parte della memoria, approfondisce il profilo della tutela della denominazione «Tocai friulano» in base all'Accordo TRIPs, ricostruendo la giurisprudenza della Corte di giustizia in tema di rapporti tra disposizioni dell'OMC (Organizzazione mondiale del commercio) e diritto comunitario; sviluppa la propria tesi in ordine alle ragioni che avrebbero indotto detta Corte a negare l'efficacia diretta dell'Accordo TRIPs e svolge argomenti per dimostrare che il citato indirizzo non sarebbe applicabile nella presente fattispecie.
A suo avviso, l'Accordo del 1993 non avrebbe attribuito alla Comunità europea il potere di creare o sopprimere un'indicazione geografica relativa ad un vino, conferitole, per la prima volta, con il regolamento (CE) 29 aprile 2008, n. 479/2008 (Regolamento del Consiglio relativo all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo, che modifica i regolamenti (CE) n. 1493/1999, (CE) n. 1782/2003, (CE) n. 1290/2005 e (CE) n. 3/2008 e abroga i regolamenti (CEE) n. 2392/86 e (CE) n. 1493/1999), che ciò permette in riferimento a denominazioni in precedenza registrate all'interno degli Stati.
La Regione deduce che l'art. 24, paragrafo 6, dell'Accordo TRIPs permetterebbe agli Stati membri dell'Unione europea di mantenere come denominazione di un vino il nome del relativo vitigno, senza pretendere di esportarlo al di fuori del proprio territorio, e ricorda le iniziative assunte anche dallo Stato italiano in sede comunitaria, per sostenere questa tesi. Pertanto, osserva testualmente, «se il Governo desse attuazione, con un proprio provvedimento, all'art. 24, paragrafo 6, dell'Accordo TRIPs, la Regione Friuli-Venezia Giulia non avrebbe alcuna difficoltà a rinunciare alla citata legge n. 24/2007».
Secondo la resistente, dal ricorso traspare il timore del Governo italiano di incorrere in sanzioni comunitarie che, tuttavia, sarebbe infondato. La norma impugnata concernerebbe la materia agricoltura, anche in quanto l'Accordo del 1993 neppure riguardava la creazione o la soppressione della denominazione di un vino, poiché, se ciò fosse stato, avrebbe avuto ad oggetto la materia della proprietà intellettuale, quindi sarebbe stata necessaria la sua ratifica da parte di tutti gli Stati membri. Siffatta conclusione sarebbe confortata dalla constatazione che i decreti relativi alla denominazione sono stati adottati dal Ministero delle politiche agricole e forestali, con la conseguenza che la norma concernerebbe appunto una materia attribuita alla competenza legislativa di tipo esclusivo della Regione Friuli-Venezia Giulia.
3.3. – La Regione, nella terza parte della memoria, contesta specificamente le censure svolte dal ricorrente e, in riferimento alla prima delle due questioni sollevate, sulla scorta delle argomentazioni sopra sintetizzate, sostiene che spetta agli Stati membri dell'Unione europea l'attuazione all'art. 24, paragrafo 6, dell'Accordo TRIPs.
A suo avviso, la seconda questione sarebbe infondata, in quanto la norma impugnata non concernerebbe la materia «opere dell'ingegno», poiché difetta il carattere «creativo» del segno, e neppure avrebbe ad oggetto la disciplina di profili concernenti la proprietà industriale, dato che «Tocai friulano» non sarebbe una indicazione geografica o una denominazione di origine.
