Ritenuto in fatto:
Nel corso del procedimento penale a carico di Giuseppe Sacchi,
imputato del reato di cui all'art. 195 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156
(che ha approvato il "Testo unico delle disposizioni legislative in
materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni"), per aver
installato in Biella un impianto di televisione via cavo senza avere
ottenuto la concessione del Ministero delle poste e telecomunicazioni,
il pretore di quella città, con ordinanza 16 maggio 1973, accogliendo
analoga richiesta del difensore dell'imputato, dichiarava rilevante e
non manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 195 di detto t.u., in riferimento agli artt.
21,41, 43,76 e 77 della Costituzione e disponeva la trasmissione degli
atti a questa Corte per il relativo giudizio.
Nell'ordinanza di rinvio le violazioni delle norme costituzionali
sono così motivate:
1. - Per l'art. 21, in quanto, se si esclude, come mezzo di
manifestazione del pensiero, quello televisivo che, nella società
attuale è divenuto di gran lunga il più diffuso e penetrante, non si
vedrebbe come possa trovare concreta attuazione il principio
fondamentale di libertà sancito da questa norma della Costituzione.
2. - Per gli artt. 41 e 43, in quanto per la televisione via cavo,
dato il suo costo non rilevante e la possibilità di porre in opera
cavi coassiali senza limiti di quantità, non sussiste quella
inevitabilità di costituzione di monopolio od oligopolio privato, che
secondo la sentenza di questa Corte n. 59 del 1960 costituisce uno dei
motivi fondamentali di giustificazione del monopolio statale per la
televisione via etere.
3. - Per gli artt. 76 e 77, in quanto la legge di delega 28 ottobre
1970, n. 775, era limitata al coordinamento ed alle modificazioni ed
integrazioni delle leggi, da raccogliere in testo unico, necessarie al
loro ammodernamento al fine di renderle più accessibili e
comprensibili e, quindi, non poteva essere utilizzata al fine di
estendere il monopolio statale ad una nuova forma di telecomunicazioni
quale quella della televisione via cavo.
4. - Infine, argomentando dal dato di fatto che il Sacchi in data
20 aprile 1971 aveva ottenuto dal tribunale di Biella, ai sensi
dell'art. 1 della legge sulla stampa 8 febbraio 1948, n. 47, la
registrazione del suo impianto via cavo come "giornale periodico di
informazioni e cronache riprodotte a mezzo video della testata "
Telebiella A 21 TV "" si prospetta la violazione anche del secondo e
terzo comma dell'art. 21 della Costituzione, in quanto il denunziato
art. 195 del d.P.R. n. 156 del 1973, richiedendo la concessione e
facoltizzando l'Amministrazione a procedere al sequestro degli impianti
ed apparecchi, contrasta con le disposizioni di quei due commi secondo
le quali "la stampa non può essere soggetta ad autorizzazione o
censura" e non può essere sequestrata se non "per atto motivato
dell'autorità giudiziaria".
Si è costituito in giudizio il Sacchi, il di cui patrocinio, con
memoria depositata il 31 luglio 1973, riproduce, sostanzialmente, la
motivazione dell'ordinanza di rinvio, mettendo in rilievo, per quanto
attiene alla prospettata violazione dell'articolo 76 della
Costituzione, che, comunque, la delega in forza della quale è stato
emanato il t.u. n. 156 del 1973 non si estendeva fino al punto di
consentire la previsione di una nuova ipotesi di reato e conclude
chiedendo che le questioni con tale ordinanza sollevate vengano
dichiarate tutte fondate, anche nel caso che venisse riconosciuto
esistente l'eccesso di delega.
È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
che, con l'atto d'intervento, depositato il 17 agosto 1973, chiede che
le prospettate questioni vengano dichiarate tutte non fondate.
Premesso che nel concetto di "impianto radioelettrico" vanno
comprese sia la TV via etere, sia quella via cavo, in quanto entrambi
questi tipi di trasmissione si fondano sull'utilizzazione di radio
frequenze e si diversificano soltanto per il mezzo usato nella loro
propagazione che avviene nel primo caso attraverso l'etere, nel secondo
mediante l'incanalazione nel cavo, se ne traggono le seguenti
conseguenze:
1. - Poiché anche quello via cavo, per quanto precede, deve
considerarsi "impianto radioelettrico" viene meno il presupposto sul
quale dovrebbe trovar fondamento il denunziato eccesso di delega.
