Ritenuto in fatto:
1. - Con ordinanza del 12 luglio 1971 - emessa in alcuni
procedimenti civili riuniti, aventi ad oggetto controversie concernenti
l'affrancazione giudiziale di canoni enfiteutici - il pretore di
Licata, a seguito di un'eccezione proposta dalla parte interessata, ha
sollevato questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 2
della legge 18 dicembre 1970, n. 1138 ("nuove norme in materia di
enfiteusi").
La legge impugnata ha disposto, tra l'altro, che per le enfiteusi
rustiche costituite dopo il 28 ottobre 1941- limitatamente alle quali
questa Corte con la sentenza n. 37 del 1969 dichiarò l'illegittimità
costituzionale dell'art. 1 della legge 22 luglio 1966, n. 607 - , ai
fini della determinazione dei canoni "si ha riguardo alla qualifica ed
alla classe catastale esistenti al momento della Costituzione del
rapporto". Ad avviso del giudice a quo, nonostante questa innovazione,
la norma incorre nella violazione dell'art. 42, terzo comma, della
Costituzione per le stesse ragioni poste a fondamento della ricordata
decisione: ed infatti, anche la nuova legge, attraverso il richiamo
all'art. 1 della legge n. 607 del 1966, mantiene fermo il riferimento
agli estimi previsti dalla legge 29 giugno 1939, n. 976, senza alcuna
revisione successiva oltre a quella apportata dal d.l. C.P.S. 12 maggio
1947, n. 356, con aggancio, quindi, alla "media dei prezzi correnti nel
periodo compreso tra il 1 gennaio 1937 e la fine delle operazioni di
revisione". E perciò - così prosegue l'ordinanza - se si tiene conto
dei rilevanti fenomeni di svalutazione monetaria verificatasi da allora
ad oggi, si deve giungere alla conclusione che il solo aggiornamento
del parametro relativo alla reale situazione culturale dei fondi non
evita affatto quella dissociazione "tra il momento dell'incidenza
indennizzabile sul diritto colpito ed il momento cui va riferito il
calcolo di quest'ultimo", che la Corte ha più volte dichiarata
illegittima: il canone ed il capitale di affranco assumono il carattere
di corrispettivo meramente simbolico e, poiché il diritto di
affrancazione si sostanzia nell'espropriazione del fondo, risulta
violato il principio costituzionale dell'equo indennizzo.
2. - La stessa questione di legittimità costituzionale è stata
sollevata dal pretore di Bovino con ordinanza emessa il 3 febbraio 1972
nel corso di procedimenti riuniti aventi ad oggetto domande di
affrancazione. I motivi che il giudice a quo espone sono identici,
nella sostanza, a quelli enunciati nell'ordinanza del pretore di
Licata, ai quali si aggiunge il rilievo che la dissociazione fra il
momento dell'esproprio ed il momento al quale va riferito il calcolo
dei canoni e, quindi, del capitale di affranco, è determinata anche
dalla circostanza che la possibilità di rettifica della classe e della
qualifica dei terreni è rapportata, secondo il disposto della legge
impugnata, al tempo della Costituzione del rapporto.
3. - Nel giudizio promosso dal pretore di Bovino si sono costituiti
i signori De Paulis Rocco ed altri a la signora D'Emilio Mariantonia, i
quali hanno chiesto l'accoglimento della questione.
