Considerato in diritto
1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 153 del 2024), il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 6 del d.l. n. 131 del 2023, come convertito, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, 102, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU.
In virtù della disposizione censurata, l’art. 56, comma 3-bis, del d.lgs. n. 270 del 1999, «[i]n coerenza con l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001», si interpreta nel senso che si devono intendere «in ogni caso operazioni effettuate in vista della liquidazione dei beni del cedente, che non costituiscono trasferimento di azienda, di ramo o di parti dell’azienda agli effetti previsti dall’articolo 2112 del codice civile, le cessioni poste in essere in esecuzione del programma di cui all’articolo 27, comma 2, lettere a) e b-bis), del medesimo decreto legislativo, qualora siano effettuate sulla base di decisioni della Commissione europea che escludano la continuità economica fra cedente e cessionario».
1.1.– Il rimettente riferisce di dover decidere sulle domande di alcuni dipendenti di Alitalia, società in amministrazione straordinaria, che hanno chiesto di qualificare la cessione del lotto aviation, operata nell’ambito della procedura a favore di ITA, come trasferimento di ramo di azienda, regolato dall’art. 2112 cod. civ., e conseguentemente di accertare e dichiarare la prosecuzione del rapporto di lavoro con la società cessionaria senza soluzione di continuità.
Ad avviso del giudice a quo, sussisterebbero tutti gli elementi costitutivi della cessione di ramo di azienda: il ramo preesiste alla cessione e il complesso di beni trasferiti è idoneo a consentire l’avvio e la gestione delle attività di volo.
A diverse conclusioni non indurrebbe la decisione della Commissione europea 2021/6665, che esclude la continuità economica tra cedente e cessionaria. Tale decisione, adottata ex ante, prima dell’attuazione del piano aziendale sottoposto a valutazione, verte sul distinto profilo della compatibilità con la disciplina europea in tema di aiuti di Stato.
Il Tribunale esclude quindi l’applicabilità delle deroghe all’art. 2112 cod. civ., che presuppongono la natura liquidatoria della procedura. Nel caso di specie, tale natura dovrebbe essere esclusa, in quanto la cessione non sarebbe preordinata al miglior soddisfacimento dei creditori.
Senza la norma interpretativa, troverebbero, dunque, integrale applicazione le garanzie dell’art. 2112 cod. civ. e il rapporto di lavoro dei ricorrenti proseguirebbe, senza discontinuità di sorta, con la società cessionaria del ramo di azienda.
Da queste premesse discenderebbe la rilevanza delle questioni.
1.2.– In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente argomenta che la disciplina in esame, dietro le parvenze dell’interpretazione autentica, si configura, in realtà, come innovativa e si prefigge di condizionare l’esito dei giudizi in corso.
Il giudice a quo rileva che tale finalità traspare dalla stessa relazione tecnica di accompagnamento al disegno di legge di conversione, che menziona i contrasti della giurisprudenza di merito, insorti con specifico riguardo all’applicabilità delle garanzie di cui all’art. 2112 cod. civ. alla cessione di beni da Alitalia a ITA, e, in particolare, il sopravvenire di pronunce favorevoli alla continuità dei rapporti di lavoro con la società cessionaria.
Il legislatore avrebbe dunque inteso risolvere specifiche controversie, in difetto di imperative ragioni di interesse generale.
A distanza di «moltissimi anni» dall’entrata in vigore della norma oggetto di interpretazione autentica, la disposizione censurata avrebbe introdotto un riferimento del tutto avulso dalla formulazione originaria, con il richiamo alle decisioni della Commissione europea, che escludono la continuità economica tra cedente e cessionario.
Pertanto, l’incidenza sui giudizi in corso, determinata da mere «ragioni finanziarie di contenimento della spesa pubblica», implicherebbe la lesione di molteplici princìpi e valori costituzionali: «giusto processo, stabilità e certezza dei rapporti giuridici patrimoniali, rispetto delle attribuzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario, parità di armi nelle reciproche posizioni del rapporto di lavoro».
