Titolo
Regione marche - Sanità - Sospensione obbligatoria di determinate pratiche terapeutiche in tutto il territorio regionale (nella specie, della terapia elettroconvulsivante, della lobotomia prefrontale e transorbitale e di altri interventi di pscochirurgia) - Ricorso del presidente del consiglio dei ministri - Contrasto della disciplina impugnata con i principî fondamentali della materia, la cui determinazione è riservata alla competenza dello stato - Illegittimità costituzionale - Assorbimento di altri profili.
Testo
E' costituzionalmente illegittima, per contrasto con l'art. 117, terzo comma, della Costituzione, la legge della Regione Marche 13 novembre 2001, n. 26, che dispone la sospensione, su tutto il territorio della regione, della applicazione della terapia elettroconvulsivante (TEC), della pratica della lobotomia prefrontale e transorbitale ed altri simili interventi di psicochirurgia, fino a che il Ministero della salute non definisca in modo certo e circostanziato le situazioni cliniche per le quali tali terapie, applicate secondo protocolli specifici, sono sperimentalmente dimostrate efficaci e risolutive e non sono causa di danni temporanei o permanenti alla salute del paziente. Infatti - posto che la "tutela della salute" costituisce, ai sensi dell'art. 117, 3° comma, Cost., oggetto della potestà legislativa concorrente delle Regioni, la quale si esplica nel rispetto della competenza riservata allo Stato per la "determinazione dei principi fondamentali" - l'intervento del legislatore regionale prescinde in questo caso dai principi fondamentali rinvenibili nel sistema della legislazione vigente (diritto fondamentale della persona malata ad essere curata e rispettata come persona e principio dell'autonomia e responsabilità del medico nelle sue scelte professionali) e si presenta, invece, come una scelta legislativa autonoma, non fondata su specifiche acquisizioni tecnico-scientifiche verificate da parte degli organismi competenti, ma dichiaratamente intesa a scopo cautelativo in attesa di futuri accertamenti che dovrebbero essere compiuti dall'autorità sanitaria nazionale.
- V. citata ordinanza n. 228/2002, che dichiara improcedibile il giudizio già instaurato nei confronti di una delibera legislativa della Regione Piemonte in argomento.
- Sull'"essenziale rilievo" che rivestono nella materia, gli organi tecnico-scientifici, v. citata sentenza n. 185/1998.
Atti oggetto del giudizio
legge della Regione Marche
13/11/2001
n. 26
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 117
co. 3
Costituzione
art. 127
legge costituzionale
18/10/2001
n. 3
Riferimenti normativi
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 112
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 113
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 114
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 115
decreto legislativo
30/07/1999
n. 300
art. 47
ter
decreto-legge
12/06/2001
n. 217
art. 11
legge
03/08/2001
n. 317
legge
13/05/1978
n. 180
art. 1
legge
13/05/1978
n. 180
art. 2
legge
13/05/1978
n. 180
art. 3
legge
13/05/1978
n. 180
art. 5
legge
23/12/1978
n. 833
art. 33
legge
23/12/1978
n. 833
art. 34
legge
23/12/1978
n. 833
art. 35
decreto legislativo
30/12/1992
n. 502
art. 1
decreto legislativo
30/12/1992
n. 502
art. 14
N. 282
SENTENZA 19 - 26 giugno 2002.
Pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale» n. 26 del 3 luglio 2002
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA,
Carlo MEZZANOTTE, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI,
Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco
AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA;
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione
Marche 13 novembre 2001, n. 26, recante "Sospensione della terapia
elettroconvulsivante, della lobotomia prefrontale e transorbitale e
altri simili interventi di psicochirurgia", promosso con ricorso del
Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 17 gennaio 2002,
depositato in cancelleria il 25 successivo ed iscritto al n. 3 del
registro ricorsi 2002.
Visto l'atto di costituzione della Regione Marche;
Udito nell'udienza pubblica del 21 maggio 2002 il giudice
relatore Valerio Onida;
Uditi l'avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del
Consiglio dei ministri e l'avvocato Stefano Grassi per la Regione
Marche.
Ritenuto in fatto
1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso
notificato il 17 gennaio 2002 e depositato il successivo 25 gennaio,
ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge
della Regione Marche 13 novembre 2001, n. 26, recante "Sospensione
della terapia elettroconvulsivante, della lobotomia prefrontale e
transorbitale e altri simili interventi di psicochirurgia",
assumendo, in via principale, la violazione degli artt. 2, 32, 33,
primo comma, e 117, secondo comma, lettere l) (ordinamento civile e
penale) e m), della Costituzione e, in via logicamente subordinata,
ove si ravvisasse una competenza concorrente della Regione,
dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione (professioni, tutela
della salute) e dei principi recati dalle norme interposte quali
quelle contenute negli artt. 1, 2, 3 e 5 della legge 13 maggio 1978,
n. 180 (Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori),
negli artt. 33, 34 e 35 della legge 23 dicembre 1978, n. 833
(Istituzione del servizio sanitario nazionale), negli artt. 1 e 14
del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in
materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre
1992, n. 421), e negli artt. 112, 113, 114 e 115 del d.lgs. 31 marzo
1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello
Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I
della legge 15 marzo 1997, n. 59).