La norma riguarderebbe le materie agricoltura e commercio, come si evincerebbe dai regolamenti comunitari e dai decreti adottati dal Ministero delle politiche agricole e forestali sopra richiamati, nonché dalle sentenze di questa Corte n. 371 del 2001 e n. 106 del 2006. Siffatta tesi sarebbe confortata dall'esame della disciplina delle denominazioni d'origine dei mosti e dei vini (ripercorsa nella memoria), mentre questa Corte, sebbene con la sentenza n. 171 del 1971 abbia sottolineato che la tutela della denominazione di origine dei vini non è completamente compresa nella materia agricoltura, e con la sentenza n. 333 del 1995 abbia dichiarato di spettanza dello Stato la definizione del procedimento per il riconoscimento della denominazione di origine dei vini, ha tuttavia ritenuto incensurabile il decreto del Presidente della Repubblica 20 aprile 1994, n. 348, che aveva ampliato le competenze delle Regioni, affermando quindi la competenza dello Stato soltanto per la sussistenza di esigenze unitarie, e cioè di un interesse nazionale. Siffatte esigenze, nella specie, sarebbero insussistenti, poiché la norma autorizza l'uso della denominazione in esame soltanto nel territorio italiano, senza riflessi sul commercio internazionale e, comunque, il limite dell'interesse nazionale è venuto meno, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione.
In ogni caso, poiché in virtù dell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, le norme del Titolo V della parte seconda della Costituzione sono applicabili anche alle Regioni a statuto speciale, qualora prevedano forme di autonomia più ampia, la competenza della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di agricoltura neanche potrebbe ritenersi soggetta al limite dell'interesse nazionale.
Infine, la circostanza che le denominazioni di origine sono tutelate anche come proprietà industriale non comporta che non siano riconducibili alle materie agricoltura e commercio, restando esclusa la possibilità di evocare la materia «tutela della concorrenza»; in ogni caso, la norma impugnata non pregiudicherebbe, né limiterebbe la concorrenza.
3.3.1. – Infine, la Regione eccepisce l'inammissibilità delle censure riferite agli artt. 11 e 117, quinto comma, Cost., in quanto generiche.
La seconda questione sarebbe, invece, inammissibile, poiché il ricorrente non ha esposto gli argomenti che dovrebbero far ritenere applicabile ad una Regione a statuto speciale l'art. 117, secondo comma, lettere e) ed r), Cost. (peraltro, il richiamo alla lettera e non sarebbe stato operato indicando espressamente la norma costituzionale). Il riferimento alla materia «tutela della concorrenza» sarebbe, inoltre, generico e, comunque, a questa non fa riferimento la delibera del Consiglio dei ministri che ha autorizzato l'impugnazione della norma; la censura relativa all'art. 4 dello statuto sarebbe, infine, inammissibile per genericità, in quanto il ricorso non esporrebbe compiutamente le ragioni per escludere che la norma in esame sia riconducibile alla materia «agricoltura».
4. – All'udienza pubblica le parti hanno insistito per l'accoglimento delle conclusioni da ciascuna formulate nelle difese scritte.
Considerato in diritto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale, in via principale, dell'art. 1 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 2 ottobre 2007, n. 24 (Attuazione dell'articolo 24, paragrafo 6, dell'Accordo relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio-Accordo TRIPs), in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione, ed agli artt. 117, commi secondo, lettera r), e quinto, della Costituzione ed all'«art. 4, commi 1 e 2», (recte: art. 4, comma primo, n. 2) della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia).
La norma impugnata stabilisce: «Ai sensi dell'art. 117, quinto comma, della Costituzione, in attuazione dell'art. 24, paragrafo 6, dell'Accordo relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (Accordo TRIPs), ratificato in Italia con legge 29 dicembre 1994, n. 747, la denominazione “Tocai Friulano”, patrimonio della vitivinicoltura regionale ormai da secoli, può continuare ad essere utilizzata dai produttori vitivinicoli della Regione Friuli-Venezia Giulia, anche dopo il 31 marzo 2007, per designare il vino, derivante dall'omonimo vitigno, che viene commercializzato all'interno del territorio italiano».
2. – Ad avviso del ricorrente, la norma impugnata violerebbe gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in quanto la Comunità europea ha stabilito che i produttori vitivinicoli italiani possono utilizzare solo sino al 31 marzo 2007 la denominazione «Tocai Friulano», per i vini prodotti nelle Regioni Veneto e Friuli-Venezia Giulia.
