Ritenuto in fatto
A) Con sentenza in data 10 marzo 1981 il Pretore di Roma respingeva
la domanda - giudicandola, peraltro, non manifestamente infondata né
temeraria - proposta da Concetti Maria nei confronti dell'I.N.P.S. per
il riconoscimento del diritto a pensione di invalidità. Dovendo,
quindi, provvedere alla liquidazione definitiva del compenso dovuto a
C.T.U., già posto provvisoriamente a carico del convenuto con decreto
in data 22 ottobre 1980, e stabilire su quale delle parti detto onere
dovesse gravare, lo stesso Pretore sollevava la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 152 disp. att. cod. proc. civ.,
nel testo novellato dalla legge 11 agosto 1973 n. 533, in riferimento
agli artt. 3 e 23 Cost. (ordinanza del 10 marzo 1981; R.O. n.
304/1981).
Ritenuto di non poter provvedere alle situazioni suddette senza la
preventiva soluzione del dubbio di legittimità costituzionale
concernente la norma da applicare per le medesime, osserva quanto
segue in punto di non manifesta infondatezza:
a) secondo il consolidato orientamento ermeneutico della Corte di
Cassazione, la norma impugnata, stabilendo che il lavoratore
soccombente nelle cause previdenziali non può in alcun caso (salvo
quello di manifesta infondatezza o di temerarietà della sua pretesa)
essere assoggettato al pagamento di spese, competenze ed onorari in
favore dell'ente erogatore delle prestazioni, va applicata anche alle
spese di consulenza tecnica, le quali, ai sensi del tuttora vigente
art. 125 del r.d. 28 agosto 1924 n. 1422, devono essere anticipate
dallo stesso ente;
b) tale orientamento da un lato si fonda sull'erroneo assunto
della persistente vigenza della norma da ultima citata e, dall'altro
concreta ormai, in parte qua, il "diritto vigente" in termini che
contrastano con i menzionati parametri costituzionali:
1) invero, per quanto concerne il primo aspetto, va rilevato che
l'art. 125 del r.d. n. 1422/1924 doveva ritenersi abrogato già
anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 533/1973, in quanto
apparteneva ad un sistema processuale (quello delle Commissioni
arbitrali, istituito col r.d. 30 dicembre 1923 n. 3184) venuto meno
con la promulgazione del nuovo codice di procedura civile del 1942,
contenente norme sulle controversie in materia di previdenza ed
assistenza obbligatoria. Ne consegue che, non facendo l'art. 152 disp
att. cod. proc. civ. - nel testo novellato dalla legge n. 533/1973 -
alcuna specifica menzione delle spese di consulenza tecnica fra quelle
indicate come non ripetibili nei confronti del lavoratore
soccombente (le quali devono ridursi alle sole spese erogate dallo
ente vittorioso per soddisfare il suo specifico interesse a
contraddire), per esse dovrebbe trovare applicazione il generale
principio della soccombenza, temperato, ricorrendone le condizioni,
dal sistema di ammissibilità del lavoratore stesso al patrocinio
statale (art. 14 1. n. 533/1973). Solo in tal guisa, infatti,
resterebbe assicurato giuridico rilievo alla impossibilità di
ontologica assimilazione delle spese di consulenza tecnica a quelle
per le quali vige l'eccezionale principio dell'esonero posto dall'art.
152 cit.;
2) per contro, il criticato orientamento ermeneutico,
trascurando tali considerazioni, finisce irrimediabilmente col violare
l'art. 3 Cost. in quanto scardina il tendenziale principio della par
condicio processuale favorendo una parte a scapito dell'altra,
dilatando una previsione di evidente contenuto eccezionale e perciò
di stretta interpretazione. Inoltre, argomentandosi la non
ripetibilità delle spese di consulenza tecnica dal presupposto che
l'onere di anticipazione delle stesse gravi sull'ente erogatore delle
prestazioni ex art. 125 r.d. n. 1422/1924, si fa carico a questo di
un'imposizione patrimoniale in forza di una mera norma regolamentare
(quale è quest'ultima rispetto al r.d. n. 3184/1923) abrogata, in
contrasto con l'art. 23 Cost. secondo cui siffatte imposizioni possono
trovare fondamento soltanto nella legge.