Il ricorrente premette che "la finalità di tutelare la salute
dei cittadini e garantire l'integrità fisica della persona", che
l'art. 1 della legge regionale impugnata dichiara di perseguire, è
condivisibile, ma che il suo perseguimento non è riservato alla
Regione Marche, neppure all'interno del territorio regionale; e nota
poi che l'art. 2 della stessa legge regionale sospende d'imperio
l'applicazione della terapia elettroconvulsivante (TEC) e la pratica
degli interventi di psicochirurgia, e che tale sospensione parrebbe a
sua volta condizionata, dovendo cessare - non è chiaro se
automaticamente od invece mediante un qualche atto ricognitivo della
Regione - se e quando il Ministero della salute, previa elaborazione
di "protocolli specifici", avrà definito "in modo certo e
circostanziato" - non è chiaro a giudizio di quale organo od ente -
che detta terapia o pratica è "sperimentalmente dimostrata"
efficace, risolutiva e non produttiva di danni alla salute.
Secondo il ricorrente, tali norme, oltre a comprimere in modo
"dirigistico" l'autonomia scientifica e professionale dei sanitari e
delle strutture preposti alla cura della salute ed a contrastare con
il principio secondo cui i trattamenti sanitari sono volontari salvo
tassative eccezioni consentite dalla legge, invaderebbero la
competenza legislativa esclusiva dello Stato, come attribuita
dall'art. 115, comma 1, lettere b) ed e), del d.lgs. 31 marzo 1998,
n. 112 e da ultimo dall'art.117, secondo comma, lettere l)
(ordinamento civile e penale) e m), della Costituzione. Esse,
infatti, atterrebbero alla preferibilità, qualità ed
"appropriatezza" (così nell'art. 1, comma 2, del d.lgs. 30 dicembre
1992, n. 502, come sostituito dal d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229) di
alcune cure, e quindi al diritto sostanziale alla salute, e non agli
aspetti strumentali, quali l'organizzazione e la gestione di presidi
e strutture sanitari e più in generale del "servizio" sanitario. Si
sarebbe quindi nell'area concettuale dei diritti fondamentali della
persona "paziente" (artt. 2 e 32 della Costituzione) e nella contigua
area delle responsabilità (anche civilistiche) degli esercenti le
professioni sanitarie e, in qualche misura, delle linee di ricerca
degli studiosi dediti alla scienza medica (art. 33, primo comma,
della Costituzione): aree che spetterebbe allo Stato sia configurare
sia disciplinare.
Il Governo della Repubblica, dunque, nega che ciascun legislatore
regionale possa, e per di più senza l'apporto di adeguate
istituzioni tecnico-specialistiche, dare indicazioni su singole
terapie, e così incidere su fondamentali diritti di personalità dei
cittadini ed anche su regole poste dal codice civile. Inoltre,
l'ammissione, o l'ammissione iuxta modum, o il divieto di singole
terapie per considerazioni di tipo sanitario, non potrebbe dipendere
dalla volontà di questo o quel legislatore regionale, essendo
decisione collocata in un momento logicamente preliminare persino
rispetto alla determinazione - di competenza statale - dei livelli
essenziali ed uniformi di assistenza sanitaria (art. 117, secondo
comma, lettera m), della Costituzione e art. 1, comma 2, del d.lgs.
30 dicembre 1992, n. 502).
Inoltre, le disposizioni regionali in esame altererebbero le
regole della responsabilità civile contrattuale ed
extracontrattuale, in violazione dell'art. 117, secondo comma,
lettera l) (ordinamento civile e penale), della Costituzione.
In definitiva, la competenza regionale inizierebbe per così dire
"a valle" della conformazione dei diritti della personalità e dei
diritti patrimoniali dei cittadini.
Ancora, sarebbe tuttora conforme a Costituzione l'art. 115, comma
2, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, che ha confermato la competenza
statale per la produzione del "corpo" di regole generali deputate a
modellare gli interventi terapeutici. Per quanto non disposto dallo
Stato dovrebbero valere solo le "regole dell'arte" e della scienza
medica, eventualmente evidenziate e convalidate da documenti
ufficiali delle autorità sanitarie. Infine, sarebbe ancora conforme
a Costituzione l'art. 47-ter del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, che
conferma il permanere della competenza statale in tema di "indirizzi
generali e coordinamento in materia di prevenzione diagnosi cura e
riabilitazione delle malattie umane".