2.– Preliminarmente, va ribadita l’inammissibilità degli interventi di A. D. e altri e di Alitalia, società in amministrazione straordinaria, per le ragioni illustrate nell’ordinanza dibattimentale letta all’udienza del 25 marzo 2025 e allegata alla presente sentenza.
3.– Le questioni sono inammissibili.
4.– Alla disamina delle censure, anche ai fini della valutazione dei preliminari profili di inammissibilità, giova premettere la ricognizione del quadro normativo in cui esse si collocano.
5.– Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Roma investono il tema più ampio delle vicende circolatorie dell’impresa e della loro incidenza sulla sorte dei rapporti di lavoro.
Il trasferimento dell’azienda o di un suo ramo rappresenta estrinsecazione della libertà dell’imprenditore di adottare le scelte più appropriate nell’organizzazione dei fattori produttivi (art. 41 Cost.) e impone la tutela dei diritti dei lavoratori (artt. 4 e 35 Cost.), che da tali scelte possono essere pregiudicati.
L’art. 2112 cod. civ. appresta un apparato di garanzie, configurando questa fattispecie come ipotesi di successione ex lege dell’imprenditore nel rapporto di lavoro (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 23 maggio 2017, n. 12919), che soggiace a regole autonome tanto rispetto all’ordinaria cessione del contratto (art. 1406 cod. civ.), governata dal necessario consenso del contraente ceduto, quanto rispetto alle regole generalmente applicabili alla successione nei contratti nei casi di cessione d’azienda (art. 2558 cod. civ.).
6.– Tale disciplina imperativa interagisce con la normativa del diritto dell’Unione europea, contenuta dapprima nella direttiva 77/187/CEE del Consiglio, del 14 febbraio 1977, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, e quindi nella direttiva 98/50/CE del Consiglio, del 29 giugno 1998, che modifica la predetta direttiva 77/187/CEE.
La materia è stata organicamente ridefinita dalla direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti.
Al fine di tutelare «i lavoratori in caso di cambiamento di imprenditore, in particolare per assicurare il mantenimento dei loro diritti» (considerando n. 3), l’art. 3, paragrafo 1, della direttiva prevede il trasferimento al cessionario dei diritti e degli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento.
Il successivo art. 4, paragrafo 1, esclude che il trasferimento di un’impresa, di uno stabilimento o di una parte di impresa o di stabilimento possa costituire di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario.
L’art. 5, paragrafo 1, sancisce l’inapplicabilità di tali garanzie ai trasferimenti di imprese, stabilimenti o parti di imprese o di stabilimenti, «nel caso in cui il cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso e che si svolgono sotto il controllo di un’autorità pubblica competente (che può essere il curatore fallimentare autorizzato da un’autorità pubblica competente)».
Tali requisiti devono coesistere e le limitazioni delle garanzie devono essere interpretate in senso restrittivo.
7.– La normativa nazionale e il diritto dell’Unione europea convergono nel delineare uno statuto omogeneo di tutele, fondato sul mantenimento dei diritti del lavoratore in caso di trasferimento dell’azienda e sulla conservazione del posto di lavoro.
Nel dettato codicistico, la tutela del lavoratore è rafforzata dalla responsabilità solidale del cedente e del cessionario per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento.
Le direttive richiamate hanno dato impulso all’intervento riformatore del legislatore italiano, che ha istituito procedure di informazione e di consultazione sindacale, per le imprese che occupino più di quindici dipendenti, e ha disciplinato il trasferimento delle aziende in crisi con l’art. 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, recante «Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. (Legge comunitaria per il 1990)», disposizione modificata a più riprese al fine precipuo di adeguare l’ordinamento interno alle prescrizioni del diritto europeo.
7.1.– In questo medesimo disegno innovativo si inserisce la novella del quinto comma dell’art. 2112 cod. civ., da ultimo modificato dall’art. 32, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30).