Siffatta prescrizione è stata stabilita dai seguenti atti: Decisione del Consiglio del 23 novembre 1993, n. 93/724/CE (Decisione del Consiglio concernente la conclusione di un accordo tra la Comunità europea e la Repubblica d'Ungheria sulla tutela e il controllo reciproci delle denominazioni dei vini); regolamenti (CE) 29 aprile 2002, n. 753/2002 (Regolamento della Commissione che fissa talune modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1493/1999 del Consiglio per quanto riguarda la designazione, la denominazione, la presentazione e la protezione di taluni prodotti vitivinicoli) e 9 agosto 2004, n. 1429/2004 (Regolamento della Commissione recante modifica del regolamento (CE) n. 753/2002 che fissa talune modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1493/1999 del Consiglio per quanto riguarda la designazione, la denominazione, la presentazione e la protezione di taluni prodotti vitivinicoli).
Il regolamento (CE) 4 aprile 2007, n. 382/2007 (Regolamento della Commissione recante modifica del regolamento (CE) n. 753/2002 che fissa talune modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1493/1999 del Consiglio per quanto riguarda la designazione, la denominazione, la presentazione e la protezione di taluni prodotti vitivinicoli) ha, infine, soppresso le deroghe per l'uso della denominazione «Tocai Friulano» e del sinonimo «Tocai italico», inserendo il sinonimo «Friulano» per l'Italia, come richiesto dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.
Inoltre, secondo la difesa erariale, sebbene l'art. 24, paragrafo 6, dell'Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (Accordo TRIPs) permetta agli Stati di conservare, quale denominazione di un vino, quella corrispondente ad un'indicazione geografica concernente il vino prodotto in un altro Stato, qualora sia eguale al nome del vitigno da cui esso deriva, nella materia oggetto della norma impugnata la Comunità europea ha esercitato la propria competenza, vietando, a far data dal 1° aprile 2007, la coesistenza delle denominazioni «Tocai Friulano», per i vini di produzione italiana, e «Tokaj», per i vini di produzione ungherese, stabilendo in tal modo la protezione esclusiva della indicazione geografica ungherese «Tokaj», con conseguente illegittimità costituzionale della norma impugnata.
La Regione Friuli-Venezia Giulia ha eccepito l'inammissibilità e l'infondatezza della questione, svolgendo una serie di argomenti diretti, sostanzialmente, a contestare la legittimità e la validità del divieto stabilito dalle norme comunitarie, contestazioni queste ultime respinte da tre pronunce della Corte di giustizia delle Comunità europee (sentenza 12 maggio 2005, C-347/03; ordinanza 11 maggio 2006, C-231/04; ordinanza 12 giugno 2008, C 23/07 e C 24/07).
Inoltre, il Tribunale di primo grado delle Comunità europee ha dichiarato irricevibili due ricorsi aventi ad oggetto una domanda di annullamento della disposizione che limita al 31 marzo 2007 il diritto di utilizzare il nome «Tocai Friulano», inserito, sotto forma di nota esplicativa, al punto 103 dell'allegato I del Regolamento 9 agosto 2004, n. 1429, ricorsi proposti, rispettivamente, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e da alcune associazioni, società e produttori di questa Regione (ordinanze del 12 marzo 2007, T-417/04 e T-418/04).
Lo stesso Tribunale ha respinto la domanda, proposta dalla Repubblica italiana, avente ad oggetto la richiesta di provvedimenti provvisori mirante ad ottenere, in via principale, la sospensione dell'esecuzione della disposizione che limita al 31 marzo 2007 il diritto di utilizzare la denominazione «Tocai Friulano» contenuta nella citata nota esplicativa (ordinanza del 18 giugno 2007, T-431/04).
