Titolo
SENT. 84/69 A. SINDACATO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE - NORME ANTERIORI - POSSIBILITA' CHE ESSE SODDISFINO ESIGENZE ATTUALI.
Testo
Il mutato clima storico attuale non ha determinato di per se' l'illegittimita' costituzionale delle norme anteriori, occorrendo verificare di volta in volta se esse siano in grado di soddisfare esigenze attuali, assolvendo una funzione coerente con l'ordinamento vigente.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 21
Riferimenti normativi
codice penale
n. 0
art. 507
co. 0
Titolo
SENT. 84/69 B. BOICOTTAGGIO - REATO - CONFIGURAZIONE AUTONOMA RISPETTO ALLO SCIOPERO ED ALLA SERRATA.
Testo
La configurazione del boicottaggio come reato prescinde da una sua dipendenza dalla materialita' dei fatti considerati dalle disposizioni sullo sciopero e la serrata dichiarate illegittime, consistendo invece nell'indurre altri, mediante propaganda o valendosi della forza o dell'autorita' di partiti, leghe od associazioni, a non stipulare patti di lavoro, a non somministrare materie o strumenti necessari al lavoro ovvero a non acquistare gli altrui prodotti agricoli o industriali; sicche' concreta in modo evidente dati strutturali autonomi e diversi da quelli che integrano la serrata e lo sciopero, che si concretano invece nella mera sospensione dell'attivita' produttiva, di scambio, o di lavoro.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 21
Riferimenti normativi
codice penale
n. 0
art. 507
co. 0
Titolo
SENT. 84/69 C. BOICOTTAGGIO E SCIOPERO - DISTINZIONE.
Testo
Il boicottaggio costituendo un modo di alterazione dell'ordinato svolgimento dei rapporti di produzione e di lavoro, non puo' considerarsi uno strumento di autotutela e non va posto in correlazione al diritto di sciopero.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 21
Riferimenti normativi
codice penale
n. 0
art. 507
co. 0
Titolo
SENT. 84/69 D. BOICOTTAGGIO - CODICE PENALE, ART. 507 - SUA IMPOSTAZIONE GENERALE - CONFORMITA' ALLA COSTITUZIONE.
Testo
L'art. 507 del Codice penale, nella sua impostazione di fondo, si accorda con la Carta fondamentale in quanto fa oggetto di tutela taluni beni cui questo da' spiccato rilievo nell'ordine sociale: la liberta' di stipulare patti di lavoro, la liberta' di iniziativa economica e di organizzazione della impresa, il diritto di realizzare attraverso l'attivita' commerciale i risultati positivi di quella produttiva.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 21
Riferimenti normativi
codice penale
n. 0
art. 507
co. 0
Titolo
SENT. 84/69 E. PROPAGANDA - MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO - TUTELA - LIMITI.
Testo
La liberta' di propaganda e' espressione di quella di manifestazione del pensiero ed e' assicurata fino al limite oltre il quale risulti leso il metodo democratico.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 21
Riferimenti normativi
codice penale
n. 0
art. 507
co. 0
Titolo
SENT. 84/69 F. BOICOTTAGGIO - CODICE PENALE, ART. 507 - CONTENUTO - INCLUSIONE DELLA PROPAGANDA - LIMITI.
Testo
La formulazione dell'art. 507 del Codice penale fa pensare all'inclusione in una sfera criminosa anche della propaganda di puro pensiero e di pura opinione, ogni qualvolta possa comunque ad essa coordinarsi o semplicemente riferirsi un comportamento singolo che sia causa dell'evento ivi considerato.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 21
Riferimenti normativi
codice penale
n. 0
art. 507
co. 0
Titolo
SENT. 84/69 G. BOICOTTAGGIO - CODICE PENALE, ART. 507 - CONTENUTO - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE PARZIALE.