In virtù di tali innovazioni, che recepiscono l’elaborazione della giurisprudenza, tanto europea quanto di legittimità, ed estendono il raggio applicativo della disciplina di protezione, il trasferimento d’azienda si configura come «qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda».
Non rileva, dunque, il mezzo tecnico giuridico adoperato. La disciplina dell’art. 2112 cod. civ. si applica ogniqualvolta permanga immutata l’organizzazione aziendale e si verifichi la sostituzione della persona del titolare del rapporto di lavoro, che subentra in un complesso funzionale di beni, idoneo a consentire l’inizio o la prosecuzione dell’attività imprenditoriale.
Né si richiede un vincolo contrattuale diretto tra cedente e cessionario (Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza 31 luglio 2023, n. 23242, e sentenza 23 ottobre 2018, n. 26808).
7.2.– La disciplina dell’art. 2112 cod. civ. si applica anche al «trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento» (quinto comma, secondo periodo).
Tale trasferimento riguarda una preesistente entità produttiva funzionalmente autonoma, che non dev’essere creata ad hoc e in modo artificioso in occasione del trasferimento. La cessione di ramo d’azienda presuppone che il complesso ceduto sia in grado di svolgere al momento dello scorporo, senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui già era destinato nell’àmbito dell’impresa cedente al momento della cessione.
8.– Le questioni oggi sottoposte al vaglio di legittimità costituzionale si intersecano, in particolare, con la disciplina del trasferimento delle aziende in crisi e con la sua evoluzione, che prende le mosse dalla necessità di ottemperare alle indicazioni della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE, seconda sezione, sentenza 11 giugno 2009, causa C-561/07, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana).
9.– La Commissione europea, in quel frangente, aveva contestato alla Repubblica italiana di aver escluso, con l’art. 47, commi 5 e 6, della legge n. 428 del 1990, l’applicazione dell’art. 2112 cod. civ. al trasferimento di un’impresa di cui fosse stato accertato lo stato di crisi. I lavoratori avevano così perduto il diritto al riconoscimento della loro anzianità, del loro trattamento economico e delle loro qualifiche professionali e il diritto a prestazioni di vecchiaia derivanti dal regime di sicurezza sociale.
Nel decidere sul ricorso della Commissione europea, la Corte di giustizia ha affermato che la procedura di accertamento della crisi aziendale non tende «ad un fine analogo a quello perseguito nell’ambito di una procedura di insolvenza quale quella di cui all’art. 5, n. 2, lett. a), della direttiva 2001/23» e neppure si trova «sotto il controllo di un’autorità pubblica competente, come previsto dal medesimo articolo» (punto 39).
Inoltre, «l’art. 5, n. 3, della direttiva 2001/23 autorizza gli Stati membri a prevedere che le condizioni di lavoro possano essere modificate per salvaguardare le opportunità occupazionali garantendo la sopravvivenza dell’impresa, senza tuttavia privare i lavoratori dei diritti loro garantiti dagli artt. 3 e 4 della direttiva 2001/23» (punto 44).
Per contro, l’art. 47, comma 5, della legge n. 428 del 1990, nella versione allora vigente, «priva puramente e semplicemente i lavoratori, in caso di trasferimento di un’impresa di cui sia stato accertato lo stato di crisi, delle garanzie previste dagli artt. 3 e 4 della direttiva 2001/23 e non si limita, di conseguenza, ad una modifica delle condizioni di lavoro quale è autorizzata dall’art. 5, n. 3, della direttiva 2001/23» (punto 45).
10.– Il legislatore è intervenuto per porre rimedio alle disarmonie segnalate nella pronuncia citata.
11.– L’art. 19-quater, comma 1, lettera a), del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee), convertito, con modificazioni, nella legge 20 novembre 2009, n. 166, ha modificato l’art. 47 della legge n. 428 del 1990, inserendo un comma 4-bis, destinato a regolare il trasferimento delle aziende «a) delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, ai sensi dell’articolo 2, quinto comma, lettera c), della legge 12 agosto 1977, n. 675; b) per le quali sia stata disposta l’amministrazione straordinaria, ai sensi del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività».
