RITENUTO IN FATTO
1. - Nel corso di un giudizio civile, promosso dai genitori
esercenti la potestà sul minore (nato il 26 marzo 1978) colpito da
invalidità permanente a seguito della vaccinazione obbligatoria
antipolio cui era stato sottoposto nel luglio 1978, e diretto sia
alla richiesta di una diversa decorrenza dell'indennizzo riconosciuto
sia alla determinazione di una misura superiore di esso, il pretore
di Firenze, con ordinanza del 19 aprile 1995, ha sollevato, in
riferimento all'art. 32 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge 25 febbraio 1992, n.
210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di
tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni
e somministrazione di emoderivati) "nella parte in cui, nel caso di
incidente vaccinale verificatosi anteriormente alla data di entrata
in vigore della legge stessa, fanno decorrere l'indennizzo dal primo
giorno del mese successivo alla presentazione della domanda
posteriore alla legge medesima, e non dal verificarsi del danno
all'integrità fisico-psichica, o dalla conoscenza che di esso abbia
l'avente diritto, come invece è previsto per i casi insorti"
successivamente alla entrata in vigore della legge medesima.
Il giudice a quo, premesso che la "sussistenza e la causa della
menomazione sono comprovati in atti e sono stati accertati, in sede
amministrativa, con le procedure di cui all'art. 4 della legge", e
ravvisata la rilevanza della questione dal momento che "dalla sua
soluzione dipende la possibilità di accogliere la domanda,
quantomeno sotto l'aspetto della decorrenza temporale della
prestazione attualmente goduta (il che potrebbe riflettersi anche sul
capo di domanda relativo al quantum)", osserva che il tenore
dell'art. 3, comma 7, della legge, - ai sensi del quale è concesso a
coloro che abbiano subìto menomazioni, pregresse rispetto
all'entrata in vigore della legge stessa, il termine di tre anni da
quest'ultima data per la presentazione della domanda di indennizzo -
non consente di interpretare in senso retroattivo il disposto del
precedente art. 2, comma 2, della legge che subordina la prestazione
economica alla domanda, facendola decorrere dal mese successivo a
quello di presentazione della domanda stessa.
Esclusa quindi la possibilità - anche per il concorso degli
ulteriori elementi documentali prescritti dall'art. 2, commi 4 e 5 -
di considerare utili le domande presentate anteriormente all'entrata
in vigore della legge, così come, agli stessi fini, tutte le
precedenti manifestazioni di volontà (nella specie, in concreto,
intervenute), nell'ordinanza di rimessione si sostiene che la
normativa impugnata, nella parte in cui fa decorrere l'indennizzo
dalla domanda presentata dopo la legge n. 210 e non invece
dall'effettivo insorgere del danno alla persona o comunque dalla
conoscenza che di esso abbia l'avente diritto nel caso in cui il
danno sia insorto precedentemente, contrasterebbe con l'art. 32 della
Costituzione perché non assicurerebbe al soggetto leso, per il
passato, quella "protezione ulteriore" della quale la Corte
costituzionale, con la sentenza n. 307 del 1990, ha ravvisato
l'indefettibile necessità allorché si verifichi un danno alla
salute, "seppur non riferibile a responsabilità di alcuno", reso
possibile dal trattamento di vaccinazione obbligatoria imposto
nell'interesse della collettività.
La decorrenza del beneficio così determinata priverebbe
l'interessato di quell'indennità che il principio di solidarietà,
invocato da questa Corte nella sentenza citata, reclamerebbe invece
fin dal configurarsi della menomazione, così come poi avviene per
gli incidenti verificatisi dopo l'entrata in vigore della legge,
potendo la domanda di indennizzo essere proposta non appena risulti
la conoscenza del danno.