B) Identica questione è stata ancora sollevata dallo stesso Pretore
di Roma, ancorché in riferimento al solo art. 3 Cost., con altre
cinque ordinanze emesse in data 28 dicembre 1981 (R.O. n. 83/1982), 2
dicembre 1981 (R.O. n. 72/1982) e 2 gennaio 1982 (R.O. nn. 71, 200 e
363/1982).
Tutte le ordinanze, regolarmente comunicate e notificate, sono state
pubblicate rispettivamente con la Gazzetta Ufficiale n. 255/1981; n.
171/1982; n. 157/1982; n. 255/1982; n. 324/1982.
C) È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri per il
tramite dell'Avvocatura Generale dello Stato che ha concluso per la
declaratoria di infondatezza della questione.
Ha, in particolare, osservato come debba ritenersi esatta la tesi
della persistente vigenza dell'art. 125 del r.d. n. 1422/1924,
mantenuto in vigore dall'art. 140 del r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827 e
non abrogato dalle disposizioni generali in tema di spese processuali
contenute nel libro primo del codice di procedura civile. Ha rilevato
altresì che la norma impugnata sostanzialmente riproduce il contenuto
dell'art. 57 della legge 30 aprile 1969 n. 153, con riferimento al
quale questa Corte ha già fugato analoghi dubbi di legittimità
costituzionale, giudicandoli manifestamente infondati per la ragione
che l'esonero dalle spese processuali stabilito in favore
dell'assicurato soccombente, lungi dal determinare una disparità di
posizione tra le parti, realizza, invece, attraverso un meccanismo di
neutralizzazione della notoria minor resistenza del lavoratore di
fronte al rischio processuale, una situazione di sostanziale parità
(sentt. nn. 23/1973; 60/1979; 85/1979).
La realizzazione di una sostanziale posizione di parità fra le
parti delle controversie in questione si effettua in giudizi nei
quali è di norma necessario il ricorso ad indagini tecniche il cui
onere economico potrebbe avere la capacità di distogliere
l'assicurato dalla tutela giurisdizionale delle sue legittime
aspettative e che è simile ad altri costi ugualmente necessari per i
perseguimento della detta tutela i quali si configurano come una
componente del complessivo costo del processo. Inoltre, detti oneri
costituiscono ulteriore costo dei servizi complessivamente
considerati, senza ripercussioni, peraltro, sul piano della difesa
giudiziale degli enti stessi, la quale può esercitarsi in perfetta
parità con l'altra parte.
Non sarebbe pertinente il richiamo all'art. 23 Cost. poiché le
"prestazioni imposte" sono solo quelle stabilite come obbligatorie a
carico di una persona che non vi ha concorso, mentre la partecipazione
ad un processo, con l'assunzione dei relativi oneri economici, si
ricollega sempre, direttamente o indirettamente, alla volontà della
parte (Corte Cost. sentt. nn. 122, 47, 30 e 4/1957, sulla nozione di
"prestazione imposta").
D) Ugualmente nel senso dell'infondatezza della questione hanno
concluso le parti private costituitesi nei giudizi introdotti con le
ordinanze n. 71/1982 e n. 200/1982, svolgendo argomenti
sostanzialmente sovrapponibili a quelli fatti propri dalla difesa
dell'autorità intervenuta.
E) Di contro, la difesa dell'I.N.P.S. sottolinea in particolare che
la citata norma deroga unicamente al principio della soccombenza
sancito dall'art. 91 cod. proc. civ., non anche all'altro, di cui
all'art. 90 dello stesso codice, secondo il quale ciascuna parte si
deve gravare delle spese degli atti che compie e che chiede. Le spese
di consulenza tecnica, oltre tutto non menzionate specificamente
dall'art. 152 cit., rientrano certamente fra queste ultime e la loro
anticipazione, ove si ritenga tuttora vigente l'art. 125 r.d. n.
