ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 51 e 87 del
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione
delle imposte sul reddito), promosso con ordinanza emessa il 9
dicembre 1981 dal Pretore di Stradella, iscritta al n. 55 del
registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 143 dell'anno 1982;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1988 il Giudice
relatore Francesco Saja;
Ritenuto che nella procedura esecutiva esattoriale promossa
dall'Esattoria delle imposte dirette di Barbaniello nei confronti del
fallito Lucio Costa, al Pretore di Stradella veniva richiesto, da
parte dell'esattore, di provvedere alla devoluzione allo Stato
dell'immobile oggetto dell'esecuzione, a seguito di due incanti con
esito negativo e della mancata autorizzazione del terzo incanto da
parte dell'Intendente di finanza di Pavia;
che detto Pretore ha sollevato, su istanza dell'interveniente
fallimento "Lucio Costa", questione di legittimità costituzionale,
in relazione agli artt. 3, 24, 97 e 113 Cost., degli artt. 87 e 51
del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 nella parte in cui, attribuendo
all'esattore il potere di procedere all' espropriazione forzata anche
quando il debitore sia dichiarato fallito o sottoposto a liquidazione
coatta amministrativa, consentono che la procedura esattoriale possa
concludersi con la devoluzione del bene allo Stato per il minor
prezzo tra quello dell'incanto e l'ammontare dell'imposta per cui ha
avuto luogo l'esecuzione;
che, secondo il giudice rimettente, le norme denunciate -
prevedendo che la procedura esattoriale posta in essere nei confronti
di un debitore fallito si concluda con la devoluzione dell'immobile
esecutato allo Stato per il minor prezzo tra il valore di stima ed il
credito dell'esattore nelle ipotesi in cui, dopo due incanti con
esito negativo, non venga autorizzato dall'Intendente di finanza il
terzo incanto o tale incanto sia autorizzato ma abbia anch'esso esito
negativo - negherebbero "ai creditori od al fallimento ogni
possibilità di concreta tutela in ordine al realizzo dei loro
crediti"; e ciò in contrasto con l'art. 24 Cost. sia perché gli
organi della procedura concorsuale non possono opporsi alla procedura
esattoriale, sia perché la decisione dell'Intendente di finanza di
negare il terzo incanto è atto discrezionale, sia infine perché
l'esito negativo di un eventuale terzo incanto determina
automaticamente la devoluzione;
che inoltre - sempre ad avviso del giudice a quo - la normativa
impugnata violerebbe il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3
Cost., trasformando la facoltà dell'esattore di agire esecutivamente
sui beni del fallito in un privilegio sostanziale ed in particolare,
come nel caso di specie, sottraendo il bene ad un creditore
ipotecario il cui credito è di grado poziore rispetto a quello
vantato dall'erario, e ad esso superiore;
che, infine, per il giudice rimettente, l'art. 87 del d.P.R. n.
602 del 1973 non sarebbe conforme ai principi costituzionali
enunciati negli artt. 97 e 113 Cost. giacché, da un lato, la norma
suddetta detterebbe una disciplina arbitraria della attività della
pubblica amministrazione nel momento in cui lascia la determinazione
del prezzo della devoluzione del bene in capo allo Stato "al caso e
cioè all'ammontare del credito fiscale che può essere superiore,
pari o inferiore al valore del bene devoluto o addirittura...