Testo
L'assimilazione tra la propaganda e la forza ed autorita' di partiti, di leghe o di associazioni contenuta nell'art. 507 Cod. pen. induce a ritenere che essa in tanto riesca razionale in quanto si presupponga che la propaganda per essere punibile debba assumere dimensioni tali e raggiungere un grado tale di intensita' e di efficacia da risultare veramente notevole. Tuttavia la possibilita' che nella fattispecie considerata dall'art. 507 vengano ricomprese ipotesi di propaganda che non raggiunga la consistenza di cui si e' detto comporta che, limitatamente a tale circoscritta possibilita', l'art. 507 del codice penale debba essere dichiarato illegittimo per contrasto col principio della liberta' di manifestazione del pensiero qual'e' considerata dall'art. 21 della Costituzione.
Titolo
SENT. 84/69 H. BOICOTTAGGIO - CODICE PENALE, ART. 507 - LIMITI - EX ART. 18 DELLA COSTITUZIONE.
Testo
Per quanto attiene alla parte dell'art. 507 riguardante il boicottaggio esercitato avvalendosi della forza di gruppi sociali e' da mettere in rilievo che, alla pari del diritto di manifestazione del pensiero, quello di associazione, piu' particolarmente quando si riferisce ai raggruppamenti a fini sindacali e politici, trova collocazione tra i cardini essenziali dell'ordine democratico, consacrati negli artt. 2, 18, 39 e 49 della Carta fondamentale. Ma la Costituzione, mentre assegna a partiti e ai sindacati compiti che, se sono altissimi, sono specificamente delimitati, non consente alle altre associazioni di perseguire fini non leciti (art. 18). Onde nessuno potrebbe pretendere in base alla Costituzione di utilizzare tali forze sociali - spesso imponenti - al fine di esercitare, in funzione degli interessi che esse rappresentano - e per il conseguimento dei quali l'ordinamento assicura altri efficaci strumenti -, pressioni, sia pure soltanto di ordine morale, nella sfera dei diritti che la Carta garantisce ai singoli consociati.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 18
Riferimenti normativi
codice penale
n. 0
art. 507
co. 0
N. 84
SENTENZA 2 APRILE 1969
Deposito in cancelleria: 17 aprile 1969.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 105 del 23 aprile 1969.
Pres. SANDULLI - Rel. FRAGALI
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. ALDO SANDULLI, Presidente - Prof.
GIUSEPPE BRANCA - Prof. MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI -
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI - Dott. GIUSEPPE VERZÌ - Dott. GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI - Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - Dott. LUIGI
OGGIONI - Avv. ERCOLE ROCCHETTI - Prof. ENZO CAPALOZZA - Prof. VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI - Prof. VEZIO CRISAFULLI - Dott. NICOLA REALE,
Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 507
del Codice penale, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 5 giugno 1967 dal pretore di Roma nel
procedimento penale a carico di Castaldi Benito, iscritta al n. 234
del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 307 del 9 dicembre 1967;
2) ordinanza emessa il 17 febbraio 1968 dal pretore di Trieste nel
procedimento penale a carico di Devetak Marco ed altri, iscritta al n.
80 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 152 del 15 giugno 1968;
3) ordinanza emessa il 14 marzo 1968 dal pretore di Roma nel
procedimento penale a carico di Pica Alberto, iscritta al n. 106 del
Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 203 del 10 agosto 1968.
Visti gli atti di costituzione di Castaldi Benito e d'intervento
del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 12 marzo 1969 la relazione del
Giudice Michele Fragali,
uditi l'avv. Giovanni Leone, per Castaldi, ed il sostituto avvocato
generale dello Stato Franco Casamassima, per il Presidente del
Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto:
1. - È stato denunciato per illegittimità costituzionale l'art.
507 del Codice penale che punisce chiunque per fini contrattuali o
politici per coartare la pubblica autorità o a scopo di solidarietà o
di protesta, mediante propaganda o valendosi della forza o autorità di
partiti, leghe o associazioni, induce una o più persone a non
stipulare patti di lavoro o a non somministrare materie o strumenti
necessari al lavoro ovvero a non acquistare gli altrui prodotti
agricoli o industriali.
La questione è stata proposta il 5 giugno 1967 e il 14 marzo 1968
dal pretore di Trieste. Le fattispecie erano diverse l'una dall'altra:
un invito a edicolanti aderenti al sindacato giornalai di Roma a non
accettare copie di un settimanale e a restituire quelle già ricevute
per la vendita perché il periodico aveva diffuso considerazioni
pesanti sugli utili che dal commercio di pubblicazioni immorali
trarrebbero alcuni editori e giornalai; un invito agli esercenti
iscritti all'associazione dettaglianti di latte di Roma a svolgere
opera di persuasione presso i consumatori per utilizzare la preferenza
verso tipi di latte non prodotti dalla Centrale di Roma e a non
richiedere alla stessa la pezzatura di mezzo litro perché la stessa
Centrale, a seguito di un aumento del prezzo del latte alimentare posto
da essa in commercio non aveva corrisposto un adeguato aurtiento ai
rivenditori; svolgimento di propaganda a fine di protesta e di sciopero
ed avvalendosi della forza e dell'autorità della associazione di
categoria, per indurre a non fare acquisti di prodotti agricoli da
taluni commissionari.
Il pretore di Roma, nella prima ordinanza, ha invocato gli artt.
35, 39, 40 e 41 della Costituzione, perché l'art. 507 attenta alla
libertà di lavoro, di associazione sindacale, di sciopero e di libera
iniziativa economica individuale, considerabili in logica reciproca
congiunzione come espressione di un sistema unitario. Il divieto
penale di serrata, sciopero, boicottaggio, sabotaggio, secondo il
pretore, è correlato ai principi dell'ordinamento corporativo, che
escludeva le libere competizioni delle forze del lavoro e della
produzione e imponeva la risoluzione d'imperio dei conflitti fra
capitale e lavoro; perciò debbono considerarsi tacitamente abrogati
gli artt. 502 e 505 del Codice penale, cui si riferisce l'art. 507 per
delineare il dolo specifico del reato contemplatovi. Se la legge vuole
tutelare la libertà personale sino a riconoscere il diritto di non
prestare attività di lavoro non ostante l'esistenza di un valido
contratto di lavoro, non ha potuto intendere di menomare la libertà di
tutti gli altri soggetti nello svolgimento dell'attività produttiva.
Lo stesso pretore di Roma, nella seconda ordinanza, si è rifatto
agli artt. 18, 21, 39, 40, 41 e 49 della Costituzione.
A parere del pretore la libertà di organizzazione garantita nel
detto art. 39 deve essere intesa come libertà di azione per la tutela
degli interessi di categoria, ed il boicottaggio (interruzione del
processo di distribuzione) è forma di autotutela e strumento di lotta
sindacale che si pone accanto allo sciopero (corrispondente al processo
di disorganizzazione nella fase di produzione); cosicché il suo
divieto viene ad essere anche in antinomia con l'art. 40 della
Costituzione. Ma viene inoltre a collidere con il successivo art. 41
che, tutelando la libertà di iniziativa privata, ha inteso proteggere
anche l'autonomia individuale, la quale ha come suo logico corollario
l'assoluta libertà di commercio e come limite soltanto il rispetto
delle finalità sociali. Tali finalità includono quella libertà nei
loro oggetti, e oggi non possono riportarsi alle tendenze imperanti nel
soppresso ordinamento autoritario, che implicavano la necessità di non
turbare il normale svolgimento dell'attività produttiva con ogni forma
di "persecuzione privata": i fatti di violenza e di minaccia descritti
nell'articolo denunziato dovranno considerarsi titoli autonomi di reato
avente ad oggetto interessi individuali e dovranno essere riportati
alle sanzioni stabilite da diverse norme penali, come gli artt. 582 e
612. La libertà di associazione deve essere intesa non solo come
libertà di creazione dl atipici strumenti pluripersonali, ma nel più
importante aspetto funzionale, e quindi con riguardo alle finalità
perseguite e ai mezzi programmati per realizzare i detti fini; i limiti
che possono porsi a quella libertà di manifestazione del pensiero
politico, morale, economico, artistico, ecc. Il boicottaggio rientra
tra gli strumenti democratici di direzione degli interessi a mezzo
delle organizzazioni politiche ordinate in partiti, e la restrizione
imposta dall'art. 507 limita la libertà funzionale di tali
organizzazioni.
Infine il pretore di Trieste ha fatto capo agli artt. 21 e 49 della
Costituzione e ha sostenuto che la norma impugnata attenta, quanto meno
indirettamente, al diritto riconosciuto a ciascun cittadino di
associarsi liberamente per determinare con metodo democratico la
politica nazionale; infatti lo scopo di quell'associarsi sta proprio
nella forza che deriva dalla unione, di cui il cittadino che si associa
ha diritto democraticamente di avvalersi. Il pretore soggiunge che il
diritto alla libera manifestazione del proprio pensiero, garantita
dall'art. 21 della Costituzione, si estrinseca anche in quell'attività
di propaganda tendente all'altrui convincimento, che non può essere
limitata quando intende svolgere i fini enunciati dalla norma
impugnata: i fini indicati nell'art. 502 del Codice penale, non
possono ritenersi illeciti perché tale articolo è stato dichiarato
incostituzionale per contrasto con l'art. 40 della Costituzione e
quelli enunciati nelle altre disposizioni immediatamente successive
sono viziati, sia pur parzialmente, per simili motivi. L'esempio è
nell'art. 504 del Codice penale, oggetto della sentenza di questa Corte
del 13 dicembre 1962, n. 123.
2. - L'ordinanza 5 giugno 1967 del pretore di Roma è stata
notificata all'imputato, al pubblico ministero e al Presidente del
Consiglio dei Ministri, rispettivamente il 30 settembre, il 6 ottobre e
il 13 luglio dell'anno 1967 e comunicata ai Presidenti delle due Camere
il 6 luglio dello stesso anno. L'ordinanza 17 febbraio 1968 del pretore
di Trieste è stata notificata agli imputati nei giorni che vanno dal
25 marzo al 1 aprile 1968, al pubblico ministero il 26 marzo e al
Presidente del Consiglio dei Ministri il 4 delo stesso mese del 1968;
è stata comunicata ai Presidente delle due Camere il 1 marzo 1968.
L'ordinanza 14 marzo 1968 del pretore di Roma è stata notificata
all'imputato il 22 aprile 1968 e al pubblico ministero e al Presidente
del Consiglio dei Ministri il 20 aprile stesso anno; è stata
comunicata ai Presidenti delle due Camere in data 18 aprile 1968.
Le tre ordinanze sono state pubblicate rispettivamente nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 307 del 9 dicembre 1967, n. 152
del 15 giugno 1968 e n. 203 del 10 agosto 1968.
Innanzi alla Corte è comparsa soltanto la parte privata nella
causa cui si riferisce la prima ordinanza del pretore di Roma; in
questa causa e nell'altra svoltasi innanzi a detto pretore è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri.
3. - La parte privata nelle deduzioni di costituzione e in una
memoria successiva ha sostenuto che l'art. 507 del Codice penale è
compreso in un contesto di norme ritenute costituzionalmente
illegittime, come è quella dell'art. 502 del Codice penale concernente
lo sciopero e la serrata, e che, riferendosi a queste norme per la
precisazione del dolo specifico, è inevitabilmente travolto dalla
dichiarazione di incostituzionalità delle stesse; esso si ispira
inoltre ad una disciplina dell'economia che postula un intervento
diretto dello Stato non un'economia libera, ed è una componente di un
sistema legislativo il cui fondo politico-sociale è stato del tutto
sconvolto: la norma ha voluto impedire qualsiasi autotutela perché
ritenuta arbitrariamente sostitutiva del compito dello Stato di
comporre tutte le vertenze per assicurare un ordinato sviluppo di tutta
l'economia e se si mantenesse, si avrebbe l'assurdo di un divieto di
boicottaggio a cui non corrisponde un parallelo impegno dello Stato di
risolvere la controversia tra consumatori (venditori) e produttori. Da
oltre un ventennio la norma non viene applicata e ciò segna una
posizione dei poteri dello Stato che esprime un mutamento della
coscienza giuridica riguardo al reato. Per quanto concerne il
collegamento tra la norma impugnata e i fini di cui agli artt. 503, 504
e 505, si sostiene che fino a quando non sarà regolamentato, lo
sciopero dovrà ritenersi irrilevante quale che ne sia lo scopo: nella
realtà del nostro Paese sono frequenti gli scioperi di solidarietà
sindacale, politica e di protesta e di sollecitazione di una
legislazione anche di carattere non strettamente economico.
Il boicottaggio è riportato nell'ambito dell'autotutela delle
categorie sindacali, che non sono soggette ad alcun limite. Alla
libertà dell'iniziativa economica privata deve corrispondere una
libertà di rifiuto del prodotto; e, se questo rifiuto è il risultato
di un atteggiamento deliberato e concordato da associazioni di
categoria, la sua sanzione penale finisce col porre limiti
inammissibili alla esplicazione delle attività sindacali. Il delitto
di boicottaggo è configurato in maniera unitaria rispetto a tutti i
fini e la sua scissione attraverso una scelta di fini farebbe residuare
una norma di applicazione incongruente: sarebbe lecito il boicottaggio
per rivendicazioni economiche ma non quello ispirato a fini diversi.
In subordine viene chiesto di dichiarare illegittimo l'articolo
507, nel riferimento all'art. 505 oltre che all'art. 502 e ciò in
coerenza ai principi fissati nella sentenza di questa Corte del 13
dicembre 1962, n. 123 e perché, per quanto riguarda la protesta, essa
è una propaggine del diritto di libertà e una delle espressioni degli
interessi di categoria e delle relative associazioni.
4. - Il Presidente del Consiglio ha ricordato che, secondo la
giurisprudenza della Corte, lo sciopero è legittimo solo quando sia
rivolto a conseguire fini di carattere economico, anche se estesi,
dalle rivendicazioni salariali, a quel complesso di interessi dei
lavoratori che trovano disciplina nelle norme racchiuse nel titolo
terzo della prima parte della Costituzione. Sono perciò illegittime
tutte quelle forme di autotutela poste in essere per fini diversi da
quelli su esposti, alle quali sovente fanno ricorso i lavoratori per
ottenere effetti analoghi a quelli dello sciopero, come il sabotaggio,
la non collaborazione, lo sciopero a singhiozzo, quello a scacchiera.
Quanto agli scopi indicati negli artt. 503, 504 e 505, che riguardano
ragioni politiche, la coazione verso la pubblica autorità, la
solidarietà e la protesta, il Presidente del Consiglio fa presente che
questa Corte nella sentenza 13 dicembre 1962, n. 123, ha ritenuto che
le norme predette, data la generalità delle loro formulazioni,
racchiudono ipotesi di abbandono di lavoro estranee allo sciopero
economico, e perciò compete al giudice di merito di disapplicarle in
tutti quei casi riguardo ai quali l'accertamento degli elementi di
fatto conduce a fare ritenere che lo sciopero costituisca valido
esercizio del diritto. Non possono quindi sottrarsi alla sanzione
penale i fatti preveduti dall'art 507 che siano determinati da
considerazioni non economiche o non riconducibili a fini economici,
secondo la valutazione dei giudici di merito.
Viene soggiunto che proprio la garanzia della libertà di
iniziativa economica ovviamente non valutabile in senso unilaterale,
giustifica la tutela di ciascun operatore economico rispetto ad ogni
forma di altrui indebita ingerenza, e specialmente rispetto a quelle
forme di indiretta pressione e d'intimidazione di maggiore
pericolosità sociale che sono appunto previste dall'art. 507 del
Codice penale, e che, fra l'altro, potrebbero anche essere poste in
essere per danneggiare un avversario politico o addirittura per mera
iattanza. La libertà di associazione trova limiti nei fini, che non
debbono essere vietati dalla legge penale, e i mezzi indicati dall'art.
507, in relazione agli scopi cui si intendono riferiti, non si possono
ritenere leciti.
Il riferimento al boicottaggio attuato con l'ausilio di partiti
politici non avrebbe rilevanza nei processi di cui alle ordinanze, e
per questa parte la questione deve ritenersi inammissibile; comunque
l'art. 49 tutela la libertà di associarsi in partiti con riguardo ai
soli rapporti politici, non con riguardo a quelli di carattere
economico, incidenti sul processo produttivo. Le esigenze dell'economia
trovano nella Costituzione una autonoma considerazione globale,
includente anche tutti gli altri interessi, compresi quelli politici
che vi si connettono.
Infine si osserva che non potrebbe ritenersi attinenti alla
esplicazione di un metodo democratico un'attività svolta per influire
sulle decisioni adottate o da adottare dal Governo in materia
economica, poiché a tale scopo occorre valersi degli strumenti
parlamentari che la stessa Costituzione appresta, e attraverso i quali
in concreto si estrinseca l'attività dei partiti.
5.-All'udienza del 12 marzo 1969 i difensori hanno insistito nelle
rispettive tesi e conclusioni.
Considerato in diritto:
1. - Le cause vertono tutte sulla legittimità costituzionale di
una medesima norma, l'art. 507 del Codice penale, se pure da profili
non sempre coincidenti. Possono perciò essere decise con unica
sentenza.
Debbono essere decise sulla base di una valutazione integrale del
predetto art. 507, che è inscindibile e quindi non può essere
esaminato con riferimento esclusivo alle fattispecie venute in giudizio
nel processo a quo, come ritiene il Presidente del Consiglio dei
Ministri.
2. - Preliminare all'esame delle singole eccezioni di
incostituzionalità si presenta quello relativo alla fondatezza
dell'opinione formulata in qualcuna delle ordinanze e ribadita dalla
difesa dell'imputato Castaldi Benito, secondo cui costituendo l'art.
507 una delle componenti di un sistema legislativo il cui fondo
politico-sociale è stato del tutto sconvolto, non si può ritenere
compatibile con il nuovo assetto costituzionale che ha radicalmente
innovato il precedente. Ma, come già la Corte ha ripetutamente
affermato, il mutato clima storico attuale non ha determinato di per
sé l'illegittimità costituzionale delle norme anteriori, occorrendo
verificare di volta in volta se esse siano in grado di soddisfare
esigenze attuali, assolvendo una funzione coerente con l'ordinamento
vigente. Che la previsione del reato di boicottaggio non ripugni di per
sé con il carattere democratico della struttura statale è confermato
dalla constatazione che essa si riscontra nella legislazione di alcuni
paesi ordinati secondo principi di libertà, e che anche il progetto di
riforma del Codice penale redatto nel 1950 conservava l'art. 507 pure
nella misura delle pene, con la sola soppressione del riferimento agli
scopi specifici cui invece esso aveva riguardo.
3. - Si rende altresì necessario, allo scopo di precisare in
limine l'ambito dell'indagine da compiere, contestare l'assunto secondo
cui le precedenti sentenze di questa Corte del 28 aprile 1960, n. 29, e
del 17 marzo 1969, n. 31 (che hanno dichiarato l'illegittimità
costituzionale di disposizioni del Codice penale che punivano lo
sciopero e la serrata) avrebbero causato la parziale illegittimità
costituzionale della disposizione impugnata. Da esse non si possono
desumere argomenti per il giudizio circa la legittimità costituzionale
della punizione del boicottaggio come reato, dato che la configurazione
di quest'ultimo prescinde da una sua dipendenza dalla materialità dei
fatti considerati dalle disposizioni sullo sciopero e la serrata
dichiarate illegittime, consistendo invece nell'indurre altri, mediante
propaganda o valendosi della forza o della autorità di partiti, leghe
od associazioni, a non stipulare patti di lavoro, a non somministrare
materie o strumenti necessari al lavoro ovvero a non acquistare gli
altrui prodotti agricoli o industriali; sicché concreta in modo
evidente dati struttorali autonomi e diversi da quelli che integrano la
serrata e lo sciopero, che si concretano invece nella mera sospensione
dell'attività produttiva, di scambio, o di lavoro.
Nella relazione ministeriale al Codice penale il boicottaggio fu
definito "un modo di alterazione dell'ordinato svolgimento dei rapporti
di produzione e di lavoro", e in essa non si scorge alcun dato da cui
desumere che il divieto dei fatti puniti sotto il titolo di
boicottaggio sia stato posto in correlazione al divieto di sciopero, o
equipollente dello sciopero, o sua forma particolare, ciò anche in
vista del nomen dato alla fattispecie. Deve ritenersi pertanto del
tutto inesatto quanto è affermato in una delle ordinanze del pretore
di Roma nel senso di considerare il boicottaggio un tipico strumento di
autotutela. E sarebbe vano ricercarne il fondamento in norme
costituzionali.
4. - La disposizione denunciata, nella sua impostazione di fondo,
si accorda con la Carta fondamentale in quanto fa oggetto di tutela
taluni beni cui questa dà spiccato rilievo nell'ordine sociale: la
libertà di stipulare patti di lavoro, la libertà di iniziativa
economica e di organizzazione dell'impresa, il diritto di realizzare
attraverso l'attività commerciale i risultati positivi di quella
produttiva. Beni i quali ricevono diretta protezione dagli artt. 35 e
41 della Costituzione, e affondano profondamente le loro radici nel
riconoscimento della posizione del singolo e della sua personalità,
enunciato nell'art. 2, e nel riconoscimento di quelle più immediate
estrinsecazioni di quest'ultima che sono il diritto al lavoro e il
diritto-dovere, enunciato nell'art. 4, di svolgere una attività che
concorra al progresso materiale e spirituale della società. Beni il
cui rilievo risulta poi accentuato dal carattere comunitario e
solidaristico della società nazionale (artt. 1 e 2) e
dall'accettazione del principio della programmazione economica,
concatenato a tale carattere, pur nel quadro di un regime di economia
mista, e ormai tradotto nella realtà legislativa (legge 27 luglio
1967, n. 685).
5. - Tuttavia la formulazione dell'articolo è alquanto vaga, tanto
da non permettere che resti escluso un suo parziale contrasto con norme
della Costituzione.
Ciò è a dire anzitutto per la parte riguardante l'impiego della
propoganda, che, considerata quale uno degli strumenti utilizabili per
la compressione dei diritti voluti tutelare, viene assunta secondo una
nozione generica ed indiscriminata. Non è necessario ricordare come la
libertà di propaganda è espressione di quella di manifestazione del
pensiero, garantita dall'art. 21 della Costituzione e pietra angolare
dell'ordine democratico. Già nella sentenza 22 giugno 1966, n. 87, la
Corte, oltre ad inserire la propaganda nella protezione così
apprestata, affermò che essa è assicurata fino al limite oltre il
quale risulti leso il metodo democratico.
Con tale criterio si pone in un certo contrasto l'art. 507 del
Codice penale perché fa pensare alla inclusione in una sfera criminosa
anche della propaganda di puro pensiero e di pura opinione,
ogniqualvolta possa comunque ad essa coordinarsi o semplicemente
riferirsi un comportamento singolo che sia causa dell'evento ivi
considerato. La propaganda è di per sé diretta a convincere, ed
infatti questa Corte, nella sentenza 4 febbraio 1965, n. 9, ammise che
rientra nell'art. 21 della Costituzione ogni espressione che miri a
persuadere dell'utilità e della necessità di un dato contegno; e a
tale funzione la norma in esame viene a porre ostacolo quando, per la
sua formulazione generica, punisce la propaganda persino se effettuata
da un singolo in condizioni di insignificante rilievo.
Può altresì notarsi che, essendo pacificamente ritenuto che il
reato di boicottaggio, quale reato di danno e non di mero pericolo,
ammette il tentativo, potrebbe ritenersi la punibilità, attraverso
l'art. 507, anche dell'azione che sia rimasta al puro stato di
manifestazione di pensiero e di opinione, non avendo potuto conseguire
l'effetto che si proponeva.
Una più limitata applicazione dell'articolo dovrebbe condurre ad
un diverso risultato. Infatti la assimilazione che esso fa tra la
propaganda e la forza ed autorità di partiti, di leghe o di
associazioni induce a ritenere che essa in tanto riesca razionale in
quanto si presupponga che la propaganda per essere punibile debba
assumere dimensioni tali e raggiungere un grado tale di intensità e di
efficacia da risultare veramente notevole. L'individuazione dei casi
in cui, sotto tale profilo, l'ipotesi criminosa può realizzarsi
compete al giudice penale. Tuttavia la possibilità che nella
fattispecie considerata dall'art. 507 vengano ricomprese ipotesi di
propaganda che non raggiunga la consistenza di cui si è detto comporta
che, limitatamente a tale circoscritta possibilità, l'art. 507 del
Codice penale debba essere dichiarato illegittimo per contrasto col
principio della libertà di manifestazione del pensiero qual'è
considerata dall'art. 21 della Costituzione.
6. - Per quanto attiene alla parte dell'art. 507 riguardante il
boicottaggio esercitato avvalendosi della forza di gruppi sociali è da
mettere in rilievo che, alla pari del diritto di manifestazione del
pensiero, quello di associazione, più particolarmente quando si
riferisce ai raggruppamenti a fini sindacali e politici, trova
collocazione tra i cardini essenziali dell'ordine democratico,
consacrati negli artt. 2, 18, 39 e 49 della Carta fondamentale.
Ma la Costituzione, mentre assegna ai partiti e ai sindacati
compiti che, se sono altissimi, sono specificamente delimitati, non
consente alle altre associazioni di perseguire fini non leciti (art.
18). Onde nessuno potrebbe pretendere in base alla Costituzione di
utilizzare tali forze sindacali - spesso imponenti - al fine di
esercitare, in funzione degli interessi che esse rappresentano - e per
il conseguimento dei quali l'ordinamento assicura altri efficaci
strumenti -, pressioni, sia pure soltanto di ordine morale, nella sfera
dei diritti che la Carta garantisce ai singoli consociati. A parte
tutto, si rischierebbe di farne, in tal modo, strumenti di
discriminazione e di persecuzione, esponendo il singolo, indifeso, alle
azioni, eventualmente non giuste, di forze collettive.
D'altronde gli scopi per i quali l'art. 507 non consente
l'istigazione a pratiche di boicottaggio sono perseguibili nell'ordine
democratico attraverso una serie di mezzi sufficienti a soddisfare ogni
esigenza di legittima competizione e contestazione. Pertanto non
possono considerarsi sacrificati per il fatto che l'ordinamento
impedisce, attraverso l'art. 507, che al servizio di essi vengano
immediatamente utilizzati mezzi destinati ad escludere senz'altro
taluno da rapporti economici con gli altri consociati.
È poi superfluo precisare che l'ipotesi prevista dall'articolo 507
si realizza solo quando la forza e l'autorità dei gruppi ivi
considerati si facciano effettivamente sentire e valere, attraverso un
loro reale peso, non bastando per contro il semplice richiamo che ad
esse faccia il singolo il quale inciti al boicottaggio.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 507 del Codice
penale per la parte relativa all'ipotesi della propaganda e nei limiti
di cui alla motivazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 2 aprile 1969.
ALDO SANDULLI - GIUSEPPE BRANCA -
MICHELE FRAGALI - COSTANTINO MORTATI
- GIUSEPPE CHIARELLI - GIUSEPPE
VERZÌ - GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
- FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - LUIGI
OGGIONI - ERCOLE ROCCHETTI - ENZO
CAPALOZZA - VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI - VEZIO CRISAFULLI - NICOLA
REALE.