Il regolamento (CE) 29 aprile 2008, n. 479/2008 (Regolamento del Consiglio relativo all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo, che modifica i regolamenti (CE) n. 1493/1999, (CE) n. 1782/2003, (CE) n. 1290/2005 e (CE) n. 3/2008 e abroga i regolamenti (CEE) n. 2392/86 e (CE) n. 1493/1999), sopravvenuto nel corso del giudizio, neppure ha introdotto elementi di significativa novità, rilevanti in ordine a detta questione. Da ultimo, il decreto ministeriale 25 settembre 2008 (Cessazione degli effetti del decreto 11 febbraio 2008, recante disposizioni transitorie per l'uso della varietà di vite «Tocai Friulano» e del sinonimo «Friulano» nella designazione e presentazione della relativa tipologia di vino, dei vini a denominazione di origine della regione Friuli-Venezia Giulia, e l'adozione delle disposizioni definitive per l'uso del sinonimo “Friulano”), sulla dichiarata premessa di dare esecuzione all'ordinanza della Corte di giustizia del 12 giugno 2008, C-23/07 e C-24/07, reca «le opportune disposizioni nazionali al fine di consentire in termini definitivi l'utilizzo del sinonimo “Friulano” nella designazione e presentazione dei vini a denominazione di origine della regione Friuli-Venezia Giulia».
3. – Secondo il ricorrente, la norma impugnata violerebbe, altresì, l'art. 117, commi secondo, lettera r), e quinto, Cost., nonché l'art. 4, comma primo, n. 2, dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia.
A suo avviso, la disciplina della denominazione in esame non concernerebbe la materia «agricoltura», ma quella «opere dell'ingegno». Peraltro, quest'ultima locuzione sarebbe omologa a «proprietà intellettuale», spesso utilizzata in alternativa a «proprietà industriale», che comprende la regolamentazione dei segni distintivi dei prodotti, delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine. Inoltre, la violazione di detti segni rileverebbe sul piano del diritto civile e la disciplina stabilita dalla norma impugnata sarebbe riconducibile anche alla materia «tutela della concorrenza».
Tale questione deve essere esaminata per prima.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, le norme comunitarie integrano il parametro per la valutazione di conformità della norma regionale agli artt. 117, primo comma, e 11 Cost. (quest'ultimo inteso quale principio fondamentale), che ineriscono «non già alla violazione della competenza statale, ma all'inosservanza dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario», quindi riguardano anche le Regioni a statuto speciale (tra le più recenti, sentenze n. 102 del 2008; n. 62 del 2008).
Ne consegue che le censure dirette a contestare il potere della Regione di emanare la norma impugnata, in base alle regole che disciplinano il riparto interno delle competenze, hanno carattere preliminare, sotto il profilo logico-giuridico, rispetto a quelle che denunciano il vizio oggetto della prima questione.
3.1. – In via preliminare, devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità della questione, sollevate dalla Regione con riferimento ai parametri evocati dal ricorrente.
La difesa erariale contesta che la norma statutaria che attribuisce alla competenza della Regione Friuli-Venezia Giulia la materia «agricoltura» costituisca idonea base giuridica della disposizione impugnata. Il riferimento, della stessa difesa, anche all'art. 117, secondo comma, lettera r), Cost., nonché – implicitamente, ma univocamente – alle lettere e) («tutela della concorrenza») ed l) («ordinamento civile», mediante la descrizione di alcuni degli effetti della violazione del segno) del medesimo comma, risulta effettuato al chiaro scopo di dimostrare che la norma impugnata non concerne la materia «agricoltura», tenuto anche conto che, nel corso dei lavori preparatori, la sua adozione era stata giustificata proprio invocando la «competenza esclusiva [della Regione Friuli-Venezia Giulia] in materia di agricoltura e [la] competenza concorrente nelle materie elencate all'articolo 117 della Costituzione» (Relazione della V Commissione permanente del Consiglio Regionale, FZ/AL, n. 235-A).
Interpretato il ricorso in detti termini, è infondata l'eccezione di inammissibilità della questione, sollevata sotto il duplice profilo dell'inapplicabilità dell'art. 117, secondo comma, Cost., e della mancata indicazione del parametro dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. nella delibera di autorizzazione del Consiglio dei ministri all'impugnazione della norma (non occorrendo, quindi, approfondire se detta indicazione sia vincolante per la difesa erariale).
Inoltre, l'ampiezza delle argomentazioni svolte a conforto della irriconducibilità alla materia «agricoltura» della disciplina stabilita dalla norma impugnata, sviluppate anche mediante il richiamo, in funzione descrittiva, delle materie elencate nell'art. 117, secondo comma, Cost., rende palese l'infondatezza dell'eccezione di inammissibilità della questione per asserito difetto di una adeguata motivazione a sostegno dell'impugnazione.