In tali ipotesi, quando sia stato raggiunto «un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione, l’articolo 2112 del codice civile trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo» (così l’alinea di detto comma 4-bis).
L’art. 46-bis, comma 2, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, ha inserito le lettere b-bis) e b-ter) nell’art. 47, comma 4-bis, della legge n. 428 del 1990 e ha così aggiunto, rispettivamente, il richiamo al trasferimento riguardante aziende «per le quali vi sia stata la dichiarazione di apertura della procedura di concordato preventivo» e «per le quali vi sia stata l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti».
Proprio al fine di assicurare la coerenza di tali previsioni con il diritto europeo, la Corte di cassazione ha enfatizzato il dato letterale, che richiama l’applicazione dell’art. 2112 cod. civ., e ha soggiunto che l’accordo sindacale non può disporre, in senso limitativo, dei trasferimenti dei lavoratori dell’impresa cedente e non può derogare al passaggio automatico dei lavoratori all’impresa cessionaria (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 1° giugno 2020, n. 10414). Le uniche modifiche consentite, eventualmente anche in peius, riguardano l’assetto economico-normativo in precedenza acquisito dai singoli lavoratori (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 10 novembre 2021, n. 33154).
12.– Diametralmente opposta è la regola che si evince dal comma 5 dell’art. 47 della legge n. 428 del 1990, parzialmente modificato dall’art. 19-quater, comma 1, lettera b), del d.l. n. 135 del 2009, come convertito.
Non trovano applicazione le garanzie dell’art. 2112 cod. civ., allorché il trasferimento abbia ad oggetto «imprese nei confronti delle quali vi sia stata dichiarazione di fallimento, omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all’amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata e nel corso della consultazione di cui ai precedenti commi sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell’occupazione». Sono fatte salve le condizioni di miglior favore stabilite dall’accordo, il quale «può altresì prevedere che il trasferimento non riguardi il personale eccedentario e che quest’ultimo continui a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze dell’alienante».
Emerge nitida la differente formulazione rispetto alla fattispecie tipizzata dall’art. 47, comma 4-bis, della legge n. 428 del 1990 e contraddistinta dall’applicazione delle tutele dell’art. 2112 cod. civ.: in quest’àmbito, per contro, il principio ispiratore è l’esclusione di tali tutele per i lavoratori trasferiti alle dipendenze del cessionario (Cass., n. 10414 del 2020).
13.– In definitiva, il sistema normativo ha la sua pietra angolare nella summa divisio tra procedure liquidatorie e procedure improntate alla continuità dell’attività d’impresa.
Tali nozioni devono essere interpretate in stretta correlazione con il diritto dell’Unione europea e con la giurisprudenza della Corte di giustizia, che ha contribuito a chiarirne latitudine e portata.
Già in epoca risalente, la Corte di giustizia ha evidenziato che «esiste nello stato attuale dello sviluppo economico, grande incertezza per quanto riguarda le incidenze, sul mercato del lavoro, dei trasferimenti di imprese in caso di insolvibilità del datore di lavoro e per quel che riguarda i provvedimenti da adottarsi onde tutelare nel miglior modo gli interessi dei lavoratori» (CGUE, sentenza 7 febbraio 1985, causa C-135/83, H.B.M. Abels, punto 22).
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di giustizia ha concluso che la direttiva 77/187/CEE non impone «agli Stati membri l’obbligo di estendere le norme che essa contiene ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti avvenuti nell’ambito di un procedimento fallimentare mirante, sotto il controllo della competente autorità giudiziaria, alla liquidazione dei beni del cedente» (ancora, sentenza H.B.M. Abels, punto 23).