2. - Si sono costituite le parti private, ovverosia i genitori
esercenti la potestà sul minore, esponendo in fatto che, in seguito
alla menomazione del loro figlio - consistita in una invalidità
permanente con paralisi flaccida degli arti ed impossibilità alla
deambulazione autonoma - avevano presentato, in data 19 novembre
1981, domanda di riconoscimento di invalidità civile che veniva
accolta il 16 settembre 1982, e che in più occasioni si erano
rivolti ad uffici pubblici sanitari per ottenere anche il
risarcimento per i danni subìti, ricevendo però risposte negative.
Nel marzo del 1991 - a seguito della notizia del risarcimento del
danno riconosciuto dal tribunale di Milano a persona contagiata da
soggetto vaccinato nonché della sentenza n. 307 del 1990 di questa
Corte - gli interessati chiedevano formalmente l'attribuzione, a
carico dello Stato, di un indennizzo a favore del figlio, e, a
seguito dell'entrata in vigore della legge n. 210 del 1992, in data
27 aprile 1992 rinnovavano la formale domanda di indennizzo. Svolti i
necessari accertamenti ed accolta la domanda, veniva liquidato
l'indennizzo annuo a decorrere "dal primo giorno del mese successivo
a quello di presentazione della domanda formulata sulla base della
legge n. 210" cit., senza tener conto delle precedenti richieste
tendenti ad una decorrenza del beneficio anticipata.
A sostegno delle considerazioni svolte nell'ordinanza di rimessione
le parti private osservano che, una volta che lo Stato riconosce la
propria responsabilità per i danni prodotti alla salute dei
cittadini da eventi temporalmente individuati, non possono poi essere
fissati limiti alla decorrenza del diritto al risarcimento in una
data, arbitrariamente indicata, diversa da quella in cui l'evento si
è verificato, senza che ciò implichi una violazione dell'art. 32
della Costituzione che assicura la tutela del diritto alla salute
senza limitazioni temporali.
Rilevano altresì che, in tema di pensioni militari per fatti
bellici (materia di cui sottolineano l'analogia con quella degli
indennizzi per danni a seguito di vaccinazioni obbligatorie, a causa
del ricorrere in entrambe dell'interesse della collettività), l'art.
98 della legge 23 dicembre 1978 n. 915 obbliga l'ospedale o
l'istituto, che effettua la visita di controllo del militare per
l'accertamento delle menomazioni che comportano il diritto a pensione
o ad assegno di guerra, a rimettere d'ufficio la documentazione alla
competente commissione medica per gli accertamenti sanitari e,
comunque, l'art. 23 della stessa legge fa decorrere l'indennizzo per
fatti di guerra dalla data dell'evento. Il differente trattamento
riservato a coloro che abbiano subìto danni a seguito di
vaccinazioni obbligatorie appare tanto più ingiustificato, ove si
consideri che la poliomielite è malattia soggetta a denuncia
obbligatoria da parte dei sanitari che la rilevano e lo Stato
potrebbe quindi agevolmente individuare i casi da sottoporre ad
accertamento, senza richiedere domanda di sorta da parte dei
cittadini.
Inoltre la legge n. 210 creerebbe una ingiustificata disparità di
trattamento tra soggetti che abbiano subìto lo stesso danno da
vaccinazione in momenti diversi; difatti la mancata previsione
dell'indennizzo per il periodo compreso tra il momento dell'evento
(vaccinazione) e il momento della domanda si configurerebbe come un
ostacolo d'ordine economico e sociale che perdura nel tempo e che
l'art. 3, secondo comma, della Costituzione impone di rimuovere fin
dal suo sorgere.
3. - In prossimità dell'udienza le parti private hanno presentato
una memoria nella quale hanno segnalato che, nel procedimento
legislativo di conversione del decreto-legge 29 aprile 1995, n. 135,
era stata introdotta una norma sulla decorrenza dell'indennizzo per
danno da vaccinazione obbligatoria dal momento della lesione,
riconoscendosi così l'esigenza di tutelare in modo completo il
diritto assoluto e inviolabile dell'individuo alla propria salute,
anche nel suo contenuto economico.
