Titolo
SENT. 22/96. IMPIEGO PUBBLICO - DOCENTI UNIVERSITARI - COLLOCAMENTO IN ASPETTATIVA SENZA ASSEGNI PER ESPLETAMENTO DI MANDATO PARLAMENTARE - DIVIETO DI CUMULO FRA INDENNITA' PARLAMENTARE E RETRIBUZIONE - PRETESA VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 3, 33 e 36 COST. - PRETESO ECCESSO DI DELEGA - INFONDATEZZA.
Testo
Non e' fondata, con riferimento agli artt. 3, 33 e 76 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 71, primo comma, d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 (secondo cui "i dipendenti delle pubbliche amministrazioni eletti al Parlamento nazionale sono collocati in aspettativa senza assegni per la durata del mandato parlamentare") e dell'art. 22, comma trentotto, l. 23 dicembre 1994 n. 724 (che, interpretando autenticamente la richiamata disposizione, ne ha dichiarato la "applicabilita' anche ai professori e ricercatori universitari a decorrere dalla data di entrata in vigore del predetto decreto"), in relazione all'art. 13 d.P.R. 11 luglio 1980 n. 382 (nella parte in cui riconosce ai professori universitari in aspettativa per mandato parlamentare la "possibilita' di svolgere ... conferenze ... lezioni ... attivita' seminariali ... di ricerca"): sia perche' (con riferimento agli artt. 3 e 36 Cost.) la mera "possibilita'" prevista dall'art. 13 d.P.R. n. 382 del 1980 - rimessa alla discrezionalita' del docente parlamentare - si risolve, agli effetti del trattamento economico, in un dato normativo non significante in termini di diversificazione della posizione del professore universitario rispetto a quella di ogni altro pubblico impiegato, tenuto anche conto, per un verso, che la garanzia apprestata dall'art. 36 Cost. non esclude la legittimita' di prestazioni volontarie senza previsione di compenso, e, per l'altro, che la esclusione della corresponsione degli assegni e' frutto di una libera opzione dell'interessato in favore dell'indennita' parlamentare; sia perche' (con riferimento all'art. 33 Cost.) la prevista facolta' di esercitare le attivita' di cui all'art. 13 d.P.R. n. 382 del 1980 costituisce, non gia' una menomazione, ma una espressione dell'autonomia garantita dall'art. 33 alla istituzione universitaria, quale diritto riconosciuto al docente di svolgere, nell'ambito di tale autonomia, la sua liberta' di ricercatore e di didatta; sia, infine, perche' (con riferimento all'art. 76 Cost.) la riferibilita' anche ai professori universitari del divieto di cumulo tra indennita' parlamentare e retribuzione emerge inequivocabilmente dal tenore letterale della legge di delegazione (art. 2 l. n. 421 del 1992) ed e' confermata dall'andamento dei lavori preparatori. - S. nn. 51/1966, 141/1974, 41/1977, 145/1985 e 158/1985. red.: S. Di Palma
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 33
Costituzione
art. 36
Costituzione
art. 76
Altri parametri e norme interposte
legge
23/10/1992
n. false
art. 2
Riferimenti normativi
decreto legislativo
03/02/1993
n. 29
art. 71
co. 1
legge
23/12/1994
n. 724
art. 22
co. 38
decreto del Presidente della Repubblica
11/07/1980
n. 382
art. 0
co. 0
N. 22
SENTENZA 24 GENNAIO-5 FEBBRAIO 1996
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY;
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 71, comma 1,
del decreto legislativo del 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione
dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 della
legge 23 ottobre 1992, n. 421) e dell'art. 22, comma 38, della legge
23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza
pubblica), promossi con le ordinanze emesse il 7 aprile 1995, dal
Consiglio di Stato - sez. VI giurisdizionale e il 22 marzo 1995 (n.
3 ordd.) dal TAR del Lazio, rispettivamente iscritte ai nn. 478, 580,
581 e 582 del registro ordinanze 1995 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica nn. 37 e 41, prima serie speciale,
dell'anno 1995;
Visti gli atti di costituzione di Mirone Antonino, Condorelli
Mario, Acquarone Lorenzo e Saporito Learco nonché gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 21 novembre 1995 il Giudice
relatore Renato Granata;
Uditi gli avv.ti Lorenzo Acquarone e Ludovico Villani per Mirone
Antonino, Condorelli Mario, Saporito Learco e Ludovico Villani per
Acquarone Lorenzo, nonché l'Avvocato dello Stato Alessandro De
Stefano per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - In quattro giudizi amministrativi separatamente promossi da
altrettanti docenti universitari (i professori L. Acquarone, M.
