N. 470
SENTENZA 19-31 LUGLIO 1989
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo
CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO,
avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 5, primo comma,
della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento
della obiezione di coscienza), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 20 gennaio 1988 dal Tribunale di Cagliari
nel procedimento penale a carico di Pusceddu Mariano, iscritta al n.
190 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1988;
2) ordinanza emessa il 30 marzo 1988 dal Giudice Istruttore
presso il Tribunale di Rimini nel procedimento penale a carico di De
Filippis Antonio, iscritta al n. 366 del registro ordinanze 1988 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima
serie speciale, dell'anno 1988;
3) ordinanza emessa il 6 ottobre 1988 dalla Corte d'appello di
Venezia nel procedimento penale a carico di Capuzzo Silverio,
iscritta al n. 776 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale,
dell'anno 1989;
4) ordinanza emessa il 24 novembre 1988 dal Tribunale di
Camerino nel procedimento penale a carco di Scida' Alessandro,
iscritta al n. 24 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale,
dell'anno 1989;
Visti gli atti di costituzione di De Filippis Antonio, Capuzzo
Silverio, Scida' Alessandro, nonché gli atti di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 13 giugno 1989 il Giudice relatore
Giovanni Conso;
Uditi gli avvocati Valerio Onida e Giuseppe Ramadori per De
Filippis Antonio, gli avvocati Vincenzo Colacino e Mauro Mellini per
Capuzzo Silverio, l'avvocato Giuseppe Ramadori per Scida' Alessandro
e l'Avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del
Consiglio dei ministri;
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza emessa il 20 gennaio 1988 nel corso del
procedimento penale a carico di Pusceddu Mariano, imputato del
delitto di cui all'art. 8 della l. 15 dicembre 1972, n. 772, per
essersi rifiutato di prestare il servizio sostitutivo civile oltre il
periodo corrispondente alla durata del servizio militare, il
Tribunale di Cagliari ha sollevato - in riferimento all'art. 3 della
Costituzione - questione di legittimità costituzionale dell'art. 5
della legge anzidetta, nella parte in cui prevede che i giovani
ammessi all'obiezione di coscienza prestino un servizio sostitutivo
civile per un periodo superiore di otto messi alla durata del
servizio di leva cui sarebbero tenuti.
In ordine alla rilevanza della questione il giudice a quo osserva
che, ove la norma denunciata fosse dichiarata illegittima, l'imputato
dovrebbe essere assolto, poiché, al momento dall'allontanamento
dall'ente di assegnazione, lo stesso aveva effettivamente prestato il
servizio sostitutivo civile per dodici mesi, con conseguente
estinzione del suo obbligo di prestazione.
La questione, inoltre, sarebbe non manifestamente infondata.
Premesso che "la normativa del servizio sostitutivo civile, quale
riconoscimento statuale dell'obiezione di coscienza, rappresenta il
momento dell'affermazione e della garanzia di un diritto
costituzionale di libertà di carattere inviolabile", il giudice a
quo rileva che una diversità di trattamento di tale servizio
rispetto a quello militare, del quale il primo non rappresenta
semplicemente un modo di esplicazione "in quanto fattispecie
alternativa profondamente diversa", è legittima solo se non si ponga
in contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
Ma il precetto costituzionale risulterebbe violato appunto dalla
previsione, contenuta nella norma impugnata, di una durata del
servizio civile maggiore di otto mesi rispetto a quello del servizio
militare.
La conversione del dovere pubblico di prestare servizio militare
nel dovere, pure di carattere pubblicistico, di prestazione del
servizio sostitutivo civile comporta in ogni caso, e quindi anche in
capo all'obiettore di coscienza, l'obbligo della totale destinazione
delle proprie energie lavorative ai compiti di volta in volta
attribuitigli non diversamente da quanto accade nel servizio
militare.
La maggior durata del servizio sostitutivo - d'altra parte - non
potrebbe essere ricollegata alla asserita minore gravosità di
quest'ultimo rispetto al servizio militare, trattandosi di
affermazione indimostrata e contraddetta dalla realtà, nella quale
può riscontrarsi l'intensità dell'impegno solitamente profuso dagli
obiettori di coscienza impiegati in settori del tutto privi di
istituzioni pubbliche.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 21, prima serie speciale, del
25 maggio 1988.
Il Presidente del Consiglio dei ministri è intervenuto nel
giudizio tramite l'Avvocatura Generale dello Stato, sostenendo
l'infondatezza della questione.
Le differenze esistenti tra il servizio militare e quello
sostitutivo civile - osserva l'Avvocatura dello Stato - sono state
riconosciute anche dalla Corte costituzionale che, con la sentenza n.
113 del 1986, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della
norma che sottoponeva anche il primo alla giustizia militare.
Ma la diversità delle due situazioni si rivelerebbe ancor più
marcata per la considerazione della maggior gravosità del servizio
militare, retto da un ordinamento ferreo, secondo regole disciplinari
severe, anche se formative, cui farebbe riscontro un servizio nel
quale il peso della prestazione è determinato prevalentemente
dall'impegno dei singoli associati.
La maggior durata del servizio civile sarebbe destinata "a
pareggiare le due diverse situazioni ed a consentire una reale
alternatività tra i due servizi".
Il venir meno l'elemento equilibratore rappresentato dalla maggior
durata del servizio civile, potrebbe incoraggiare la simulazione
delle obiezioni di coscienza, con pregiudizio della difesa del Paese,
bene costituzionalmente garantito (art. 52 Cost.), al pari del
principio di eguaglianza.
2. - Con ordinanza emessa il 30 marzo 1988 nel corso del
procedimento penale a carico di De Filippis Antonio, imputato del
delitto di cui all'art. 8 della l. 15 dicembre 1972, n. 772, per
essersi rifiutato di prestare il servizio sostitutivo civile oltre il
periodo corrispondente alla durata del servizio militare, il Giudice
istruttore presso il Tribunale di Rimini ha sollevato - in
riferimento all'art. 3 della Costituzione - questione di legittimità
dell'art. 5 della legge anzidetta, nella parte in cui prevede che i
giovani ammessi all'obiezione di coscienza prestino un servizio
sostitutivo civile o un servizio militare non armato per un periodo
superiore di otto mesi alla durata del servizio di leva cui sarebbero
tenuti.
Secondo il giudice a quo, la non manifesta infondatezza della
questione emergerebbe dal rilievo che il servizio civile sostitutivo
costituisce un "modo" particolare di soddisfare l'obbligo del
servizio militare, come è espressamente dichiarato dall'art. 1 della
l. 772 del 1972.
Il rispetto del principio di eguaglianza comporterebbe che i
diversi modi di soddisfare quell'obbligo debbano equivalersi con
riferimento agli "svantaggi" che arrecano ai cittadini che vi si
assoggettano.
È ben vero - osserva l'ordinanza - che il principio di
eguaglianza non deve essere inteso in senso meccanicistico e che
situazioni soggettive diverse giustificano trattamenti diversi, ma
perché tale diversità sia ammissibile occorre che essa corrisponda
ad esigenze obiettive legate alle peculiarità della situazione in
cui si verificano. La maggior durata del servizio civile rispetto a
quello militare potrebbe apparire ragionevole qualora esistesse una
struttura, una organizzazione del servizio o sue esigenze tecniche
particolari che, al pari di quanto avviene per la leva di mare,
richiedesse per il suo corretto e utile adempimento una durata
superiore a quella ordinaria. Ma, allo stato della legislazione, tali
peculiarità sarebbero insussistenti.
"In realtà la ratio della maggior durata del servizio civile, di
ben otto mesi rispetto al servizio militare armato, appare consistere
esclusivamente nell'intento di esercitare una remora, un concreto
ostacolo all'esercizio dell'obiezione di coscienza, una sorta di
sbarramento diretto a saggiare la serietà della stessa".
"Lo scopo, giustificato, di evitare ricorsi infondati
all'obiezione di coscienza - prosegue il giudice a quo - può e deve
essere conseguito dallo Stato, da una parte affinando gli strumenti
di indagine motivazionale, dall'altra rendendo nei fatti le modalità
esecutive del servizio civile effettivamente equivalenti in termini
di disagio a quelle del servizio militare armato, che peraltro
opportunamente si cerca di rendere meno inutilmente gravoso e
disagevole. Ciò con riferimento alle sedi di servizio, alla natura
dei servizi e alla disciplina (orari, permessi, licenze etc.)".
Si conclude ponendo in evidenza il contrasto dell'art. 5, primo
comma, della legge n. 772 del 1972, sia con il primo comma dell'art.
3 della Costituzione, per l'ingiustificatezza della disparità di
trattamento tra servizio militare armato e servizio sostitutivo, sia
con l'art. 3, secondo comma, della Costituzione per la violazione
dell'obbligo di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale
all'espressione della personalità, ed anzi ponendosene in essere una
nuova ipotesi rappresentata dalla maggior durata dell'assoggettamento
al servizio obbligatorio.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 14 settembre 1988, n. 37,
prima serie speciale.
De Filippis Antonio si è costituito dinanzi alla Corte con
deduzioni dei suoi difensori avvocati Giuseppe Ramadori e Maurizio
Ghinelli, sostenendo, con argomentazioni sostanzialmente
corrispondenti a quelle esposte nell'ordinanza, l'illegittimità
della norma denunciata. Nell'interesse del De Filippis ha poi
depositato due ampie memorie l'avvocato Valerio Onida, ad ulteriore
sostegno della tesi dell'incostituzionalità.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha esplicato intervento
tramite l'Avvocatura Generale dello Stato, affermando l'infondatezza
della questione per le ragioni già espresse nel precedente atto di
intervento.
3. - In analoga fattispecie, la Corte d'appello di Venezia, con
ordinanza emessa il 6 ottobre 1988 nel corso del procedimento penale
a carico di Capuzzo Silverio, ha sollevato, in riferimento all'art. 3
della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 5 della legge
anzidetta, nella parte in cui prevede che i giovani ammessi
all'obiezione di coscienza prestino un servizio sostitutivo civile o
un servizio militare non armato per un periodo superiore di otto mesi
alla durata del servizio di leva cui sarebbero tenuti.
Il giudice a quo ha riproposto sostanzialmente le argomentazioni
già prospettate nelle ordinanze del Tribunale di Cagliari e dal
Giudice Istruttore presso il Tribunale di Rimini.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 4 gennaio 1989, n. 1, prima
serie speciale.
Dinanzi alla Corte si è costituito Capuzzo Silverio, imputato nel
giudizio a quo, rappresentato e difeso dall'avvocato Vincenzo
Colacino, ribadendo le considerazioni a favore dell'accoglimento
delle questioni illustrate nell'ordinanza di rimessione.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura Generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio,
chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
4. - Con ordinanza emessa il 24 novembre 1988 nel corso del
procedimento penale a carico di Scida' Alessandro, il Tribunale di
Camerino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 21 della
Costituzione, questione di legittimità dell'art. 5, primo comma,
della legge 15 dicembre 1972 n. 772, nella parte in cui prevede che i
giovani ammessi all'obiezione di coscienza prestino un servizio
sostitutivo civile per un periodo superiore di otto mesi alla durata
del servizio di leva cui sarebbero tenuti.
Per quanto concerne l'asserita violazione del principio di
eguaglianza, l'ordinanza sottolinea che la maggior durata del
servizio sostitutivo, "con la previsione dell'equiparazione di coloro
che si avvalgono delle disposizioni riguardanti l'obiezione di
coscienza rispetto a coloro che prestano il servizio militare secondo
le modalità normali...", si risolve "in una sanzione consistente ad
una particolare espressione della persona". Il giudice a quo ha,
inoltre, denunciato la lesione della libertà di manifestazione del
pensiero, sostenendo che la maggior durata del servizio sostitutivo
civile impedisce di esprimere adesione a convincimenti pacifisti e
non violenti.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 6 febbraio
1989, n. 6, prima serie speciale.
Scida' Alessandro si è costituito nel giudizio tramite l'avvocato
Giuseppe Ramadori, sostenendo la fondatezza della questione.
Anche in questo giudizio è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso della Avvocatura
Generale dello Stato, argomentando per il rigetto della questione.
5. - Alla pubblica udienza del 13 giugno 1989 le difese delle
parti private e l'Avvocatura Generale dello Stato hanno illustrato le
rispettive tesi ed insistito nelle prese conclusioni.
Considerato in diritto
1. - Le quattro ordinanze in esame hanno tutte per oggetto l'art.
5, primo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, con riferimento
sempre all'art. 3 e in un caso anche all'art. 21 della Costituzione.
I relativi giudizi vengono, quindi, riuniti per essere decisi con
un'unica sentenza.
2. - Più precisamente, secondo l'ordinanza di maggior sviluppo
(Giudice istruttore del Tribunale di Rimini: n. 366/1988), la norma
impugnata sarebbe in contrasto con il primo comma dell'art. 3 della
Costituzione "a causa dell'oggettiva, grave e assolutamente
irragionevole disparità di trattamento prevista a carico dei
cittadini ammessi a prestare il servizio militare nella forma del
servizio sostitutivo civile - e nella forma del servizio militare non
armato - rispetto ai cittadini che prestano il servizio militare
armato e della minore dignità sociale che ai medesimi viene di fatto
riconosciuta come presupposto e conseguenza a un tempo di tale
discriminatrice normativa" e con il secondo comma dello stesso
articolo "poiché con la disposizione di legge denunciata la
Repubblica non solo non rimuove ma addirittura crea un ulteriore e
del tutto irragionevole e ingiustificato ostacolo di ordine economico
e sociale, concretantesi nella imposizione agli interessati di
condizioni di incapacità di esercitare pienamente i propri diritti e
di esprimere la propria personalità in campo sociale ed economico,
più gravi di quelle imposte ai cittadini che compiono servizio
militare armato, al pieno sviluppo della persona umana e alla
effettiva partecipazione all'organizzazione politica, economica e
sociale del Paese". Con un'ulteriore prospettazione l'ordinanza più
recente (Tribunale di Camerino: n. 24/1989) denuncia anche un
contrasto con il primo comma dell'art. 21 della Costituzione, in
quanto la norma, "limitando l'adesione alle forme di servizio
militare senza uso delle armi, strumento di manifestazione di
convincimenti pacifisti, non violenti, religiosi, filosofici o
morali", "viene ad incidere negativamente sullo stesso diritto di
manifestazione del pensiero".
Poiché l'"irragionevole disparità di trattamento prevista a
carico" dei cittadini ammessi a prestare servizio militare non armato
o servizio sostitutivo civile trova la sua "causa" nella maggiore
durata (8 mesi in più) del servizio militare non armato e del
servizio sostitutivo civile rispetto al servizio militare armato (12
mesi ormai generalizzati sia per la leva di terra che per la leva di
mare, con la sola eccezione dei 15 mesi richiesti a chi consegue a
domanda la nomina ad ufficiale di complemento), così traducendosi
nell'imposizione "di condizioni di incapacità...più gravi" di
quelle imposte ai cittadini chiamati a prestare servizio militare
armato, tanto da limitare di fatto "l'adesione alle forme di servizio
militare senza uso delle armi", la questione sottoposta al vaglio di
questa Corte viene in definitiva a coinvolgere - come esplicitano nel
dispositivo le due restanti ordinanze (Tribunale di Cagliari: n.
190/1988; Corte d'appello di Venezia: n. 776/1988) - l'art. 5, primo
comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, nella parte in cui
prevede che i giovani ammessi all'obiezione di coscienza prestino il
relativo servizio "per un periodo superiore di otto mesi alla durata
del servizio di leva cui sarebbero tenuti".
3. - Le argomentazioni addotte nelle varie ordinanze e poi
sviluppate nelle articolate memorie delle parti private a sostegno
della ritenuta illegittimità costituzionale della norma impugnata,
muovono dalla premessa che l'art. 1 della legge 15 dicembre 1972, n.
772, "pone su un piano di pari dignità il servizio militare armato,
il servizio militare non armato e il servizio civile sostitutivo
configurandoli come 'modi' di soddisfare l'obbligo del servizio
militare", ciascuno dei quali comporterebbe per l'interessato la
"totale destinazione delle proprie energie" ai compiti
rispettivamente attribuitigli.
Da ciò la conseguenza che, proprio perché modi di
soddisfacimento di un medesimo obbligo, i tre tipi di servizio
"debbono equivalersi" in linea di principio anche con riferimento
agli "svantaggi" subiti dai rispettivi titolari, a cominciare da
quello avente un "rilievo primario": cioè, la durata del servizio,
in quanto periodo di tempo durante il quale ogni obbligato va
incontro ad una vera e propria vitae deminutio rispetto alle sue
opportunità di lavoro, di affetti, di relazioni, e via dicendo.
Anche la durata, dunque, "deve essere in linea di principio uguale
per tutti, salvo le deroghe razionalmente e ragionevolmente richieste
dalla natura intrinseca del servizio", nell'ambito delle quali non
potrebbe certo farsi rientrare quella degli otto mesi in più: non
troverebbero, infatti, corrispondenza in esigenze intrinseche al
servizio né la pretesa di "garantire", con siffatto prolungamento
del servizio, "la serietà delle motivazioni" di chi chiede
l'ammissione al servizio militare non armato o al servizio
sostitutivo civile, essendo il relativo accertamento già demandato
ad una commissione appositamente istituita, né la preoccupazione di
compensare, attraverso la maggiore durata, "una supposta minore
gravosità" delle prestazioni costituenti il contenuto di quei
servizi, essendo tale minore gravosità "indimostrata ed
indimostrabile".
Esclusa la reperibilità di qualsiasi sua giustificazione
obiettiva, la maggiore durata del servizio militare non armato o del
servizio sostitutivo civile verrebbe, dunque, a risolversi "in una
remora all'esercizio dell'obiezione di coscienza, in un ulteriore
vaglio della serietà del convincimento dell'obiettore, e in una
sanzione conseguente ad una particolare espressione della persona",
nel più aperto contrasto sia con il principio di eguaglianza che con
il diritto di libera manifestazione del pensiero, dando vita ad
un'ingiustificata "valutazione deteriore delle due forme di servizio
alternativo a quello armato".
4. - Per verificare la consistenza delle suddette argomentazioni
e, soprattutto, per accertare se il diverso trattamento fatto, sotto
l'aspetto della durata, al servizio militare non armato ed al
servizio sostitutivo civile rispetto al servizio militare armato
corrisponda o no "ad esigenze obiettive del servizio e ad elementi di
ragionevolezza intrinseca", si devono prendere in considerazione i
due tipi di "servizio alternativo" l'uno distintamente dall'altro,
date le differenze di natura e di struttura che li caratterizzano nel
loro reciproco raffronto, prima ancora che nel raffronto di ciascuno
di essi con il servizio militare armato.
Quanto alla natura, questa Corte ha già avuto occasione di
precisare che, diversamente dal servizio militare non armato, nel
servizio sostitutivo civile non si può ravvisare un "modo" di
esplicazione del servizio militare di leva. Sono "le ragioni che
impediscono di considerare "militari in servizio" gli obiettori di
coscienza ammessi a prestare servizio sostitutivo civile", così da
non legittimarne l'assoggettabilità alla giurisdizione dei tribunali
militari, ad "escludere, altresì, che nel servizio sostitutivo
civile in atto si possa ravvisare un particolare modo di esplicazione
del servizio militare di leva": perciò, "più che all'ottica dei
'modi', è nell'ottica dei 'limiti' del servizio militare
obbligatorio... che deve ricondursi il discorso sull'ammissione al
servizio sostitutivo civile", con l'ulteriore conseguenza che, "in
quanto limite all'adempimento dell'obbligo del servizio militare",
"essa non può non tradursi in un'alternativa di natura profondamente
diversa" (v. sentenza n. 113 del 1986).
Quanto alla struttura, le differenze emergono, al di là delle
terminologie e delle definizioni, dalla contrapposizione dei due
gruppi di norme che il titolo II del d.P.R. 28 novembre 1977, n.
1139, rispettivamente dedica al servizio militare non armato (capo I)
e al servizio sostitutivo civile (capo II). Anche se la dichiarazione
di opzione tra l'uno e l'altro dei due servizi viene a collocarsi,
all'interno della domanda per il riconoscimento dell'obiezione di
coscienza, nell'ambito delle altre indicazioni comuni richieste
dall'art. 2 dello stesso decreto, i differenti aspetti che il
raffronto tra il capo I ed il capo II mette in risalto non possono
ignorarsi in un discorso basato sull'equivalenza dei contenuti, sulla
comparazione dei rispettivi carichi di gravità e sulla misura dei
relativi svantaggi.
Tanto nel riferimento all'art. 3 quanto nel riferimento all'art.
21 della Costituzione, il primo comma dell'art. 5 della legge 15
dicembre 1972, n. 772, va, quindi, esaminato, anzitutto, per la parte
in cui prevede che i giovani ammessi a prestare servizio militare non
armato lo devono prestare per un tempo superiore di otto mesi alla
durata del servizio di leva cui sarebbero tenuti, e, in secondo
luogo, per la parte in cui prevede che i giovani ammessi a prestare
servizio sostitutivo civile lo devono anch'essi prestare per un tempo
superiore di otto mesi alla durata del servizio di leva. Il che
trova, del resto, riscontro non solo nell'ordinanza del Giudice
istruttore del Tribunale di Rimini, ma anche in alcune delle memorie
difensive che, opportunamente, si soffermano sulla distinzione tra i
due tipi di servizio demandati all'opzione dell'obiettore di
coscienza.
5. - Il primo profilo da prendere in considerazione non può non
riguardare la parte del comma in esame concernente gli ammessi al
servizio militare non armato, oggetto del I dei due capi in cui il
d.P.R. 28 novembre 1977, n. 1139, suddivide il titolo II, nel
riferimento, costantemente ed immediatamente evidenziato dalle
quattro ordinanze di rimessione, all'art. 3 della Costituzione.
A dimostrare l'irragionevolezza di qualunque disparità di durata
del servizio militare non armato rispetto a quello armato è
sufficiente la constatazione che, come precisa l'art. 10 del d.P.R 28
novembre 1977, n. 1139, i giovani ammessi al servizio militare non
armato "sono soggetti a tutte le norme concernenti il personale che
presta il normale servizio di leva ad eccezione di quelle sull'uso
delle armi", esclusa, quindi, ogni altra differenza.
Poiché la contrarietà all'uso personale delle armi rappresenta
l'essenza stessa dell'obiezione di coscienza quale espressamente
riconosciuta dalla legge 15 dicembre 1972, n. 772 - tant'è vero che
il primo comma del suo art. 1 ammette ai benefici previsti dagli
articoli successivi gli "obbligati alla leva che dichiarano di essere
contrari in ogni circostanza all'uso personale delle armi per
imprescindibili motivi di coscienza" - appare privo di ragionevolezza
che un servizio corrispondente in tutto e per tutto al normale
servizio di leva, salva appunto la sola sottrazione all'uso delle
armi, che ne è il connotato ispiratore legittimamente riconosciuto,
abbia una durata superiore all'altro.
Nessuna differenza di durata potrebbe essere giustificata né
dalla natura del servizio, né da particolari sue esigenze obiettive,
trovandosi esso a coincidere con il servizio armato in tutte le
modalità, esclusa soltanto quella che è alla base del
riconoscimento dell'obiezione di coscienza.
Ogni discorso - del tipo svolto negli atti di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri, peraltro in relazione al
servizio sostitutivo civile - sulla "gravosità" del servizio di
leva, sulla sua "severa disciplina", sui suoi "ferrei ordinamenti",
non è qui proponibile neppure in via di principio, trattandosi degli
stessi oneri, della stessa disciplina, degli stessi ordinamenti.
Né vi potrebbe essere posto per una differenza di durata più
breve di quella attuale in rapporto all'esigenza di un particolare
periodo di addestramento: gli "incarichi di carattere logistico,
tecnico od amministrativo", nei quali viene impiegato l'obiettore di
coscienza che abbia optato per il servizio militare non armato (v.
art. 9, primo comma, d.P.R. 28 novembre 1977, n. 1139), rientrano fra
gli incarichi già previsti dall'organizzazione militare e, in
assenza di obiettori, comunemente svolti da militari di leva in
servizio armato, senza che gli eventuali corsi di istruzione e di
specializzazione, cui si richiama il secondo comma dello stesso art.
9, incidano sulla durata del servizio, tanto più che, nel caso
dell'obiettore, essi coprirebbero lo spazio lasciato libero dalla
mancata partecipazione all'addestramento armato.
La previsione di "un tempo superiore di otto mesi" è, quindi, da
ritenersi costituzionalmente illegittima - prima ancora che per
ragioni di entità - per essere comunque superiore alla durata del
servizio militare armato, con conseguente assorbimento dell'ulteriore
dubbio di legittimità prospettato dal Tribunale di Camerino in
ordine all'art. 21 della Costituzione.
6. - Anche riguardo alla parte dell'art. 5, primo comma, della
legge 15 dicembre 1972, n. 772, relativa alla durata, pure essa
"superiore di otto mesi", del servizio sostitutivo civile, le
ordinanze di rimessione fanno, anzitutto, riferimento all'art. 3
della Costituzione.
Naturalmente, trattandosi qui di un servizio dai "contenuti non
militari" (v. la sentenza n. 113 del 1986) e, perciò, ben diversi
dai contenuti del servizio militare armato, i termini di comparazione
non si presentano omogenei come nel caso del raffronto tra servizio
militare armato e servizio militare non armato, data la mancanza tra
essi di qualsiasi nucleo di vita e di attività comuni, proprio
perché, nell'opzione per il servizio sostitutivo civile, al rifiuto
dell'uso delle armi si accompagna e si sovrappone il rifiuto della
divisa e della disciplina militari.
Per vagliare la denuncia di irragionevole disparità di
trattamento mossa alla diversità di durata tra servizio militare
armato e servizio sostitutivo civile occorrerebbe prendere in attenta
considerazione i vari aspetti del servizio sostitutivo civile,
verificando, anzitutto, se le relative prestazioni abbiano una
portata "effettivamente equivalente" (v. sentenza n. 164 del 1985) a
quella del servizio militare armato, potendo l'equiparazione nella
durata ritenersi imprescindibile soltanto in presenza di condizioni
di reale equivalenza. Ma soltanto un servizio sostitutivo nazionale
adeguatamente ed unitariamente organizzato consentirebbe una
comparazione univoca e precisa. Non la consente, invece, la
pluralità disarticolata di "enti, organizzazioni o corpi di
assistenza, di istruzione, di protezione civile e di tutela e
incremento del patrimonio forestale" (art. 11, primo comma, d.P.R. 28
novembre 1977, n. 1139), presso cui il servizio sostitutivo civile
continua ad essere prestato, nell'ormai eccessivo protrarsi di una
situazione transitoria dovuta proprio alla mancata istituzione del
servizio sostitutivo nazionale, e che accosta, di volta in volta, gli
obiettori, quanto a disciplina, orari e sedi, ai dipendenti che
operano presso il singolo ente, organizzazione o corpo. D'altronde,
l'ormai quasi ventennale ritardo nell'istituzione del servizio civile
nazionale, già sollecitata da questa Corte (v. sentenza n. 113 del
1986), non può certo tradursi in un impedimento preclusivo del
giudizio richiesto a questa Corte, tanto più che in nessun caso -
cioè, anche a ritenere non effettiva l'equivalenza di condizioni
operative e di vita con chi presta servizio militare armato - la
durata superiore di "ben" otto mesi, come sottolinea nella sua
ordinanza il Giudice istruttore del Tribunale di Rimini, potrebbe
essere considerata differenziazione ragionevole.
Allo stato, essendo impraticabile ogni sicuro, univoco, raffronto
in termini di gravosità del servizio, di organizzazione e di orari,
l'unica giustificazione per una differenziazione, sostanzialmente
contenuta e non irrazionale, della durata del servizio potrebbe
rinvenirsi soltanto nell'eventuale necessità, rimessa alla
valutazione del legislatore, di acquisire, preliminarmente allo
svolgimento del servizio civile sostitutivo, conoscenze teoriche e
capacità pratiche necessarie per far fronte alle esigenze formative
sottostanti, certo più personalizzate che non quelle del servizio di
truppa. Lo ammettono, sia pur per inciso, anche l'ordinanza del
Giudice istruttore di Rimini ed una delle memorie difensive, non
disconoscendo che "una modesta diversità di durata... potrebbe
forse, in astratto, trovare giustificazione in particolari esigenze
di addestramento degli obiettori ai fini del servizio civile". Al di
fuori di una previsione del genere e, comunque, in caso di una
maggiorazione avente la consistenza attuale, la differente durata del
servizio sostitutivo, a causa delle limitazioni che comporta per il
normale sviluppo della vita civile, rivestirebbe chiaramente quel
significato di sanzione nei confronti degli obiettori che già si è
stigmatizzato, ledendo, altresì, i fondamentali diritti tutelati dal
primo comma dell'art. 3 e dal primo comma dell'art. 21 della
Costituzione, in quanto sintomo di una non giustificabile disparità
di trattamento per ragioni di fede religiosa o di convincimento
politico e, nello stesso tempo, freno alla libera manifestazione del
pensiero.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, primo comma,
della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento
della obiezione di coscienza), nella parte in cui prevede che i
giovani ammessi a prestare servizio militare non armato lo devono
prestare per un tempo superiore alla durata del servizio di leva cui
sarebbero tenuti;
Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, primo comma,
della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento
della obiezione di coscienza), nella parte in cui prevede che i
giovani ammessi a prestare servizio sostitutivo civile lo devono
prestare per un tempo superiore di otto mesi alla durata del servizio
di leva cui sarebbero tenuti.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 luglio 1989.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: CONSO
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 31 luglio 1989.
Il cancelliere: DI PAOLA