In via logicamente subordinata, ove si ravvisasse una competenza
concorrente della Regione, il ricorrente denuncia comunque la
violazione, da parte della legge impugnata, del limite dei "principi
fondamentali", la cui determinazione è oggi riservata dall'art. 117,
terzo comma, della Costituzione alla legislazione dello Stato.
Secondo il Presidente del Consiglio, infatti, la legge costituzionale
18 ottobre 2001, n. 3 dovrebbe essere letta in continuità con il
passato, e dunque dovrebbero ancora oggi considerarsi e valorizzarsi
i principi desumibili dalle norme statali interposte invocate
all'inizio del ricorso.
Infine, il ricorrente ricorda che, a seguito di intesa in
Conferenza unificata, è stato approvato, con d.P.R. 10 novembre
1999, un progetto obiettivo "Tutela salute mentale" 1998-2000 nel
quale, fra l'altro, si individua la salute mentale fra le tematiche
ad alta complessità, per le quali si ritiene necessaria
l'elaborazione di specifici atti statali di indirizzo.
2. - Si è costituita in giudizio la Regione Marche, chiedendo
che il ricorso governativo venga dichiarato infondato e depositando
alcuni documenti.
La difesa regionale premette, fra l'altro, che la legge impugnata
è stata proposta da un consigliere regionale per rispondere ad una
sollecitazione proveniente da un appello popolare, sottoscritto da
più di tremila cittadini e da diverse associazioni; che la richiesta
di proibire l'elettroshock corrispondeva ad una ampia discussione in
tutti i livelli dell'opinione pubblica e degli organismi scientifici
nazionali ed internazionali (organismi citati nella proposta di
legge); che al fine di limitare l'utilizzo di tale terapia era
intervenuta anche la circolare del Ministero della sanità del
15 febbraio 1999; e che la proposta di legge veniva valutata
favorevolmente anche in relazione alla necessità di applicare in
materia il principio di precauzione di cui all'art. 174 del Trattato
istitutivo dell'Unione europea.
Formulando riserva di ulteriori e più complete deduzioni, la
difesa regionale osserva che la legge impugnata interviene
nell'ambito della tutela della salute, rispetto alla quale vi è una
competenza legislativa concorrente ai sensi dell'art. 117, terzo
comma, della Costituzione. Secondo la difesa regionale, non si
potrebbe dire che la Regione non possa intervenire con propria
normativa legislativa in tale materia, senza che siano stati fissati
preventivamente i principi fondamentali da parte della legislazione
statale. La legge regionale impugnata costituirebbe l'adozione di una
misura cautelare che lo Stato non avrebbe in alcun modo impedito,
mediante l'emanazione di principi fondamentali che la vietino; né si
potrebbe ritenere che la Regione debba attendere l'intervento dello
Stato prima di applicare, con riferimento al suo territorio, una
misura cautelare ritenuta indispensabile, stante l'accertata
pericolosità dell'intervento terapeutico.
Quanto alla dedotta violazione dell'art. 117, secondo comma,
lettere l) e m), della Costituzione, la difesa regionale afferma che
la legge impugnata non fissa uno standard in materia di prestazioni
sanitarie, ma si limita a disporre la sospensione di alcune terapie,
nell'attesa che, con adeguati protocolli stabiliti dallo Stato, venga
chiarita la portata degli eventuali effetti lesivi. L'applicazione
del principio di precauzione, inoltre, non inciderebbe nel quadro
delle responsabilità contrattuali ed extracontrattuali, che anzi
verrebbero prevenute ed evitate.
Infondate sarebbero infine sia le censure che contestano alla
Regione la possibilità di intervenire a tutela dei diritti della
persona e della salute dei cittadini, in quanto la legge impugnata
introdurrebbe una misura di carattere temporaneo e precauzionale,
dettata anche dalla necessità di impedire l'utilizzazione di terapie
ritenute ormai unanimemente di grave pericolo per la salute dei
cittadini; sia quelle relative all'art. 33, primo comma, della
Costituzione, in quanto la legge regionale non inciderebbe in alcun
modo sulla autonomia della ricerca scientifica, limitandosi a
sollecitarla al fine di consentire un'adeguata valutazione degli
effetti di questa particolare terapia sui pazienti.
3. - Nell'imminenza dell'udienza ha depositato memoria la sola
Regione resistente, allegando alcuni documenti.
La difesa regionale ricorda innanzitutto che alla base della
legge impugnata c'è la necessità di sospendere, in base al
principio di precauzione, che in ambito comunitario si intende
applicabile particolarmente nei settori della protezione della salute
e dell'ambiente, l'utilizzo di terapie circondate da ampi e
controversi margini di incertezza, tanto in relazione all'efficacia
terapeutica quanto in relazione ai possibili effetti collaterali
dannosi per la salute del paziente, come lo stesso Ministro della
sanità avrebbe riconosciuto (quanto alla terapia
elettroconvulsivante).