L'indicazione dell'art. 117, quinto comma, Cost., contenuta nella parte finale del ricorso, è infine corretta; detto parametro riguarda, infatti, anche le Regioni a statuto speciale (sentenza n. 239 del 2004) ed il suo richiamo è stato svolto allo scopo di contestare il potere della Regione di attuare l'Accordo TRIPs, in riferimento ad una materia nella quale essa non ha competenza legislativa.
3.2. – Nel merito, la questione è fondata.
Occorre anzitutto identificare la materia nella quale si colloca la disposizione impugnata, avendo riguardo all'oggetto ed alla disciplina dalla stessa stabilita, per ciò che dispone, alla luce della sua ratio, tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, così da identificare correttamente e compiutamente l'interesse tutelato (sentenza n. 165 del 2007).
Ebbene, la norma censurata, attribuendo ai produttori vitivinicoli della Regione Friuli-Venezia Giulia la facoltà di utilizzare la denominazione «Tocai Friulano» per designare il vino commercializzato all'interno del territorio italiano, ha senza dubbio ad oggetto la disciplina di un segno distintivo di tale prodotto, indipendentemente dalla esatta qualificazione che di esso può darsene.
L'elemento caratterizzante della regolamentazione dei segni distintivi è stato individuato da questa Corte, sin dalla sentenza n. 44 del 1967, nella circostanza che «la disciplina dei marchi (assunto questo termine in un senso generico, comprensivo dei vari istituti designati dalla vigente legislazione con denominazioni molteplici, come quelle di marchi di impresa, marchi collettivi, denominazioni di origine, o denominazioni di provenienza, e con funzioni in parte diverse, e cioè o prevalentemente di tutela dei produttori contro la concorrenza sleale, o invece di certificazione della qualità del prodotto avente lo scopo, almeno in via principale, di garanzia del consumatore)». Pertanto, la relativa disciplina ha «riflessi […] nel commercio internazionale ed in quello comunitario», anche in quanto la Regione «non costituisce un mercato chiuso».
In seguito, è stato precisato che «la tutela della denominazione di origine dei vini non può essere disposta che in modo unitario sul piano nazionale», in considerazione appunto della «complessità degli interessi connessi alla produzione e distribuzione di vini pregiati, tali da indurre ad escludere che la materia sia completamente ricompresa in quella propria dell'agricoltura, di competenza regionale» (sentenze n. 333 del 1995 e n. 171 del 1971).
Da ultimo, dopo la riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, la disciplina dei segni distintivi è stata ricondotta anche alla «tutela della concorrenza» (sentenza n. 175 del 2005, in riferimento al marchio «made in Italy»), materia di competenza esclusiva dello Stato. Inoltre, una norma regionale avente ad oggetto la promozione di certificazioni di qualità di un determinato prodotto ittico catturato dalla marineria della Regione Abruzzo, ovvero allevato in impianti dislocati nel territorio della medesima, è stata giudicata non censurabile, in riferimento, tra gli altri, all'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., soltanto in quanto non istituiva, né disciplinava un marchio identificativo di un prodotto, ma si limitava a prevedere forme di incentivazione di quest'ultimo, del quale non erano indicate o protette particolari qualità o caratteristiche tipologiche (sentenza n. 213 del 2006).
3.2.1. – L'incidenza della disciplina del segno con il quale è commercializzato il vino su una molteplicità di interessi eccedenti la materia «agricoltura» è stata, peraltro, costantemente rilevata anche dalla Corte di giustizia delle Comunità europee. Il giudice comunitario ha, in particolare, sottolineato che la «normativa comunitaria in materia di designazione e presentazione dei vini ha l'obiettivo di conciliare la necessità di fornire al consumatore finale un'informazione esatta e precisa sui prodotti interessati con quella di proteggere i produttori sul loro territorio contro le distorsioni della concorrenza» (sentenza 12 maggio 2005, C-347/05); ed ha precisato che «le denominazioni di origine rientrano nel campo dei diritti di proprietà industriale e commerciale» (sentenza 16 maggio 2000, C-388/95).