Condorelli, L. Saporito e A. Mirone) per impugnare i decreti
rettorili che, nel collocarli in aspettativa per svolgimento del
mandato parlamentare, li avevano contestualmente sospesi dal
trattamento retributivo, così come previsto per i pubblici impiegati
dall'art. 71, comma 1, del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (mentre ai
professori universitari, secondo i ricorrenti, avrebbe dovuto
viceversa tuttora applicarsi il trattamento differenziato, che
consente il cumulo parziale dello stipendio e della indennità
parlamentare di cui all'art. 4 della legge n. 1261 del 1965,
mantenuto per essi in vigore dalle norme derogatorie di cui all'art.
72, ultimo comma, dello stesso d.lgs. n. 29 del 1993 ed all'art. 2,
del successivo d.lgs. n. 546 del 1993), il TAR Lazio, con tre
ordinanze in pari data del 22 marzo 1995 ed il Consiglio di Stato (in
sede di appello avverso diniego di sospensiva del medesimo TAR) con
ordinanza in data 7 aprile 1995 - dopo aver rilevato in premessa che
l'applicabilità della riferita disciplina, sub art. 71 del d.lgs. n.
29 del 1993, anche ai docenti universitari risultava comunque poi
confermata, in via di interpretazione autentica, dall'art. 22, comma
38, della sopravvenuta legge n. 724 del 1994 - hanno sollevato
(identica) questione di legittimità costituzionale, in riferimento
agli artt. 3, 33, 36 e 76 della Costituzione, delle due succitate
disposizioni (art. 71 del d.lgs. n. 29 del 1993 e art. 22, comma 38,
della legge n. 724 del 1994) "nella parte in cui queste prevedono il
collocamento in aspettativa senza assegni per mandato parlamentare
dei professori universitari" (ove non optino per la conservazione del
rispettivo trattamento economico in luogo della indennità) "e la
restituzione delle somme da loro indebitamente percepite durante
l'aspettativa medesima".
Dubitano, infatti, le autorità rimettenti che tali norme violino,
innanzitutto, l'art. 3 della Costituzione per irragionevole
parificazione del trattamento di situazioni differenziate, "tenuto
conto che, durante l'aspettativa per mandato parlamentare, agli altri
dipendenti pubblici è preclusa la possibilità di esercitare
mansioni inerenti al rapporto di impiego, mentre ai docenti
universitari è consentito, a norma dell'art. 13 del decreto del
Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, di svolgere
numerose attività didattiche, scientifiche e attinenti al governo
dell'Università specificamente indicate dallo stesso art. 13,
penultimo comma, come modificato dall'art. 5 della legge 9 dicembre
1985, n. 705.
Il disconoscimento del "diritto dei docenti universitari alla
conservazione dell'attribuzione di parte della retribuzione
corrisposta dalle Università per lo svolgimento di funzioni proprie
della qualifica rivestita durante l'aspettativa per mandato
parlamentare" motiva, poi, nelle stesse ordinanze di rimessione,
l'ipotesi di violazione del precetto dell'art. 36 Costituzione.
Infine - sempre in ragione della denunciata estensione ai docenti
universitari della disciplina del collocamento in aspettativa
stabilita per gli altri pubblici dipendenti - sospettano i giudici a
quibus la violazione ulteriore dell'art. 33 - che tutela l'autonomia
delle istituzioni universitarie - e dell'art. 76 Costituzione, per
avere il legislatore delegato del 1993, con ciò, superato i limiti
della delega di cui alla legge n. 421 del 1992, riguardante il
settore del pubblico impiego "senza alcun riferimento alla docenza
universitaria".
2. - Nei giudizi innanzi a questa Corte, si sono costituite le
parti private, svolgendo, per il tramite dei propri difensori
(avvocati Villani e Acquarone) argomentazioni adesive a quelle dei
giudici a quibus.
Rilievo centrale, nel quadro di tali difese, ha la considerazione
della peculiarità della posizione dei docenti universitari in
aspettativa. I quali - a differenza di ogni altro pubblico impiegato
che, in situazione siffatta, cessa da ogni attività - hanno
viceversa, ex art. 13 del d.P.R. n. 382 del 1980, la facoltà di
compiere attività didattica e di ricerca per tutto il tempo in cui
dura la situazione di incompatibilità.