La legge regionale interviene quindi, secondo la difesa
regionale, in materia di tutela della salute, nella quale non vi è
dubbio che la Regione disponga di una potestà legislativa
concorrente, salvi naturalmente i limiti derivanti dall'esistenza di
alcune materie "trasversali" di potestà legislativa statale, come
quelle di cui alle lettere l) ed m) del secondo comma dell'art. 117
della Costituzione. Tuttavia, la censura relativa alla violazione
della competenza statale in materia di "determinazione dei livelli
essenziali" sarebbe infondata anche per la constatata assenza di una
legge statale che fissi il livello essenziale delle prestazioni in
questione, o comunque di un qualunque riferimento sul piano della
legislazione statale all'adozione delle pratiche
elettroconvulsivanti. Anche infatti ad ammettere, in ipotesi, che lo
Stato possa definire in concreto i livelli essenziali delle
prestazioni in materia di diritti civili e sociali in un atto
sub-legislativo o in un atto amministrativo, non si potrebbe dubitare
che tali atti dovrebbero necessariamente rispettare il principio di
legalità sostanziale, per il quale alla legge statale si impone
l'obbligo di circoscrivere adeguatamente nei contenuti l'ambito di
intervento delle fonti sub-legislative o delle determinazioni
amministrative nell'ipotesi che queste intendano vincolare la legge
regionale. Solo così, del resto, potrebbe ritenersi rispettato il
modello di riparto delle funzioni legislative definito nel nuovo
art. 117 della Costituzione, che non ammetterebbe alcuna limitazione
della potestà legislativa regionale proveniente da atti dello Stato
diversi dalle fonti primarie.
Non si avrebbe neanche lesione della potestà legislativa statale
in materia di "ordinamento civile e penale", in quanto le figure di
responsabilità contrattuale ed extracontrattuale legate all'adozione
delle terapie non verrebbero in alcun modo alterate. In particolare,
la legge regionale non modificherebbe il regime giuridico di quelle
responsabilità, che continuerebbe ad essere disciplinato dalla legge
statale, ma semplicemente ne limiterebbe l'insorgenza, come farebbe
qualsiasi altra legge regionale che sospendesse o vietasse alcuni
servizi rientranti in funzioni amministrative relative a materie su
cui la Regione ha competenza legislativa. Inoltre, la legge regionale
impugnata risponderebbe ad entrambi i requisiti da ultimo individuati
dalla giurisprudenza costituzionale per escludere la violazione del
limite del diritto privato, e cioè che l'adattamento operato dalla
legge regionale sia in stretta connessione con la materia di
competenza regionale e risponda al criterio di ragionevolezza, che
vale a soddisfare il rispetto del principio di eguaglianza.
Non sarebbe fondata neppure la censura relativa alla violazione
dei principi fondamentali della materia, perché la legislazione
dello Stato non conterrebbe, al momento attuale, alcun principio
ostativo alla sospensione disposta dalla legge regionale, né tale
principio potrebbe ritrovarsi nella previsione, contenuta nel piano
sanitario nazionale, dell'erogazione delle prestazioni sanitarie
sospese, in quanto il piano sanitario ha natura di fonte
sub-legislativa, mentre ora l'art. 117, terzo comma, della
Costituzione prevede espressamente che la determinazione dei principi
fondamentali avvenga con fonte statale di rango legislativo. Né si
potrebbe dire che la Regione sia tenuta, in base al principio di
leale collaborazione, all'osservanza del piano, in quanto adottato
dallo Stato d'intesa con la Conferenza unificata; o che la Regione
non possa intervenire con propria normativa legislativa in tale
materia, senza che siano stati fissati preventivamente i principi
fondamentali da parte della legislazione statale. Non si potrebbe
infatti ritenere che la Regione debba attendere l'intervento dello
Stato prima di applicare, con riferimento al suo territorio, una
misura cautelare ritenuta indispensabile, perché si tratterebbe di
una inammissibile compressione delle competenze del legislatore
regionale determinata da una semplice inerzia del legislatore
statale.
Infondata sarebbe anche la censura relativa all'art. 33, primo
comma, della Costituzione, in quanto la legge regionale si
limiterebbe a sollecitare la ricerca scientifica al fine di
consentire un'adeguata valutazione degli effetti di queste
particolari terapie sui pazienti. Il valore costituzionale
dell'autonomia della ricerca scientifica verrebbe anzi presupposto
dalla legge regionale che, sospendendo l'applicazione delle terapie,
mostra di volere subordinare - per lo meno cronologicamente - la
scelta organizzativa in ordine alla prestazione dei relativi servizi
sanitari ai risultati che la ricerca stessa saprà offrire.