3.2.2. – La giurisprudenza di questa Corte ha, dunque, affermato la sostanziale convergenza della disciplina di tutti i segni distintivi (comprese le indicazioni geografiche e le denominazioni d'origine) verso una identica funzione e la molteplicità degli interessi dalla stessa tutelati. Si tratta di una convergenza agevolmente desumibile dalle norme nazionali che, tra l'altro, di recente hanno ricondotto alla «proprietà industriale» i molteplici segni distintivi, stabilendo il principio dell'unitarietà degli stessi (artt. 1 e 22 del d.lgs. n. 30 del 2005), in quanto tutti costituiscono mezzi di designazione e presentazione di un prodotto, occorrendo che la loro regolamentazione sia ispirata al divieto di inganno dei consumatori, alla tutela degli imprenditori ed all'esigenza di garantire la corretta e libera esplicazione dell'iniziativa economica. Peraltro, i riflessi della disciplina sul corretto svolgimento della concorrenza tra imprenditori (quindi sul piano civilistico) sono rilevabili sin dal decreto del Presidente della Repubblica 12 luglio 1963, n. 930 (Norme per la tutela delle denominazioni di origine dei mosti e dei vini), mentre l'interferenza con la materia agricoltura, benché giustifichi, in riferimento ad alcuni profili, il coinvolgimento delle Regioni, non esclude che gli interessi oggetto della disciplina istitutiva di un segno distintivo del prodotto eccedano tale materia.
In questa parte, le norme nazionali sono in armonia con le norme comunitarie che, nella specifica materia dei segni che contraddistinguono i vini, mirano ad «incoraggiare la concorrenza leale e non trarre in inganno i consumatori» (regolamento (CE) del 29 aprile 2008, n. 479/2008, si veda, in particolare, il 32° considerando e l'art. 33, paragrafo 2; in precedenza, si veda, il regolamento (CE) 17 maggio 1999, n. 1493/1999, 54° considerando e l'art, 47, paragrafo 1).
Analogamente, avendo riguardo alle norme internazionali, è sufficiente ricordare che le indicazioni geografiche – tutelate e ricondotte alla proprietà industriale, unitamente alle denominazioni di origine, in virtù di una risalente tradizione (Convenzione di Parigi per la protezione della propriètà industriale del 20 marzo 1883, ratificata, nelle versioni successivamente rivedute, unitamente all'Accordo di Lisbona per la protezione e la registrazione internazionale delle denominazioni di origine del 31 ottobre 1958, con legge 4 luglio 1967, n. 676) – di recente sono state sistemate all'interno di un Trattato avente ad oggetto la proprietà intellettuale «a reciproco vantaggio dei produttori e degli utilizzatori di conoscenze tecnologiche e in modo da favorire il benessere sociale ed economico, nonchè l'equilibrio tra diritti e obblighi» (artt. 7 dell'Allegato 1-C dell'Accordo TRIPs).
3.2.3. – In definitiva, indipendentemente dall'esatta configurazione del segno distintivo in esame e dalla categoria alla quale esso è riconducibile, è palese che la norma impugnata, in considerazione del suo contenuto e del suo obiettivo, incide su molteplici interessi: dei produttori, dei consumatori, della collettività al rispetto del principio di verità, del corretto svolgimento della concorrenza, interferendo in tal modo in una molteplicità di materie. Siffatta interferenza va composta facendo ricorso al criterio della prevalenza (tra le molte, sentenze n. 165 del 2007; n. 422 e n. 81 del 2006), che è qui applicabile, poiché risulta evidente l'appartenenza del nucleo essenziale della disciplina a materie diverse dall'agricoltura (tutela della concorrenza, ordinamento civile), nessuna delle quali è attribuita alla resistente, con conseguente illegittimità della norma impugnata.
Restano assorbiti gli ulteriori profili e la questione sollevata in riferimento agli altri parametri costituzionali sopra indicati.