Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso depositato il 26 luglio 2021 e iscritto al registro ricorsi n. 38 del 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’articolo 34 della legge della Provincia autonoma di Trento 17 maggio 2021, n. 7 (Prime misure del 2021 connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 e conseguente variazione al bilancio di previsione della Provincia autonoma di Trento per gli esercizi finanziari 2021-2023), in riferimento agli artt. 8 e 9 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), agli artt. 97, secondo comma, 117, commi secondo, lettera l), e terzo della Costituzione, ed in relazione agli artt. 3, comma 1, e 4, commi 1 e 2, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica).
Il comma 1 dell’impugnato art. 34 (rubricato «Partecipazione della Provincia ad una società di mutua assicurazione a responsabilità limitata») dispone che, «[p]er concorrere allo sviluppo economico del Trentino e per sostenere anche in relazione all’emergenza epidemiologica da COVID-19, le iniziative di rafforzamento e a supporto del territorio provinciale, la Provincia è autorizzata a partecipare, direttamente o tramite Cassa del Trentino s.p.a., in qualità di socio sovventore, alla società di mutua assicurazione a responsabilità limitata “ITAS Istituto Trentino-Alto Adige per Assicurazioni Società mutua di assicurazioni”».
Il successivo comma 2 subordina la partecipazione statutaria «al fatto che sia riservato alla Provincia, anche indirettamente, il diritto di designare un proprio rappresentante nel consiglio di amministrazione» di ITAS.
Ai sensi del comma 3, infine, è previsto che detta partecipazione comporta «la spesa di 2,85 milioni di euro per l’anno 2021 sulla missione 01 (Servizi istituzionali, generali e di gestione), programma 03 (Gestione economica, finanziaria, programmazione, provveditorato)».
Il ricorrente deduce, anzitutto, la violazione dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 175 del 2016 (d’ora innanzi: TUSP), che recherebbe, in relazione alle società per le quali è ammessa la partecipazione pubblica, «una elencazione tassativa, stabilendo che “le amministrazioni pubbliche possono partecipare esclusivamente a società, anche consortili, costituite in forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata, anche in forma cooperativa”».
Sostiene l’Avvocatura generale dello Stato che le mutue assicuratrici non sarebbero classificabili fra i menzionati «tipi societari», poiché, «pur essendo infatti inquadrate (al pari delle cooperative) nell’ambito della disciplina di cui al Libro V, Titolo VI, del codice civile concernente “imprese cooperative e mutue assicuratrici”, le mutue assicuratrici sono disciplinate da un Capo (il secondo) diverso da quello dedicato alle cooperative». Le mutue assicuratrici rappresenterebbero pertanto «un genus distinto dalle società cooperative in senso stretto», come confermerebbe anche l’art. 2547 cod. civ., ai sensi del quale, sottolinea il ricorrente, le società di mutua assicurazione «sono regolate dalle norme stabilite per le società cooperative, solo in quanto compatibili con la loro natura».
Il Presidente del Consiglio dei ministri rileva, inoltre, che l’art. 2, comma 1, lettera l), TUSP ricomprenderebbe nel novero delle società per le quali è ammessa la partecipazione pubblica solo «gli organismi di cui ai Titoli V, VI, Capo I, del Libro V del codice civile, anche aventi come oggetto sociale lo svolgimento di attività consortili, ai sensi dell’articolo 2615-ter del codice civile», dal che emergerebbe l’espressa volontà del legislatore nazionale di escludere le mutue assicuratrici, disciplinate, invece, dal Capo II del Titolo VI del Libro V del codice civile.
Secondo il ricorrente, tale scelta sarebbe coerente con «la finalità tipica del modello societario delle mutue assicuratrici, che è quella di garantire ai soci, nel rispetto dei principi mutualistici, l’accesso a prodotti assicurativi a condizioni più favorevoli di quelle presenti sul mercato».
L’impugnativa deduce altresì il contrasto con l’art. 4 TUSP, che elenca le finalità perseguibili mediante l’acquisizione e la gestione di partecipazioni pubbliche e ai sensi del cui primo comma «[l]e amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente, costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società». Il successivo comma 2 elenca tassativamente le attività che possono essere incluse nella partecipazione pubblica a una società. Il combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’art. 4 introdurrebbe, pertanto, un «vincolo di scopo pubblico» e un «vincolo di attività». Le società di mutua assicurazione, invece, svolgerebbero un’attività «del tutto estranea alle finalità istituzionali della Provincia».
Tale ricostruzione troverebbe conferma nel parere del Consiglio di Stato, commissione speciale, del 21 aprile 2016, n. 968, reso sullo «Schema di decreto legislativo recante Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica», in attuazione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 2915, n. 124, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», secondo il quale sarebbero ammesse al finanziamento pubblico le società che svolgono «esclusivamente» le attività di cui alle lettere a), b), c), d), ed e) del comma 2 dell’art. 4 TUSP.
Fra le attività incluse nel richiamato elenco rientrerebbe la produzione di servizi di interesse generale, definiti – ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera h), TUSP – come «le attività di beni o servizi che non sarebbero svolte dal mercato senza un intervento pubblico o sarebbero svolte a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, che le amministrazioni pubbliche, nell’ambito delle rispettive competenze, assumono come necessarie per assicurare la soddisfazione dei bisogni della collettività di riferimento, così da garantire l’omogeneità dello sviluppo e della coesione sociale, ivi inclusi i servizi di interesse economico generale».
