Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza emessa e depositata il 30 gennaio 2001, il
Tribunale di Pesaro, sezione specializzata agraria, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3, 42 e 44 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale degli artt. 9 e 62 della legge 3 maggio
1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari).
Espone il rimettente che il giudizio a quo ha ad oggetto la
domanda di fissazione del canone di affitto di un fondo agricolo in
una misura maggiore di quella corrisposta dall'affittuario, con
condanna di quest'ultimo al pagamento delle differenze a decorrere
dall'annata agraria 1994/1995. Tale domanda - secondo il medesimo
rimettente - dovrebbe allo stato essere rigettata, in base al
combinato disposto degli artt. 9 e 62 della legge n. 203 del 1982,
secondo cui per la determinazione del canone deve essere preso a base
il reddito dominicale stabilito a norma del regio decreto-legge
4 aprile 1939, n. 589 (Revisione generale degli estimi dei terreni),
mentre risulterebbe meritevole di accoglimento nel caso in cui la
proposta questione di legittimità costituzionale venisse accolta.
Ciò posto, secondo il giudice a quo, le norme impugnate
sarebbero, innanzitutto, in contrasto con il principio di
eguaglianza, in quanto - stante la possibilità, prevista
dall'art. 45 della stessa legge, che le organizzazioni professionali
agricole stipulino contratti collettivi in materia di contratti
agrari (anche in deroga alle norme della medesima legge, ex art. 58)
- situazioni omogenee risulterebbero diversamente disciplinate in
dipendenza del fatto che esistano o meno, in ciascuna regione,
siffatti contratti collettivi.
Le stesse norme - stabilendo che il canone vada calcolato sulla
base del reddito dominicale e che il reddito dominicale da prendere
in considerazione sia ancora quello stabilito con il regio
decreto-legge n. 589 del 1939, nonostante l'intervenuta revisione
degli estimi - violerebbero poi la garanzia costituzionale del
diritto di proprietà, in quanto condurrebbero alla determinazione di
canoni di affitto irrisori ed addirittura simbolici, impedendo
altresì, in tal modo, l'instaurazione di equi rapporti sociali.
Precisa il rimettente di non ignorare che questa Corte, con
sentenza n. 139 del 1984, ha dichiarato non fondata una analoga
questione di legittimità costituzionale. Rileva, peraltro, che in
quella stessa sentenza la Corte ebbe ad osservare che l'ulteriore
protrarsi del ricorso ad un catasto vecchio di circa un cinquantennio
non avrebbe potuto razionalmente giustificarsi e sottolinea come, nel
frattempo, tali dati catastali abbiano ancor più perso idoneità a
rappresentare le effettive caratteristiche dei terreni agricoli.
2. - Si è costituita in giudizio Rossana Mari, attrice nella
causa pendente dinanzi al giudice rimettente, concludendo per
l'accoglimento della questione sulla scorta di argomentazioni
analoghe a quelle esposte nell'ordinanza di rimessione.
In particolare, la parte privata insiste perché, attraverso la
caducazione dell'art. 62 della legge n. 203 del 1982, sia restituita
alle parti "la facoltà di procedere alla contrattazione diretta del
canone che sia conforme ai prezzi di mercato".
Considerato in diritto
1. - Il Tribunale di Pesaro dubita, in riferimento agli artt. 3,
42 e 44 della Costituzione, della legittimità costituzionale degli
artt. 9 e 62 della legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti
agrari), in quanto prevedono un meccanismo di determinazione del
canone di equo affitto ancora basato - nonostante l'intervenuta
revisione degli estimi catastali - sul reddito dominicale stabilito a
norma del regio decreto-legge 4 aprile 1939, n. 589 (Revisione
generale degli estimi dei terreni), convertito, con modificazioni, in
legge 29 giugno 1939, n. 976.
Ad avviso del rimettente, la normativa impugnata si porrebbe in
contrasto con il principio di eguaglianza, potendo essere derogata
solamente mediante accordi collettivi tra organizzazioni
professionali agricole, operanti su base regionale, con conseguente
disparità di trattamento tra i proprietari di terreni situati nelle
regioni ove siffatti accordi siano stati stipulati e i proprietari di
terreni situati nelle altre regioni.
Le stesse norme, inoltre, violerebbero il criterio di
ragionevolezza facendo riferimento a dati catastali ormai inidonei a
rappresentare le caratteristiche effettive dei terreni e, comportando
la fissazione di canoni di affitto irrisori, violerebbero anche la
tutela costituzionale del diritto di proprietà e precluderebbero
l'instaurazione di equi rapporti sociali.
2. - La questione è fondata, nei termini di seguito precisati.
3. - Il canone di equo affitto dei fondi rustici è individuato -
secondo il sistema delineato dalle norme impugnate, in riferimento
all'art. 3 della legge 10 dicembre 1973, n. 814 - mediante la
moltiplicazione del reddito dominicale per coefficienti, determinati
dalla commissione tecnica provinciale nelle apposite tabelle,
compresi tra un minimo ed un massimo fissati, attualmente,
dall'art. 9 della legge n. 203 del 1982.
In assenza delle suddette tabelle il canone è determinato, in
via provvisoria, ai sensi dello stesso art. 9, comma quarto,
moltiplicando il reddito dominicale per settanta.
Nell'uno e nell'altro caso il reddito dominicale di riferimento,
secondo l'art. 62 della predetta legge n. 203 del 1982, è, "sino
all'entrata in vigore di una nuova legge che disciplini la materia",
quello stabilito a norma del regio decreto-legge 4 aprile 1939,
n. 589, convertito, con modificazioni, in legge 29 giugno 1939,
n. 976, e ciò "ancorché intervenga la revisione degli estimi
catastali".
