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La struttura

La composizione della Corte

Secondo l'articolo 135 della Costituzione, la Corte si compone di quindici giudici. Il sistema di nomina è frutto di un equilibrio delicato, perché cerca di armonizzare fra loro esigenze diverse: assicurare che i giudici siano il più possibile imparziali e indipendenti; garantire il necessario livello di competenza tecnico-giuridica; portare nella Corte varie competenze ed esperienze, diverse culture e sensibilità, ma non estranee e scollegate rispetto a quelle presenti nelle istituzioni politiche.
I giudici devono essere scelti tutti fra ristrette categorie di giuristi con elevata preparazione: magistrati, in servizio o a riposo, provenienti dalle "supreme magistrature", cioè dalla Corte di cassazione (organo di vertice della magistratura ordinaria), dal Consiglio di Stato (organo di vertice della magistratura amministrativa) e dalla Corte dei conti (organo della magistratura contabile); professori universitari ordinari di materie giuridiche; avvocati con una esperienza di almeno vent'anni di esercizio della professione. Non c'è alcun limite minimo né massimo di età: di fatto, richiedendosi l'appartenenza alle magistrature superiori o una qualifica accademica elevata o un lungo esercizio professionale, i giudici giungono per lo più alla Corte in età matura.
Ogni giudice è nominato per un mandato di nove anni (ancora una volta senza limiti di età), e non è rieleggibile né prorogabile: alla scadenza, va a riposo o rientra, se ne ha ancora i requisiti, nella precedente posizione professionale. La lunghezza del mandato (originariamente di dodici anni, e ridotto a nove da una riforma costituzionale del 1967) è superiore a quella di ogni altro mandato previsto dalla Costituzione (le Camere sono elette per cinque anni, il Governo dura al massimo una legislatura, cioè cinque anni, il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni): si tende così ad assicurare l'indipendenza dei giudici, anche dagli organi politici che li designano. Se un giudice cessa dal mandato anticipatamente, per morte o dimissioni o decadenza (quest'ultima può essere disposta solo dalla stessa Corte nel caso di gravissime mancanze, ma non è mai accaduto), viene sostituito ad opera dello stesso organo che aveva designato il suo predecessore, e dura in carica a sua volta nove anni. In tal modo, essendosi nel tempo sfasate fra di loro le date delle nomine dei singoli giudici, il mutamento della composizione della Corte è sempre parziale e graduale, e non c'è mai una brusca cesura fra una composizione ed un'altra; sicché la "giurisprudenza" della Corte (cioè gli orientamenti che stanno a base delle sue decisioni) può sì mutare, ma nell'àmbito di una fondamentale continuità.
Ogni giudice, entrando a far parte della Corte, si immette nel "collegio" apportando il contributo della sua personalità e lavorando a stretto contatto con gli altri giudici. È infatti una caratteristica essenziale della Corte costituzionale quella di essere un organo "collegiale": le sue decisioni non sono prese da una né da poche persone, ma sempre dal collegio, cioè dall'insieme dei giudici (da undici numero minimo richiesto perché la Corte possa deliberare a quindici, il totale dei membri).

Il Cortile d’onore del Palazzo della Consulta in una stampa di Bernardo Sansone Sgrilli