Infine, la difesa regionale rileva che, in un sistema quale
quello vigente a seguito della riforma del titolo V della parte II
della Costituzione, negare alla Regione la facoltà,
nell'organizzazione del servizio sanitario regionale, di sospendere
alcune terapie, rispetto alle quali è in corso una sperimentazione
volta ad escluderne gli eventuali effetti lesivi, significa
comprimere inammissibilmente l'autonomia finanziaria di spesa della
Regione, che si vedrebbe altrimenti costretta a sopportare i costi di
un servizio relativo a pratiche terapeutiche di cui lo stesso Stato,
a mezzo della sperimentazione disposta e non terminata, non ha ancora
escluso la potenziale dannosità; e, inoltre, in un caso come quello
di specie, la sospensione disposta dalla legge regionale impugnata
risponderebbe all'insopprimibile esigenza di evitare l'insorgenza in
capo alla Regione di pesanti disavanzi di bilancio derivanti dalla
necessità di risarcire i pazienti del Servizio sanitario per i danni
causati dall'erogazione delle relative prestazioni.
Considerato in diritto
1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato, ai
sensi dell'art. 127, primo comma, della Costituzione, ed entro il
termine ivi stabilito, decorrente dalla pubblicazione nel Bollettino
Ufficiale della Regione, questione di legittimità costituzionale -
in riferimento agli articoli 2, 32, 33, primo comma, 117, secondo
comma, lettere l) ed m), e terzo comma, nonché ai principi ricavati
da norme contenute in leggi statali - della legge regionale delle
Marche 13 novembre 2001, n. 26, recante "Sospensione della terapia
elettroconvulsivante, della lobotomia prefrontale e transorbitale ed
altri simili interventi di psicochirurgia".
La legge impugnata, dopo avere, all'art. 1, enunciato generiche
finalità di tutela della salute e di garanzia della integrità
psicofisica delle persone - finalità che lo stesso ricorrente
riconosce come condivisibili, pur sostenendo che il loro
perseguimento non è riservato alla Regione -, all'art. 2 dispone che
"è sospesa, su tutto il territorio della regione", da un lato
"l'applicazione della terapia elettroconvulsivante (TEC)" (comma 1),
dall'altro lato "la pratica della lobotomia prefrontale e
transorbitale ed altri simili interventi di psicochirurgia"
(comma 2): in entrambi i casi "fino a che il Ministero della salute
non definisca in modo certo e circostanziato le situazioni cliniche
per le quali tale terapia [rispettivamente la TEC, o c.d.
elettroshock, e la pratica degli accennati interventi di
psicochirurgia], applicata secondo protocolli specifici, è
sperimentalmente dimostrata efficace e risolutiva e non è causa di
danni temporanei o permanenti alla salute del paziente".
Secondo il ricorrente tale disciplina, attinente alla qualità e
"appropriatezza" delle cure, e non all'organizzazione e gestione del
servizio sanitario, invaderebbe l'area della legislazione statale
"esclusiva" definita dall'art. 117, secondo comma, lettera l)
(ordinamento civile e penale) e lettera m) (determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale), incidendo sui diritti fondamentali della persona
"paziente" (artt. 2 e 32 Cost.) e sulle responsabilità, anche
civilistiche, degli esercenti le professioni sanitarie (oltre che,
"in qualche misura", sulla ricerca medica, al cui proposito si cita
l'art. 33, primo comma, Cost.). La decisione circa l'ammissione o il
divieto di singole terapie si collocherebbe in un momento
"logicamente preliminare" anche rispetto alla determinazione, di
competenza statale, dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza
sanitaria. Sarebbero perciò tuttora conformi alla Costituzione
l'art. 115, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1998, che conserva in capo
allo Stato le funzioni relative alla adozione del piano sanitario
nazionale (lettera a), alla adozione di "norme, linee-guida e
prescrizioni tecniche di natura igienico-sanitaria" relative fra
l'altro ad "attività" (lettera b), alla approvazione di istruzioni
tecniche su tematiche di interesse nazionale (lettera d), alla
definizione dei criteri per l'esercizio delle attività sanitarie
(lettera f: è menzionata anche, ma evidentemente per errore, la
lettera e), in tema di ispezioni); nonché l'art. 47-ter del d.lgs.
n. 300 del 1999, aggiunto dall'art. 11 del d.l. n. 217 del 2001,
convertito dalla legge n. 317 del 2001, che attribuisce al Ministero
della salute gli indirizzi generali e il coordinamento in materia di
prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione delle malattie umane
(lettera a), e l'adozione di norme, linee guida e prescrizioni
tecniche di natura igienico-sanitaria (lettera b). Per quanto non
disposto dallo Stato, dovrebbero valere solo le regole dell'arte e
della scienza medica, eventualmente convalidate da documenti
ufficiali delle autorità sanitarie.
