Sentenza 43/1988 (ECLI:IT:COST:1988:43)
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: SAJA - Redattore:
Camera di Consiglio del 10/12/1987 Decisione del 14/01/1988
Deposito del 21/01/1988 Pubblicazione in G. U. 27/01/1988
n. 4
Norme impugnate:
Correzione di errore materiale:
v. ordinanza di correzione di errore materiale n. 1988/496
N. 43
SENTENZA 14-21 GENNAIO 1988
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo
CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO dott. Francesco GRECO, prof.
Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 9 del r.d. 30
ottobre 1930, n. 1731 ("Norme sulle comunità israelitiche e sulla
unione delle comunità medesime"), promosso con ordinanza emessa l'8
febbraio 1980 dalla Corte d'appello di Firenze, iscritta al n. 374
del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 187 dell'anno 1980;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella Camera di consiglio del 10 dicembre 1987 il Giudice
relatore Vincenzo Caianiello;
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un giudizio instaurato ex art. 28 R.D. 19
novembre 1931, n. 1561, ed avente ad oggetto l'eleggibilità alla
carica di consigliere di una Comunità israelitica, la Corte di
appello di Firenze, ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dell'art. 9 R.D. 30 ottobre 1931, n. 1731, sostenendo
che questa - limitando l'eleggibilità (alla predetta carica) ai
soggetti di età superiore ai 25 anni, di sesso maschile, ed in
possesso del diploma di scuola inferiore ovvero di grado rabbinico si
porrebbe in contrasto l'art. 8, secondo comma, Cost., che sancisce il
principio della libertà organizzativa delle chiese diverse da quella
cattolica;
Il giudice a quo ritiene inapplicabile alla fattispecie sottoposta
al suo esame l'art. 3 della delibera del Congresso straordinario
delle Comunità israelitiche italiane, che stabilisce per
l'eleggibilità i soli requisiti dell'età e della buona condotta, in
quanto tale disposizione non potrebbe avere alcun effetto abrogativo
sulla norma impugnata. Il permanere della vigenza di questa, secondo
l'ordinanza di rimessione, contrasta perciò con l'art. 8, terzo
comma Cost., che consente allo Stato di intervenire con legge solo
per regolare i rapporti con le confessioni religiose, e non anche per
dettarne la disciplina organizzativa.
2. - È intervenuta l'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo
che la questione venga dichiarata infondata, sostenendo che la norma
costituzionale attribuisce alle confessioni religiose non cattoliche
il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, ma non impone
alle stesse il dovere di emanare norme autonome di organizzazione. Ne
conseguirebbe che le eventuali norme statali in tema di
organizzazione delle confessioni religiose, avrebbero carattere
suppletivo, destinate perciò a divenire inefficaci ove dovessero
sopravvenire norme confessionali incompatibili con esse. Questo
carattere escluderebbe perciò il ravvisato contrasto della norma
denunciata con l'art. 8 Cost.
Considerato in diritto
1. - Oggetto della questione di legittimità costituzionale
sottoposta all'esame della Corte è l'art. 9 del r.d. 24 settembre
1931, n. 1279, il quale prevede i requisiti per l'eleggibilità dei
componenti dei consigli delle Comunità israelitiche.
Ad avviso del giudice a quo la norma denunciata è in contrasto
con l'art. 8, secondo comma, Cost., il quale sancisce il diritto
delle confessioni religiose ad organizzarsi secondo i propri statuti
in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano.
2. - La questione è fondata.
Come è stato rilevato in dottrina, al riconoscimento da parte
dell'art. 8, secondo comma, Cost., della capacità delle confessioni
religiose, diverse dalla cattolica, di dotarsi di propri statuti,
corrisponde l'abbandono da parte dello Stato della pretesa di
fissarne direttamente per legge i contenuti.
Con questa autonomia istituzionale, che esclude ogni possibilità
di ingerenza dello Stato nell'emanazione delle disposizioni
statutarie delle confessioni religiose, è in contrasto la norma
denunciata. Questa, difatti, con lo stabilire i requisiti per
l'eleggibilità alla carica di componente dei consigli delle
Comunità israelitiche (requisiti che, peraltro, sono indicati
attualmente in modo diverso dall'art. 3 della delibera del 28-29
aprile 1968 adottata dal Congresso straordinario delle Comunità
israelitiche italiane) condiziona e limita il diritto riconosciuto
alle confessioni religiose dall'art. 8 Cost. di darsi i propri
statuti, purché "non contrastino con l'ordinamento giuridico
italiano". Questa espressione si può intendere riferita difatti solo
ai principi fondamentali dell'ordinamento stesso e non anche a
specifiche limitazioni poste da particolari disposizioni normative,
come quella rispetto alla quale è stata sollevata la questione in
esame.
3. - Sostiene l'Avvocatura Generale dello Stato che la norma
denunciata avrebbe carattere suppletivo e quindi cederebbe di fronte
a disposizioni statutarie che dovessero disporre in modo diverso,
onde la questione sarebbe in parte infondata e in parte irrilevante.
L'assunto non può essere condiviso perché l'art. 9 del R.D. 30
ottobre 1930, n. 1731, per l'epoca in cui fu emanato, per il contesto
normativo nel quale è collocato e per la sua formulazione testuale,
ha un chiaro significato cogente, prevalendo, ove non ne venisse
dichiarata l'incostituzionalità, sugli statuti emanati dagli
organismi delle confessioni religiose che risultassero in contrasto
con essa.
È proprio il caso che ha dato luogo al giudizio a quo indicativo
di questa evenienza, perché, appunto facendo riferimento alla norma
censurata il Prefetto di Firenze ha dichiarato l'ineleggibilità di
alcuni componenti del consiglio di una Comunità israelitica, il che
dimostra come la vigenza della norma sia tuttora limitativa di quella
potestà statutaria ampiamente riconosciuta alle confessioni
religiose dall'art. 8, secondo comma, Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 9 del R.D. 30
ottobre 1930, n. 1731, ("Norme sulle comunità israelitiche e sulla
unione delle comunità medesime").
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 1988.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: CAIANIELLO
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 21 gennaio 1988.
Il direttore della cancelleria: MINELLI