In particolare - come sottolineato - essi infatti:
conservano il titolo a partecipare agli organi universitari cui
appartengono, con le modalità previste dall'art. 14, terzo e quarto
comma, della legge 18 marzo 1958, n. 311;
mantengono l'elettorato attivo per la formazione delle
commissioni di concorso e per l'elezione alle cariche accademiche;
hanno la possibilità di svolgere - nel quadro dell'attività
didattica programmata dal consiglio di corso di laurea, di dottorato
di ricerca, delle scuole di specializzazione e delle scuole a fini
speciali - cicli di conferenze e di lezioni ed attività seminariali
anche nell'ambito dei corsi ufficiali di insegnamento, d'intesa con
il titolare del corso nonché attività di ricerca anche applicativa.
3. - Per la inammissibilità per irrilevanza o, in subordine, per
l'infondatezza della questione così sollevata ha invece concluso
l'Avvocatura dello Stato per l'intervenuto Presidente del Consiglio
dei ministri.
Innanzitutto - secondo l'Avvocatura - "se pure si dovesse applicare
nella fattispecie l'art. 13 del d.P.R. n. 382 del 1980 (così come
avverrebbe se ai docenti universitari non si rendesse applicabile
direttamente l'art. 71 del decreto n. 29 del 1993 bensì la pregressa
disciplina ex art. 72 dello stesso decreto e 2, d.lgs. n. 546 del
1993), la soluzione non cambierebbe", poiché proprio il citato art.
13 aveva in realtà già parificato la posizione dei docenti
universitari a quella del restante personale statale in materia di
aspettativa per mandato parlamentare, estendendo anche ai primi
l'obbligo dell'aspettativa in luogo della facoltatività della stessa
precedentemente prevista (art. 88, terzo comma, del d.P.R. 30 marzo
1957, n. 361) e rinviando (art. 13, terzo comma, del d.P.R. n. 382
del 1980), per quel che concerne il trattamento economico da
corrispondere durante il periodo di aspettativa, alle disposizioni
vigenti per il personale civile "dello Stato". (In virtù del quale
rinvio appunto - e non già di una "prerogativa per i professori" -
era stata estesa ai medesimi la disciplina del computo parziale, tra
trattamento di attività ed indennità parlamentare ex legge n.1261
del 1965, già applicabile a tutti i pubblici dipendenti collocati in
aspettativa obbligatoria).
D'altra parte - poiché la norma che prevede l'attività dei
docenti collocati in aspettativa obbligatoria, volta in via precaria
a tutelare il diritto dei medesimi alla esplicazione del pensiero
anche in funzione della promozione della cultura e della ricerca, è
concepita come "facoltà" rimessa alla libera scelta del docente -
"la ipotetica questione avrebbe potuto, al limite, sorgere solo per
la speciale categoria dei docenti-parlamentari che, già in
situazione di aspettativa obbligatoria senza assegni, avessero in
concreto anche chiesto di svolgere le attività consentite dalla
norma; che tali attività avessero svolto; che sostenessero di avere
svolto dette attività nell'esclusivo interesse della istituzione;
che le svolte attività dovessero essere retribuite e nella ipotesi
di avvenuto rifiuto di pagamento": evenienza - questa - che
certamente però non ricorre nella fattispecie.
E ciò a prescindere dalla considerazione che, ove il legislatore
avesse inteso riconoscere un beneficio economico in considerazione
della prosecuzione delle attività didattiche, scientifiche ed
accademiche svolte dal docente collocato in aspettativa ai sensi
dell'art. 13, avrebbe dovuto poi estendere tale riconoscimento a
tutte le ipotesi di aspettativa, e non solo a quella per mandato
parlamentare.
Comunque - osserva ancora l'Avvocatura - superato definitivamente,
e senza alcun elemento innovativo, ogni aspetto esegetico della
disciplina in esame, con la norma interpretativa dell'art. 22, comma
38, della legge n. 724 del 1994, non rimane, a questo punto, che la
"singolare pretesa" dei docenti universitari di continuare a
percepire un duplice trattamento retributivo a confronto di una sola
prestazione imposta ex lege.
4. - Nella imminenza della udienza di discussione, le parti private
hanno anche depositato una ampia e diffusa memoria congiunta per
replicare alle eccezioni e deduzioni dell'Avvocatura.