Viene in proposito richiamata la deliberazione della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, del 21 dicembre 2016, n. 398, in cui si affermerebbe che, «nel caso in cui la partecipazione dell’ente sia minoritaria (ed in assenza di altri soci pubblici che consentano il controllo della società), il servizio espletato non è da ritenere “servizio di interesse generale”», posto che tale partecipazione minoritaria non potrebbe garantire l’accesso al servizio così come declinato nell’art. 4 TUSP.
È citata anche la deliberazione della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Piemonte, del 5 febbraio 2016, n. 9, in cui si chiarirebbe che le cosiddette “partecipazioni polvere”, non consentendo un controllo sulla partecipata da parte del socio pubblico, non sarebbero coerenti con una valutazione di strategicità della partecipazione, «riducendosi al rango di mero investimento di capitale di rischio, oggi non più ammesso dall’attuale quadro normativo».
Lo Stato afferma, pertanto, che, stante il carattere «quasi certamente» minoritario della partecipazione, non sussisterebbero le condizioni affinché la pubblica amministrazione possa determinare le condizioni di accesso al servizio pubblico, e, tramite esso, perseguire le finalità istituzionali per come richiesto dall’art. 4, comma 1, TUSP.
Il contrasto della norma impugnata con le richiamate norme del TUSP determinerebbe la violazione sia dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di coordinamento della finanza pubblica, sia del principio di buon andamento di cui all’art. 97, secondo comma, Cost., che sarebbe «chiaramente leso», nonché dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. in materia di ordinamento civile.
2.– Con atto depositato il 13 agosto 2021 si è costituita in giudizio la Provincia autonoma di Trento, eccependo l’inammissibilità del ricorso e, in subordine, la sua non fondatezza.
2.1.– La difesa della Provincia autonoma eccepisce che il Presidente del Consiglio dei ministri si sarebbe limitato a indicare i profili di contrasto della disposizione provinciale con gli artt. 3, comma 1, e 4 TUSP, senza però spiegare perché l’asserito contrasto comporti la violazione degli artt. 8 e 9 dello statuto speciale, nonché degli artt. 97, secondo comma, 117, secondo comma, lettera l), e 117, terzo comma, Cost.
A sostegno dell’eccezione di inammissibilità la resistente ricorda che, secondo la giurisprudenza costituzionale, nei giudizi in via principale il ricorso deve contenere «anche una argomentazione di merito, sia pure sintetica, a sostegno della richiesta declaratoria di incostituzionalità, posto che l’impugnativa deve fondarsi su una motivazione adeguata e non meramente assertiva» (è citata la sentenza n. 251 del 2015).
2.2.– Nel merito, la resistente sostiene la non fondatezza anzitutto del primo motivo del ricorso, in quanto i limiti posti dall’art. 3, comma 1, TUSP alla capacità di agire delle pubbliche amministrazioni eccederebbero dai principi e criteri direttivi contenuti nella legge di delega. In proposito, osserva la difesa provinciale che l’art. 18, comma 1, lettera b), della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione e riduzione delle partecipazioni pubbliche) ha delegato il Governo a ridefinire la «disciplina delle condizioni e dei limiti per la costituzione di società, l’assunzione e il mantenimento di partecipazioni societarie da parte di amministrazioni pubbliche entro il perimetro dei compiti istituzionali o di ambiti strategici per la tutela di interessi pubblici rilevanti». Ai sensi della successiva lettera m), numero 1), del comma 1 del medesimo art. 18, in relazione alle società partecipate dagli enti locali, che gestiscono servizi strumentali e funzioni amministrative, la delega al Governo è tesa a definire «criteri e procedure per la scelta del modello societario», oltre che «procedure, limiti e condizioni per l’assunzione, la conservazione e la razionalizzazione di partecipazioni».
Sarebbe chiaro, ad avviso della Provincia autonoma, che, quanto all’oggetto della delega, il Governo fosse autorizzato a disciplinare «condizioni e limiti per la costituzione di società, l’assunzione e il mantenimento di partecipazioni societarie»; e, solo con riferimento agli enti locali, in virtù della competenza esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., il Governo fosse autorizzato a disciplinare procedure, limiti e condizioni per l’assunzione, la conservazione e la razionalizzazione delle partecipazioni, nonché criteri e procedure per la scelta del modello societario. In nessun caso il Governo sarebbe stato autorizzato a limitare la capacità di agire delle amministrazioni pubbliche, escludendola per determinati modelli societari. Non potendosi considerare la Provincia autonoma un ente locale, e considerato il contrasto dell’art. 3, comma 1, TUSP con i principi e i criteri direttivi della legge di delega n. 124 del 2015, la resistente asserisce che esso non può rappresentare né un vincolo né un parametro interposto di legittimità costituzionale rispetto alla disposizione di legge provinciale impugnata.
Secondo la resistente, anche nel caso in cui venisse riconosciuta natura di parametro interposto all’art. 3, comma 1, del TUSP, la questione non sarebbe fondata, poiché l’art. 1, comma 4, lettera b), del medesimo TUSP espressamente prevede che «restano ferme le disposizioni di legge riguardanti la partecipazione di amministrazioni pubbliche a enti associativi diversi dalle società e fondazioni». Si dovrebbe pertanto concludere che il citato art. 3, comma 1, non trovi applicazione nel caso in cui si tratti della partecipazione di una amministrazione pubblica in una società di mutua assicurazione, dovendo quest’ultima considerarsi, ai fini dell’art. 2, comma 1, lettera l), TUSP, un ente associativo diverso dalle società.
Sempre a sostegno della non fondatezza del primo motivo di ricorso, la Provincia autonoma osserva che il Capo II del Titolo IV del Libro V del codice civile non contiene una specifica disposizione sulla forma societaria delle mutue assicuratrici, che troverebbero la loro fonte nel rinvio dell’art. 2547 cod. civ. al precedente art. 2519 cod. civ., il quale, a sua volta, rinvia alla disciplina della spa o della srl. Pertanto – a parere della resistente – l’art. 3, comma 1, TUSP, nel prevedere la possibilità per le amministrazioni pubbliche di partecipare a una spa o a una srl, anche in forma consortile o cooperativa, avrebbe in ogni caso incluso la possibilità di acquisire partecipazioni anche nelle mutue assicuratrici, posto che il codice civile non delinea per queste ultime una particolare forma societaria, e rinvia all’applicazione della disciplina in materia di società cooperative. Tale lettura, peraltro, sarebbe coerente con la ratio della limitazione di cui al comma 1 del richiamato art. 3, che coinciderebbe con l’intento di escludere la partecipazione di amministrazioni pubbliche in società di persone, «in ragione dell’incompatibilità fra responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali nelle società di persone e la funzione autorizzatoria del bilancio per gli enti in contabilità finanziaria». Quanto alle società di capitali, la disposizione avrebbe altresì lo scopo di escludere una partecipazione delle amministrazioni pubbliche nelle società in accomandita per azioni, a meno che non possiedano la qualifica di società quotate.
Sarebbe pertanto errato il presupposto interpretativo da cui parte il ricorrente, dal momento che le mutue assicuratrici non costituirebbero «un genus distinto dalle società cooperative in senso stretto», bensì un tipo societario che si connota rispetto alle società cooperative non tanto sotto il profilo della forma, quanto sotto il profilo dell’oggetto e dell’attività.
Le medesime erroneità interpretative riguarderebbero l’asserita incoerenza della finalità tipica del modello delle mutue assicuratrici, che consisterebbe nel garantire ai soci, nel rispetto dei principi mutualistici, l’accesso a prodotti assicurativi a condizioni più favorevoli di quelle presenti sul mercato, con la partecipazione societaria dell’ente pubblico. In realtà, la resistente osserva che la contestata operazione societaria porterebbe la Provincia ad assumere il ruolo non di “socio assicurato”, di cui all’art. 2546 cod. civ., bensì di “socio sovventore”, regolato dall’art. 2548 cod. civ. La specifica qualità del socio sovventore assumerebbe particolare importanza «sia al fine di rendere possibile la partecipazione di un ente pubblico ad una società di mutua assicurazione, sia in termini di radicamento e perseguimento dell’interesse pubblico sotteso al rapporto sociale».
Inoltre, la modifica all’art. 2, comma 1, TUSP introdotta dal decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 100 (Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, recante testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), che ha integrato il riferimento ai modelli societari previsti dal Titolo V del Libro V del codice civile, con il richiamo alla forma consortile, quale declinazione diversa dal punto di vista organizzativo, dei due modelli societari ammessi, dimostrerebbe che l’azione dell’ente pubblico non è incompatibile con la causa consortile e mutualistica, da cui conseguirebbe che la società a partecipazione pubblica può perseguire uno scopo mutualistico, anche nell’esercizio dell’attività assicurativa.
2.2.1.– Quanto all’asserito contrasto della disposizione provinciale con i parametri statutari e costituzionali evocati, la Provincia autonoma di Trento, oltre a ribadire l’inammissibilità del ricorso per carenza di motivazione, precisa quanto segue.
L’art. 8, numero 1), dello statuto speciale attribuirebbe la competenza legislativa alle due Province autonome in ordine «alla struttura, agli organi, agli uffici provinciali, alle procedure da seguire e ai rapporti con gli altri organi provinciali» (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 212 del 2017). Considerando altresì che – sempre secondo la difesa provinciale – la legge delega n. 124 del 2015 non avrebbe autorizzato il Governo a limitare la capacità di agire delle pubbliche amministrazioni, dovrebbe inferirsi che spetti alla Provincia, nell’esercizio della propria autonomia organizzativa, individuare la opportuna modalità di azione dei soggetti pubblici nell’acquisizione di una partecipazione sociale.
Osserva ancora la Provincia che, con riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., l’art. 3, comma 1, TUSP, evocato a parametro interposto, non avrebbe contenuto finanziario e, quandanche fosse ricondotto alla competenza concorrente in materia di «coordinamento della finanza pubblica», lo Stato «non potrebbe dettare una disciplina di dettaglio», mentre tale parametro non lascerebbe alcuno spazio di adeguamento al legislatore regionale (è citata la sentenza di questa Corte n. 159 del 2008).
Quanto alla violazione dell’art. 97, secondo comma, Cost., la difesa provinciale osserva che, ai sensi della legge delega, il Governo avrebbe dovuto dettare limiti alle partecipazioni societarie da parte delle pubbliche amministrazioni al fine di garantirne l’efficienza, l’efficacia e l’economicità dell’azione amministrativa. Tuttavia, mentre l’esclusione delle partecipazioni in società di persone appare strumentale alla realizzazione del principio del buon andamento, altrettanto non sembra configurabile con riferimento all’asserita esclusione delle partecipazioni nelle mutue assicuratrici, posto che queste ultime avrebbero una struttura e una forma organizzative corrispondenti a quelle delle società cooperative.
Parimenti inconferente sarebbe il richiamo alla violazione della competenza esclusiva in materia di «ordinamento civile», posto che il parametro evocato – volto a individuare limiti all’assunzione di partecipazioni societarie per la razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche – non sarebbe riconducibile all’ambito di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
2.3. – La resistente sostiene la non fondatezza della questione anche in relazione all’art. 4, comma 2, TUSP, che individuerebbe le finalità sottese alla partecipazione pubblica in società.
Secondo la Provincia autonoma, la legge delega avrebbe disposto che «il perimetro delle società suscettibili di partecipazione pubblica fosse tracciato dall’esercizio dei “compiti istituzionali” e dagli “ambiti strategici per la tutela di interessi pubblici rilevanti”».
L’art. 4, comma 2, TUSP, invece, avrebbe introdotto limiti alla capacità di agire della pubblica amministrazione più restrittivi di quanto previsto dal delegante, in quanto vi avrebbe ricompreso solo le società che hanno per oggetto l’attività di produzione di beni servizi strettamente necessarie per il perseguimento di finalità istituzionali. Per questa ragione, la disposizione evocata dal ricorrente non sarebbe idonea a costituire un valido parametro interposto rispetto all’impugnato art. 34 della legge prov. Trento n. 7 del 2021.
Nell’ipotesi in cui questa Corte ritenesse l’evocata norma interposta coerente con i principi e i criteri direttivi della legge delega n. 124 del 2015, la resistente osserva, comunque, che, ai sensi dell’art. 5 TUSP, la costituzione di una società o l’acquisto di una partecipazione decisi da una pubblica amministrazione «in conformità ad espresse previsioni legislative» sarebbero sottratti al dovere di motivazione analitica in ordine al perseguimento delle finalità istituzionali previste dall’art. 4 TUSP. Il citato art. 5 rimetterebbe, dunque, al legislatore la facoltà di «declinare forme e modi di tutela degli interessi pubblici rilevanti, anche attraverso l’acquisizione di partecipazioni societarie, non solo nell’espletamento dei “compiti istituzionali”, bensì anche negli ambiti ritenuti strategici dal Legislatore competente […] da individuare in quello regionale o provinciale, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., applicabile alle autonomie speciali in ragione della clausola del maggior favore», ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione» (sono citate le sentenze di questa Corte n. 229 del 2013 e n. 159 del 2008).
In questa prospettiva, in virtù dell’espressa previsione normativa provinciale sarebbe consentito alla Provincia autonoma e agli enti locali «costituire o partecipare a società, anche indirettamente, nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 3, 4, 5, comma 3, e 7, commi 3 e 4, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175.
Osserva poi la difesa provinciale che l’art. 5, comma 1, lettera d) del d.lgs. n. 100 del 2017, modificando l’art. 4, comma 9, TUSP, avrebbe esteso alle Regioni e alle Province autonome il potere amministrativo di deroga al carattere tassativo dell’elenco contenuto nel comma 2 del medesimo articolo. Da tale deroga dovrebbe inferirsi la possibilità per le amministrazioni regionali e provinciali di stabilire l’acquisizione di partecipazioni societarie ritenute strategiche per il perseguimento di interessi pubblici rilevanti, ai sensi dell’art. 18, comma 1, lettera b), della legge di delega n. 124 del 2015, anche laddove non svolgenti attività di produzione di beni e servizi necessari per il perseguimento di finalità istituzionali e, dunque, non riconducibili nell’alveo di cui all’art. 4, commi 1 e 2, TUSP.
La disposizione impugnata, ancora, troverebbe il proprio fondamento sia nelle prerogative che lo statuto speciale riconoscerebbe (entro i limiti degli artt. 4 e 5) alle Province autonome nelle materie dell’agricoltura (art. 8, numero 21), dell’industria (art. 9, numero 8), del commercio (art. 9, numero 3), dell’artigianato (art. 8, numero 9) e del turismo (art. 8, numero 20) sia nella materia concorrente della tutela della salute (art. 117, terzo comma, Cost. e art. 10 legge cost. n. 3 del 2001), sia, infine, per effetto della delega contenuta nell’art. 2, comma 1, della legge della Regione Trentino-Alto Adige 24 maggio 1992, n. 4 (Interventi in materia di previdenza integrativa), rientrante nella materia «previdenza e assicurazioni sociali» (di cui all’art. 6 dello statuto speciale).
Sostiene, pertanto, la resistente che la scelta di ricorrere alla leva dello strumento assicurativo, così come di quello bancario, corrisponderebbe «all’esigenza di irrobustire il tessuto economico mediante il rafforzamento delle politiche pubbliche».
In quest’ottica, la partecipazione della Provincia – prevista dalla norma impugnata – alla società di mutua assicurazione ITAS in qualità di socio sovventore – non essendo tale partecipazione finalizzata a garantire l’accesso a prodotti assicurativi a condizioni più favorevoli di quelle presenti sul mercato, ma tesa piuttosto a concorrere allo sviluppo economico del Trentino – assumerebbe «un contenuto di garanzia e di custodia sia degli interessi pubblici generali, sia della tenuta della coesione economico-sociale, rispetto ai rischi indotti dall’emergenza epidemiologica da COVID-19, […] in conformità e assonanza con quanto espresso dall’art. 45 Cost.», che espliciterebbe il significativo riconoscimento della Repubblica nei confronti della «funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata».
Nel contestare le deduzioni dell’Avvocatura dello Stato, la Provincia autonoma osserva, poi, che l’inidoneità di una partecipazione minoritaria a garantire il reale perseguimento delle proprie finalità istituzionali riguarderebbe esclusivamente le società che svolgono servizi di interesse generale e non quelle operanti in “ambiti strategici per la tutela di interessi pubblici rilevanti”, nel cui ambito una partecipazione pubblica minoritaria potrebbe essere comunque sufficiente a garantire il condizionamento delle decisioni dell’organizzazione (si cita la sentenza del Consiglio di Stato, sezione quinta, 23 gennaio 2019, n. 578).
La difesa provinciale, ribadita l’inammissibilità del ricorso per omessa motivazione sulla riconducibilità della dedotta violazione dell’art. 4, comma 1, TUSP ai parametri statutari e costituzionali evocati dal ricorrente, conclude per la sua non fondatezza per i seguenti motivi.
Anzitutto, quanto ai parametri statutari, l’art. 8, numero 1), dello statuto speciale attribuirebbe al legislatore provinciale competenza primaria in ordine alla struttura, agli organi, agli uffici provinciali, alle procedure da seguire e ai rapporti con gli altri organi provinciali (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 212 del 2017). Ciò posto, considerato che la legge delega n. 124 del 2015 consentirebbe espressamente alle amministrazioni pubbliche di acquisire partecipazioni in società, oltre che «entro il perimetro dei compiti istituzionali», anche in «ambiti strategici per la tutela degli interessi pubblici rilevanti», spetterebbe propriamente alla Provincia autonoma di Trento individuare nell’acquisizione di una partecipazione sociale – ritenuto sussistente un interesse pubblico meritevole di tutela – la modalità adeguata dell’intervento pubblico, nell’esercizio della propria autonomia organizzativa, nonché della ricordata competenza legislativa primaria, ai sensi dell’art. 8, numero 1), dello statuto speciale, e residuale, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.
Con riferimento, invece, al principio di buon andamento della pubblica amministrazione, la resistente osserva che la legge di delega avrebbe riconosciuto alle amministrazioni pubbliche la possibilità di acquisire e mantenere partecipazioni societarie anche in ambiti strategici per la tutela di interessi pubblici rilevanti, proprio al fine di una loro razionalizzazione, e sarebbe, dunque, nell’ottica di garantire il buon andamento dell’amministrazione che la Provincia autonoma avrebbe previsto la partecipazione alla società di mutua assicurazione ITAS, considerato ambito strategico per la tutela di interessi pubblici rilevanti, «nel rispetto dei principi della legalità finanziaria e della gestione efficiente, imparziale e non speculativa del rapporto societario».
Quanto all’asserita violazione della competenza esclusiva statale in materia di «ordinamento civile», la difesa provinciale rappresenta che l’art. 4, comma 1, TUSP non conterrebbe una disciplina afferente istituti di diritto civile, ma avrebbe piuttosto individuato i compiti istituzionali tipici delle pubbliche amministrazioni, elemento che dimostrerebbe la natura pubblicistica dei vincoli introdotti, «per predefinire e limitare i casi di funzionalizzazione delle partecipazioni societarie della pubblica amministrazione».
Viene infine rilevato che, mancando ogni motivazione in ordine alla riconducibilità del dedotto contrasto dell’art. 4, comma 1, TUSP, alla competenza dello Stato in materia di «coordinamento della finanza pubblica», tale norma interposta non avrebbe «contenuto finanziario» e, comunque – quandanche fosse ricondotta a tale ambito – lo Stato «non potrebbe dettare una disciplina di dettaglio […] mentre l’art. 4, commi 1, 2 e 9 TUSP non lascia alcuno spazio di adeguamento al Legislatore regionale e provinciale» (si cita la sentenza di questa Corte n. 159 del 2008).
3.– Con memoria depositata in data 1° febbraio 2022, la Provincia autonoma di Trento ribadisce quanto sostenuto nell’atto di costituzione sull’inammissibilità del ricorso e, in subordine, sulla sua non fondatezza.
Nel merito, osserva che il comma 9 dell’art. 4 TUSP consentirebbe alle Regioni e alle Province autonome di sottrarre la partecipazione societaria all’applicazione dei limiti previsti dal medesimo art. 4, consentendo «di acquisire una partecipazione societaria in ambiti strategici per la tutela di interessi pubblici rilevanti, dunque anche in assenza di una relazione di necessità della stessa partecipazione societaria per l’esercizio di compiti istituzionali».
In proposito, la difesa provinciale illustra che ITAS rappresenterebbe un istituto della cooperazione trentina profondamente radicato nella storia locale, poiché la società sarebbe stata fondata nel 1821, quale istituto di assicurazione pubblica contro gli incendi, e poi sarebbe stata trasformata in mutua assicuratrice privata, e, pertanto, autorizzata allo svolgimento di attività assicurativa ai sensi dell’art. 65 del regio decreto legge 29 aprile 1923, n. 966 (Esercizio delle assicurazioni private). La funzione sociale della cooperazione, anche per l’esercizio di attività economica, sarebbe oggi espressamente riconosciuta dall’art. 45 Cost.
4.– Anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria illustrativa, in cui sostiene la chiarezza e la sufficienza argomentativa del ricorso.
Deduce, poi, l’inammissibilità dell’eccezione provinciale, relativa all’eccesso di delega del parametro interposto evocato. Secondo il ricorrente, tale eccezione rappresenterebbe un inammissibile tentativo di aggirare i termini perentori per proporre un ricorso in via principale, ai sensi dell’art. 127 Cost. (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 220 del 2021).
Peraltro, l’eccezione sarebbe comunque non fondata, poiché il tenore testuale dell’art. 18, comma 1, lettera b), della legge n. 124 del 2015 chiarirebbe che il principio direttivo contempla espressamente, ai fini della razionalizzazione e riduzione delle partecipazioni pubbliche secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, la «ridefinizione della disciplina, delle condizioni e dei limiti per la costituzione di società, per l’assunzione e il mantenimento di partecipazioni societarie da parte di amministrazioni pubbliche entro il perimetro dei compiti istituzionali o di ambiti strategici per la tutela di interessi pubblici rilevanti».
Il ricorrente deduce, infine, che la disciplina sulle partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche intersecherebbe diversi ambiti di competenza esclusiva statale, quali la tutela della concorrenza e l’ordinamento civile, con finalità di coordinamento della finanza pubblica e a garanzia del buon andamento della pubblica amministrazione.
Considerato in diritto
1.– Con ricorso depositato il 26 luglio 2021 e iscritto al registro generale n. 38 del 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 34 della legge della Provincia autonoma di Trento 17 maggio 2021, n. 7 (Prime misure del 2021 connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 e conseguente variazione al bilancio di previsione della Provincia autonoma di Trento per gli esercizi finanziari 2021-2023), in riferimento agli artt. 8 e 9 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), agli artt. 97, secondo comma, 117, commi secondo, lettera l), e terzo, della Costituzione, ed in relazione agli artt. 3, comma 1, e 4, commi 1 e 2, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica).
Il comma 1 dell’art. 34 (rubricato «Partecipazione della Provincia ad una società di mutua assicurazione a responsabilità limitata») della legge prov. Trento n. 7 del 2021 dispone che, «[p]er concorrere allo sviluppo economico del Trentino e per sostenere anche in relazione all’emergenza epidemiologica da COVID-19, le iniziative di rafforzamento e a supporto del territorio provinciale, la Provincia è autorizzata a partecipare, direttamente o tramite Cassa del Trentino s.p.a., in qualità di socio sovventore, alla società di mutua assicurazione a responsabilità limitata “ITAS Istituto Trentino-Alto Adige per Assicurazioni Società mutua di assicurazioni”».
Il successivo comma 2 subordina la partecipazione statutaria «al fatto che sia riservato alla Provincia, anche indirettamente, il diritto di designare un proprio rappresentante nel consiglio di amministrazione» di ITAS.
Ai sensi del comma 3, infine, è previsto che detta partecipazione comporta «la spesa di 2,85 milioni di euro per l’anno 2021 sulla missione 01 (Servizi istituzionali, generali e di gestione), programma 03 (Gestione economica, finanziaria, programmazione, provveditorato)».
Il ricorrente deduce, anzitutto, la violazione dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 175 del 2016 (d’ora innanzi, anche TUSP) che recherebbe, in relazione alle società per le quali è ammessa la partecipazione pubblica, «una elencazione tassativa, stabilendo che “le amministrazioni pubbliche possono partecipare esclusivamente a società, anche consortili, costituite in forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata, anche in forma cooperativa”».
Sostiene l’Avvocatura generale dello Stato che le mutue assicuratrici non sarebbero classificabili fra i menzionati «tipi societari», poiché, «pur essendo esse inquadrate (al pari delle cooperative) nell’ambito della disciplina di cui al Libro V, Titolo VI, del codice civile concernente “imprese cooperative e mutue assicuratrici”, le mutue assicuratrici sono disciplinate da un Capo (il secondo) diverso da quello dedicato alle cooperative». Le mutue assicuratrici rappresenterebbero, pertanto, «un genus distinto dalle società cooperative in senso stretto», come confermerebbe anche l’art. 2547 cod. civ., ai sensi del quale le società di mutua assicurazione «sono regolate dalle norme stabilite per le società cooperative, solo in quanto compatibili con la loro natura».
Il Presidente del Consiglio dei ministri rileva, inoltre, che l’art. 2, comma 1, lettera l), TUSP ricomprende nel novero delle società ammesse alla partecipazione pubblica solo «gli organismi di cui ai Titoli V, VI, Capo I, del Libro V del codice civile, anche aventi come oggetto sociale lo svolgimento di attività consortili, ai sensi dell’articolo 2615-ter del codice civile», dal che emergerebbe l’espressa volontà del legislatore nazionale di escludere le mutue assicuratrici, disciplinate, invece, dal Capo II del Titolo VI del Libro V del codice civile.
Secondo il ricorrente, tale scelta sarebbe coerente con «la finalità tipica del modello societario delle mutue assicuratrici, che è quella di garantire ai soci, nel rispetto dei principi mutualistici, l’accesso a prodotti assicurativi a condizioni più favorevoli di quelle presenti sul mercato».
L’attività svolta dalle mutue assicuratrici sarebbe, altresì, «del tutto estranea alle finalità istituzionali della Provincia», onde il contrasto con l’art. 4, commi 1 e 2, TUSP.
In particolare, il comma 1 del citato art. 4 – ai sensi del quale «le amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente, costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società» – elencherebbe le finalità perseguibili mediante l’acquisizione e la gestione di partecipazioni pubbliche, mentre il successivo comma 2 elencherebbe tassativamente le attività che possono essere incluse nella partecipazione pubblica a una società. Il combinato disposto dei menzionati commi 1 e 2 introdurrebbe, pertanto, un «vincolo di scopo pubblico» e un «vincolo di attività».
2.– In via preliminare, occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità per difetto di motivazione, formulata dalla Provincia autonoma, secondo cui il Presidente del Consiglio dei ministri si sarebbe limitato a indicare i profili di contrasto della disposizione provinciale con gli artt. 3, comma 1, e 4, commi 1 e 2, TUSP, senza spiegare perché l’asserito contrasto comporti la violazione degli invocati parametri statutari e costituzionali.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, il vaglio di ammissibilità richiede una motivazione adeguata e non meramente apodittica e tale esigenza si pone «in termini ancora più rigorosi nei giudizi proposti in via principale» (sentenza n. 82 del 2021), in cui «il ricorrente ha l’onere non soltanto di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali di cui denuncia la violazione, ma anche di suffragare le ragioni del dedotto contrasto con una argomentazione sufficientemente chiara e completa» (sentenza n. 24 del 2022).
Nel caso di specie, è inammissibile la questione sollevata in riferimento ai parametri dello statuto speciale, mancando «un’indicazione, sia pure sintetica […], in ordine all’estraneità della materia alla sfera di attribuzioni stabilita dallo stesso» (sentenza n. 43 del 2020).
Quanto alla questione relativa alla lesione congiunta degli artt. 97, secondo comma, e 117, commi secondo, lettera l), e terzo, Cost., il ricorso, benché sintetico, è comunque sufficientemente argomentato e consente l’esame del merito. L’intero impianto motivazionale, infatti, poggia sull’asserito contrasto della norma provinciale con gli artt. 3 e 4 del d.lgs. n. 175 del 2016, ed è sostenuto da riferimenti alla giurisprudenza di questa Corte. Il ricorrente, quindi, ha dato sufficientemente conto delle condizioni per l’applicazione delle norme di competenza di cui al Titolo V della Parte II della Costituzione nei confronti della Provincia autonoma. La questione relativa ai parametri costituzionali è pertanto ammissibile.
3.– Sempre in via preliminare, deve essere rigettata l’eccezione della difesa provinciale relativa all’asserita inidoneità degli artt. 3, comma 1, e 4, commi 1 e 2, TUSP a fungere da parametri interposti in ragione della loro illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 76 Cost., in quanto non avrebbero rispettato i principi e i criteri direttivi posti dall’art. 18 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche). Ai sensi del richiamato art. 18, comma 1, lettera b), il legislatore delegato doveva prevedere la «ridefinizione della disciplina, delle condizioni e dei limiti per la costituzione di società, l’assunzione e il mantenimento di partecipazioni societarie da parte di amministrazioni pubbliche entro il perimetro dei compiti istituzionali o di ambiti strategici per la tutela di interessi pubblici rilevanti, quale la gestione di servizi di interesse economico generale»; nonché la «applicazione dei principi della presente lettera anche alle partecipazioni pubbliche già in essere».
Come rilevato dal Presidente del Consiglio dei ministri, il confronto testuale fra le più volte evocate norme interposte e tale principio direttivo contenuto nella legge delega rende manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale prospettato dalla difesa provinciale, in quanto la legge di delega espressamente prevede l’introduzione di «condizioni» e «limiti» alle partecipazioni pubbliche in società.
4.– Al fine dell’esame di merito, è necessario, anzitutto, ricordare a quali titoli di competenza afferiscono le norme in materia di società a partecipazione pubblica contenute nel d.lgs. n. 175 del 2016.
La giurisprudenza di questa Corte ha ricondotto la disciplina da esso recata a diversi e concorrenti ambiti materiali, quali l’«ordinamento civile», trattandosi di disposizioni «volte a definire il regime giuridico di soggetti diversi di diritto privato» (sentenza n. 227 del 2020); la «tutela della concorrenza», in considerazione dello scopo di talune disposizioni di «evitare che soggetti dotati di privilegi operino in mercati concorrenziali» (sentenza n. 251 del 2016); il «coordinamento della finanza pubblica», «trattandosi di norme che, in linea con le disposizioni in materia di riduzione del costo della pubblica amministrazione (cosiddetta spending review), pongono misure finalizzate alla previsione e al contenimento delle spese delle società a controllo pubblico per il loro funzionamento» (sentenza n. 194 del 2020).
Nel caso di specie, sono evocati come parametri interposti gli artt. 3, comma 1, e 4, commi 1 e 2, TUSP, che individuano, rispettivamente, le forme societarie per le quali è ammessa la partecipazione pubblica e le finalità perseguibili mediante la loro acquisizione e gestione.
La definizione da parte dello Stato delle forme sociali e delle finalità per le quali è consentita la partecipazione pubblica costituisce espressione della competenza esclusiva in materia di «ordinamento civile». Considerata, al contempo, la finalità complessiva di coordinamento della finanza pubblica del TUSP, gli invocati parametri interposti sono anche teleologicamente orientati alla razionalizzazione e riduzione delle partecipazioni pubbliche nelle società, e pertanto intersecano profili di coordinamento finanziario e tutela del buon andamento della pubblica amministrazione. È in relazione a questi parametri costituzionali congiuntamente considerati che devono, quindi, essere esaminate le questioni.
5.– Stante la sua priorità logica, deve essere esaminata per prima la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 della legge prov. autonoma di Trento n. 7 del 2021, promossa in riferimento agli artt. 97, secondo comma, 117, commi secondo, lettera l), e terzo, Cost., in relazione all’art. 4 TUSP.
La questione è fondata.
Ai sensi del comma 1 del richiamato art. 4, «[l]e amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente, costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società».
Il successivo comma 2 prevede che, nei limiti del comma precedente, «le amministrazioni pubbliche possono, direttamente o indirettamente, costituire società e acquisire o mantenere partecipazioni in società esclusivamente per lo svolgimento delle attività sotto indicate: a) produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi; b) progettazione e realizzazione di un’opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'articolo 193 del decreto legislativo n. 50 del 2016; c) realizzazione e gestione di un’opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d’interesse generale attraverso un contratto di partenariato di cui all’articolo 180 del decreto legislativo n. 50 del 2016, con un imprenditore selezionato con le modalità di cui all’articolo 17, commi 1 e 2; d) autoproduzione di beni o servizi strumentali all’ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento; e) servizi di committenza, ivi incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all’articolo 3, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 50 del 2016».
Le due disposizioni individuano, pertanto, i limiti che incontrano le partecipazioni societarie delle pubbliche amministrazioni, imponendo – quale vincolo generale – lo stretto nesso strumentale fra le attività esercitate dalla società e le finalità istituzionali del socio pubblico e – quali limiti specifici – quelli individuati nel catalogo di cui al comma 2.
Nel caso di specie, l’oggetto della partecipazione prevista dall’impugnato art. 34, comma 1 – l’erogazione di servizi assicurativi, a pagamento, in tutto il territorio nazionale – eccede il menzionato limite generale, non essendo configurabile un legame di stretta necessarietà fra le attività esercitate dalla società ITAS spa e i fini istituzionali della Provincia autonoma di Trento, restando ininfluente che la società rappresenti una realtà storicamente radicata nel territorio provinciale e la Provincia autonoma, ai sensi degli artt. 8 e 9 dello statuto speciale, sia titolare di competenza legislativa primaria in alcune materie che riguardano anche l’economia del territorio.
Il TUSP è stato concepito in seno a un ampio progetto di riforma della pubblica amministrazione e riordina, innovando, un quadro legislativo piuttosto disorganico, frutto di ripetuti interventi del legislatore che avevano tentato di ridurre gli sprechi e di porre limiti al ricorso alle società a partecipazione pubblica. Il TUSP, infatti, punta a contrastare l’aumento ingiustificato del ricorso alle partecipazioni pubbliche, con inefficienze gestionali gravanti, in ultima analisi, sui bilanci degli enti partecipanti.
Mentre l’art. 4, comma 1, TUSP, che regola le forme societarie per cui è ammessa la partecipazione pubblica, esclude sostanzialmente le società di persone – limitando a monte la scelta organizzativa degli enti – in ragione della natura pubblica delle risorse impiegate, l’art. 4, comma 2, che disciplina l’oggetto e i fini societari, mira a circoscrivere a valle l’impiego di risorse pubbliche per la partecipazione in società che non siano strettamente necessarie al perseguimento degli scopi tassativi ivi elencati.
La partecipazione della Provincia autonoma nella società di mutua assicurazione ITAS spa si inserisce in un settore che non può definirsi «strettamente necessario» al perseguimento dei suoi fini istituzionali o allo svolgimento delle sue funzioni, non rientrando l’attività assicurativa nemmeno fra i «beni o servizi strumentali all’ente» partecipante (art. 4, comma 2, lettera d, TUSP), con effetti potenzialmente lesivi della tutela della concorrenza, atteso che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, le norme che disciplinano restrittivamente le società pubbliche strumentali sono, tra l’altro, «dirette ad evitare che soggetti dotati di privilegi svolgano attività economica al di fuori dei casi nei quali ciò è imprescindibile per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali» (sentenza n. 229 del 2013).
La scelta della Provincia autonoma, pertanto, si pone in contrasto con una norma dettata nell’esercizio, al contempo, della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile e di quella concorrente del coordinamento della finanza pubblica, oltre che per dare attuazione al principio del buon andamento della pubblica amministrazione.
In definitiva, l’art. 34 della legge prov. Trento n. 7 del 2021, violando l’art. 4, commi 1 e 2, TUSP, contrasta con gli artt. 97, secondo comma, 117, commi secondo, lettera l), e terzo, Cost.
6.– Restano assorbiti gli ulteriori profili di impugnazione articolati in ricorso.