In subordine, il ricorrente ritiene che la legge impugnata, ove
ritenuta afferente a materia di competenza concorrente della Regione,
sarebbe ugualmente illegittima in quanto contrastante con i principi
fondamentali che si desumerebbero dalle leggi statali vigenti, e in
particolare dagli articoli 1, 2, 3 e 5 della legge n. 180 del 1978 e
dagli articoli 33, 34 e 35 della legge n. 833 del 1978, in tema di
trattamenti sanitari obbligatori, dagli articoli 1 (in tema di
programmazione sanitaria e livelli essenziali e uniformi di
assistenza) e 14 (in tema di diritti dei cittadini utenti del
servizio sanitario) del d.lgs. n. 502 del 1992 e successive
modificazioni, e ancora dagli articoli 112, 113, 114 e 115 del d.lgs.
n. 112 del 1998, in tema di riparto delle funzioni in materia di
tutela della salute.
2. - La legge impugnata, nel suo contenuto dispositivo
sostanziale, prevede la obbligatoria "sospensione" - cioè il
divieto, sia pure temporaneo - di determinate pratiche terapeutiche
in tutto il territorio regionale. Essa non ha come destinatarie le
strutture del servizio sanitario regionale, ma si riferisce alla
pratica clinica, dovunque e da chiunque svolta.
Il divieto - che il legislatore regionale risulta avere sancito
anche sulla base di una iniziativa popolare, sfociata pure in altre
Regioni nell'adozione di discipline in parte analoghe (cfr. ordinanza
n. 228 del 2002, che dichiara improcedibile il giudizio già
instaurato nei confronti di una delibera legislativa della Regione
Piemonte in argomento), e motivata dall'assunto per cui le pratiche
terapeutiche in questione non sarebbero di provata efficacia e
potrebbero invece essere causa di danni ai pazienti - non si correla
ad un autonomo accertamento, effettuato o recepito dal legislatore
regionale, circa gli effetti delle pratiche terapeutiche considerate,
né muove dal presupposto che siffatti accertamenti possano o debbano
essere compiuti da organi o strutture regionali: il divieto sarebbe,
secondo la stessa previsione legislativa, destinato a durare solo
fino a quando l'organo statale competente, cioè il Ministero della
salute, non definisca le situazioni cliniche per le quali dette
terapie risultino sperimentalmente efficaci e non dannose per i
pazienti, e non determini i protocolli specifici per la loro
applicazione. La Regione in sostanza ha ritenuto di poter sancire il
divieto a titolo precauzionale, in attesa di indicazioni ministeriali
(che peraltro, per quanto riguarda la terapia elettroconvulsivante,
non sono del tutto assenti: la stessa relazione al disegno di legge
regionale poi approvato ricorda la nota 15 febbraio 1999 del
Ministero della sanità, in cui, fra l'altro, si specificano le
limitate indicazioni d'uso per questa che viene considerata "ancora
oggi un'opzione terapeutica", nonché controindicazioni, modalità di
attuazione, necessità di protocolli esecutivi, procedure di consenso
informato).
3. - La risposta al quesito, se la legge impugnata rispetti i
limiti della competenza regionale, ovvero ecceda dai medesimi, deve
oggi muovere - nel quadro del nuovo sistema di riparto della potestà
legislativa risultante dalla riforma del titolo V, parte II, della
Costituzione realizzata con la legge costituzionale n. 3 del 2001 -
non tanto dalla ricerca di uno specifico titolo costituzionale di
legittimazione dell'intervento regionale, quanto, al contrario, dalla
indagine sulla esistenza di riserve, esclusive o parziali, di
competenza statale.
Il ricorrente lamenta la invasione di aree che apparterrebbero
alla legislazione statale esclusiva, ai sensi del nuovo testo
dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione. Precisamente, da un
lato, si tratterebbe di una disciplina incidente sull'"ordinamento
civile" (lettera l), in quanto altererebbe indirettamente le regole
della responsabilità civile degli operatori sanitari; dall'altro
lato, si verterebbe in materia di diritti fondamentali dei pazienti,
con decisioni che sarebbero logicamente preliminari alla
"determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale" (lettera m).
Con riguardo a queste censure, si deve escludere che ogni
disciplina, la quale tenda a regolare e vincolare l'opera dei
sanitari, e in quanto tale sia suscettibile di produrre conseguenze
in sede di accertamento delle loro responsabilità, rientri per ciò
stesso nell'area dell'"ordinamento civile", riservata al legislatore
statale. Altro sono infatti i principi e i criteri della
responsabilità, che indubbiamente appartengono a quell'area, altro
le regole concrete di condotta, la cui osservanza o la cui violazione
possa assumere rilievo in sede di concreto accertamento della
responsabilità, sotto specie di osservanza o di violazione dei
doveri inerenti alle diverse attività, che possono essere
disciplinate, salva l'incidenza di altri limiti, dal legislatore
regionale.