Il decreto-legge veniva approvato da entrambi i rami del
Parlamento, ma la legge di conversione veniva rinviata allo stesso
Parlamento per mancanza di copertura finanziaria.
Ciò posto, nella memoria si chiede che la Corte, una volta
chiarito se quanto accaduto costituisca "riconoscimento
stragiudiziale del diritto almeno nei confronti dei ricorrenti che
hanno agito in giudizio", estenda il proprio giudizio anche sulla
misura dell'indennizzo "palesemente non adeguata all'estrema gravità
dei danni biologici subìti dall'interessato, anche in relazione ai
danni che gli derivano in ordine alla vita di relazione ed alla sua
capacità lavorativa, derivati pur sempre dalla vaccinazione".
Considerato in diritto
1. - Il pretore di Firenze solleva di fronte a questa Corte
questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della
legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti
danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di
vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di
emoderivati), nella parte in cui stabiliscono che l'indennizzo per il
danno derivante da vaccinazione obbligatoria "ha decorrenza dal primo
giorno del mese successivo a quello della presentazione della
domanda" intesa ad ottenerlo e che "per coloro che, alla data di
entrata in vigore della ... legge hanno già subìto la menomazione
..., il termine (per la presentazione della domanda) decorre dalla
data di entrata in vigore della legge". Ad avviso del giudice
rimettente, le norme suddette si porrebbero in contrasto con l'art.
32 della Costituzione che tutela la salute "come fondamentale diritto
dell'individuo e interesse della collettività", in quanto non
garantirebbero un'indennizzabilità temporalmente piena a favore di
coloro che abbiano subìto menomazioni da vaccinazione obbligatoria
nel tempo anteriore alla legge in questione.
2. - La parte privata, nei suoi atti difensivi, prospetta altresì
una censura di incostituzionalità in ordine alla misura
dell'indennizzo prevista dalla legge impugnata. Ma tale censura non
può trovare accesso nel giudizio, i cui termini sono fissati
nell'atto introduttivo nei limiti testé indicati.
3. - Deve innanzitutto essere chiarita la portata della denunciata
disciplina della legge n. 210 del 1992, in relazione agli eventi
dannosi alla salute verificatisi in epoca anteriore alla sua entrata
in vigore.
L'art. 1, comma 1, stabilisce con norma generale che "chiunque
abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per
ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesione o infermità,
dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità
psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle
condizioni e nei modi" che la legge stessa stabilisce negli articoli
seguenti.
Con altra norma di portata altrettanto generale, l'art. 2, dopo
aver determinato al comma 1 la struttura e l'ammontare
dell'indennizzo, al comma 2 ne stabilisce la decorrenza dal primo
giorno del mese successivo a quello della presentazione della domanda
intesa ad ottenerlo.
Tale domanda, secondo l'art. 3, comma 1, nel caso di vaccinazione
obbligatoria, deve essere presentata al Ministero della sanità entro
3 anni. La decorrenza del triennio tuttavia è diversa a seconda che
il danno si sia verificato in epoca successiva o anteriore
all'entrata in vigore della legge. Nel primo caso, il triennio
decorre dal momento della conoscenza del danno; nel secondo,
dall'entrata in vigore della legge (art. 3, comma 7).
Le norme richiamate sono dunque chiare nel prevedere che gli eventi
ante legem, al pari di quelli post legem, sono indennizzabili e che,
tanto per gli uni che per gli altri, la decorrenza del diritto
all'indennizzo è fissata al primo giorno del mese successivo alla
presentazione della domanda. Perciò, coloro che abbiano subìto il
danno in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge non
potranno essere indennizzati che per il periodo successivo. Essi
sono, per così dire, rimessi in termini ma solo proceduralmente,
essendo loro consentito di presentare domanda anche oltre il triennio
dall'evento (ma comunque entro il triennio dall'entrata in vigore
della legge), non anche - per dir così - sostanzialmente, valendo il
previsto indennizzo soltanto per il tempo successivo alla domanda.