Giova ricordare che le previgenti discipline del canone di equo
affitto - pur esse basate sul reddito dominicale stabilito a norma
del regio decreto-legge n. 589 del 1939 - furono colpite da
declaratorie di illegittimità costituzionale, con sentenze n. 155
del 1972 e n. 153 del 1977, nella parte in cui prevedevano
coefficienti di moltiplicazione del suddetto reddito dominicale
assolutamente inadeguati ad assicurare una remunerazione non
irrisoria del capitale fondiario.
Intervenuta, a seguito della seconda delle richiamate sentenze,
la vigente legge n. 203 del 1982, questa Corte ritenne non fondate,
con la sentenza n. 139 del 1984, le questioni di legittimità
costituzionale sollevate, sotto i medesimi profili, riguardo
all'art. 9 della suddetta legge, recante appunto i nuovi
coefficienti, rilevando come il legislatore avesse questa volta
inteso, "almeno in linea di tendenza", accogliere i rilievi da essa
formulati nelle due precedenti sentenze, attenendosi così al dettato
costituzionale, ed in particolare all'art. 44 della Costituzione,
secondo il quale, relativamente alla proprietà terriera, la legge
deve tendere all'obiettivo "di conseguire il razionale sfruttamento
del suolo e di stabilire equi rapporti sociali".
Nella medesima sentenza si riconosceva, tuttavia, l'esistenza,
nel sistema, di "insufficienze e disarmonie", principalmente
derivanti dal fatto che, a base della determinazione del canone,
erano ancora presi in considerazione i dati catastali del 1939, i
quali, per il lungo periodo trascorso, perdevano sempre più la
idoneità a rappresentare le effettive caratteristiche dei terreni
agricoli. Considerata la ormai imminente (all'epoca) entrata in
vigore dei nuovi dati catastali, questa Corte avvertiva, pertanto,
come non fosse razionalmente giustificabile l'ulteriore protrarsi del
ricorso ad un catasto vecchio di circa un cinquantennio e la mancata
utilizzazione di elementi che risultavano invece idonei a
rappresentare la realtà attuale e quindi a porre i rapporti tra
concedente e affittuario su un piano ad essa più rispondente.
Deve, a questo punto, rilevarsi che le modificazioni derivanti
dalla prima revisione del catasto terreni del 1939, disposta con
decreto ministeriale 13 dicembre 1979 (Revisione generale degli
estimi dei terreni), cui si faceva riferimento nella sentenza n. 139
del 1984, hanno acquistato effetto a decorrere dal 1 gennaio 1988, in
virtù dell'art. 4 del decreto-legge 4 agosto 1987, n. 326
(Disposizioni urgenti per la revisione delle aliquote dell'imposta
sugli spettacoli per i settori sportivo e cinematografico, per
assicurare la continuità della riscossione delle imposte dirette e
dell'attività di alcuni uffici finanziari, per il rilascio dello
scontrino fiscale, nonché norme per il differimento di termini in
materia tributaria), convertito in legge, con modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 3 ottobre 1987, n. 403, e che una
ulteriore revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe
d'estimo, della qualificazione, della classificazione e del
classamento dei terreni e dei relativi criteri è prevista
dall'art. 3, comma 154, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure
di razionalizzazione della finanza pubblica), come modificato
dall'art. 26, comma 1, della legge 18 febbraio 1999, n. 28
(Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento
dell'Amministrazione finanziaria e di revisione generale del
catasto).
Non è, invece, sin qui intervenuta la nuova disciplina della
materia dei contratti agrari, pur espressamente prevista
dall'art. 62, primo comma, della legge n. 203 del 1982.
In tale situazione, il meccanismo di determinazione del canone di
equo affitto di cui agli artt. 9 e 62 della legge n. 203 del 1982,
basato sul reddito dominicale risultante dal catasto terreni del
1939, rivalutato in base a meri coefficienti di moltiplicazione,
risulta privo, ormai, come già evidenziato da questa Corte, di
qualsiasi razionale giustificazione, sia perché esistono dati
catastali più recenti ed attendibili ai quali fare eventualmente
riferimento sia perché in ogni caso, a distanza di oltre un
sessantennio dal suo impianto, quel catasto ha perso qualsiasi
idoneità a rappresentare le effettive e diverse caratteristiche dei
terreni agricoli, cosicché non può sicuramente essere posto a base
di una disciplina dei contratti agrari rispettosa della garanzia
costituzionale della proprietà terriera privata e tale da
soddisfare, nello stesso tempo, la finalità della instaurazione di
equi rapporti sociali, imposta dall'art. 44 della Costituzione.
Esula, evidentemente, dai poteri di questa Corte la scelta di un
diverso criterio di calcolo del canone di equo affitto, in quanto
riservata per sua natura alla discrezionalità del legislatore, né
può d'altro canto ipotizzarsi la caducazione del solo art. 62 della
legge, contenente il rinvio al catasto del 1939, atteso che i
coefficienti di moltiplicazione previsti dall'art. 9 sono stati
individuati dal legislatore proprio in funzione della vetustà del
catasto di riferimento, cosicché sarebbe del tutto ingiustificata la
pura e semplice applicazione di quei coefficienti ai valori
risultanti dalla più recente revisione degli estimi.
Va perciò dichiarata l'illegittimità costituzionale di entrambe
le norme denunciate, restando assorbita ogni ulteriore censura
sollevata dal rimettente.