Quanto poi ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali, non si tratta di una "materia" in senso
stretto, ma di una competenza del legislatore statale idonea ad
investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso
deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti,
sull'intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni
garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la
legislazione regionale possa limitarle o condizionarle. Nella specie
la legge impugnata non riguarda tanto livelli di prestazioni, quanto
piuttosto l'appropriatezza, sotto il profilo della loro efficacia e
dei loro eventuali effetti dannosi, di pratiche terapeutiche, cioè
di un'attività volta alla tutela della salute delle persone, e
quindi pone il problema della competenza a stabilire e applicare i
criteri di determinazione di tale appropriatezza, distinguendo fra
ciò che è pratica terapeutica ammessa e ciò che possa ritenersi
intervento lesivo della salute e della personalità dei pazienti,
come tale vietato. Sono coinvolti bensì fondamentali diritti della
persona, come il diritto ad essere curati e quello al rispetto della
integrità psico-fisica e della personalità del malato
nell'attività di cura, ma, più che in termini di "determinazione di
livelli essenziali", sotto il profilo dei principi generali che
regolano l'attività terapeutica.
4. - Il punto di vista più adeguato, dunque, per affrontare la
questione è quello che muove dalla constatazione che la disciplina
in esame concerne l'ambito materiale della "tutela della salute",
che, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione,
costituisce oggetto della potestà legislativa concorrente delle
Regioni, la quale si esplica nel rispetto della competenza riservata
allo Stato per la "determinazione dei principi fondamentali".
È proprio il contrasto della legge impugnata con i principi
fondamentali della materia, a norma dell'art. 117, terzo comma, della
Costituzione, ad essere denunciato, in via subordinata, dal
ricorrente.
La questione è fondata.
La nuova formulazione dell'art. 117, terzo comma, rispetto a
quella previgente dell'art. 117, primo comma, esprime l'intento di
una più netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare
in queste materie e la competenza statale, limitata alla
determinazione dei principi fondamentali della disciplina. Ciò non
significa però che i principi possano trarsi solo da leggi statali
nuove, espressamente rivolte a tale scopo. Specie nella fase della
transizione dal vecchio al nuovo sistema di riparto delle competenze,
la legislazione regionale concorrente dovrà svolgersi nel rispetto
dei principi fondamentali comunque risultanti dalla legislazione
statale già in vigore.
Non può ingannare la circostanza che non si rinvengano norme di
legge statale esplicitamente volte a disciplinare l'ammissibilità
delle pratiche terapeutiche in esame, o delle pratiche terapeutiche
in generale. Anzi l'assenza di siffatte statuizioni legislative
concorre a definire la portata dei principi che reggono la materia, e
che, nella specie, non possono non ricollegarsi anzitutto allo stesso
sistema costituzionale.
La pratica terapeutica si pone, come già si è accennato,
all'incrocio fra due diritti fondamentali della persona malata:
quello ad essere curato efficacemente, secondo i canoni della scienza
e dell'arte medica; e quello ad essere rispettato come persona, e in
particolare nella propria integrità fisica e psichica, diritto
questo che l'art. 32, secondo comma, secondo periodo, della
Costituzione pone come limite invalicabile anche ai trattamenti
sanitari che possono essere imposti per legge come obbligatori a
tutela della salute pubblica. Questi diritti, e il confine fra i
medesimi, devono sempre essere rispettati, e a presidiarne
l'osservanza in concreto valgono gli ordinari rimedi apprestati
dall'ordinamento, nonché i poteri di vigilanza sull'osservanza delle
regole di deontologia professionale, attribuiti agli organi della
professione.
Salvo che entrino in gioco altri diritti o doveri costituzionali,
non è, di norma, il legislatore a poter stabilire direttamente e
specificamente quali siano le pratiche terapeutiche ammesse, con
quali limiti e a quali condizioni. Poiché la pratica dell'arte
medica si fonda sulle acquisizioni scientifiche e sperimentali, che
sono in continua evoluzione, la regola di fondo in questa materia è
costituita dalla autonomia e dalla responsabilità del medico che,
sempre con il consenso del paziente, opera le scelte professionali
basandosi sullo stato delle conoscenze a disposizione.
Autonomia del medico nelle sue scelte professionali e obbligo di
tener conto dello stato delle evidenze scientifiche e sperimentali,
sotto la propria responsabilità, configurano dunque un altro punto
di incrocio dei principi di questa materia.
A questi principi si riconduce anche il codice di deontologia
medica (3 ottobre 1998), che l'organismo nazionale rappresentativo
della professione medica si è dato come "corpus di regole di
autodisciplina predeterminate dalla professione, vincolanti per gli
iscritti all'Ordine che a quelle norme devono quindi adeguare la loro
condotta professionale". Come afferma l'art. 12 (Prescrizione e
trattamento terapeutico) di tale codice, "al medico è riconosciuta
piena autonomia nella programmazione, nella scelta e nella
applicazione di ogni presidio diagnostico e terapeutico (...), fatta
salva la libertà del paziente di rifiutarle e di assumersi la
responsabilità del rifiuto stesso"; ma "le prescrizioni e i
trattamenti devono essere ispirati ad aggiornate e sperimentate
acquisizioni scientifiche (...), sempre perseguendo il beneficio del
paziente"; e "il medico è tenuto ad una adeguata conoscenza (...)
delle caratteristiche di impiego dei mezzi terapeutici e deve
adeguare, nell'interesse del paziente, le sue decisioni ai dati
scientifici accreditati e alle evidenze metodologicamente fondate",
mentre "sono vietate l'adozione e la diffusione di terapie e di
presidi diagnostici non provati scientificamente o non supportati da
adeguata sperimentazione e documentazione clinico-scientifica,
nonché di terapie segrete".