4. - La discussione delle dette questioni è stata fissata per
l'udienza del 4 luglio 1972 e, con ordinanza n. 153 del 14 luglio 1972,
la Corte ha ritenuto opportuno acquisire attraverso il Ministero
dell'agricoltura e foreste dati ed elementi concernenti: a) il grado di
diffusione, dopo il 28 ottobre 1941, della Costituzione di nuovi
rapporti enfiteutici o a questi assimilati in base alla legge n. 607
del 1966; b) le cause economiche del fenomeno, con particolare
riferimento all'incidenza del ricorso ai benefici previsti dall'art. 11
del d.P.R. 24 febbraio 1948, n. 114, in relazione alle leggi di riforma
fondiaria; c) la determinazione dei canoni in comparazione con quelli
riguardanti l'affitto di fondi. La Corte ha ritenuto opportuno altresì
acquisire, attraverso il Ministero delle finanze, dati concernenti
l'esercizio da parte dei concedenti della facoltà, prevista dal
secondo comma del denunziato articolo 2 della legge n. 1138 del 1970,
di richiedere l'accertamento della qualifica e della classifica
catastale corrispondenti alla reale situazione dei fondi alla data di
Costituzione dei rapporti.
Entro il termine all'uopo prefissato con la detta ordinanza sono
pervenute le notizie come sopra richieste, che risultano allegate agli
atti.
5. - È stata quindi nuovamente fissata l'odierna udienza di
discussione in cui la Corte è chiamata a pronunciarsi anche in ordine
alle stesse questioni sollevate in relazione alla detta legge 18
dicembre 1970, n. 1138, con altre ordinanze dei pretori di Ispica ed
Aragona.
6. - Il pretore di Ispica, con due ordinanze di identico tenore
emesse l'11 marzo 1972, ha prospettato, nel corso di due procedimenti
per affrancazione di fondi enfiteutici, questione analoga alle
precedenti per quanto riguarda la pretesa violazione dell'art. 42 Cost.
aggiungendo peraltro un ulteriore profilo di illegittimità in quanto
l'imposizione di un canone unico diverso da quello pattizio
concreterebbe una violazione retroattiva dell'autonomia contrattuale
privata in difetto di quel "preciso indirizzo e coordinamento per
finalità sociali" che soltanto, a norma dell'art. 41 Cost.,
legittimerebbe l'adozione di limitazioni in materia. Onde risulterebbe
violato anche tale precetto costituzionale. È da rilevare poi che nel
dispositivo delle dette ordinanze la norma denunziata è stata indicata
come l'art. 12 della legge n. 1138 del 1970, concernente disposizioni
sulla competenza del pretore in materia.
7. - Il pretore di Aragona in analogo procedimento ha sollevato,
con ordinanza del 17 ottobre 1972, questione identica a quella di cui
alla citata ordinanza del pretore di Licata.
8. - Nella causa proveniente dal pretore di Ispica si è costituito
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso come
per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato nei
termini le proprie deduzioni, con cui contesta le censure di
illegittimità svolte nell'ordinanza di rinvio.
Quanto alla pretesa violazione dell'art. 41 Cost. l'Avvocatura
osserva che, diversamente da quanto affermato nell'ordinanza di rinvio,
tratterebbesi di limitazioni all'attività economica ampiamente
giustificate dalla realizzazione della finalità di correggere il
vetusto istituto dell'enfiteusi ad evidenti scopi di equità sociale e
di utilità economica generale, onde la questione sarebbe infondata.
Né sussisterebbe la pretesa irrisorietà del prezzo di
affrancazione, perché, col sistema di determinazione in esame, il
legislatore avrebbe equamente stabilito i limiti della rivalutazione
collegandoli al criterio obiettivo costituito dalla qualifica e dalla
classe catastale dei terreni al momento della Costituzione del
rapporto, completato dalla facoltà del concedente di richiedere la
riqualificazione dei terreni stessi. Ciò, secondo l'Avvocatura,
sarebbe sufficiente ad escludere fondamento alla censura, tenuto conto
che non sarebbe necessario, per l'osservanza del precetto
costituzionale, una puntuale corrispondenza tra indennizzo e valore
venale.