1422/1924, dall'ente previdenziale serve solo a rendere più spedito
lo svolgimento del processo, ma non implica automatica trasformazione
di tale anticipazione in carico definitivo. Secondo una più corretta
interpretazione, la norma censurata andrebbe letta come la previsione
di una forma di compensazione totale ex lege, sottratta cioè alla
discrezionale valutazione del giudice. Ma come compensare le spese
significa impedire che una parte possa ripetere dall'altra il costo
degli atti compiuti o richiesti, così l'esonero di cui all'art. 152
cit. impedisce che questo beneficio accordato al soccombente esorbiti
dai suoi limiti naturali e si trasformi in un esonero del soccombente
medesimo dal pagamento delle sue spese, eventualmente anticipate in
via provvisoria dalla controparte.
Diversamente opinando ne risulta necessariamente intaccato il
principio di parità di trattamento introducendosi un'anomala forma di
soccombenza della parte vittoriosa, tenuta a sopportare anche gli
oneri della difesa della controparte.
F) Con ordinanza emessa il 16 giugno 1986 (R.O. n. 560/1986) il
Pretore di Benevento ha prospettato ulteriori dubbi di illegittimità
dell'art. 152 disp. att. cod. proc. civ., in relazione agli artt. 3,
24 e 53 Cost. nella parte in cui consente che anche il lavoratore
abbiente, se soccombente, non sia assoggettato al pagamento delle
spese processuali.
Il giudice a quo ha riconosciuto la rilevanza della questione in
ragione del fatto che l'espletata consulenza tecnica consentirebbe la
reiezione della domanda di pensione di invalidità proposta
dall'assicurato, senza, tuttavia, la possibilità di configurare la
pretesa di costui come manifestamente infondata e temeraria.
Nel caso di specie, peraltro, la rimessione degli atti a questa
Corte non è stata preceduta dalla pronunzia della sentenza
dichiarativa della infondatezza della domanda.
Nel merito, il giudice a quo ha ravvisato il contrasto della norma
censurata con gli artt. 3 e 24, primo comma, Cost., nel fatto che in
un ordinammento come il nostro, in cui il processo non è gratuito, i
riconoscimento costituzionale del diritto di stare in giudizio, per l
tutela di un interesse giuridicamente protetto non può non estendersi
fino a comprendere il recupero delle spese relative e non può, in
tale parte, essere pieno per alcuni soggetti e meno pieno per altri.
Ed inoltre, sussiste contrasto con gli artt. 3 e 24, secondo comma,
Cost. perché la norma censurata, mentre pone l'assicurato nella
condizione di iniziare il processo e di coltivarlo con "disinvoltura"
insistendo nelle sue pretese anche se fondate oltre ogni traguardo,
purché entro il limite della temerarietà, impone agli enti erogatore
delle prestazioni un uso più prudente dei mezzi processuali di
difesa, essendo i legali degli enti stessi indotti ad evitare
eccessivi aggravi del costo processuale, eventuali responsabilità
disciplinari nascenti da resistenze opinabili e lesioni del proprio
prestigio professionale.
Sussisterebbe anche altra violazione dell'art. 24, terzo comma,
Cost. perché la disposizione impugnata favorisce anche gli abbienti,
opera con riferimento al più ristretto presupoposto della
soccombenza e fonda il beneficio accordato su un meccanismo di
traslazione degli oneri processuali di competenza della parte favorita
sul patrimonio della controparte.
Il giudice a quo ha ritenuto in parte qua inappagante l'insegnamento
desumibile dalle sentenze n. 23/1973 e n. 60/1979 di questa Corte
osservando che:
1) la norma impugnata non può trovare fondamento nel favor operaru
cui sono improntati vari precetti costituzionali: la tutela
differenziata, anche sul piano processuale, della parte economicamente
più debole, mentre ha un senso nei casi in cui si tratti di porre al
riparo la notoria minore resistenza del lavoratore nel rapporto
sistematicamente conflittuale con la controparte datoriale, non si
giustifica ove, come nella materia previdenziale, destinatario delle
pretese del lavoratore sia un ente pubblico la cui azione è assistita
da una presunzione di legittimità ed il cui disinteressato compito
istituzionale è appunto quello di erogare le prestazioni dovute
conformemente a legge. La peculiare natura di questa controparte rende
molto più remota l'eventualità che una pretesa fondata sia respinta
e molto più sfumato il rischio processuale come fonte di dissuasione
della via giudiziaria.
2) l'art. 152 cit. sembra poi estraneo alla materia previdenziale
poiché, cautelando l'attore nell'ipotesi della soccombenza, riguarda
proprio i casi in cui non esiste alcun suo diritto alla prestazione
previdenziale, suscettibile di tutela privilegiata.
Infine, il giudice a quo ravvisa anche un contrasto della norma
impugnata anche con l'art. 53 Cost. in base al risultato del seguente
sillogismo: tutti devono concorrere alle spese pubbliche secondo le
proprie capacità; la giurisdizione è un servizio pubblico ed, in
materia previdenziale, l'ente erogatore non può esimersene, ove
l'utente del servizio voglia appunto avvalersi di questo; ma tale
utilizzazione implica il concorso ai relativi oneri, di cui una forma
peculiare è proprio il pagamento delle spese processuali in caso di
soccombenza.
G) L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 50/1986. Nel susseguente
giudizio davanti a questa Corte si sono costituiti l'I.N.P.S. e la
parte privata ed è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri. La difesa dell'autorità intervenuta ha concluso nel senso
dell'infondatezza della questione, fondamentalmente osservando che i
rilievi mossi dal giudice a quo non sono idonei ad infirmare le
considerazioni desumibili dalle sentenze n. 23/1973 e n. 85/1979 per
affermare la legittimità della norma denunciata. In particolare, ha
contestato che il limite della temerarietà o della manifesta
infondatezza non sia tale da scoraggiare un uso troppo "disinvolto"
dello strumento processuale da parte del lavoratore, ed ha rilevato
che, se il trattamento di favore a questo riservato può determinare
un incremento dell'attività difensiva degli enti, ciò costituisce un
mero pregiudizio di fatto ovviabile con opportuno dimensionamento dei
competenti uffici pubblici. Ha, inoltre, osservato che è erroneo
l'assunto dell'estraneità dell'art. 152 cit. alla materia
previdenziale, posto che scopo della norma non è quello di indurre a
giudizio chi non è titolare di diritti di tale natura, bensì quello
di impedire che l'effettiva tutela di questi possa risultare impedita
dal timore di un eccessivo costo del processo. L'avere, poi, dettato
la menzionata norma di favore nei rapporti non con la controparte
datoriale, ma con un ente pubblico il cui comportamento deve ritenersi
improntato a tendenziale legittimità, attiene al novero delle scelte
discrezionali del legislatore, rispetto alle quali, nella specie, il
suddetto scopo della norma costituisce ragionevole giustificazione.
Del tutto inconferente è, poi, il richiamo all'art. 53 Cost.,
concernente l'obbligo di contribuire alla spesa pubblica, mentre la
norma impugnata attiene al diverso problema della rimozione degli
ostacoli al libero esercizio dei diritti.
La parte privata costituita ha svolto nel merito considerazioni non
dissimili da quelle testé esposte per sottolineare l'infondatezza
della questione, della quale, peraltro, ha preliminarmente eccepito
l'inammissibilità per difetto di rilevanza. Ha all'uopo osservato che
tale questione è stata sollevata, come emerge dalla stessa ordinanza
di rimessione, in relazione ad una norma che, riguardando le spese di
lite, poteva trovare applicazione solo dopo la pronunzia di rigetto
della domanda e non nella mera eventualità di tale futuro rigetto:
ciò tanto più in considerazione del fatto che ai sensi dell'art. 14
disp. att. cod. proc. civ., in ogni momento, fino alla conclusione del
processo, l'orientamento del giudice in tema di invalidità
pensionabile può essere modificato per un aggravamento dello stato
fisico del lavoratore. Difetterebbe, dunque, il necessario nesso di
pregiudizialità della questione rispetto al giudizio a quo.
L'I.N.P.S. ha, invece, concluso nel senso della fondatezza della
questione facendo proprie le argomentazioni svolte dal giudice a quo
ed, in particolare, sottolineando che l'inesistenza di una
distinzione, quanto alla concessione del beneficio de quo, fra
cittadini abbienti e non abbienti, irrazionalmente accomuna in un
identico trattamento situazioni differenti ed implica un abnorme
aggravio degli oneri difensivi degli enti previdenziali, in violazione
degli artt. 3 e 24 Cost.
Nella imminenza dell'udienza le parti hanno presentato memoria che
sostanzialmente ribadiscono le osservazioni svolte.
Considerato in diritto
1. - I sette giudizi (R.O. nn. 304/1981, 71, 72, 83, 200, 363/82,
560/1986) possono essere riuniti e decisi con un'unica sentenza in
quanto prospettano questioni in parte identiche ed in parte connesse.
2. - Il Pretore di Roma, con sei ordinanze, dubita della
legittimità costituzionale dell'art. 152 disp. att. cod. proc. civ.
nel testo novellato dall'art. 9 della legge 11 agosto 1973 n. 533,
nella parte in cui, eccettuato il caso della lite manifestamente
infondata e temeraria, prevede l'esonero del lavoratore soccombente
dal pagamento delle spese processuali, comprese quelle di consulenza
tecnica di ufficio, per violazione:
a) dell'art. 3 Cost. in quanto ingiustificatamente equipara le
dette spese a quelle sostenute dall'ente previdenziale per la propria
difesa, per cui si ha una espressa previsione nello stesso art. 152
suddetto, così derogando irrazionalmente alla regola della par
condicio delle parti processuali;
b) dell'art. 23 Cost. perché comporta l'imposizione di una
prestazione a carico di detto ente in base ad una norma regolamentare
caducata (art. 125 r.d. 28 agosto 1924 n. 1422) alla cui stregua le
spese di consulenza tecnica devono essere anticipate dall'ente
stesso.
3. - Le questioni sollevate non sono fondate.
Secondo il costante indirizzo giurisprudenziale dei giudici di
merito e della Corte di Cassazione, sussiste tuttora l'onere
dell'istituto previdenziale di anticipare le spese di consulenza
tecnica di ufficio perché, per effetto dell'art. 140 del r.d.l n.
1827 del 1935, è tuttora in vigore l'art. 125 del r.d. n. 1422 del
1924 che lo prevedeva espressamente nella procedura arbitrale allora
applicabile nelle controversie di natura previdenziale.
Invero, l'art. 140 cit. ha fatto salve le norme regolamentari fino
allora vigenti, non espressamente abrogate e non incompatibili con la
nuova procedura; e tra esse il richiamato art. 125. La norma non è
stata ritenuta incompatibile né con la disciplina del processo del
lavoro dettata dal codice di procedura civile del 1942 né con la
riforma operata nel 1973 (legge n. 533 del 1973) avendo il
legislatore ritenuto il lavoratore parte più debole del processo non
solo nei confronti del datore di lavoro ma anche dell'istituto
previdenziale ed avendo voluto realizzare la certezza che il processo
possa in ogni caso giungere alla sua conclusione senza essere
arrestato dalle difficoltà economiche, facilmente prevedibili, del
lavoratore.
Del resto, le esigenze del sollecito svolgimento del processo
senza ritardi o sospensioni, specie per eventuali difficoltà
economiche di una delle parti, hanno determinato la previsione della
concessione del patrocinio a spese dello Stato. Pertanto, nel caso in
cui l'istituto previdenziale non anticipa le spese di consulenza
tecnica poste dalle norme vigenti a suo carico, vi provvede l'erario
che poi si rivarrà sullo stesso istituto previdenziale cui fanno
carico le spese del processo salvo che la lite non sia temeraria e
manifestamente infondata. Tanto più che si tratta di spese
normalmente necessarie dato l'oggetto del giudizio, la cui
definizione richiede accertamenti ed indagini tecniche nonché
l'acquisizione di pareri tecnici.
Pertanto, non può minimamente dubitarsi che le spese di
consulenza tecnica di ufficio si debbano comprendere nelle spese
processuali delle quali è previsto testualmente l'esonero dal
pagamento a favore del lavoratore soccombente, tranne le eccezioni
operate dallo stesso legislatore (lite temeraria e non manifestamente
infondata).
4. - È altresì certo il concorso della medesima ratio, cioè il
fine di evitare che il lavoratore possa essere distolto dalla
necessità di far valere in giudizio le sue pretese previdenziali od
assistenziali per il rischio di subire le conseguenze economiche
della soccombenza.
Quello attuato dalla norma censurata è proprio il meccanismo che
neutralizza la notoria minore resistenza del lavoratore.
Inoltre, esso realizza anche la sostanziale parità di trattamento
del lavoratore, parte debole del processo, e dell'istituto
previdenziale, parte certamente più forte. Onde la insussistenza
della dedotta violazione dell'art. 3 Cost.
È anche da escludersi che si possano verificare ripercussioni
dannose per l'istituto previdenziale sul piano della difesa,
assicurata dai servizi legali dell'istituto, se il processo si svolge
su un piano di perfetta parità tra le due parti.
I servizi legali dell'ente previdenziale sono completamente liberi
di apprestare e svolgere compiutamente le proprie difese.
5. - Non sussiste nemmeno la dedotta violazione dell'art. 23 Cost.
Invero, questa Corte ha più volte ritenuto, e non ha motivo di
modificare il proprio orientamento, che l'oggetto dell'art. 23 Cost.,
secondo cui nessuna prestazione patrimoniale o personale può essere
imposta se non in base alla legge, è quello di determinare a quali
condizioni una prestazione può essere stabilita come obbligatoria a
carico di una persona senza che la volontà di questa vi abbia
concorso. Per ritenere applicabile il detto articolo è decisivo che
si tratti di una prestazione obbligatoria in quanto istituita con
atto di autorità senza il concorso della volontà della parte
(sentt. nn. 4/1957; 30/1957; 122/1957).
Ora, nel caso in esame, la instaurazione dei relativi oneri
economici si ricollega sempre, direttamente o indirettamente, alla
volontà della parte e non è mai imposta autoritativamente. E ciò
anche per l'istituto previdenziale rispetto al quale l'azione o la
resistenza in giudizio costituisce pur sempre il risultato di una
libera scelta e frutto di una determinazione volitiva.
6. - Il Pretore di Benevento (ord. n. 560 del 1986) dubita della
legittimità costituzionale dello stesso art. 152 disp. att. cod.
proc. civ., nel testo come sopra novellato, in quanto, interpretato
nel senso che consente l'esonero dal pagamento delle spese
processuali al lavoratore anche se abbiente, importerebbe la
violazione:
a) degli artt. 3 e 24 Cost. perché introdurrebbe una
arbitraria discriminazione tra le parti processuali, assicurando il
diritto di difesa più al lavoratore e meno all'istituto
previdenziale. Secondo il giudice a quo, in un ordinamento in cui il
processo non è gratuito per tutti, il riconoscimento costituzionale
del diritto di stare in giudizio non può estendersi fino al punto di
ricomprendere il recupero delle spese giudiziali e non può, per tale
aspetto, essere pieno per una parte e meno pieno per l'altra. La
norma censurata porrebbe una parte nella condizione di iniziare il
processo e coltivarlo con "disinvoltura", e l'altra nella condizione
di prudenza anche eccessiva, per evitare aggravi di spese, eventuali
responsabilità disciplinari e lesioni del proprio prestigio
professionale. Inoltre, la disposizione impugnata, nel favorire gli
abbienti, restringe l'applicazione del principio della soccombenza e
trasferisce gli oneri processuali dal patrimonio della parte favorita
a quello della controparte;
b) l'art. 53 Cost. perché l'esonero concesso al lavoratore non
farebbe attuare l'obbligo che egli ha come parte processuale di
concorrere, in proporzione della propria capacità, al costo di un
pubblico servizio quale è quello giudiziario.
7. - I profili dedotti si risolvono in un'unica censura che deve
essere dichiarata inammissibile ma per una ragione diversa da quella
prospettata dalla parte privata del giudizio.
Si premette che la censura ha come oggetto la norma che disciplina
le spese del processo del lavoro mentre l'art. 53 Cost., secondo cui
il cittadino ha l'obbligo di contribuire alle spese pubbliche secondo
la proprio capacità contributiva, trova applicazione nella diversa
materia tributaria; che l'eccezione alla regola generale fondata sul
principio della soccombenza trova adeguato fondamento nel peculiare
oggetto dei giudizi che sono a rilevante contenuto sociale e nella
circostanza che parti di esso sono gli enti che realizzano fini
previdenziali ed assistenziali, quei fini cioè di natura sociale
perseguiti dallo Stato e garantiti dalla Costituzione (art. 38
Cost.); che in definitiva, però, il costo dei processi viene a
gravare sulla generalità dei cittadini (ipotesi di lite in materia
assistenziale) o sui lavoratori (ipotesi di lite in materia
previdenziale).
8. - Si osserva poi che la invocata norma costituzionale (art. 24
Cost.) prende in considerazione la diversità delle situazioni in cui
vengono a trovarsi gli abbienti ed i non abbienti, per i quali è
previsto il rimedio del gratuito patrocinio, muovendo però dal
presupposto della legittimità dell'imposizione di oneri patrimoniali
a carico di coloro nei cui riguardi si esplica l'attività
giurisdizionale. In altri termini gli indigenti non sono liberati in
modo assoluto dai suddetti oneri non escludendosi il rimborso da
parte loro delle spese che lo Stato ha anticipato quando il processo
si risolve a loro favore e specie nel caso in cui le azioni e le
difese proposte sono risultate prive di fondamento.
Per un principio di giustizia distributiva il costo del processo
deve essere sopportato da chi ha reso necessaria l'attività del
giudice ed ha occasionato le spese del suo svolgimento, sebbene sia
auspicabile che lo Stato assicuri a tutti i non abbienti la piena
tutela giudiziale dei loro diritti e delle loro pretese.
Al momento, però, solo nei confronti dei lavoratori, per indubbie
ragioni di politica sociale, è stato previsto un trattamento
particolarmente favorevole.
Nelle controversie individuali di lavoro, esso è regolato, sia
pure sempre come anticipazione delle spese (art. 10 e segg. legge 11
agosto 1973 n. 533), con maggiore ampiezza e semplicità rispetto al
gratuito patrocinio ordinario.
Inoltre nelle cause previdenziali ed assistenziali è concesso al
lavoratore l'esonero dal pagamento delle spese, competenze ed onorari
di giudizio, a meno che la lite non risulti manifestamente infondata
e temeraria (art. 152 disp. att. cod. proc. civ. che è ripetizione
dell'art. 57 della legge n. 153 del 1969).
I due istituti sono distinti ed in particolare il limite
reddituale del primo non potrebbe valere per il secondo siccome non
idoneo a far venir meno il rischio processuale che si vuole evitare
al lavoratore (sent. n. 60/1979).
Tuttavia non sembra che possano ancora valere tutte le ragioni che
hanno determinato l'attuale disciplina normativa; che non si possa
continuare a non tenere conto delle condizioni economiche del
lavoratore ed in specie della sua possibile condizione di "abbiente".
Proprio le possibili elevate condizioni economiche dei
"lavoratori" (il termine è comprensivo di varie categorie anche
molto differenziate tra loro) che hanno a volte raggiunto
retribuzioni di entità notevole e pensioni anche elevate, fondano
l'opportunità di una revisione della norma censurata e una sua più
restrittiva previsione.
Mentre non può del tutto escludersi che una siffatta
modificazione possa produrre effetti utili e benefici sulla
situazione generale degli istituti previdenziali ed assistenziali.
Ma la determinazione concreta delle condizioni e degli estremi
della situazione di "abbiente", per i fini che interessano
specificamente la materia, importa scelte affidate alla discrezione
del legislatore e che questa Corte non può compiere.
Né questa Corte può fissare criteri oggettivi, né lo possono i
giudici dei processi previdenziali ed assistenziali.
In tale situazione la questione sollevata deve essere dichiarata
inammissibile.