5. - Tutto ciò non significa che al legislatore sia senz'altro
preclusa ogni possibilità di intervenire. Così, ad esempio, sarebbe
certamente possibile dettare regole legislative dirette a prescrivere
procedure particolari per l'impiego di mezzi terapeutici "a rischio",
onde meglio garantire - anche eventualmente con il concorso di una
pluralità di professionisti - l'adeguatezza delle scelte
terapeutiche e l'osservanza delle cautele necessarie. Ma un
intervento sul merito delle scelte terapeutiche in relazione alla
loro appropriatezza non potrebbe nascere da valutazioni di pura
discrezionalità politica dello stesso legislatore, bensì dovrebbe
prevedere l'elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello
stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali
acquisite, tramite istituzioni e organismi - di norma nazionali o
sovranazionali - a ciò deputati, dato l'"essenziale rilievo" che, a
questi fini, rivestono "gli organi tecnico-scientifici" (cfr.
sentenza n. 185 del 1998); o comunque dovrebbe costituire il
risultato di una siffatta verifica.
A indirizzi e indicazioni di tal natura alludono del resto talune
norme di legge che configurano in capo a organi statali compiti di
"adozione di norme, linee guida e prescrizioni tecniche di natura
igienico-sanitaria" (art. 114, comma 1, lettera b, del d.lgs. n. 112
del 1998; art. 47-ter, comma 1, lettera b, del d.lgs. n. 300 del
1999), o di "approvazione di manuali e istruzioni tecniche"
(art. 114, comma 1, lettera d, del d.lgs. n. 112 del 1998), o di
"indirizzi generali e coordinamento in materia di prevenzione,
diagnosi, cura e riabilitazione delle malattie umane" (art. 47-ter,
comma 1, lettera a, del d.lgs. n. 300 del 1999): norme che,
indipendentemente dall'attualità del riparto di funzioni che esse
realizzavano nel quadro dell'assetto costituzionale dei rapporti fra
Stato e Regioni precedente alla legge costituzionale n. 3 del 2001,
concorrono tuttora a configurare i principi fondamentali della
materia.
6. - Nella specie, l'intervento regionale contestato dal Governo
non si fonda né pretende di fondarsi su specifiche acquisizioni
tecnico-scientifiche verificate da parte degli organismi competenti,
ma si presenta come una scelta legislativa autonoma, dichiaratamente
intesa a scopo cautelativo, in attesa di futuri accertamenti che
dovrebbero essere compiuti dall'autorità sanitaria nazionale (in
ordine ai quali, peraltro, il legislatore regionale non stabilisce,
né avrebbe potuto stabilire alcunche): e ciò, per di più,
riferendosi non già a terapie "nuove" o sperimentali (anzi, nella
relazione della commissione consiliare al disegno di legge, è detto
che l'ultimo trattamento di TEC praticato nelle Marche risale al
1992, e da allora esso "risulterebbe essere stato abbandonato"),
bensì a pratiche conosciute e utilizzate da tempo (la citata nota
15 febbraio 1999 del Ministero della sanità riconduce al 1938
l'epoca in cui "fu inventata e proposta la TEC"), ancorché oggetto
di considerazioni non sempre omogenee fra gli specialisti.
7. - La legge impugnata è dunque costituzionalmente illegittima.
La dichiarazione di illegittimità costituzionale deve estendersi
all'intera legge, in quanto, anche tenendo conto di ciò che risulta
dal titolo della medesima, l'articolo 1, contenente una generica
enunciazione di finalità, di per sé non eccedente la competenza
della Regione, è privo di autonoma portata normativa, costituendo
solo la premessa per l'adozione della misura sancita dall'articolo 2.
Restano assorbiti gli altri profili di incostituzionalità
denunciati, senza che questa Corte debba proporsi il problema della
loro ammissibilità in base al nuovo articolo 127, primo comma, della
Costituzione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della
Regione Marche 13 novembre 2001, n. 26 (Sospensione della terapia
elettroconvulsivante, della lobotomia prefrontale e transorbitale ed
altri simili interventi di psicochirurgia).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 giugno 2002.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Onida
Il cancelliere:Di Paola
Depositata in cancelleria il 26 giugno 2002.
Il direttore della cancelleria:Di Paola