Questa disciplina è tuttora vigente, pur essendo stata
riconsiderata dal legislatore in sede di conversione in legge del
decreto-legge 29 aprile 1995, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia
di assistenza farmaceutica e di sanità), nono decreto-legge di una
serie che continua tuttora ed è giunta alla quattordicesima
reiterazione (decreto-legge 26 febbraio 1996, n. 89). Con un
emendamento all'art. 6 del suindicato decreto-legge n. 135 del 1995,
approvato tanto dalla Camera dei deputati (sedute del 17 maggio 1995,
in prima lettura, e del 28 giugno 1995 in seconda lettura) quanto dal
Senato della Repubblica (seduta del 21 giugno 1995), si era
riconosciuto il principio dell'indennizzabilità temporalmente piena,
estendendo la decorrenza dell'indennizzo al tempo passato, dal primo
giorno del mese successivo a quello in cui l'avente diritto avesse
riportato la lesione o l'infermità. Tale innovazione non si è
peraltro tradotta in una modifica delle norme impugnate, poiché la
legge di conversione, rinviata alle Camere dal Presidente del Senato
della Repubblica nell'esercizio delle funzioni di Presidente della
Repubblica, a norma dell'art. 74 della Costituzione (messaggio del 28
giugno 1995), in relazione precisamente alle nuove norme contenute
nell'art. 6 del decreto-legge, come modificato nel corso del
procedimento di conversione in legge, non è stata riapprovata e la
catena dei decreti-legge, spogliati dell'innovazione suddetta, ha
ripreso a scorrere.
Di qui la presente questione di costituzionalità, essendo data a
tutt'oggi l'indennizzabilità temporalmente solo parziale, cioè
esclusivamente per il futuro, degli eventi dannosi derivanti da
vaccinazione antipoliomielitica obbligatoria, verificatisi
anteriormente all'entrata in vigore della legge: indennità solo
parziale che risulta dal combinato disposto degli artt. 2, comma 2, e
3, comma 7, che devono ritenersi le norme in concreto impugnate.
4. - L'esatto inquadramento del problema di costituzionalità che
la Corte è chiamata a risolvere presuppone la chiarificazione del
significato del diritto costituzionale alla salute con riferimento al
caso in cui la sua dimensione individuale confligga con quella
collettiva, ipotesi che può ricorrere tipicamente nei casi di
trattamenti sanitari obbligatori, tra i quali rientra la vaccinazione
antipoliomielitica.
La disciplina costituzionale della salute comprende due lati,
individuale e soggettivo l'uno (la salute come fondamentale diritto
dell'individuo), sociale e oggettivo l'altro (la salute come
interesse della collettività). Talora l'uno può entrare in
conflitto con l'altro, secondo un'eventualità presente nei rapporti
tra il tutto e le parti. In particolare - questo è il caso che qui
rileva - può accadere che il perseguimento dell'interesse alla
salute della collettività, attraverso trattamenti sanitari, come le
vaccinazioni obbligatorie, pregiudichi il diritto individuale alla
salute, quando tali trattamenti comportino, per la salute di quanti
ad essi devono sottostare, conseguenze indesiderate, pregiudizievoli
oltre il limite del normalmente tollerabile.
Tali trattamenti sono leciti, per testuale previsione dell'art.
32, secondo comma, della Costituzione, il quale li assoggetta ad una
riserva di legge, qualificata dal necessario rispetto della persona
umana e ulteriormente specificata da questa Corte, nella sentenza n.
258 del 1994, con l'esigenza che si prevedano ad opera del
legislatore tutte le cautele preventive possibili, atte a evitare il
rischio di complicanze. Ma poiché tale rischio non sempre è
evitabile, è allora che la dimensione individuale e quella
collettiva entrano in conflitto. Il caso da cui trae origine il
presente giudizio di costituzionalità ne è un esempio. La
vaccinazione antipoliomielitica comporta infatti un rischio di
contagio, preventivabile in astratto - perché statisticamente
rilevato - ancorché in concreto non siano prevedibili i soggetti che
saranno colpiti dall'evento dannoso. In questa situazione, la legge
che impone l'obbligo della vaccinazione antipoliomielitica compie
deliberatamente una valutazione degli interessi collettivi ed
individuali in questione, al limite di quelle che sono state
denominate "scelte tragiche" del diritto: le scelte che una società
ritiene di assumere in vista di un bene (nel nostro caso,
l'eliminazione della poliomielite) che comporta il rischio di un male
(nel nostro caso, l'infezione che, seppur rarissimamente, colpisce
qualcuno dei suoi componenti). L'elemento tragico sta in ciò, che
sofferenza e benessere non sono equamente ripartiti tra tutti, ma
stanno integralmente a danno degli uni o a vantaggio degli altri.
Finché ogni rischio di complicanze non sarà completamente
eliminato attraverso lo sviluppo della scienza e della tecnologia
mediche - e per la vaccinazione antipoliomielitica non è così -, la
decisione in ordine alla sua imposizione obbligatoria apparterrà a
questo genere di scelte pubbliche.
5. - L'anzidetto carattere della vaccinazione obbligatoria
antipoliomielitica, in un ordinamento come è il nostro, orientato a
riconoscere valore fondamentale alla persona come individuo (art. 2
della Costituzione), comporta una condizione da cui ne dipende la
legittimità, condizione ulteriore rispetto a quelle prescritte nel
secondo comma dell'art. 32 della Costituzione - quasi un altro
elemento di rafforzamento della riserva di legge ivi prevista -
secondo quanto è chiarito nella sentenza n. 307 del 1990 di questa
Corte, la quale costituisce il necessario punto di riferimento della
presente decisione.
In quell'occasione la Corte costituzionale ha affermato che il
rilievo dalla Costituzione attribuito alla salute in quanto interesse
della collettività, se è normalmente idoneo da solo "a giustificare
la compressione di quella autodeterminazione dell'uomo che inerisce
al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale",
cioè a escludere la facoltà di sottrarsi alla misura obbligatoria
(si veda, altresì la sentenza n. 258 del 1994), non lo è invece
quando possano derivare conseguenze dannose per il diritto
individuale alla salute. Impregiudicato qui il problema del rilievo
da riconoscersi all'obiezione di coscienza nei confronti dei
trattamenti medicali, in nome del dovere di solidarietà verso gli
altri è possibile che chi ha da essere sottoposto al trattamento
sanitario (o, come nel caso della vaccinazione antipoliomielitica che
si pratica nei primi mesi di vita, chi esercita la potestà di
genitore o la tutela) sia privato della facoltà di decidere
liberamente. Ma nessuno può essere semplicemente chiamato a
sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure
tutti gli altri. La coesistenza tra la dimensione individuale e
quella collettiva della disciplina costituzionale della salute
nonché il dovere di solidarietà che lega il singolo alla
collettività, ma anche la collettività al singolo, impongono che si
predisponga, per quanti abbiano ricevuto un danno alla salute
dall'aver ottemperato all'obbligo del trattamento sanitario, una
specifica misura di sostegno consistente in un equo ristoro del
danno. Un ristoro, occorre aggiungere, dovuto per il semplice fatto
obiettivo e incolpevole dell'aver subìto un pregiudizio non
evitabile, in un'occasione dalla quale la collettività nel suo
complesso trae un beneficio: dovuto dunque indipendentemente dal
risarcimento in senso proprio che potrà eventualmente essere
richiesto dall'interessato, ove ricorrano le condizioni previste
dall'art. 2043 del codice civile. E, mentre la tutela contro
l'illecito predisposta dalla norma menzionata ha necessariamente
effetti risarcitori pieni anche del danno alla salute in quanto tale
- secondo la "fermissima" giurisprudenza di questa Corte (sentenze
nn. 455 del 1990, 1011 e 992 del 1988, 559 del 1987, 184 del 1986 e
88 del 1979) -, non altrettanto è per l'indennizzo in questione, il
quale prescinde dalla colpa e deriva dall'inderogabile dovere di
solidarietà che, in questi casi, incombe sull'intera collettività
e, per essa, sullo Stato. Si tratta di una misura che, pur non
potendo essere irrisoria e - come anche ha precisato la suddetta
sentenza (n. 307 del 1990) - pur dovendo tenere conto di tutte le
componenti del danno stesso, ha natura equitativa.
Il necessario collegamento, come condizione di legittimità
costituzionale, che questa Corte ha affermato doverci essere tra la
previsione legislativa dell'obbligo di sottoporsi a vaccinazione e
l'indennizzabilità del pregiudizio da essa derivante, rende palese
la differenza tra questa e tutte le altre evenienze in cui, in nome
della solidarietà, la collettività assuma su di sé, totalmente o
parzialmente, le conseguenze di eventi dannosi fortuiti e comunque
indipendenti da decisioni che la società stessa abbia preso nel
proprio interesse. Nella prima ipotesi - che è quella della sentenza
n. 307 del 1990 e anche quella su cui cade la presente decisione - la
solidarietà non implica soltanto, come invece nella seconda, un
dovere al quale il legislatore possa dare seguito secondo quei
criteri di discrezionalità e quella necessaria ragionevole
ponderazione con altri interessi e beni di pari rilievo
costituzionale che valgono per i diritti previsti da norme
costituzionali a efficacia condizionata all'intervento del
legislatore (sentenza n. 455 del 1990), ma comporta un vero e proprio
obbligo, cui corrisponde una pretesa protetta direttamente dalla
Costituzione.
Si tratta perciò di un obbligo avente uno speciale carattere. Per
la collettività è in questione non soltanto il dovere di aiutare
chi si trova in difficoltà per una causa qualunque, ma l'obbligo di
ripagare il sacrificio che taluno si trova a subi're per un beneficio
atteso dall'intera collettività. Sarebbe contrario al principio di
giustizia, come risultante dall'art. 32 della Costituzione, alla luce
del dovere di solidarietà stabilito dall'art. 2, che il soggetto
colpito venisse abbandonato alla sua sorte e alle sue sole risorse o
che il danno in questione venisse considerato come un qualsiasi
evento imprevisto al quale si sopperisce con i generali strumenti
della pubblica assistenza, ovvero ancora si subordinasse la
soddisfazione delle pretese risarcitorie del danneggiato
all'esistenza di un comportamento negligente altrui, comportamento
che potrebbe mancare.
6. - Riassumendo con ordine, la menomazione della salute derivante
da trattamenti sanitari può determinare una di queste tre
conseguenze: a) il diritto al risarcimento pieno del danno,
riconosciuto dall'art. 2043 del codice civile, in caso di
comportamenti colpevoli; b) il diritto a un equo indennizzo,
discendente dall'art. 32 della Costituzione in collegamento con
l'art. 2, ove il danno, non derivante da fatto illecito, sia stato
subìto in conseguenza dell'adempimento di un obbligo legale; c) il
diritto, a norma degli artt. 38 e 2 della Costituzione, a misure di
sostegno assistenziale disposte dal legislatore, nell'ambito
dell'esercizio costituzionalmente legittimo dei suoi poteri
discrezionali, in tutti gli altri casi.
7. - L'art. 1 della impugnata legge n. 210 del 1992 prevede -
secondo il titolo della legge stessa - un "indennizzo a favore dei
soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di
vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di
emoderivati". Le ipotesi ivi previste sono assai varie, dal punto di
vista tanto del tipo di danno, quanto dei soggetti indennizzabili.
Circa il danno, si tratta di menomazioni permanenti, di qualsiasi
tipo, da vaccinazioni obbligatorie, di infezioni da HIV, da
somministrazione di sangue e suoi derivati e di epatite
post-trasfusionale. Quanto ai soggetti, si tratta, a seconda dei
casi, di persone giuridicamente obbligate, semplicemente necessitate
o non obbligate al trattamento medico, di persone sottoposte al
trattamento o di persone entrate in contatto con soggetti infetti per
qualsiasi motivo, ovvero per ragioni attinenti all'esercizio di
professioni sanitarie. Questa complessa casistica non si presta a una
valutazione unitaria, alla stregua della anzidetta ricapitolazione
tripartita. Per questa ragione, le conclusioni cui qui si deve
pervenire in ordine al diritto all'indennizzo dei soggetti colpiti,
senza colpa di altri, da menomazioni conseguenti a vaccinazione
obbligatoria antipoliomielitica non possono ritenersi di per sé
estensibili a tutte le altre ipotesi previste dall'art. 1 della legge
in questione.
8. - L'ascrivibilità all'anzidetta ipotesi sub b) (v. par. n. 6)
della situazione giuridica propria dei soggetti colpiti da
menomazione a seguito di vaccinazione antipoliomielitica spiega come
questa Corte, con la sentenza n. 307 del 1990, abbia potuto non solo
dichiarare l'incostituzionalità della legge 4 febbraio 1966, n. 51
(Obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica), perché non
prevedeva alcuna indennità a carico dello Stato a favore di coloro
che avessero subìto conseguenze menomanti la loro salute, ma
altresì dichiarare, attraverso l'applicazione diretta della norma
costituzionale anche in questo caso, l'esistenza del diritto di
costoro a ottenere un equo indennizzo, demandandone al giudice la
quantificazione in concreto, fino a quando - si intende - il
legislatore non fosse intervenuto in materia.
Ciò è avvenuto con la legge n. 210 del 1992, la quale ha operato
la quantificazione dell'indennizzo e ha precisato le modalità per
far valere la pretesa dell'indennizzo medesimo, così dando seguito
alla pronuncia della Corte costituzionale, del riferimento alla quale
i lavori preparatori portano traccia abbondante. Ma
contemporaneamente, l'impugnato art. 2, comma 2, in connessione con
l'art. 3, comma 7, ha stabilito una limitazione temporale, che
equivale ad una riduzione parziale del danno indennizzabile:
limitazione che risulta inammissibile alla stregua della natura del
diritto che deve essere riconosciuto ai danneggiati, un diritto -
come si è visto - che il legislatore può modellare equitativamente
soltanto circa la misura. La disciplina impugnata, per la parte che
interessa la presente questione di costituzionalità, pertanto, non
soltanto si è posta contro il diritto alla salute sancito dall'art.
32 della Costituzione, ma ha altresì contraddetto la sentenza n. 307
del 1990 di questa Corte, nella quale il riconoscimento dell'obbligo
di assicurare protezione alle vittime della vaccinazione obbligatoria
antipoliomielitica non trovava particolari limitazioni di carattere
temporale.
La dichiarazione di incostituzionalità che si rende dunque
necessaria colpisce le norme impugnate nella parte in cui escludono
il diritto a un indennizzo per il tempo anteriore all'entrata in
vigore della legge e conduce, come conseguenza, a ripristinare, per
quel tempo, la portata della sentenza della Corte costituzionale
illegittimamente ridotta. Pertanto, a coloro i quali abbiano subìto
un danno da vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica,
direttamente o anche indirettamente, a causa dell'assistenza
personale prestata ai primi - come si ebbe a precisare nella sentenza
n. 307 del 1990 - spetta, per il danno patito dal momento del
manifestarsi dell'evento dannoso fino all'ottenimento dell'indennizzo
previsto dalla legge, un equo ristoro determinato alla stregua dei
criteri indicati dalla predetta decisione di incostituzionalità.