irrisorio" e, dall'altro lato, non prevederebbe alcun rimedio contro
siffatto arbitrio "essendo certo che il potere della pubblica
amministrazione di negare il terzo incanto è completamente
discrezionale";
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri
argomentando e concludendo per l'inammissibilità e comunque per
l'infondatezza della questione proposta;
che la tesi della Presidenza, secondo cui la questione
prospettata sarebbe inammissibile per manifesta irrilevanza, si fonda
sull'asserita inapplicabilità della normativa denunciata nel
giudizio a quo, inapplicabilità derivante dal fatto che il
trasferimento forzoso allo Stato del bene esecutato si verifica ope
legis e non può perciò costituire oggetto di una pronuncia
costitutiva o anche solo dichiarativa ad opera del pretore rimettente
il quale - ad avviso dell'interveniente Presidenza - deve limitarsi,
ai sensi dell'art. 88 del d.P.R. n. 602 del 1973, a "porre in essere
i provvedimenti relativi alla distribuzione del prezzo" pagato dallo
Stato;
che comunque, secondo la Presidenza, la questione deve
considerarsi infondata non potendo ravvisarsi alcuna violazione degli
artt. 3, 24, 97 e 113 Cost. nelle norme impugnate le quali sono
preordinate a fronteggiare le conseguenze della invendibilità del
bene esecutato e non appaiono pregiudizievoli per i creditori del
fallimento: costoro invero hanno la facoltà di partecipare essi
stessi agli incanti al fine di acquistare il bene e possono poi, in
caso di devoluzione del bene stesso allo Stato, attuare il riscatto
dell'immobile espropriato secondo quanto previsto dall'art. 90 del
citato d.P.R. n. 602;
Considerato che appare evidente la rilevanza della questione di
legittimità costituzionale in esame, sollevata dal pretore in quanto
dalla sua risoluzione dipende l'attribuzione di un bene della vita al
soggetto interessato;
che, per quanto attiene al merito della questione stessa, si
deve osservare che l'eventuale mancata realizzazione dei propri
crediti da parte dei creditori del fallito non è causata - come
afferma l'ordinanza di rinvio - dalle disposizioni impugnate, che
prevedono la devoluzione allo Stato dell'immobile pignorato, ma
rappresenta invece la conseguenza dell'oggettiva impossibilità di
vendere il bene esecutato, impossibilità dimostrata dall'esito
negativo di più incanti caratterizzati da ribassi particolarmente
elevati;
che comunque i creditori possono - ove lo ritengano conveniente
- partecipare agli incanti allo scopo di acquistare il bene oppure
hanno facoltà di pagare l'ammontare dell'imposta dovuta dal debitore
determinando così l'estinzione del procedimento di espropriazione
secondo quanto previsto dall'art. 49 del d.P.R. n. 602 del 1973;
che, inoltre, nel caso di devoluzione dell'immobile espropriato
allo Stato, l'art. 90 del d.P.R. citato consente - a tutela di tutti
i creditori - il riscatto dell'immobile espropriato, mediante il
versamento del prezzo della devoluzione, da parte di chi ha subito
l'espropriazione nonché dei creditori ipotecari e dei creditori
chirografari intervenuti, stabilendo che "per effetto del riscatto da
chiunque esercitato il bene ritorna all'espropriato nella situazione
di diritto in cui si trovava anteriormente al pignoramento e colui
che ha esercitato il riscatto subentra nei diritti e privilegi
spettanti allo Stato sull'immobile fino a concorrenza della somma
pagata" (art. 90, quinto comma);
che i diritti ora menzionati possono essere fatti valere, in
costanza di fallimento, anche dagli organi preposti alla procedura
concorsuale;
che inoltre la normativa denunciata, nella parte in cui
attribuisce all'Intendente di finanza la facoltà di non autorizzare
un terzo incanto (che sarebbe destinato a svolgersi con un ribasso di
due terzi sul prezzo base determinato ai sensi dell'art. 84 del
d.P.R. citato) non è diretta a far acquistare allo Stato indebiti
vantaggi a discapito degli altri creditori - ai quali resta la
possibilità del riscatto del bene - ma mira solo ad evitare che lo
Stato, nella sua veste di acquirente necessario dell'immobile non
venduto, abbia a subire troppi gravi pregiudizi;
che, esaminata in questo complessivo contesto, la norma sulla
devoluzione allo Stato dell'immobile espropriato oggetto di incanti
infruttuosi non è da considerare lesiva dell'art. 24 Cost. ed anzi
assolve alla funzione, positiva per i creditori, di garantire che sia
comunque individuato e versato un prezzo per il bene risultato
"invendibile";
che le disposizioni censurate non violano neppure l'art. 3 Cost.
in quanto esse regolano esclusivamente i rapporti tra lo Stato e gli
altri creditori dell'esecutato e non conferiscono all'esattore alcuna
posizione di ingiustificato privilegio in ordine alla distribuzione
del prezzo di devoluzione;
che del tutto inconferente appare la censura prospettata in
riferimento all'art. 97 Cost., dal momento che la norma
costituzionale invocata ha riguardo alla materia dell'organizzazione
dei pubblici uffici, sia pure intesa in senso lato, e non può
pertanto essere assunta a parametro di legittimità delle
disposizioni processuali qui denunciate;
che non sussiste infine contrasto della normativa censurata con
l'art. 113 Cost., atteso che, da un lato, non è esclusa la
possibilità di impugnare dinanzi al giudice amministrativo l'atto
con il quale l'Intendente di finanza nega l'autorizzazione al terzo
incanto e, dall'altro, la facoltà di esercitare, con domanda al
pretore, il diritto di riscatto dell'immobile devoluto offre ai
creditori una incisiva forma di tutela nei confronti di comportamenti
dell'Amministrazione finanziaria ritenuti lesivi delle proprie
posizioni giuridiche soggettive;
che per le suesposte ragioni la questione sottoposta all'esame
di questa Corte va dichiarata manifestamente infondata;
Visti gli artt. 26 della legge 11 marzo 1953 n. 87 e 9 delle Norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;