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Chi sceglie i giudici

Nell'attribuire il potere di nomina dei componenti della Corte, la Costituzione ha operato un delicato e complesso bilanciamento fra le diverse esigenze che si sono dette. Un terzo dei giudici (cioè cinque) è eletto dai magistrati di ciascuna delle tre magistrature superiori (tre dalla Corte di cassazione, uno dal Consiglio di Stato, uno dalla Corte dei conti), a maggioranza assoluta (metà più uno dei componenti del collegio elettorale) e con eventuale ballottaggio fra i più votati. Altri cinque sono eletti dal Parlamento in "seduta comune", cioè dalle due Camere riunite, con un voto a maggioranza di due terzi dei componenti nei primi tre scrutini, e di tre quinti dei componenti (cioè circa 570, sui circa 950 deputati e senatori) dal quarto scrutinio in poi. Gli ultimi cinque sono scelti dal Presidente della Repubblica di propria iniziativa.
I giudici provenienti dalle magistrature sono portatori di qualificate esperienze giudiziarie e sono sganciati dalle scelte degli organi politici.
I giudici di nomina parlamentare (scelti per lo più tra professori e avvocati, ma anche fra magistrati) possono più facilmente essere portatori di esperienze e di sensibilità presenti nelle assemblee rappresentative (spesso hanno anche alle spalle un'attività parlamentare), ma l'elevato numero di voti richiesto per l'elezione fa sì che non sia la sola maggioranza a sceglierli: normalmente intervengono accordi fra le forze politiche presenti in Parlamento, per cui i giudici eletti sono sì indicati, ciascuno, da forze parlamentari diverse, di maggioranza e di opposizione, ma sono accettati e votati dalle une e dalle altre. Non è raro che il raggiungimento degli accordi e del consenso necessari richieda molto tempo e molte votazioni: è per questo che, quando nuovi giudici devono essere eletti dal Parlamento, accade che l'elezione ritardi, e nel frattempo la Corte continui a funzionare a ranghi ridotti. I giudici eletti dal Parlamento non sono comunque rappresentanti o mandatari delle forze che li hanno indicati, ma, al pari di tutti gli altri componenti della Corte, sono indipendenti dai partiti che li hanno eventualmente designati e dallo stesso Parlamento che li ha eletti.
I cinque giudici nominati dal Capo dello Stato sono scelti normalmente in funzione di integrazione o di equilibrio rispetto alle scelte effettuate dal Parlamento, in modo tale che la Corte costituzionale sia lo specchio il più possibile fedele del pluralismo politico, giuridico e culturale del Paese.
La pluralità delle provenienze e delle fonti di designazione favorisce la presenza di esperienze e competenze diverse (per esempio, di esperti nei diversi campi del diritto, penale, civile, amministrativo, ecc.), nonché di sensibilità e di orientamenti differenti. Ma ciò che conta soprattutto è che, nel collegio, i giudici sono tutti eguali, e danno il loro contributo a titolo individuale. Non ci sono nella Corte gruppi o "partiti": ognuno giunge col suo bagaglio di esperienze e di idee, e lo immette nel lavoro collegiale dimenticando, in un certo senso, la propria provenienza e la propria fonte di designazione (per cui è improprio assegnare i giudici ai diversi raggruppamenti politici e partitici, secondo ciò che si fa, ad esempio, per i membri del Parlamento).
Di fatto, il numero limitato dei giudici, il metodo collegiale e l'esclusività dell'impegno nel lavoro della Corte (durante il mandato i giudici non possono svolgere nessun'altra attività professionale, e tanto meno attività politica), la durata del mandato e la lunga consuetudine di lavoro comune (quando la Corte è riunita, tutti i giudici trascorrono sei-sette ore al giorno nella "camera di consiglio", ove discutono tra loro e deliberano nel totale segreto) fanno sì che la fisionomia e le dinamiche interne della Corte siano legate essenzialmente alla personalità dei suoi componenti. Nello stesso tempo, poiché il "prodotto" della Corte (le sue decisioni) è sempre e solo collettivo, esso va sempre considerato come il frutto della integrazione fra i diversi apporti individuali.

Lo scalone d’onore visto dal cortile della Consulta in un’altra stampa di Bernardo Sansone Sgrilli

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Prerogative e obblighi dei giudici costituzionali

Durante il mandato, i membri della Corte costituzionale, al fine di garantirne al massimo l'indipendenza (ed anche l'immagine di indipendenza), nonché l'estraneità agli interessi coinvolti nei giudizi, godono di particolari prerogative e allo stesso tempo sono assoggettati a particolari doveri.
Essi non possono essere chiamati a rispondere in alcuna sede delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni, e nemmeno possono essere sottoposti a procedimento penale, o privati della libertà, senza l'autorizzazione della Corte. Godono di uno stipendio commisurato per legge al trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione, il magistrato di carriera investito delle più alte funzioni, e la Corte fornisce loro tutti i supporti e le strutture necessarie per lo svolgimento dei loro compiti.
D'altra parte l'esercizio del mandato di giudice costituzionale è incompatibile con qualsiasi altra attività: coloro che erano magistrati o professori universitari (se non sono già a riposo) sono collocati "fuori ruolo", e rientrano nell'impiego precedente al termine del mandato; coloro che erano avvocati non possono esercitare, durante il mandato, la professione né mantenere l'iscrizione nei relativi albi. È preclusa qualsiasi altra attività retribuita, salvi restando solo i diritti per le opere dell'ingegno (diritti d'autore). È vietato ai giudici non solo appartenere a un partito ma anche svolgere attività politiche.
Per la stessa ragione essi si astengono, per pratica costante, dall'esprimere pubblicamente opinioni, se non in sede scientifica, e dal rilasciare interviste su argomenti che in qualsiasi modo tocchino la politica o le questioni devolute alla Corte.
Il dovere di riserbo da parte dei giudici sui lavori interni della Corte non esime però l’istituzione dal compito di rendere comprensibile anche all’opinione pubblica il significato e la portata delle sue attività. Come tutte le decisioni degli organi giurisdizionali, anche quelle della Corte costituzionale sono soggette all’obbligo di motivazione, per cui è sempre possibile conoscere e valutare le ragioni che le sorreggono. Tuttavia, affinché l’inevitabile tecnicismo che caratterizza il lavoro della Corte non faccia velo ad una adeguata conoscenza dei contenuti delle sue pronunce da parte del grande pubblico, anche non specializzato nel campo giuridico, la Corte da tempo fa conoscere le decisioni di maggior rilievo attraverso «comunicati stampa» diffusi attraverso tutti i media, social e tradizionali.
Il Presidente, inoltre, sulla base di una lunga tradizione incontra ogni anno la stampa per rendere noto quello che potrebbe essere definito il «bilancio istituzionale» delle attività della Corte, esponendo in una riunione straordinaria i contenuti delle decisioni più rilevanti dell’anno di riferimento, illustrando linee giurisprudenziali emergenti e rispondendo alle domande dei giornalisti.
Particolare attenzione, soprattutto nei tempi più recenti è stata dedicata alla presenza della Corte nell’universo delle nuove tecnologie, con il rinnovamento del suo sito internet e con l’utilizzo delle possibilità offerte dai social media. Grazie all’apertura della Corte nei confronti della società civile, soprattutto attraverso il «viaggio in Italia», si sono moltiplicate le occasioni in cui il Presidente e i singoli giudici si esprimono pubblicamente anche per spiegare e chiarire il significato delle decisioni di maggior interesse, senza peraltro venir meno al dovere di non sovrapporre mai le opinioni personali alle scelte della Corte.
Alla scadenza del mandato, come già detto, il giudice cessa dalle sue funzioni e non è rieleggibile. È d'uso che al giudice cessato venga conferito il titolo di "giudice emerito"; egli ha diritto alla pensione (o alla ricongiunzione del servizio prestato come giudice a quello della professione in cui rientra) e ad un trattamento di fine rapporto.

La Presidenza della Corte

La Corte elegge fra i propri componenti il Presidente, che dura in carica tre anni ed è rieleggibile (fino al 1967 durava in carica quattro anni ed ugualmente era rieleggibile). Poiché però la scadenza del mandato novennale di giudice comporta la cessazione di ogni funzione, spesso accade che il Presidente che i giudici scelgono di solito, ma non sempre, fra i colleghi più anziani (non di età, ma di mandato) venga a cessare dal mandato prima del compimento del triennio. È per questo che la durata della presidenza della Corte è spesso breve, cosicché nella vita della Corte si sono succeduti, in sessanta anni, 40 Presidenti.
Il Presidente è eletto dai giudici a scrutinio segreto, a maggioranza assoluta (cioè di almeno otto voti, se la Corte è completa), e con eventuale ballottaggio fra i due più votati dopo la seconda votazione. Per evitare che si conosca all'esterno il voto espresso da ogni giudice nelle schede con cui si provvede all'elezione, queste vengono immediatamente distrutte dopo il voto dagli scrutatori. È d'uso tuttavia, da qualche tempo, la diffusione di un comunicato alla stampa, che informa del nominativo del Presidente eletto e del numero di voti da questi conseguito.
Anche l'autonomia della Corte nella scelta del proprio Presidente ne esalta le caratteristiche di collegialità. Il Presidente, rispetto all'attività di giudizio, non ha autorità diversa dagli altri giudici, salvo il caso in cui vi sia parità di voti, quando il suo voto vale doppio: è un primus inter pares, i cui poteri consistono essenzialmente nella ripartizione fra i giudici dei compiti di relatore sulle cause, nella fissazione dei calendari dei lavori (il "ruolo" degli affari da trattare in ogni seduta), nella convocazione e nella direzione dei lavori del collegio. Per il resto, egli rappresenta la Corte all'esterno (nell'ordine delle precedenze dopo il Presidente della Repubblica, i Presidenti delle due Camere e il Presidente del Consiglio dei ministri), e sovraintende alla struttura e all'attività amministrativa della Corte, cui però è preposto, come diremo, il Segretario generale.
Uno o più vicepresidenti, designati dal Presidente o dalla Corte, sostituiscono il Presidente in caso di assenza o impedimento. Un Ufficio di Presidenza ha compiti deliberativi in alcune materie di organizzazione e di amministrazione. Commissioni composte da alcuni giudici sono costituite per particolari funzioni amministrative (predisposizione di regolamenti, gestione del servizio studi e della biblioteca, rapporti con il personale, ecc.).

L'organizzazione amministrativa

Mentre i procedimenti in cui si svolgono le sue attività giurisdizionali sono disciplinati da leggi costituzionali ed ordinarie (oltre che dalle Norme integrative, di cui già si è detto), la Corte costituzionale al pari della Presidenza della Repubblica, delle due Camere del Parlamento e, per molti aspetti, della Presidenza del Consiglio dei ministri organizza autonomamente le proprie attività e predispone le strutture a ciò necessarie.
La Corte dispone della propria sede e di un bilancio autonomo alimentato da fondi provenienti dal bilancio dello Stato e pubblicato sul sito internet della Corte (www.cortecostituzionale.it). Entro questo stanziamento, le spese sono autonomamente decise dalla Corte stessa e dai suoi organi interni, senza alcuna interferenza esterna nemmeno a fini di controllo.
La Corte ha una propria struttura amministrativa di supporto per le varie attività (cancelleria, ruolo e massimario, servizio studi, ragioneria, acquisti, appalti, gestione del personale, biblioteca, ecc.), disciplinata da suoi regolamenti, alla quale è preposto un Segretario generale, nominato dalla Corte, con incarico temporaneo, fra alti magistrati, dirigenti delle amministrazioni pubbliche o altri esperti. Inoltre ogni giudice ha dei collaboratori, da lui scelti fiduciariamente, che lo assistono nei suoi compiti.
Si tratta di assistenti di studio (fino a tre, tratti dalla magistratura o dall’università), incaricati di preparare le ricerche sulle questioni da decidere, e di una segreteria che svolge tutte le attività di supporto.
Complessivamente, sono circa 300 le persone che lavorano stabilmente per la Corte; la quale è anche autonoma nello stabilire il loro trattamento giuridico ed economico e nel giudicare, attraverso organi e procedure specifici, sugli eventuali loro ricorsi (la cosiddetta “autodichìa”, o “giustizia domestica”, che tradizionalmente è attribuita nel nostro sistema agli organi costituzionali).