2. - Non sussiste violazione dell'art. 21 della Costituzione sotto
alcuno dei profili denunziati con l'ordinanza di rinvio, sia perché la
libertà di pensiero non può ritenersi compressa o violata per effetto
di limitazione dei mezzi di espressione giustificata o dalla peculiare
natura di tali mezzi o dalla esigenza di composizione con altri
interessi costituzionalmente protetti, sia perché non possono trovare
applicazione in materia di televisione le norme sulla stampa che,
evidentemente, riguardano soltanto l'espressione del pensiero col mezzo
"stampa".
3. - Poiché non è esatto che gli impianti di trasmissione via
cavo siano meno costosi e richiedano minori spese di esercizio di
quelli via etere, mentre l'utilizzazione di un numero ben maggiore di
canali, almeno allo stato, è meramente teorica, sussistono anche per
essa quelle condizioni che rendono necessari monopoli o tutt'al più
oligopoli perché ne sia possibile un'utile gestione, donde anche a
questo mezzo, che dà luogo a servizi d'interesse pubblico, deve
estendersi il monopolio statale, col che viene a cadere la denunziata
violazione degli artt. 41 e 43 della Costituzione.
Con altra memoria, depositata il 17 aprile 1974, il patrocinio del
Sacchi, a confutazione delle deduzioni dell'Avvocatura generale dello
Stato, di cui all'atto d'intervento sopra riassunto, oppone
sostanzialmente quanto segue:
1. - Non è esatto che l'impianto e l'esercizio di trasmissioni
televisive via cavo richiedono l'impiego di capitali così ingenti che
postulano la necessità di monopoli od oligopoli e, quindi, impongono
la stessa disciplina - monopolio statale - dichiarata legittima con la
sentenza di questa Corte n. 59 del 1960.
Al riguardo viene chiarito che lo "studio di produzione" in
edificio già esistente può richiedere un impegno finanziario che si
aggira intorno ai cinque milioni di lire; gli impianti per la
produzione e la diffusione via cavo dei programmi, siano essi in
diretta, registrati o filmati, possono costare intorno ai quindici
milioni di lire; la gestione di una stazione che produca programmi per
la durata giornaliera di circa 90 minuti si aggira sui tre milioni e
mezzo di lire mensili; l'installazione di una rete televisiva via cavo
ha un costo, per singolo abbonato, che si può definire tra le
cinquemila e le diecimila lire.
Si aggiunge che quanto precede è tanto vero che, sull'esempio di
Telebiella A 21 TV, nonostante il divieto dell'impugnato art. 195, si
erano già impiantate, in varie regioni, oltre 20 stazioni televisive
via cavo, nominativamente elencate nella memoria.
Di qui l'inammissibilità e la illegittimità della parificazione
della TV via etere a quella via cavo e dell'assoggettamento anche di
quest'ultima al monopolio statale sotto tutti i profili prospettati
nell'ordinanza di rinvio.
2. - Non è, del pari, esatto che la TV via cavo sia impianto
radioelettrico; di qui il denunziato eccesso di delega che, comunque,
sussiste palesemente per l'introduzione nel testo unico di un nuovo
illocito penale.
Nell'interesse del Sacchi s'insiste, pertanto, nel chiedere che
venga dichiarata la fondatezza delle sollevate questioni di
legittimità costituzionale.
Anche l'Avvocatura generale dello Stato, in data 13 maggio 1974, ha
depositato una memoria con la quale si ribadiscono le già riassunte
deduzioni e se ne aggiungono altre due desunte da fatti nuovi
sopraggiunti (sentenza 30 aprile 1974 della Corte di giustizia della
Comunità europea e l'imminente presentazione alla Camera dei Deputati
del disegno di legge concernente "Nuove norme in materia di servizi
pubblici radiotelevisivi" approvato dal Consiglio dei ministri il 30
aprile 1974).
In sostanza, lo schema logico di tali nuove deduzioni è il
seguente:
a) L'art. 8, ultimo comma, della legge 28 ottobre 1970, n. 775,
delegava al Governo la potestà di raccogliere in testi unici le
disposizioni in vigore, concernenti le singole materie "apportando, ove
d'uopo, alle stesse le modificazioni ed integrazioni necessarie per il
loro coordinamento ed ammodernamento, ai fini di una migliore
accessibilità e comprensibilità".
L'avere soppresso la menzione delle telecomunicazioni "ottiche" e
compreso nella generalizzata dizione "telocomunicazioni" la televisione
via cavo rientra nel concetto di ammodernamento del testo originario e,
pertanto, costituisce adempimento e non eccesso della delega.
Né si è creata una nuova figura di reato, essendo state soltanto
riprodotte le sanzioni preesistenti.
b) Come risulta dal parere del Consiglio superiore tecnico delle
telecomunicazioni 9 aprile 1974, n. 476 (in atti depositato), motivato
appunto con valutazioni tecniche anche se la utilizzazione dei cavi per
trasmissioni televisive amplierà notevolmente la possibilità di
diffondere i relativi programmi, deve evitarsi, come contrario ai
principi che regolano la economicità e l'impiego coordinato dei
sistemi di telecomunicazione, la possibilità di consentire la
realizzazione di un sistema costituito da una molteplicità di reti, le
quali, finendo con l'interessare tutte la medesima utenza potenziale,
risulterebbero anche sovrapposte.
Di qui la prospettiva razionale, nell'interesse pubblico, di una
estensione della televisione via cavo su base nazionale, che, per
l'enorme potenziale dei sistemi, del costo elevatissimo della loro
realizzazione, della necessità dello sfruttamento ottimale dei mezzi
esistenti e futuri e del diritto di tutti i cittadini di usufruirne,
impone che la sua realizzazione e l'esercizio delle relative reti siano
effettuati con i criteri adottati per i pubblici servizi di
telocomunicazioni, evitando la proliferazione di iniziative isolate e
settoriali.
Tutto ciò, che del resto trova conferma nei sistemi adottati nella
maggior parte dei Paesi europei (Francia, Germania federale,
Inghilterra, Belgio) implica che anche la TV via cavo vada disciplinata
come servizio pubblico d'interesse generale.
Ne consegue la legittimità costituzionale, in riferimento sia
all'art. 21, sia agli artt. 41 e 43 della Costituzione in conformità
con i principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte.
c) Poiché non possono estendersi in materia le disposizioni sulla
stampa viene meno la violazione dell'art. 41 della Costituzione
prospettata sul presupposto di tale estensione.
d) La sentenza 30 aprile 1974 della Corte di giustizia della
Comunità europea, emessa sulla domanda di pronunzia pregiudiziale,
proposta a norma dell'art. 177 del Trattato C.e.e., dal tribunale di
Biella nel procedimento penale innanzi ad esso pendente a carico del
Sacchi, ha riconosciuto che anche la TV via cavo costituisce servizio
essenziale di interesse pubblico.
e) Col disegno di legge concernente "Nuove norme in materia di
servizi pubblici radiotelevisivi", approvato dal Consiglio dei ministri
(del quale è stata depositata copia), si investe il Parlamento della
discussione ed approvazione di vaste ed organiche proposte, che
attengono sia alla struttura degli organi preposti al servizio, sia al
più ampio diritto di accesso all'uso del mezzo radiotelevisivo, sotto
la diretta supervisione della Commissione parlamentare di vigilanza
opportunamente integrata e potenziata.
All'udienza odierna il rappresentante l'Avvocatura generale dello
Stato ha illustrato oralmente le sopra riportate dedizioni, mentre il
patrocinio del Sacchi non è intervenuto.
Considerato in diritto:
1. - Il d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (che ha approvato il "T.U.
delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di
telecomunicazioni"), all'art. 1, nell'elencare i servizi che
appartengono in esclusiva allo Stato, unifica nella sola voce
"telecomunicazioni" tutti i mezzi di comunicazione a distanza che nel
precedente testo unico, approvato con r.d. 27 febbraio 1936, n. 645,
erano specificamente elencati in mezzi telegrafici, telefonici,
radioelettrici ed ottici.
In relazione a tale riserva esclusiva, l'art. 183 del nuovo testo
unico statuisce che "nessuno può eseguire od esercitare impianti di
telecomunicazioni senza avere ottenuto la relativa concessione" e
l'art. 195 prevede, per chi "stabilisca od eserciti senza la
concessione prescritta, impianti di telecomunicazioni, l'ammenda da
lire 10.000 a lire 100.000 se il fatto non si riferisce ad impianti
radioelettrici, l'arresto da tre a sei mesi e l'ammenda da lire 20.000
a lire 200.000 se il fatto riguarda impianti radioelettrici".
All'ultimo comma l'art. 195 stabilisce: "Ai fini delle disposizioni del
presente articolo, costituiscono impianti radioelettrici anche quelli
trasmittenti o ripetitori, sia attivi che passivi, per radioaudizioni o
televisione, nonché gl'impianti di distribuzione di programmi sonori o
visivi realizzati via cavo o con qualunque altro mezzo".
Come si è riferito in narrativa, il pretore di Biella, nel corso
di un procedimento penale a carico di un imputato del reato preveduto
dal citato art. 195 per avere stabilito ed esercitato un impianto di
televisione via cavo, ha ritenuto rilevante e non manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale di detto art. 195
del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, in riferimento agli artt. 21,41,
43,76 e 77 della Costituzione.
Più precisamente il pretore, affermando che, in sostanza, con la
denunciata norma, si è esteso il monopolio statale alla TV via cavo,
contesta la legittimità costituzionale di tale estensione sotto i
seguenti profili:
a) la prescrizione della concessione amministrativa per l'esercizio
di impianti televisivi via cavo e le sanzioni penali per il caso di
esercizio senza concessione, escludendo la libera manifestazione del
pensiero attraverso il mezzo televisivo, sono in contrasto con l'art.
21, comma primo, della Costituzione, che sancisce il diritto di tutti
di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo
scritto e ogni altro mezzo di diffusione, nonché - qualora la
televisione via cavo possa essere assimilata alla stampa - anche con i
commi secondo e terzo dello stesso art. 21;
b) giacché i canali realizzabili mediante cavo sono illimitati e
di costo non rilevante, l'estensione del monopolio statale alla
televisione via cavo, non potendo giustificarsi in base all'esistenza
di un monopolio di fatto dovuto a ragioni tecniche, come per la
televisione via etere, contrasta con gli artt. 41 e 43 della
Costituzione;
c) con la legge 28 ottobre 1970, n. 775, il Governo era stato
delegato a raccogliere in testi unici disposizioni vigenti relative a
procedimenti amministrativi, apportandovi le modificazioni e
integrazioni necessarie per il loro coordinamento al fine di renderle
più accessibili e comprensibili: l'art. 195 eccede tali limiti
poiché, esorbitando dalla delega, include tra gli apparecchi
radioelettrici gli impianti di televisione via cavo, che tali non sono,
ed estende ad essi una normativa che in precedenza non era applicabile,
configurando una nuova ipotesi di reato, in violazione degli artt. 76 e
77 della Costituzione.
In relazione a tali questioni si rileva quanto segue.
2. - Nonostante il pretore di Biella abbia indicato nell'art. 195
del d.P.R. n. 156 del 1973 la norma impugnata, dal contesto
dell'ordinanza di rimessione si rileva che le questioni di legittimità
costituzionale sollevate, investono in via generale la stessa riserva
allo Stato dell'impianto e dell'esercizio di apparecchi di televisione
via cavo, e cioè l'art. 1 del t.u., nella parte in cui ricomprende la
televisione via cavo fra i servizi di telecomunicazione che
appartengono in esclusiva allo Stato e l'art. 183, il quale, anche con
riferimento agl'impianti di televisione via cavo, stabilisce che
"nessuno può eseguire o esercitare impianti di telecomunicazione senza
avere ottenuto la relativa concessione".
Pertanto, ancorché manchi una specifica denuncia di tali norme,
essendo queste implicitamente e univocamente contenute nell'ordinanza
di rimessione, questa Corte - in conformità con la sua costante
giurisprudenza al riguardo - non può esimersi dall'esaminare le
questioni sollevate nella loro effettiva ampiezza.
Ciò premesso, va osservato - anche se nell'ordinanza di rinvio è
prospettato per ultimo ed il patrocinio della parte privata ha chiesto
che in ogni caso vengano esaminate anche le altre questioni - che
pregiudiziale e, se fondato, assorbente è il denunziato eccesso di
delega.
Un tale eccesso, però, non sussiste.
Prima dell'emanazione del d.P.R. n. 156 del 1973, l'art. 1 del r.d.
27 febbraio 1936, n. 645, già riservava allo Stato l'esercizio di
tutti gl'impianti di telecomunicazioni, che i privati potevano
esercitare solo previa concessione amministrativa (art. 166); l'art.
178 (vigente nel testo modificato dall'art. 2 della legge 14 marzo
1952, n. 196) puniva penalmente la lesione di tale riserva, con
sanzioni diverse a seconda che il fatto riguardasse o non riguardasse
impianti radioelettrici. Il nuovo codice postale, mantenendo all'art. 1
la riserva, non ha innovato la precedente disciplina, limitandosi a
dare, con la normativa dettata all'art. 195, una interpretazione
autentica di essa, stabilendo - allo scopo di eliminare ogni incertezza
circa l'applicazione delle sanzioni da esso previste - che tutti
gl'impianti di distribuzione di programmi sonori o visivi vanno
considerati impianti radioelettrici. Non vi è, quindi, violazione
degli artt. 76 e 77 della Costituzione, essendosi il legislatore
delegato limitato ad apportare alla normativa già vigente quelle
interpretazioni necessarie a renderla più comprensibile, come la legge
di delegazione lo aveva autorizzato a fare.
Ugualmente disattese vanno le censure prospettate in riferimento
all'art. 21, commi secondo e terzo, della Costituzione, nel presupposto
che la televisione via cavo possa essere assimilata alla stampa.
Tale presupposto, infatti, non sussiste, in quanto la stampa
presenta caratteristiche peculiari, che ne hanno imposta una specifica
disciplina, la quale non può di per sé estendersi ad altri mezzi di
espressione e comunicazione del pensiero di diversa natura, tra i quali
è da annoverarsi la TV via cavo.
3. - Prima di passare all'esame delle altre questioni prospettate
con l'ordinanza di rinvio, occorre a questo punto precisare che la
differenza pratica di maggior rilievo ai fini del presente giudizio,
fra televisione via cavo e televisione via etere, è data dalla
limitatezza dei canali realizzabili via etere e dall'illimitatezza dei
canali realizzabili via cavo, potendosi questi aumentare
indefinitamente moltiplicando il numero dei cavi, com'è pacificamente
e universalmente riconosciuto.
In Europa la televisione via cavo non ha avuto finora attuazione e
diffusione su vasta scala, essendo ancora allo stato sperimentale ed
incominciando a sorgere solo da poco impianti di un qualche interesse.
Essa ha avuto, invece, un notevole sviluppo in Giappone e negli Stati
Uniti d'America, dove la sua realizzazione è affidata all'iniziativa
privata, previa licenza governativa. In entrambi questi Stati l'impiego
della televisione via cavo è attualmente limitato all'integrazione
della televisione via etere - le cui trasmissioni vengono
fatte pervenire via cavo in località lontane o isolate - nonché a
trasmissioni autonome a corto raggio, interessanti agglomerati urbani.
È di particolare interesse rilevare che negli Stati Uniti, dove è
in atto un largo uso della televisione via cavo e tale mezzo di
comunicazione si va sviluppando da oltre venti anni, le reti di
televisione via cavo hanno tutte carattere locale e le famiglie da esse
servite, alla fine del 1971, non superavano la cifra di 5.900.000 su
oltre 200 milioni di abitanti.
L'ordinanza di rinvio e la parte privata, richiamandosi ai principi
affermati con la sentenza n. 59 del 1960 di questa Corte, a sostegno
della dedotta questione di legittimità costituzionale, pongono appunto
in evidenza che, se anche per la televisione via etere permane tuttora
il limite derivante dagli accordi internazionali vigenti in materia, è
invece possibile realizzare via cavo un numero notevole d'impianti
televisivi. Con la conseguenza che per la televisione via cavo non
sussisterebbe quel pericolo di costituzione di monopoli od oligopoli
privati, di fronte al quale, secondo la citata sentenza, esigenze
prevalenti d'interesse pubblico giustificherebbero il monopolio
statale.
L'Avvocatura dello Stato, per contro, obbietta che il pericolo
dell'oligopolio è insito nel costo degli impianti e vi è un interesse
pubblico a che la televisione via cavo sia realizzata secondo una
prospettiva globale, che eviti dispersione di risorse e "duplicazione"
d'impianti e comprenda, coordinandoli, tutti i sistemi di
telecomunicazione su piano nazionale.
A sostegno di tale tesi è stato allegato un parere del Consiglio
superiore tecnico delle telecomunicazioni, nel quale appunto si afferma
l'opportunità di evitare iniziative settoriali, che darebbero luogo ad
una proliferazione di reti parziali, financo sovrapposte, con
conseguente dispersione di mezzi che andrebbero, invece, convogliati
tutti al fine della realizzazione di un'unica rete nazionale,
comprensiva della totalità degli impianti di telecomunicazioni e non
solo di quelli televisivi.
In relazione a dette affermazioni va rilevato che il costo di un
impianto di televisione via cavo, il quale comprenda l'intero
territorio nazionale o comunque la massima parte di esso, potrebbe
essere talmente elevato da dare luogo a gravi pericoli d'insorgenza di
situazioni monopolistiche od oligopolistiche qualora la sua
realizzazione non resti riservata allo Stato ma sia intrapresa da
privati.
Pertanto le stesse ragioni che in via di principio giustificano il
monopolio statale della radiotelevisione via etere giustificano la
riserva allo Stato degli analoghi servizi via cavo quando questi
assumono le dimensioni innanzi indicate.
Va peraltro aggiunto che siffatta riserva, per essere
costituzionalmente legittima, deve essere accompagnata da una
disciplina che, nei sensi richiesti dalla sentenza n. 225 depositata in
data di oggi, è essenziale per garantire che la gestione sia
indirizzata ai fini in vista dei quali è consentita la sottrazione
alla libera iniziativa dei privati. A tale proposito la Corte rinvia
alle indicazioni contenute in quella decisione non senza aggiungere
che, in relazione alla maggiore disponibilità dei canali di
trasmissione, deve essere dato più ampio spazio al diritto di accesso.
4. - Diverso discorso deve essere fatto per quanto riguarda
l'installazione e l'esercizio di reti radiotelevisive via cavo a raggio
limitato che, per la loro dimensione locale, non integrino, nei sensi
innanzi detti, quella fattispecie per la quale legittimamente può
disporsi la riserva allo Stato.
Invero l'art. 41 della Costituzione statuisce, al primo comma, che
l'iniziativa economica privata è libera. L'art. 43 statuisce che solo
a fini di utilità generale la legge può riservare originariamente
allo Stato, a Enti pubblici e a comunità di lavoratori o di utenti
determinate imprese o categorie di imprese che si riferiscono a servizi
pubblici essenziali, o a fonti di energia, o a situazioni di monopolio
ed abbiano carattere di preminente interesse generale. L'art. 21,
primo comma, statuisce che tutti hanno diritto di manifestare
liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro
mezzo di diffusione.
Orbene, gl'impianti di televisione via cavo a carattere locale non
hanno, entro certi limiti, un costo non sostenibile da singole imprese,
come dimostrano l'esperienza estera e la stessa modesta esperienza
italiana al riguardo. Il che è riconosciuto anche nel sopra menzionato
parere del Consiglio superiore tecnico delle telecomunicazioni, nel
quale si afferma che, in mancanza della riserva allo Stato, in Italia
gl'impianti di televisione via cavo sarebbero destinati a proliferare,
dando luogo ad una pluralità di reti parziali e non, quindi, a
situazioni di monopolio od oligopolio.
Di fronte a tale situazione, consegue che va rilevata,
limitatamente all'installazione e all'esercizio di reti locali di
televisione via cavo, la carenza di quei fini di utilità generale che
potrebbero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, legittimarne a
norma dell'art. 43 della Costituzione la riserva allo Stato, disposta
dall'art. 1 del d.P.R. n. 156 del 1973, ribadita dall'art. 183 e
sanzionata penalmente dall'art. 195. Non si vede infatti quale
"utilità generale" possa avere, nel nostro ordinamento costituzionale,
inibire, comprimendo l'iniziativa privata, la realizzazione di una
pluralità di reti televisive via cavo, attraverso le quali sia più
largamente attuata la libertà di manifestazione del pensiero sancita
dal primo comma dell'art. 21 della Costituzione.
Tale "utilità generale", va ulteriormente sottolineato, come non
può essere ravvisata nell'esigenza di evitare il pericolo del
costituirsi di oligopoli privati - il quale non sussiste e comunque,
anche a volere aderire alle opinioni più pessimistiche, non è più
grave di quello esistente per la stampa quotidiana e periodica,
attività questa che nessuno osa pretendere di riservare allo Stato -
così non è neppure ravvisabile nell'opportunità di realizzare il
sopra menzionato progetto, tuttora in fase di elaborazione, di
organizzare un servizio globale di telocomunicazioni. Lo Stato,
infatti, ben può procedere alla sua realizzazione pur senza vietare
gl'impianti locali privati di televisione via cavo e senza comprimere
le libertà garantite dagli artt. 21 e 41 della Costituzione.
Ciò non significa, peraltro, che il legislatore non possa
disciplinare con legge l'installazione e l'esercizio delle reti private
di televisione via cavo, essendo tale installazione od esercizio
strettamente collegati ad interessi generali e dovendo perciò essere
attuati in armonia e non in contrasto con i su detti interessi.
Quindi, anche se non sussistono per le reti locali di televisione
via cavo - come del resto per la generalità delle attività
imprenditoriali - ragioni di "utilità generale" che ne giustifichino
una riserva allo Stato, la loro installazione e il loro esercizio
possono essere senz'altro legittimamente ed opportunamente disciplinati
con legge, in modo da assicurare che, nel rispetto della libertà di
manifestazione del pensiero e d'iniziativa economica, siano
salvaguardati gli interessi pubblici, che, in varia guisa, possono
entrare in giuoco.
All'uopo, pertanto, potrà stabilirsi che sia l'installazione sia
l'esercizio siano subordinati ad autorizzazione amministrativa, da
rilasciarsi ove sussistano le condizioni previste dalla legge.
Naturalmente, quando concorrano tali condizioni, l'autorizzazione
è vincolata e non meramente discrezionale, con tutte le conseguenze
che tale sua natura comporta nel nostro ordinamento.
5. - In conseguenza di quanto fin qui si è detto la riserva allo
Stato dei servizi radiotelevisivi via cavo, così come disposta dalle
norme impugnate, risulta illegittima per il concorso di due
fondamentali motivi: a) perché essa include anche attività che, nei
sensi anzidetti, non possono essere sottratte all'iniziativa dei
privati; b) perché, nella parte di legittima operatività, essa non
soggiace ad una disciplina sufficiente a garantire il raggiungimento
dei fini in vista dei quali la Costituzione la consente.
Va dichiarata, in conseguenza, nei sensi di cui in motivazione,
l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 del d.P.R. 29 marzo 1973,
n. 156, nella parte in cui riserva allo Stato anche l'installazione e
l'esercizio di reti locali di televisione via cavo; dell'art. 183 di
detto decreto, nella parte in cui vieta l'installazione e l'esercizio
di tali reti senza avere previamente ottenuto la relativa concessione;
dell'art. 195 di tale decreto, nella parte in cui punisce tale
installazione ed esercizio senza la previa concessione.