La difesa delle parti private De Paulis, costituite nella causa
proveniente dal pretore di Bovino, ha depositato nei termini una
memoria illustrativa con cui esamina anzitutto le risultanze degli
accertamenti disposti dalla Corte con l'ordinanza n. 153 del 1972 ed
afferma che, in base ai dati tecnici forniti dal Ministero
dell'agricoltura e foreste, i canoni enfiteutici calcolati ai sensi
delle norme impugnate risulterebbero fortemente ridotti rispetto a
quelli che sarebbero applicabili in caso di affitto dei fondi oggetto
dell'indagine. Inoltre la Costituzione dei rapporti enfiteutici in
Sicilia in epoca successiva alla data del 28 ottobre 1941 e
segnatamente intorno al 1950, sarebbe stata motivata non, come parrebbe
affermarsi nella relazione ministeriale, dalla intenzione di eludere le
leggi in materia di riforma agraria, che esentavano dalle disposizioni
limitatrici i fondi concessi in enfiteusi, bensì dall'adeguamento
della proprietà fondiaria alle leggi stesse, che avrebbero disposto la
esenzione appunto nell'intento di favorire l'istituto enfiteutico.
Nella memoria si torna, poi, a svolgere la censura di
illegittimità fondata sulla presunta violazione dell'art. 42 Cost. con
ampi riferimenti al sistema di accertamento catastale del reddito
dominicale, per ribadire la grave discrasia temporale già posta a base
della censura stessa, e la conseguente violazione del principio
costituzionale secondo cui ad ogni provvedimento ablativo di carattere
reale deve fare riscontro un indennizzo che non sia puramente
simbolico.
Ed al riguardo la difesa si richiama alla motivazione della
sentenza n. 155 del 1972 della Corte costituzionale, concernente i
canoni di affitto dei fondi rustici, per desumerne la iniquità del
sistema di valutazione sancito dalle norme impugnate.
La memoria svolge altresì un aspetto di illegittimità (pretesa
violazione dell'art. 3 Cost. per effetto della diversa disciplina
preferenziale stabilita per le enfiteusi urbane) che peraltro non
risulta indicato nelle ordinanze di rimessione attualmente all'esame
della Corte.
Considerato in diritto:
1. - Le cinque ordinanze di cui in epigrafe sollevano la stessa
questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 18
dicembre 1970, n. 1138, contenente nuove norme in materia di enfiteusi
(soltanto l'ordinanza del pretore di Ispica indica in dispositivo
l'art. 12 della predetta legge in luogo dell'art. 2 ma ciò per
evidente errore materiale di trascrizione, come risulta chiaro dal
contesto dell'ordinanza).
Data l'unicità dell'oggetto, i giudizi possono essere riuniti, per
essere decisi con unica sentenza.
2. - La questione è sollevata da tutte le ordinanze in riferimento
all'art. 42, terzo comma, della Costituzione, con estensione, soltanto
da parte delle ordinanze del pretore di Ispica. all'art. 41, primo e
terzo comma.
In sintesi, si assume nelle ordinanze che la norma denunciata,
attraverso l'espresso richiamo all'art. 1 della precedente legge n. 607
del 1966, mantiene fermo, per i rapporti enfiteutici o assimilati
costituiti dopo il 28 ottobre 1941, l'obbligo del riferimento agli
estimi previsti dalla legge n. 976 del 1939, senza che il pur disposto
aggiornamento del parametro relativo alla qualifica ed alla classe
catastale esistenti al momento della Costituzione del rapporto, sia
accompagnato dal calcolo dei relativi fenomeni di deprezzamento della
moneta, nel frattempo notoriamente verificatisi. Sicché la nuova
norma, producendo i suoi effetti sulla misura, esigua, insufficiente e
inattuale del capitale di affranco, darebbe luogo allo stesso difetto
di legittimità dell'art. 1 legge del 1966, difetto già riconosciuto
da questa Corte, in relazione all'art. 42 Cost. con la sentenza n. 37
del 1969.
L'ulteriore richiamo all'art. 41 Cost. è basato dal pretore di
Ispica sul motivo che l'imposizione di un canone unico, diverso da
quello pattizio, violerebbe retroattivamente l'autonomia contrattuale
privata, all'infuori della esistenza di fini sociali da perseguire.
3. - Ciò premesso, la Corte rileva che l'art. 2, in questione,
della legge del 1970, costituisce una rinnovata applicazione del
richiamato art. 1 della legge n. 607 del 1966: cioè, riafferma il
principio della limitazione obbligatoria della misura dei canoni
enfiteutici e delle altre prestazioni fondiarie, in corrispondenza al
reddito imponibile dominicale del fondo, da determinarsi a norma del
d.l. 4 aprile 1939, n. 589 (convertito in legge n. 976 del 1939)
rivalutato con i coefficienti di cui al d.l. C.P.S. n. 356 del 1947:
ossia, conferma il riferimento al reddito imponibile del fondo,
espresso in catasto, ed alle tariffe d'estimo, formate in base ai
prezzi del 1939. Risulta, tuttavia, modificato l'ultimo comma dell'art.
1 nel senso di rapportare la qualifica catastale alla data della
Costituzione del rapporto anziché al 30 giugno 1939. Tutto ciò con la
conseguente correlazione fra ammontare dei canoni, come sopra fissati,
e ammontare del capitale di affranco (articolo 9 stessa legge del
1970).
Poiché con la sentenza di questa Corte n. 37 del 1969 il citato
art. 1 è stato dichiarato illegittimo "nella parte riguardante i
rapporti in esame conclusi dopo il 28 ottobre 1941", occorre ora
accertare la legittimità del nuovo regolamento di questi ultimi
rapporti, avvenuto con la legge del 1970. In proposito, è dato
evincere dagli Atti parlamentari (particolarmente dalle Relazioni
illustrative del Disegno di legge) i motivi che hanno indotto
all'aggancio dei canoni al reddito imponibile dominicale.
Si è ritenuto di giustificare detto aggancio per considerazioni
attinenti: all'antisocialità del monopolio fondiario: alla
possibilità di conseguire una parziale esenzione dall'esproprio
secondo le leggi di riforma agraria, offerta ai proprietari mediante la
concessione in enfiteusi, circostanza, questa, verificatasi
prevalentemente nella Regione siciliana: alla connessa onerosità,
oltre il carico fiscale, dei canoni enfiteutici, pari e più spesso
superiori alle misure dei canoni di affitto, senza più possibilità di
revisione, dopo l'abrogazione dell'art. 962 c.c. avvenuta con l'art. 18
legge del 1966.
4. - La Corte osserva che il riferimento al reddito imponibile
risultante dai dati catastali, non è, di per sé, da considerare
illegittimo. Ciò non è stato smentito, in via di principio, dalla
citata sentenza n. 37 del 1969 in tema di canoni enfiteutici: ed è
stato, poi, ammesso altresì con la successiva sentenza n. 155 del
1972, che pur concerne una ben distinta fattispecie, quale l'affitto
dei fondi rustici, oggetto di diversa disciplina giuridica.
La "utilizzabilità in astratto dei dati catastali" è stata
riconosciuta come mezzo possibile per conseguire il riferimento ad un
reddito a base orientativa, secondo una media di valutazioni e
calcolazioni, atte a condurre, nell'ambito di suddivisiolli zonali,
regionali e comunali, a risultati di sufficiente approssimazione.
Occorre, tuttavia, tenere distinta la funzione generica del ricorso
ai dati catastali dalla misura della loro operatività in concreto,
affinché ne sia mantenuta adeguata nei limiti di una ragionevole
approssimazione, la corrispondenza con la effettiva realtà economica,
a seconda delle modificazioni ricorrenti circa gli elementi di fatto ai
quali fare riferimento.
Come si è detto, la sentenza n. 37 del 1969 ha dichiarato
l'illegittimità del cennato art. 1 della legge n. 607 del 1966 per i
rapporti conclusi dopo la data del 28 ottobre 1941: ciò nel senso,
spiegato in motivazione, che i dati catastali del 1939, pur con
l'applicazione dei coefficienti stabiliti nel 1947, non
rispecchiassero, di per sé, la realtà della situazione successiva
sino all'attuale, in relazione ai verificatisi mutamenti dei valori
monetari e, quindi, non garantissero la congruità del capitale
d'affranco, in riferimento all'art. 42 della Costituzione. Il tutto
accompagnato dalla considerazione che i rapporti conclusi dopo il 28
ottobre 1941 erano sorti sotto l'egida dell'art. 962 c.c. che aveva
riconosciuto il diritto alla revisione del canone.
Viceversa, l'impugnato art. 2 della legge del 1970 si è limitato
ad operare una mera trasposizione dell'art. 1 della legge del 1966, al
dichiarato fine di farne "applicazione" senza che vi si rinvenga un
collegamento di conseguenzialità con le considerazioni poste a base
della precedente sentenza di questa Corte.
L'art. 9 della legge in esame, disponendo come debba operarsi "in
ogni caso" l'affrancazione del fondo, si riporta, calcolandolo a una
misura pari a quindici volte, ad un canone determinato con riferimento
a un lontano tempo anteatto, cioè a quel canone espresso, secondo la
citata sentenza n. 155 del 1972 "in moneta del 1939" e, quindi,
inaccettabile per la sua distanza dai valori reali.
5. - La nuova legge ha, bensì mutato la precedente nel punto
riguardante la qualifica e la classe catastale, ragguagliate ora alla
data della Costituzione del rapporto, ed ha altresì riconosciuto al
concedente la facoltà di chiedere nuovo accertamento di diversa
qualifica a quella data. Tali innovazioni rispondono soltanto ad uno
dei criteri accennati nella precedente sentenza, ma non esauriscono la
più vasta tematica suscitata dal problema, quale ivi posta in primaria
evidenza. Ciò perché è stato pur sempre mantenuto il calcolo dei
valori in termini di reddito imponibile dominicale, secondo le tariffe
d'estimo stabilite a norma del r.d.l. n. 589 del 1939 ed anche la
possibilità di revisione del classamento comporta pur sempre
l'applicazione di dette tariffe.
La regolamentazione dell'istituto, adottata, sul punto, dalla nuova
legge, continua a rimanere carente di quegli elementi che, al fine di
un'equa determinazione dei canoni e dei capitali di affranco, consenta
di soddisfare le esigenze espresse dall'art. 42 della Costituzione.
6. - Va ricordato che nell'anno 1948, quando già erano in corso di
preparazione le leggi di riforma fondiaria, fu emanato il d.legisl. 24
febbraio n. 114 (ratificato con legge 22 marzo 1950, n. 144) contenente
provvedimenti a favore della piccola proprietà contadina, con il quale
venivano accordate agevolazioni fiscali per le concessioni in enfiteusi
di fondi rustici a favore di lavoratori manuali della terra non
proprietari (art. 1) e veniva altresì dichiarato (art. 11) che nella
eventualità di disposizioni limitatrici della proprietà fondiaria
privata, non si sarebbe tenuto conto, nell'applicazione del limite, di
una superficie pari a quella dei terreni venduti o ceduti in enfiteusi.
Tale disposizione fu, poi, espressamente confermata con l'art. 20,
ultimo comma, della legge 21 ottobre 1950, n. 841, per la
espropriazione, bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni ai
contadini (cosiddetta legge stralcio) e, infine, abrogata solo a
distanza di tempo con legge 1 febbraio 1956, n. 53. Questo particolare
trattamento, riservato ai rapporti di enfiteusi, risulta, quindi,
inserito nel quadro generale dei provvedimenti diretti ad attuare,
mediante la riforma fondiaria, lo sviluppo della proprietà contadina.
Ciò appare tanto più plausibile, ove si tenga presente la natura
tradizionale dell'enfiteusi avente già come dato caratteristico,
espresso dalla distinzione tra dominio utile e dominio diretto, la
compressione del diritto di proprietà sino al minimo, e la concessione
all'enfiteuta del diritto di affrancazione.
La divisata riforma fondiaria, ha, poi, conseguito attuazione con
l'emanazione della cennata legge 12 maggio 1950, n. 230, contenente
provvedimenti per la colonizzazione dell'Altipiano della Sila e dei
territori jonici contermini e con la legge 21 ottobre 1950, n. 841,
contenente norme per la espropriazione, bonifica, trasformazione ed
assegnazione dei terreni ai contadini. (Aggiungasi, con pari
indirizzo, la legge regionale siciliana 27 dicembre 1950, n. 104).
È da rilevare che nell'una e nell'altra legge nazionale del 1950
(nonché nella legge regionale siciliana) è stato disposto il modo di
determinazione della indennità di espropriazione, mediante
"commisurazione ai valori definitivamente stabiliti per l'applicazione
della imposta straordinaria progressiva sul patrimonio istituita con
d.legisl. 29 marzo 1947, n. 143" (art. 7 legge n. 230 e art. 18 legge
n. 841). Il che ha consentito e consente di pervenire, in quel caso,
alla determinazione di una indennità di espropriazione pari ai valori
medi dei terreni per il periodo 1 luglio 1946 - 31 marzo 1947 calcolati
mediante applicazione al reddito imponibile dominicale, risultante
dalla revisione degli estimi disposta con la ricordata legge del 1939,
di coefficienti-base di maggiorazione, stabiliti e pubblicati man mano
dalla Commissione censuaria centrale, per zone economico-agrarie e per
tutti i Comuni censuari. Sulla legittimità costituzionale di questo
metodo, concernente la misura della indennità espropriativa, riferita
ai valori accertati per l'imposta straordinaria sul patrimonio, questa
Corte si è pronunciata con sentenza n. 61 del 1957, riconoscendo che
"ciò ben rientra nell'ambito della valutazione, di competenza del
legislatore, di quel minimo di contributo e di riparazione che,
nell'ambito degli scopi di generale interesse, la pubblica
amministrazione può garantire all'interesse privato".
7. - Ciò posto, la Corte ritiene che i capitali di affranco
previsti dalla norma impugnata (pur tenendo conto che si tratta della
sola acquisizione del dominio diretto e che - medio tempore - i
concedenti hanno goduto dei canoni) non possono essere inferiori ai
valori che agli stessi terreni sarebbero stati attribuiti nel caso di
espropriazione attuata in applicazione delle leggi di riforma agraria.
E perciò - soddisfacendo tali valori gli interessi protetti dalla
norma costituzionale di raffronto - l'illegittimità costituzionale
dell'art. 2 della legge n. 1138 del 1970 va dichiarata limitatamente
alla parte in cui tale norma prevede il calcolo del capitale di
affranco e la determinazione autoritativa dei canoni, nel modo innanzi
descritto, anziché col ricorso ai criteri stabiliti all'articolo 7
della legge n. 230 del 1950 e all'art. 18 della legge n. 841 dello
stesso anno.
Resta naturalmente il potere del legislatore, nell'esercizio della
sua discrezionalità, di dettare una diversa disciplina, purché al
concedente sia garantito un capitale di affranco (e corrispondentemente
un canone) non inferiore a quello che risulta dalle menzionate
disposizioni in tema di esproprio.
8. - Dati i suesposti motivi rimane assorbita la particolare
questione sollevata dal pretore di Ispica in relazione all'art. 41
Cost. (pretesa violazione dell'autonomia contrattuale): questione,
d'altra parte, già riconosciuta non fondata con la precedente sentenza
n. 37 del 1969.