In particolare hanno sostenuto che l'avversa tesi - per cui le
norme di temporanea inapplicabilità ai docenti universitari delle
disposizioni del decreto legislativo n. 29 del 1993, sub art. 72
comma 4 dello stesso decreto e 2 del successivo decreto n. 546 del
1993, avrebbero inteso differire la sola disciplina di
privatizzazione del rapporto di impiego e non anche la disciplina
retributiva - è assolutamente arbitraria e priva di riscontri
esegetici; e che "ancor più specioso" sarebbe il rilievo di
controparte per cui la deroga ex artt. 72 del d.lgs. n. 29 del 1993 e
2 del d.lgs. 1995 si "autoeliderebbe" per effetto dell'operato rinvio
all'art. 13 del d.P.R. n.382 del 1980, poiché viceversa, "elementari
ragioni di logica giuridica portano a ritenere che quel rinvio abbia
natura di rinvio materiale per cui, in attesa della preannunciata
disciplina organica, ove non fosse intervenuta la censurata
interpretazione autentica contenuta nella legge n. 724 del 1994, il
trattamento economico dei professori universitari eletti al
Parlamento nazionale sarebbe stato quello stabilito dalla legge 31
ottobre 1965, n. 1261".
Considerato in diritto
1. - Preliminarmente va disposta la riunione dei giudizi per
identità di oggetto.
2. - La disposizione dell'art. 71, comma 1, del decreto legislativo
3 febbraio 1993, n. 29 - secondo cui "i dipendenti delle pubbliche
amministrazioni eletti al Parlamento nazionale sono collocati in
aspettativa senza assegni per la durata del mandato parlamentare" -
viene denunciata, dai giudici a quibus, unitamente all'art. 22, comma
38, della successiva legge 23 dicembre 1994, n. 724 che,
interpretandola autenticamente, ne ha dichiarato la "applicabilità
anche ai professori e ricercatori universitari a decorrere dalla data
di entrata in vigore del predetto decreto....".
Poiché nessun problema di legittimità si pone in ordine alla
norma retroattiva di interpretazione in quanto tale, resta
evidentemente fuori dal presente giudizio, perché estranea al thema
decidendum, la disputa esegetica (su cui pur hanno insistito le
opposte difese) circa la portata applicativa del citato art. 71 del
decreto n. 29 del 1993 nel quadro normativo anteriore al riferito
intervento di interpretazione autentica del legislatore del '94; e la
questione devoluta all'esame della Corte conseguenzialmente si
risolve proprio nello stabilire se contrasti o non, con gli indicati
parametri costituzionali (artt. 3, 33, 36, 76), l'introduzione, così
operata, del divieto di cumulo dell'indennità parlamentare con la
retribuzione "anche dei professori universitari".
Il fatto che a detti docenti - "a differenza che ad ogni altro
pubblico impiegato che cessa da ogni attività" con la messa in
aspettativa per mandato parlamentare - sia viceversa riconosciuta,
dall'art. 13 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, la "possibilità di
svolgere (...) conferenze (...) lezioni (...) attività seminariali
(...) di ricerca" induce i giudici a quibus a ritenere (condividendo
la prospettazione dei ricorrenti) che per i professori universitari
dovesse mantenersi fermo il pregresso regime di (parziale) cumulo
retributivo di cui all'art. 3 della legge n. 1261 del 1965, come
richiamato dal già menzionato art. 13 del d.P.R. n. 382 del 1980.
Dal che il corollario che l'opposta opzione legislativa sub art.
22 della legge n. 724 del 1994 si ponga in contrasto con l'art. 3,
per irragionevole identità di trattamento di situazioni
differenziate; con l'art. 36, per il consentito svolgimento, da parte
dei docenti, di attività lavorative non retribuite; con l'art. 33,
per il vulnus che ne deriverebbe alla "autonomia" della istituzione
universitaria; con l'art. 76 della Costituzione per eccesso della
censurata disciplina dai limiti della delega (art. 2, legge n. 421
del 1992) che non avrebbe autorizzato il legislatore delegato ad
occuparsi dello specifico settore della docenza universitaria.
3. - L'impugnativa così formulata è ammissibile, e va perciò
respinta la contraria eccezione dell'Avvocatura.
Non rileva infatti che il TAR ed il Consiglio di Stato non abbiano
accertato, nei giudizi a quibus, se i ricorrenti avessero di fatto
svolto o chiesto, comunque, di continuare a svolgere alcuna delle
attività didattiche innanzi indicate, una volta che il ripristino
del cumulo retributivo, per via di reductio ad legitimitatem, è in
tesi auspicato non nei confronti dei soli docenti parlamentari che
abbiano in concreto svolto parallela attività di insegnamento bensì
per l'intera categoria dei professori universitari in aspettativa per
mandato parlamentare, direttamente in ragione del fatto che
l'esercizio di una tale attività è loro virtualmente consentita.
4. - D'altra parte, proprio i rilevati profili di prospettazione
della questione ne evidenziano la non fondatezza nel merito, in
relazione ai parametri di cui agli artt. 3 e 36 della Costituzione.
Infatti, la mera "possibilità", di cui all'invocato art. 13 del
d.P.R. n. 382 del 1980, di un concorrente esercizio di talune
circoscritte e ridotte attività didattiche - rimessa alla
discrezionalità del docente parlamentare in ordine alla misura e
frequenza del loro svolgimento con piena libertà anche di non
svolgerle affatto - si risolve, agli effetti del trattamento
economico qui in discussione, in un dato normativo non significante
in termini di diversificazione della posizione del professore
universitario rispetto a quella di ogni altro pubblico impiegato. Non
senza considerare che, da un lato, la garanzia apprestata dall'art.
36 della Costituzione non esclude la legittimità di una prestazione
volontariamente resa senza la previsione di un compenso, e che,
dall'altro, la esclusione della corresponsione degli assegni è
frutto di una libera opzione dell'interessato in favore
dell'indennità parlamentare, opzione che rende pertinente alla
specie anche il principio secondo il quale quella garanzia "non può
essere riferita a singole fonti della retribuzione" - per di più,
come in questo caso meramente virtuali - "ma (deve esserlo) alla sua
globalità" (cfr. sentenza n. 141 del 1974, in tema di professori
incaricati). Rilievo, quest'ultimo, che, a maggior ragione, vale
rispetto a collaterali attività di docenza universitaria le quali,
per la loro rispondenza anche a finalità di affinamento culturale
nell'interesse dello stesso docente, si pongono fuori dall'area della
retribuzione necessaria (cfr. sentenza n. 41 del 1977 ed ancora
sentenza n. 141 del 1974 cit.). E va ancora ricordato che, proprio
con riguardo al lavoro di ricerca e seminariale effettuabile dal
docente in aspettativa parlamentare ai sensi del menzionato art. 13
d.P.R. n. 382 del 1980, questa Corte ha già sottolineato come la
correlativa previsione normativa realizzi "un equo contemperamento
tra le esigenze da riconoscersi al docente, come a tutti i cittadini,
di partecipare alla vita politica, e le esigenze del mantenimento dei
contatti del docente con la vita universitaria, dalla quale non
rimane estraniato ed assente del tutto, svolgendo (ove lo ritenga
...) un'attività di docenza sia pur limitata" (sentenza n. 158 del
1985).
5. - Appunto in questa facoltà di svolgere, pur nel periodo di
aspettativa, le attività previste dall'art. 13 citato deve
ravvisarsi non una menomazione, ma anzi una espressione della
autonomia garantita dall'art. 33 della Costituzione alla istituzione
universitaria, quale diritto riconosciuto al docente di svolgere,
nell'ambito di tale autonomia, la sua libertà di ricerca e di
insegnamento. Donde la insussistenza della ipotizzata violazione del
menzionato art. 33, a prescindere comunque dalla non pertinenza di
tale parametro al problema del trattamento economico dei docenti,
posto che l'autonomia oggetto di tale disposizione "non attiene allo
stato giuridico dei professori universitari" (cfr. sentenza n. 51 del
1966), "i quali sono legati da rapporto di impiego con lo Stato e
sono di conseguenza soggetti alla disciplina che la legge statale
ritiene di adottare" (sentenza n. 145 del 1985).
6. - Infondato è infine l'ultimo profilo di censura per violazione
dell'art. 76 Costituzione, poiché la riferibilità anche ai
professori universitari del divieto di cumulo tra indennità
parlamentare e retribuzione dettato dalla legge di delega,
riferibilità negata dai giudici rimettenti per inferirne un preteso
eccesso di delega del legislatore delegato del 1993, emerge invece
inequivocabilmente dal tenore letterale dell'art. 2 della legge n.
421 del 1992 - rivolto senza riserva alcuna a tutti i "dipendenti
delle pubbliche amministrazioni eletti al Parlamento" - ed è
ulteriormente confermata dall'andamento dei lavori parlamentari. Nel
corso dei quali è stata pur prospettata, ma poi espressamente
respinta, l'ipotesi di una deroga all'introduzione di divieto di
cumulo in favore dei professori universitari (cfr. in particolare
Atti Senato, 41 seduta, 15 settembre 1992).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 71, comma 1, del decreto
legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione
dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 della
legge 23 ottobre 1992, n. 421) e dell'art. 22, comma 38, della legge
23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza
pubblica), sollevata in riferimento agli artt. 3, 33, 36 e 76 della
Costituzione, con le ordinanze del TAR del Lazio e del Consiglio di
Stato indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 1996.
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Granata
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 5 febbraio 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola