Titolo
SENT. 30/83 A. GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE - CITTADINANZA - FIGLIO NATURALE DI MADRE CITTADINA E PADRE STRANIERO - RICONOSCIMENTO DA PARTE DI ENTRAMBI I GENITORI - PREVALENZA DELLA CITTADINANZA STRANIERA DEL PADRE - APPLICAZIONE DELLA LEGGE NAZIONALE DEL PADRE - INAMMISSIBILITA' DELLA QUESTIONE (PER NON IDENTIFICABILITA' DEL 'THEMA DECIDENDUM').
Testo
E' inammissibile la questione di legittimita` costituzionale che investa contenuti normativi diversi e della quale, per la sua ambivalenza, non sia identificabile il 'thema decidendum'. (Inammissibilita` delle questioni di legittimita` costituzionale dell'art. 20, disp. prel. cod. civ., impugnato - in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. - "o nella parte in cui stabilisce che i rapporti tra i genitori e figli naturali sono regolati dalla legge nazionale del padre anche quando la madre italiana abbia riconosciuto il figlio, o perche` non stabilisce che la legge regolatrice dei rapporti tra i genitori e figli naturali e` quella del genitore con cui il figlio, se minore, vive"; nonche` dell'art. 1, n. 2, L. 13 giugno 1912 n. 555).
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 2
Costituzione
art. 3
Riferimenti normativi
disposizioni sulla legge in generale
n. 0
art. 20
co. 0
legge
13/06/1912
n. 555
art. 1
n. 2
co. 0
Titolo
SENT. 30/83 B. GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE - CITTADINANZA - FIGLIO DI MADRE CITTADINA E PADRE STRANIERO - ACQUISTO A TITOLO ORIGINARIO (PER NASCITA) - ESCLUSIONE IN VIA GENERALE - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE PARZIALE.
Testo
Non puo` contestarsi l'interesse, giuridicamente rilevante, di ciascun genitore a vedere attribuito ai figli il proprio 'status civitatis', sicche` l'attribuzione a titolo originario della sola cittadinanza paterna lede la posizione giuridica della madre e non e` necessaria a garantire l'unita` familiare, risolvendosi in superstite espressione di una inaccettabile diversita` di posizione giuridica e morale dei coniugi. Pertanto, l'art. 1, n. 1, L. 13 giugno 1912 n. 555, a tenor del quale e` cittadino per nascita il figlio di padre cittadino, e` costituzionalmente illegittimo - per contrasto con gli artt. 3, comma primo, e 29, comma secondo, Cost. - nella parte in cui non prevede che sia cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadina. - cfr. S.n. 87/1975.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
co. 1
Costituzione
art. 29
co. 2
Riferimenti normativi
legge
13/06/1912
n. 555
art. 1
n. 1
co. 0
Titolo
SENT. 30/83 C. GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE - CITTADINANZA - FIGLIO DI MADRE CITTADINA E PADRE STRANIERO - ACQUISTO A TITOLO ORIGINARIO (PER NASCITA) - LIMITAZIONE AD IPOTESI RESIDUALI - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE CONSEGUENZIALE (ART. 27, LEGGE 11 MARZO 1953 N. 87).
Testo
In applicazione dell'art. 27, L. 11 marzo 1953 n. 87, va dichiarata l'illegittimita` costituzionale conseguenziale dell'art. 1, n. 2, L. 13 giugno 1912 n. 555, che collega l'acquisto della cittadinanza materna da parte del figlio soltanto ad ipotesi di carattere residuale. - v. massima precedente.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
co. 1
Costituzione
art. 29
co. 2
Riferimenti normativi
legge
13/06/1912
n. 555
art. 1
n. 2
co. 0
Titolo
SENT. 30/83 D. GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE - CITTADINANZA - FIGLIO DI MADRE CITTADINA E PADRE STRANIERO - RICONOSCIMENTO DA PARTE DI ENTRAMBI I GENITORI - PREVALENZA DELLA CITTADINANZA STRANIERA DEL PADRE - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE.
Testo
L'art. 2, comma secondo, L. 13 giugno 1912 n. 555, prevedendo che il riconoscimento da parte del padre straniero automaticamente comporta, per il figlio minorenne, l'acquisto della cittadinanza straniera e la perdita di quella italiana acquisita per il previo riconoscimento materno, realizza un'evidente disparita` di trattamento tra i genitori in base al sesso ed una conseguente discriminazione in ordine allo 'status civitatis' dei figli minori. Pertanto, e` costituzionalmente illegittimo - per contrasto con l'art. 3 Cost. - l'art. 2, comma secondo, cit..
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Riferimenti normativi
legge
13/06/1912
n. 555
art. 2
co. 2
N. 30
SENTENZA 28 GENNAIO 1983
Deposito in cancelleria: 9 febbraio 1983.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 46 del 16 febbraio 1983.
Pres. e Rel. ELIA
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. LEOPOLDO ELIA, Presidente - Prof.
ANTONINO DE STEFANO - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE -
Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof.
LIVIO PALADIN - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI -
Prof. GIUSEPPE FERRARI - Dott. FRANCESCO SAJA - Prof. GIOVANNI CONSO,
Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale: 1) dell'art. 1,
n. 2, della legge 13 giugno 1912, n. 555, sulla cittadinanza italiana,
e dell'art. 20 delle disposizioni preliminari al codice civile; 2)
degli artt. 1, n. 1, e 2, comma 2, della detta legge 13 giugno 1912, n.
555, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 23 gennaio 1978 dal Tribunale per i
minorenni di Firenze sul ricorso proposto da Bettalli Maria Silvia,
iscritta al n. 167 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 154 del 5 giugno 1978;
2) ordinanza emessa il 3 ottobre 1980 dal Tribunale per i minorenni
di Milano sul ricorso proposto da Velonas Sotiris, iscritta al n. 232
del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 234 del 26 agosto 1981;
3) ordinanza emessa il 18 febbraio 1981 dal Tribunale di Milano nel
procedimento civile vertente tra Pincella Anna Maria, esercente la
patria potestà sul figlio minore Rahmani Ahmed e l'Amministrazione
degli Affari Interni, iscritta al n. 633 del registro ordinanze 1981 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 345 del 16
dicembre 1981.
Visti l'atto di costituzione di Pincella Anna Maria e l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 5 maggio 1982 il Giudice relatore
Leopoldo Elia;
udito l'avvocato dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
1. - Il Tribunale per i minorenni di Firenze, decidendo su
un'istanza per la dichiarazione di decadenza della potestà del padre
su figlio naturale riconosciuto da madre italiana e da padre
portoghese, rilevato che nella specie avrebbe dovuto trovare
applicazione la legge portoghese, in virtù dell'art. 20 delle
disposizioni preliminari al codice civile, con ordinanza emessa il 23
gennaio 1978, sollevava questione di legittimità costituzionale di
tale norma e dell'art. 1, n. 2, della legge 13 giugno 1912, n. 555, per
contrasto con gli artt. 2 e 3 della Costituzione.
Osservava al riguardo che a giustificare sia l'attribuzione della
cittadinanza del padre al figlio naturale sia la preferenza della legge
di nazionalità del padre per regolare i rapporti tra genitori e figli
sarebbe vano invocare il principio di salvaguardia dell'unità
familiare posto dall'art. 29 della Costituzione, trattandosi nella
specie di filiazione naturale cui tale principio è estraneo. In
realtà la scelta del legislatore sembra ispirata, come in altra specie
si è espressa la Corte costituzionale con sentenza numero 87 del 1975,
alla "concezione imperante nel 1912 di considerare la donna come
giuridicamente inferiore all'uomo e addirittura come persona non avente
la completa capacità giuridica, (...) concenzione che non risponde
anzi contrasta coi principi della Costituzione, che attribuisce pari
dignità sociale ed eguaglianza davanti alla legge a tutti i cittadini
senza distinzione di sesso".
Una corretta applicazione del principio di eguaglianza, invece,
dovrebbe importare che il figlio naturale è cittadino italiano per
nascita non solo se è figlio di padre (naturale) italiano ma anche
quando è figlio di madre (naturale) italiana, indipendentemente dal
non - riconoscimento paterno o dal fatto che, per la legge nazionale
del padre naturale, il figlio non possa seguire la cittadinanza
paterna: d'altronde il fenomeno della doppia cittadinanza - peraltro,
introdotto dall'art. 143 ter del codice civile relativamente alla donna
italiana che sposi uno straniero - non sarebbe più un problema in
un'epoca quale è la nostra.
Lo stesso discorso varrebbe per l'art. 20 preleggi: scegliere la
legge nazionale del padre naturale quale quella che regola i rapporti
tra genitori e figli, anche quando il figlio è riconosciuto dalla
madre di diversa cittadinanza, sarebbe discriminatorio per la donna, la
quale ha il diritto costituzionale garantito ad una posizione di
eguaglianza rispetto all'uomo.
La scelta in questione sarebbe poi ulteriormente discriminatoria
fra figli naturali minori e figli legittimi minori di genitori di
cittadinanza diversa. Infatti mentre questi ultimi, in caso di
sciolgimento del matrimonio dei genitori, divengono cittadini italiani
se la madre italiana esercita su di loro la potestà parentale, i primi
restano per sempre stranieri, anche se l'unione di fatto dei genitori
sia venuta meno e salva la naturalizzazione di cui all'art. 3 della
legge n. 555 del 1912.
Infine, stabilire che i rapporti tra figli minori e genitori
naturali siano regolati sempre e comunque dalla legge del padre e non
dalla legge nazionale del genitore con il quale il minore vive sarebbe
gravemente lesivo del diritto del minore strsso a svolgere la sua
personalità nella formazione sociale familiare, in contrasto con
l'art. 2 della Costituzione.
2. - L'ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Dinanzi alla Corte costituzionale
è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.
Nel chiedere che le questioni siano dichiarate non fondate,
l'Avvocatura osserva, quanto all'art. 20 delle disposizioni preliminari
al codice civile, che il legislatore, nel determinare nella legge
nazionale del padre quella applicabile ai rapporti tra genitori e
figli, ha operato una scelta non irrazionale né discriminatoria come
non irrazionale né discriminatorio sarebbe stato optare a favore della
legge nazionale della madre.
D'altronde, se si dovesse optare per la legge nazionale del minore
(che, nella supposizione dell'illegittimità costituzionale dell'art.
1, n. 2, della legge n. 555 del 1912, sarebbe quella italiana) o del
genitore col quale il minore vive, tale scelta non risponderebbe di per
sé all'interesse del minore a sviluppare la propria personalità
nell'ambiente sociale in cui è inserito.
Rileva infatti l'Avvocatura che solo occasionalmente, nella
fattispecie, la legge nazionale del minore - ipotizzata dal tribunale
come la più idonea a risolvere il caso - si identifica con quella
italiana; che se il minore nella medesima situazione si trovasse a
vivere con la madre in un Paese terzo (esclusi cioè il Portogallo e
l'Italia) il giudice colà adito, in virtù delle norme del proprio
ordinamento interno, potrebbe ritenere che la salvaguardia dei principi
più sopra enunciati sia garantita unicamente dalla legge del Paese ove
il minore effettivamente risiede.
Per quanto attiene, poi, alla questione di legittimità
costituzionale dell'art. 1, n. 2, della legge sulla cittadinanza
italiana, una volta che l'art. 20 delle preleggi appare
costituzionalmente legittimo, tale questione sembra irrilevante,
poiché in ogni caso nella specie dovrà trovare applicazione la legge
portoghese, la legge cioè del padre naturale del minore,
legittimamente scelta dal legislatore ordinario come legge regolatrice
nel caso di diversa cittadinanza dei genitori.
3. - Nel corso di un procedimento per riconoscimento di paternità
promosso da Velonas Sotiris, cittadino greco, nei confronti del figlio
naturale Mori Giorgio, resistendo la madre Giulia Mori alla domanda di
sostituzione del cognome del figlio e dovendosi applicare la legge
dello Stato cui il minore appartiene (art. 17 disp. prel. cod. civ.;
diritto sostanziale greco che prevede in caso di riconoscimento la
automatica assunzione del solo cognome paterno), il Tribunale per i
minorenni di Milano ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dell'art. 2, n. 2, della legge 13 giugno 1912, n. 555,
nella parte in cui collega al riconoscimento paterno l'effetto
automatico dell'acquisto della cittadinanza del padre e la perdita di
quella della madre.
Il Tribunale dubita della compatibilità della norma denunziata con
gli artt. 3 e 29 della Costituzione, in primo luogo in quanto essa
sarebbe ispirata dalle norme di diritto familiare in vigore nel 1912,
che prevedevano il solo padre quale titolare normale della patria
potestà. Ciò peraltro nell'attuale assetto normativo appare del tutto
ingiustificato e immotivatamente riduttivo della posizione della madre
naturale. A questo proposito ritiene il tribunale che il principio di
uguaglianza morale e giuridica tra uomo e donna affermato dall'art. 3
della Costituzione e, per quanto riguarda i rapporti familiari,
dall'art. 29, deve essere applicato anche al di fuori dell'istituto
matrimoniale, a situazioni di libera unione. Infatti non potrebbe
ammettersi che solo all'interno del matrimonio la donna trovi garanzia
e riconoscimento della sua pari dignit', e che, al di fuori di esso,
rimanga, per quanto attiene ai rapporti familiari, la prevalenza
maschile, astrattamente prevista senza tenere conto del concreto
interesse del minore. Ma anche sotto un altro profilo la norma in esame
sembra censurabile: non è infatti motivata la diversità di
trattamento prevista a seconda che il figlio riconosciuto abbia o meno
compiuto il 18 anno di età. Nel primo caso infatti il riconosciuto
mantiene la possibilità di scegliere tra la cittadinanza italiana e
quella diversa del padre, mentre se il figlio è minorenne tale
possibilità non esiste, e la scelta effettuata dal genitore è per lui
definitiva.
L'ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Nessuno si è costituito dinanzi
alla Corte costituzionale.
4. - Nel corso del procedimento civile promosso da Anna Maria
Pincella, cittadina italiana, madre esercente la potestà sul minore
Ahmed Rahamani, figlio di cittadino marocchino, e volto ad ottenere la
cittadinanza italiana del minore, il Tribunale di Milano, con ordinanza
emessa il 18 febbraio 1981, sollevava questione di legittimità
costituzionale dell'art. 1, n. 1, della legge 13 giugno 1912, n. 555,
nella parte in cui non prevede che il figlio di cittadina italiana, che
abbia conservato la cittadinanza anche dopo il matrimonio con lo
straniero, abbia la cittadinanza italiana, in riferimento agli artt. 3
e 29, 2 comma, della Costituzione.
Secondo il Tribunale, la norma denunziata, superstite espressione
di una diversa posizione morale e giuridica dei coniugi, non appare
giustificabile con il superiore principio dell'unità familiare e come
tale attua una disparità non motivata di trattamento tra marito e
moglie.
5. - L'ordinanza è stata regolamente notificata, comunicata e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Dinanzi alla Corte costituzionale
si è costituita Anna Maria Pincella, rappresentata e difesa dall'avv.
Giovanni Merla che, ribadendo le argomentazioni svolte dall'ordinanza,
insiste per l'accoglimento della questione.
Considerato in diritto:
1. - Le tre ordinanze riassunte in narrativa sollevano questioni di
legittimità costituzionale eguali o connesse; perciò i relativi
giudizi possono essere riuniti e definiti con unica sentenza.
2. - Deve innanzitutto essere verificata la ammissibilità delle
questioni sollevate con l'ordinanza del Tribunale per i minorenni di
Firenze. Infatti la rilevanza del petitum in ordine all'art. 1, n. 2,
legge 13 giugno 1912, n. 555, dipende dalla possibilità di sottoporre
al sindacato di costituzionalità l'art. 20 delle disposizioni prel
iminari al co dice civile (in relazione, nei due casi, agli artt. 2 e 3
Cost.), art. 20 che comporterebbe l'applicazione alla specie della
legge portoghese; e ciò in contrasto con l'istanza della madre
italiana per la dichiarazione di decadenza dalla potestà sul figlio
naturale del padre straniero. Peraltro la questione di legittimità
costituzionale nei confronti dell'art. 20 preleggi è sollevata in
riferimento a contenuti normativi che risultano al tempo stesso diversi
e considerati, per così dire, alla pari: in effetti l'art. 20 è
impugnato "o nella parte in cui stabilisce che i rapporti tra i
genitori e figli naturali sono regolati dalla legge nazionale del padre
anche quando la madre italiana abbia riconosciuto il figlio o perché
non stabilisce che la legge regolatrice dei rapporti tra i genitori e
figli naturali è quella del genitore con cui il figlio, se minore,
vive". Ma l'ambivalenza della questione in ordine all'art. 20 preleggi
non può in questa sede essere superata, sicché riesce non
identificabile il thema decidendum sottoposto al giudice della
costituzionalità delle leggi.
Pertanto le questioni sollevate dal Tribunale per i minorenni di
Firenze devono essere dichiarate inammissibili.
3. - Per la sua priorità nell'ordine logico, e perché concerne
l'art. 1, n. 1, della legge n. 555 del 1912, va esaminata per prima la
questione sollevata dal Tribunale di Milano (in causa Pincella contro
Ministero Interno) in riferimento alla disposizione ora citata "nella
parte in cui non prevede che il figlio di cittadina italiana, che abbia
conservato la cittadinanza anche dopo il matrimonio con lo straniero,
abbia la cittadinanza italiana". In realtà tale norma differenzia la
situazione del marito straniero da quello della moglie italiana quanto
all'acquisto della cittadinanza italiana da parte dei discendenti
diretti del cittadino. Questa discriminazione tra coniugi in ordine
alla determinazione dello status civitatis dei figli legittimi comporta
inoltre conseguenze molteplici e di non secondario rilievo, quando si
consideri che alla cittadinanza si riconnettono situazioni soggettive
di segno diverso e di disparato contenuto, ma tutte raggruppabili in
una condizione complessivamente positiva nell'ambito dell'ordinamento
italiano.
L'art. 1, n. 1, della legge n. 555 del 1912 è in chiaro contrasto
con l'art. 3, 1 comma, (eguaglianza davanti alla legge senza
distinzione di sesso) e con l'art. 29, 2 comma, (eguaglianza morale e
giuridica dei coniugi).
Né giustifica la differenziata disciplina in tema di acquisto
della cittadinanza per nascita il richiamo ad un limite all'eguaglianza
tra i coniugi, stabilito dalla legge a garanzia della unità familiare.
Tra l'altro non si vede come la diversità di cittadinanza tra i
coniugi, ammessa dalla sentenza n. 87/1975 e dall'art. 143 ter codice
civile (introdotto dalla legge 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma
del diritto di famiglia), sia stata ritenuta compatibile con l'unità
familiare, mentre non potrebbe esserlo l'attribuzione congiunta al
figlio minore della cittadinanza paterna e di quella materna.
Nemmeno varrebbe poi, a giustificare il mancato ossequio ai
principi degli artt. 3, primo comma, e 29, secondo comma, l'esigenza di
evitare i fenomeni di doppia cittadinanza, per gli impegni assunti
anche in sede internazionale (cfr. Convenzione di Strasburgo del 1963,
la cui ratifica fu autorizzata con L. 4 ottobre 1966, n. 876, e
depositata dall'Italia con alcune riserve). Deve infatti riconoscersi
come prevalente, rispetto ad inconvenienti pur seri, la necessità di
realizzare il principio costituzionale di eguaglianza anche a proposito
di acquisto dello status civitatis per nascita. Né fanno difetto al
legislatore i mezzi per ridurre in limiti tollerabili le difficoltà
nascenti dalla pluralità di cittadinanze in capo al figlio.
Del resto anche la sentenza n. 87 del 1975 e l'art. 143 ter del
codice civile danno luogo a casi di doppia cittadinanza senza che ciò
sia valso a porre in dubbio il fondamento costituzionale delle
soluzioni adottate. In questo senso la odierna pronuncia costituisce la
logica proiezione, in tema di acquisto della cittadinanza per nascita,
della ratio decidendi accolta nella sentenza n. 87 del 1975. Tale
ratio, più che porre in rilievo la volontà del soggetto, consiste
proprio nel riconoscimento delle conseguenze che derivano dai principi
affermati nell'art. 3, primo comma, e nell'art. 29, secondo comma,
della Costituzione. Invero, anche nella fattispecie ora esaminata, ciò
che si valorizza è l'esigenza di una assimilazione giuridica nella
comunità statale di coloro che vengono considerati, effettivamente o
potenzialmente, integrati nella realtà socio - politica che
l'ordinamento deve regolare. Tale rilievo, accolto dalla dottrina
italiana che più si è occupata delle tendenze evolutive del diritto
della cittadinanza in ambito europeo, corrisponde anche alla evoluzione
del nostro diritto quale emerge dalla legge di riforma del diritto di
famiglia del 1975 e dalla giurisprudenza di questa Corte.
Certo non si può parlare, in senso tecnicamente proprio, di un
diritto dei genitori di "trasmettere ai figli" i rispettivi status
civitatis: è sempre l'ordinamento statale a prevedere le fattispecie
nelle quali si realizza l'acquisto della cittadinanza jure sanguinis,
acquisto che, dal punto di vista giuridico, esclude ogni trasferimento
o trasmissione. Ciò non toglie che la disciplina attuale, con il
prevedere l'acquisto originario soltanto della cittadinanza del padre,
lede da più punti di vista la posizione giuridica della madre nei suoi
rapporti con lo Stato e con la famiglia. In particolare non può
contestarsi l'interesse, giuridicamente rilevante, di entrambi i
genitori a che i loro figli siano cittadini e cioè membri di quella
stessa comunità statale di cui essi fanno parte e che possano godere
della tutela collegata a tale appartenenza. Del pari la disciplina
vigente lede la posizione della madre nella famiglia, se si considera
la parità nei doveri e nella responsabilità verso i figli ormai
affermata negli ordinamenti giuridici del nostro tempo (per l'Italia
valgono soprattutto i novellati artt. 143 e 147 del codice civile).
In definitiva, l'art. 1, n. 1, della legge n. 555 del 1912
rappresenta una tipica espressione della diversità di posizione
giuridica e morale dei coniugi, ritenuta necessaria dal legislatore di
quel tempo per realizzare l'unità familiare, mediante
l'assoggettamento della moglie e dei figli alla condizione,
rispettivamente, del marito e del padre. Né va dimenticato che la
disciplina impugnata contrasta con il principio di eguaglianza,
giacché tratta in modo diverso i figli legittimi di padre italiano e
di madre straniera rispetto ai figli legittimi di padre straniero e
madre italiana.
Pertanto deve essere dichiarata la illegittimità costituzionale
dell'art. 1, n. 1, della legge n. 555 del 1912, nella parte in cui non
prevede che sia cittadino per nascita anche il figlio di madre
cittadina.
In applicazione, poi, dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n.
87, va pure dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, n.
2, della legge sulla cittadinanza, che collega l'acquisto della
cittadinanza materna da parte del figlio soltanto ad ipotesi di
carattere residuale.
4. - L'ordinanza del Tribunale per i minorenni di Milano solleva
questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, 2 comma, della
legge n. 555 del 1912, in riferimento agli artt. 3 e 29 della
Costituzione. Lasciando da parte l'art. 29, che riguarda la famiglia
fondata sul matrimonio, è da chiedersi se la citata disposizione,
prevedendo che il riconoscimento del padre, nella fattispecie
straniero, abbia l'effetto automatico e necessario di fare acquisire al
figlio minore la cittadinanza straniera e di fargli perdere quella
italiana acquisita per il previo riconoscimento materno, risulti in
armonia con l'art. 3, primo comma, della Costituzione.
Quanto si è detto sopra vale a fortiori per escludere la
legittimità costituzionale del precetto impugnato. In effetti, cade in
questa fattispecie anche il richiamo alla ratio dell'unità familiare,
posta a fondamento della disciplina dell'art. 1, n. 1. Viene qui in
evidenza la disparità di trattamento in ragione di sesso e la
discriminazione conseguenziale in ordine allo status dei figli minori,
senza che sia necessario indugiare sui gravi inconvenienti pratici
sottolineati nell'ordinanza. Deve quindi dichiararsi l'illegittimità
costituzionale del 2 comma dell'art. 2 della legge n. 555 del 1912.
5. - La Corte è consapevole del travagliato iter che in sede
parlamentare, nel corso di più legislature si è svolto e si svolge
tuttora in tema di riforma delle leggi sulla cittadinanza e sul suo
adeguamento alla Costituzione, agli accordi internazionali ed alle
mutate condizioni di vita nella famiglia e fuori di essa. Pur tenuto
conto della complessità della materia, essa ritiene tuttavia che sia
quanto mai necessaria ed urgente una revisione organica dell'intera
normativa sulla cittadinanza, revisione che tenga conto di tutti i
collegamenti tra una nuova disciplina e le regole del diritto
internazionale privato.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale dell'art. 1, n. 2, della legge 13 giugno 1912, n. 555,
e dell'art. 20 delle disposizioni preliminari al codice civile,
sollevate in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione dal
Tribunale per i minorenni di Firenze;
2) dichiara l'illegittimità costituzionale:
a) dell'art. 1, n. 1, della legge 13 giugno 1912, n. 555, nella
parte in cui non prevede che sia cittadino per nascita anche il figlio
di madre cittadina;
b) dell'art. 2, comma 2, della legge predetta;
3) dichiara - in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo
1953, n. 87 - l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, n. 2, della
legge 13 giugno 1912, n. 555.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1983.
F.to: LEOPOLDO ELIA - ANTONINO DE
STEFANO - GUGLIELMO ROEHRSSEN -
ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO
PALADIN - ANTONIO LA PERGOLA -
VIRGILIO ANDRIOLI - GIUSEPPE FERRARI
- FRANCESCO SAJA - GIOVANNI CONSO.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere