Titolo
SENT. 74/58 A. FASCISMO - DIVIETO DI RIORGANIZZAZIONE DEL PARTITO FASCISTA - XII DISPOSIZIONE TRANSITORIA DELLA COSTITUZIONE - INTERPRETAZIONE.
Testo
La XII disposizione transitoria della Costituzione, primo comma, col vietare sotto qualsiasi forma la riorganizzazione del disciolto partito fascista, non pone un divieto penale, ma va interpretata come norma costituzionale che enuncia un principio generale, la cui portata non puo' stabilirsi se non nel quadro integrale delle esigenze politiche e sociali da cui fu ispirata. Le norme penali sono state emanate successivamente con il D.L.L. 26 aprile 1945 n. 149 e con la legge 20 giugno 1952 n. 645, sia nella parte sanzionatoria che in quella precettiva.
Parametri costituzionali
Costituzione
disposizioni transitorie e finali, XII
Riferimenti normativi
legge
20/06/1952
n. 645
art. 0
co. 0
Titolo
SENT. 74/58 B. MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO (LIBERTA' DI) - ART. 5 LEGGE 20 GIUGNO 1952 N. 645: MANIFESTAZIONI FASCISTE - ATTUAZIONE DELLA XII DISPOSIZIONE TRANSITORIA DELLA COSTITUZIONE - ESCLUSIONE DI ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE.
Testo
L'art. 5 della legge 20 giugno 1952, n. 645, interpretato in relazione alla XII disposizione transitoria della Costituzione, non prevede come contravvenzione qualsiasi manifestazione fascista, ma soltanto le pubbliche manifestazioni anche se commesse da una sola persona, idonee a provocare adesioni e consensi ed a concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione di organizzazioni fasciste. Pertanto infondata e' la questione di legittimita' costituzionale del citato art. 5 in riferimento all'art. 21 primo comma e alla XII disposizione transitoria della Costituzione. Cfr.: 1/57 B.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 21
co. 1
Costituzione
disposizioni transitorie e finali, XII
Riferimenti normativi
legge
20/06/1952
n. 645
art. 5
co. 0
N. 74
SENTENZA 25 NOVEMBRE 1958
Deposito in cancelleria: 6 dicembre 1958.
Pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale" n. 307 del 20 dicembre 1958.
Pres. AZZARITI - Rel. CAPPI
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente - Avv.
GIUSEPPE CAPPI - Prof. TOMASO PERASSI - Prof. GASPARE AMBROSINI -
Prof. ERNESTO BATTAGLINI - Dott. MARIO COSATTI - Prof. FRANCESCO
PANTALEO GABRIELI - Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO - Prof. ANTONINO
PAPALDO - Prof. NICOLA JAEGER - Prof. GIOVANNI CASSANDRO - Prof.
BIAGIO PETROCELLI - Dott. ANTONIO MANCA - Prof. ALDO SANDULLI,
Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della norma
contenuta nell'art. 5 della legge 20 giugno 1952, n. 645, promossi con
le seguenti ordinanze:
1) ordinanza 29 aprile 1957 emessa dal Pretore di Como nel
procedimento penale a carico di Maccarrone Giovanni, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 161 del 28 giugno 1957 ed
iscritta al n. 60 del Registro ordinanze 1957;
2) ordinanza 7 dicembre 1957 emessa dal Pretore di Forlì nel
procedimento penale a carico di Fratesi Luigi, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21 del 25 gennaio 1958 ed
iscritta al n. 2 del Registro ordinanze 1958;
3) ordinanza 7 dicembre 1957 emessa dal Pretore di Forlì nel
procedimento penale a carico di Monti Alberto, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21 del 25 gennaio 1958 ed
iscritta al n. 3 del Registro ordinanze 1958.
Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio
dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 5 novembre 1958 la relazione del
Giudice Giuseppe Cappi;
udito il vice avvocato generale dello Stato Cesare Arias per il
Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto:
Su denuncia 26 marzo 1956 dell'Autorità di P. S. di Como, il
Pretore di Como, con decreto penale l settembre 1956 condannava alla
pena di L. 10.000 di ammenda il giovane Maccarrone Giovanni quale
responsabile di contravvenzione all'art. 5 legge 20 giugno 1952, n.
645, per avere il 25 marzo 1956, in occasione di un comizio del M.S.I.
tenuto dall'on. Almirante in Como nel Cinema Araldo, compiuto
pubblicamente manifestazione usuale del disciolto partito fascista,
tendendo il braccio nel saluto fascista-romano al momento del congedo
del predetto deputato. Avendo il Maccarrone proposto opposizione,
veniva rinviato a giudizio all'udienza del 29 aprile 1957. Al
dibattimento il difensore preliminarmente eccepiva
l'incostituzionalità dell'art. 5 della legge 20 giugno 1952, n. 645, e
chiedeva il rinvio degli atti alla Corte costituzionale e ciò in
riferimento all'art. 21, primo comma, della Costituzione. Il Pretore,
sentito il P. M., pronunciava la seguente ordinanza: "Dato atto della
richiesta del difensore perché sia sospeso il giudizio e siano inviati
gli atti alla Corte costituzionale per l'esame della legittimità
costituzionale dell'art. 5 legge 20 giugno 1952, n. 645, in relazione
all'art. 21 della Costituzione. Ritenuto che la questione sollevata
non appare manifestamente infondata e che il presente giudizio non può
essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di
legittimità costituzionale. Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n.
87, sospende il giudizio in corso e ordina l'immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale".
Dietro denuncia dell'Autorità di p. s. il Pretore di Forlì
rinviava a giudizio il giovane Fratesi Luigi quale imputato della
contravvenzione di cui all'art. 5 legge 20 giugno 1952, n. 645, "per
avere in Forlì il 22 settembre 1957 salutato romanamente una comitiva
di persone che su un'autocorriera si stava recando a Predappio a
visitare la tomba del defunto Benito Mussolini". All'udienza del 7
dicembre 1957 la difesa dell'imputato eccepì in via preliminare la
incostituzionalità dell'art. 5 legge 20 giugno 1952, n. 645, e perché
in urto ed in contrasto con l'art. 21, primo comma, della Costituzione
che garantisce la libertà di pensiero e di manifestazione, e perché
il detto articolo 5 non può considerarsi norma di attuazione della XII
disposizione transitoria e finale della Costituzione. Il Pretore
pronunciava la seguente ordinanza: " Omissis .... ritenuto che la
questione di incostituzionalità dell'art. 5 legge 20 giugno 1952, n.
645, non è manifestamente infondata in quanto detto articolo è in
contrasto con la XII disposizione transitoria della Costituzione, la
quale vieta la riorganizzazione del disciolto partito fascista e nulla
dispone nel caso vengano compiute manifestazioni usuali al disciolto
partito, come nel caso in esame; ritenuto altresì, stante la sentenza
16 gennaio 1957 della Corte costituzionale con la quale veniva
dichiarata la incostituzionalità dell'art. 4 legge 20 giugno 1952, n.
645, che appare opportuno che la Corte si pronunci anche sulla
costituzionalità o meno dell'art. 5 stessa legge; P. q. m. ordina
trasmettersi gli atti alla cancelleria della Corte costituzionale
disponendo la sospensione del procedimento".
A seguito di denuncia dei carabinieri della stazione di Predappio,
il Pretore di Forlì rinviava a giudizio il giovane Monti Alberto quale
imputato della contravvenzione di cui all'art. 5 della legge 20 giugno
1952, n. 645, "per aver in Predappio il 22 settembre 1957 indossato la
camicia nera mentre si accingeva a visitare la tomba del defunto Benito
Mussolini". All'udienza del 7 dicembre 1957 la difesa del Monti
sollevava l'identica eccezione di incostituzionalità già sollevata
per l'imputato Fratesi e il Pretore pronunciava ordinanza identica a
quella già sopra trascritta per il predetto Fratesi.
Le surriferite ordinanze venivano regolarmente notificate e
pubblicate.
Nel giudizio avanti questa Corte non si costituivano le parti
private; proponeva intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.
In tutte e tre le cause l'Avvocatura dello Stato concludeva perché
venisse respinta l'eccezione di illegittimità costituzionale sollevata
dalla difesa degli imputati. Al riguardo faceva le seguenti
osservazioni e deduzioni.
L'art. 5 della legge 20 giugno 1952, n. 645, non può che essere
considerato una ulteriore specificazione della stessa ipotesi già
prevista nel precedente art. 1 della legge, la quale ha inteso
ricollegarsi al divieto contenuto nella XII disposizione transitoria
della Costituzione concernente la riorganizzazione del disciolto
partito fascista. Pertanto, continua l'Avvocatura, la legge 20 giugno
1952, n. 645, non può essere definita anticostituzionale perché attua
una norma della Costituzione. L'esigenza poi di dare attuazione al
divieto di riorganizzare il disciolto partito fascista non può, sempre
secondo l'Avvocatura, ritenersi limitata alla repressione
dell'associazione o del movimento già sorto, ma deve intendersi
logicamente estesa a tutti quegli atti o fatti che in qualunque modo
possano favorire la riorganizzazione di cui trattasi. Al riguardo
l'Avvocatura, come già le ordinanze di rinvio, cita la sentenza n. 1
del 16 gennaio 1957 di questa Corte. In proposito non è inopportuno
specificare che detta sentenza si occupava dell'art. 4 della legge 20
giugno 1952, n. 645, e affermò che l'apologia del fascismo prevista da
tale articolo è stata legittimamente vietata costituendo una
istigazione indiretta alla riorganizzazione del disciolto partito
fascista e ciò in relazione alla XII disposizione transitoria della
Costituzione.
L'Avvocatura ricorda poi che, anteriormente all'entrata in funzione
della Corte costituzionale, la Cassazione aveva ritenuto legittima la
legge 3 dicembre 1947, n. 1546, e in particolare l'art. 7 che
costituisce l'antecedente della disposizione in esame. Secondo la
Cassazione la figura di reato prevista da tale articolo fu dalla legge
20 giugno 1952 scissa in una ipotesi delittuosa per quanto attiene alla
previsione della esaltazione delle persone e delle ideologie del
fascismo ed in una ipotesi contravvenzionale per quanto attiene alla
previsione delle manifestazioni di carattere fascista, specificando
queste ultime anche in semplici parole o gesti usuali al partito
fascista.
L'Avvocatura conclude per la legittimità costituzionale in quanto
le manifestazioni fasciste, quando siano compiute pubblicamente, hanno
la capacità di suscitare sentimenti nostalgici che potrebbero
incoraggiare e favorire il risorgere di movimenti totalitari
antidemocratici la cui organizzazione è stata, invece, vietata dalla
Costituzione.
Considerato in diritto:
La Corte ha ravvisato l'opportunità della riunione delle tre cause
per la loro decisione con un'unica sentenza, trattandosi
sostanzialmente di una stessa questione di legittimità costituzionale.
La norma, della cui legittimità si discute, è infatti in tutte
quella contenuta nell'art. 5 della legge 20 giugno 1952, n. 645, anche
se nella ordinanza del Pretore di Como la incostituzionalità è
prospettata solo con riferimento all'art. 21, primo comma, della
Costituzione, mentre nelle due ordinanze del Pretore di Forlì si
aggiunge che detta norma è in contrasto con la XII disposizione
transitoria della Costituzione e si fa inoltre richiamo, seppure non
esattamente, alla sentenza 16 gennaio 1957, n. 1, di questa Corte.
In tale sentenza, nella quale, contrariamente a quanto è affermato
nell'ordinanza del Pretore di Forlì, fu dichiarata infondata la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 20
giugno 1952, n. 645, si osserva che: "Come risulta dal contesto stesso
della legge 1952... l'apologia del fascismo, per assumere carattere di
reato, deve consistere non in una difesa elogiativa, ma in una
esaltazione tale da poter condurre alla riorganizzazione del partito
fascista. Ciò significa che deve essere considerata non già in sé e
per sé, ma in rapporto a quella riorganizzazione, che è vietata dalla
XII disposizione".
Questa disposizione pone sì un divieto, ma ciò non deve indurre
nell'errore di farla considerare quasi come un divieto penale,
costretto, nella interpretazione, entro i limiti della sua formulazione
espressa. Le norme penali sono venute successivamente, con le leggi
del 1947 e del 1952, sia nella parte sanzionatoria sia in quella
precettiva. La XII disposizione transitoria va pertanto interpretata
per quella che è, cioè quale norma costituzionale che enuncia un
principio o indirizzo generale, la cui portata non può stabilirsi se
non nel quadro integrale delle esigenze politiche e sociali da cui fu
ispirata.
Riconosciuta, in quel particolare momento storico, la necessità di
impedire, nell'interesse del regime democratico che si andava
ricostituendo, che si riorganizzasse in qualsiasi forma il partito
fascista, era evidente che la tutela di una siffatta esigenza non
potesse limitarsi a considerare soltanto gli atti finali e conclusivi
della riorganizzazione, del tutto avulsi da ogni loro antecedente
causale; ma dovesse necessariamente riferirsi ad ogni comportamento
che, pur non rivestendo i caratteri di un vero e proprio atto di
riorganizzazione, fosse tuttavia tale da contenere in sé sufficiente
idoneità a produrre gli atti stessi. Non è infatti concepibile che,
mirando al fine di impedire la riorganizzazione, il legislatore
costituente intendesse consentire atti che costituissero un
apprezzabile pericolo del prodursi di un tale evento. Ciò risulta non
soltanto dalla logica interpretazione dei motivi, e quindi dei limiti,
della norma, ma dal testo medesimo della XII disposizione. Nel primo
comma l'inciso "in qualsiasi forma" sta appunto a significare la
preoccupazione del costituente di non irrigidire il precetto entro
limiti formali e di mirare al di là degli atti di riorganizzazione
strettamente intesi. Ciò si desume anche dal secondo comma della
disposizione, il quale, conferendo al legislatore ordinario la potestà
di fissare, per i capi responsabili del regime fascista, limitazioni
temporanee al diritto di voto ed alla eleggibilità, mostrava di dare
piena rilevanza ad una situazione che era appunto di mero pericolo. Ne
deriva che il legislatore ordinario, nel dare con le sue norme concreta
attuazione ai criteri espressi dalla norma costituzionale, era
autorizzato a spingere i suoi divieti al di là degli atti veri e
propri di riorganizzazione strettamente intesi, comprendendovi anche
quelli idonei a creare un effettivo pericolo. Posto un tale principio
è irrilevante che trattisi di delitto o di contravvenzione, perché,
richiedendosi la obbiettività degli atti, può essere legittimamente
oggetto di divieto penale ogni atto nel quale, sia pure in diverse
proporzioni, quella idoneità si manifesti. Per le ipotesi previste
dalla impugnata norma dell'art. 5 della legge del 1952, è noto che,
trattandosi di fatti contravvenzionali, basta la volontarietà
dell'azione, e - ben si intende - non dell'azione soltanto
materialmente intesa, ma dell'azione in quanto costituisca
manifestazione usuale del disciolto partito fascista. Sulla base dei
limiti della volontarietà così intesa, non è escluso che anche
siffatte minori manifestazioni possano in taluni casi essere tali da
costituire, obbiettivamente, quel pericolo che, secondo lo spirito
della norma costituzionale, si è inteso prevenire.
Chi esamini il testo dell'art. 5 della legge isolatamente dalle
altre disposizioni, e si limiti a darne una interpretazione letterale,
può essere indotto, come è accaduto alle autorità giudiziarie che
hanno proposto la questione di legittimità costituzionale, a supporre
che la norma denunziata preveda come fatto punibile qualunque parola o
gesto, anche il più innocuo, che ricordi comunque il regime fascista e
gli uomini che lo impersonarono ed esprima semplicemente il pensiero o
il sentimento, eventualmente occasionale o transeunte, di un individuo,
il quale indossi una camicia nera o intoni un canto o lanci un grido.
Ma una simile interpretazione della norma non si può ritenere conforme
alla intenzione del legislatore, il quale, dichiarando espressamente di
voler impedire la riorganizzazione del disciolto partito fascista, ha
inteso vietare e punire non già una qualunque manifestazione del
pensiero, tutelata dall'art. 21 della Costituzione, bensì quelle
manifestazioni usuali del disciolto partito che, come si è detto
prima, possono determinare il pericolo che si è voluto evitare.
La denominazione di "manifestazioni fasciste" adottata dalla legge
del 1952 e l'uso dell'avverbio "pubblicamente" fanno chiaramente
intendere che, seppure il fatto può essere commesso da una sola
persona, esso deve trovare nel momento e nell'ambiente in cui è
compiuto circostanze tali, da renderlo idoneo a provocare adesioni e
consensi ed a concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla
ricostituzione di organizzazioni fasciste.
La ratio della norma non è concepibile altrimenti, nel sistema di
una legge dichiaratamente diretta ad attuare la disposizione XII della
Costituzione. Il legislatore ha compreso che la riorganizzazione del
partito fascista può anche essere stimolata da manifestazioni
pubbliche capaci di impressionare le folle; ed ha voluto colpire le
manifestazioni stesse, precisamente in quanto idonee a costituire il
pericolo di tale ricostituzione.
Con questa interpretazione, coerente a quella che la Corte
costituzionale ha dato nella ricordata sentenza all'art. 4 della stessa
legge, la norma denunziata si inquadra perfettamente nel sistema delle
sanzioni dirette a garantire il divieto posto dalla XII disposizione
transitoria, né contravviene al principio dell'art. 21, primo comma,
della Costituzione.
In tal senso la norma dell'art. 5 è stata interpretata anche dalla
Corte di cassazione, che in una recente decisione (Sez. III, 16
gennaio 1958), in applicazione del principio fissato dalla Corte
costituzionale, ha testualmente detto: "Si comprende che una volta
dichiarata dalla Corte costituzionale la legittimità costituzionale di
una legge, il giudice dovrà applicarla secondo lo spirito della
Costituzione per una adeguata applicazione al caso concreto. Non crede
questo Supremo Collegio che il criterio interpretativo di così ampia
portata adottato dalla Corte costituzionale sia suscettibile di
modificazioni e che esso non conservi la sua validità anche quando non
trattasi di atti che integrino vera e propria apologia del fascismo ma
si esauriscono in manifestazioni come il canto degli inni fascisti,
poiché si ha ragione di ritenere anche che queste manifestazioni di
carattere apologetico debbano essere sostenute, per ciò che concerne
il rapporto di causalità fisica e psichica, dai due elementi della
idoneità ed efficacia dei mezzi rispetto al pericolo della
ricostituzione del partito fascista e che, quando questi requisiti
sussistono, l'ipotesi di cui all'art. 5 legge citata è
costituzionalmente legittima. Questo principio è fondato sulla stessa
ratio legis, che è quella di evitare, attraverso l'apologia e le
manifestazioni proprie del disciolto partito, il ritorno a qualsiasi
forma di regime in contrasto con i principi e l'assetto dello Stato:
esso non può non investire ogni singola disposizione di cui si compone
la legge 20 giugno 1952".
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
pronunciando con un'unica sentenza sui tre procedimenti riuniti
indicati in epigrafe:
dichiara infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
di legittimità costituzionale della norma contenuta nell'art. 5 della
legge 20 giugno 1952, n. 645, in riferimento alle norme contenute nella
XII delle disposizioni transitorie e finali e nell'art. 21, primo
comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 novembre 1958.
GAETANO AZZARITI - GIUSEPPE CAPPI -
TOMASO PERASSI - GASPARE AMBROSINI -
ERNESTO BATTAGL1NI - MARIO COSATTI -
FRANCESCO PANTALEO GABRIELI -
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO - ANTONINO
PAPALDO - NICOLA JAEGER - GIOVANNI
CASSANDRO - BIAGIO PETROCELLI -
ANTONIO MANCA - ALDO SANDULLI.