13.1.– Una procedura ha come finalità la continuazione dell’attività dell’impresa, quando «mira a salvaguardare l’operatività dell’impresa o delle sue unità economicamente redditizie», e tende, invece, alla liquidazione dei beni dell’impresa, quando «mira a massimizzare la soddisfazione collettiva dei creditori» (CGUE, terza sezione, sentenza 3 aprile 2025, causa C-431/23, Wibra België, punto 47).
Per quanto le due finalità si possano in concreto sovrapporre, l’obiettivo principale di una procedura che mira al proseguimento dell’attività dell’impresa rimane comunque la salvaguardia dell’impresa interessata (CGUE, terza sezione, sentenza 22 giugno 2017, causa C‑126/16, Federatie Nederlandse Vakvereniging e altri, punto 48).
13.2.– La procedura, per contro, non cessa di essere liquidatoria, nell’ipotesi di prosecuzione dell’attività di impresa, se l’obiettivo principale non è la salvaguardia dell’impresa interessata.
Anche nelle procedure liquidatorie, difatti, l’attività di impresa può essere proseguita al fine di prevenire «il rischio che l’impresa, lo stabilimento o la parte di impresa o di stabilimento di cui trattasi si svaluti prima che il cessionario rilevi, nell’ambito della procedura fallimentare aperta ai fini della liquidazione dei beni del cedente, una parte del patrimonio e/o delle attività del cedente ritenute redditizie. Tale deroga mira dunque a eliminare il grave rischio di un complessivo deterioramento del valore dell’impresa ceduta o delle condizioni di vita e di lavoro della mano d’opera, che sarebbe in contrasto con le finalità del trattato» (CGUE, terza sezione, sentenza 28 aprile 2022, causa C-237/20, Federatie Nederlandse Vakbeweging, punto 50).
14.– In questa prospettiva, la deroga alla continuità del rapporto di lavoro può trovare giustificazione solo al ricorrere di presupposti tassativi, che trascendono l’interesse meramente individuale dell’impresa insolvente e si raccordano a una procedura, come quella liquidatoria, destinata a bilanciare una pluralità di interessi contrapposti, nell’àmbito della vigilanza dell’autorità pubblica competente.
Solo in tale ipotesi, al cospetto di interessi generali preminenti e sotto l’egida del controllo dell’autorità pubblica, possono essere sacrificate le garanzie che la legge riconosce al lavoratore.
15.– Il decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155) ha ridisegnato la normativa sul trasferimento delle imprese in crisi, in armonia con la distinzione tra le diverse finalità delle procedure, che percorre tutta la normativa di settore.
15.1.– In forza di tali innovazioni, racchiuse nell’art. 368, comma 4, lettera b), del d.lgs. n. 14 del 2019 ed efficaci a decorrere dal 15 luglio 2022, la disciplina dell’art. 47, comma 4-bis, della legge n. 428 del 1990 si applica al trasferimento riguardante aziende «a) per le quali vi sia stata la dichiarazione di apertura della procedura di concordato preventivo in regime di continuità indiretta, ai sensi dell’articolo 84, comma 2, del codice della crisi e dell’insolvenza, con trasferimento di azienda successivo all’apertura del concordato stesso; b) per le quali vi sia stata l’omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, quando gli accordi non hanno carattere liquidatorio; c) per le quali è stata disposta l’amministrazione straordinaria, ai sensi del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività».
Le previsioni sono perentorie nel confermare «il trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro», che già la giurisprudenza di legittimità aveva individuato come nucleo intangibile di tutela.
Il legislatore delegato ribadisce che le garanzie dell’art. 2112 cod. civ. trovano applicazione «per quanto attiene alle condizioni di lavoro, nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo, da concludersi anche attraverso i contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81». Contratti collettivi che si identificano nei contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e nei contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.
15.2.– Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, con l’art. 368, comma 4, lettera c), ha novellato anche il comma 5 dell’art. 47 della legge n. 428 del 1990 e ha ampliato la protezione dei lavoratori, riconoscendo la continuazione del rapporto di lavoro con il cessionario, nell’ipotesi del trasferimento di «imprese nei confronti delle quali vi sia stata apertura della liquidazione giudiziale o di concordato preventivo liquidatorio, ovvero emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata».
Il legislatore ha quindi delimitato l’àmbito delle deroghe ammesse.
Nel corso delle consultazioni sindacali, al fine di salvaguardare l’occupazione, è consentito disporre l’inapplicabilità delle garanzie previste dall’art. 2112, primo, terzo e quarto comma, cod. civ., mediante la conclusione dei contratti collettivi contemplati dal già richiamato art. 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 (Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183).
È fatta salva, inoltre, la facoltà di stipulare accordi individuali, anche in caso di esodo incentivato dal rapporto di lavoro, nell’àmbito della conciliazione intervenuta ai sensi degli artt. 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile.
15.3.– L’art. 368, comma 4, lettera d), del d.lgs. n. 14 del 2019, che ha aggiunto i commi 5-bis e 5-ter all’art. 47 della legge n. 428 del 1990, sempre a far data dal 15 luglio 2022 ha riservato una regolamentazione autonoma all’amministrazione straordinaria, dapprima accomunata alle altre procedure concorsuali enumerate nel comma 5.
Il nuovo art. 47, comma 5-ter, della legge n. 428 del 1990, nella fattispecie del trasferimento riguardante «imprese nei confronti delle quali vi sia stata sottoposizione all’amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata», conferma l’inapplicabilità delle tutele dell’art. 2112 cod. civ. ai «lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l’acquirente», quando nel corso delle consultazioni sindacali sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell’occupazione. Restano impregiudicate le eventuali condizioni di miglior favore determinate dall’accordo.
16.– Infine, a quest’assetto ha apportato modificazioni di notevole impatto sistematico, proprio con riferimento alla procedura di amministrazione straordinaria, il decreto legislativo 13 settembre 2024, n. 136 (Disposizioni integrative e correttive al codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al decreto legislativo del 12 gennaio 2019, n. 14).
L’art. 55, comma 1, lettera a), a decorrere dal 28 settembre 2024, ha soppresso ogni richiamo all’amministrazione straordinaria nell’art. 47, comma 4-bis, lettera c), della legge n. 428 del 1990, destinato a regolare la fattispecie della continuazione o della mancata cessazione dell’attività.
L’art. 55, comma 1, lettera b), del citato d.lgs. n. 136 del 2024, con la medesima decorrenza, ha abrogato la distinta disciplina dettata per l’amministrazione straordinaria per l’evenienza della cessazione o della mancata continuazione dell’attività e ha introdotto un nuovo art. 47, comma 5-ter, della legge n. 428 del 1990, che ha il seguente tenore: al trasferimento delle imprese sottoposte all’amministrazione straordinaria si applica «la disciplina speciale di riferimento».
17.– Anche in queste tappe più recenti della vicenda normativa, trova conferma e si staglia in modo sempre più netto la peculiarità del trasferimento delle imprese nella procedura di amministrazione straordinaria.
17.1.– Tale peculiarità rispecchia le complesse funzioni di una procedura d’insolvenza oggi regolata dal d.lgs. n. 270 del 1999 e volta a contemperare il soddisfacimento dei creditori dell’imprenditore con la salvaguardia del complesso produttivo in crisi e dei posti di lavoro.
17.2.– Le esigenze descritte sono declinate in termini di ancor più marcata specialità nelle procedure riservate alle imprese di maggiori dimensioni, che impieghino più di cinquecento dipendenti ed eroghino servizi pubblici essenziali o gestiscano almeno uno stabilimento strategico d’interesse nazionale (artt. 1 e 2 del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, recante «Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza», convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 2004, n. 39).
In particolare, per le imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali ovvero che gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale, l’art. 5, comma 2-ter, del d.l. n. 347 del 2003, come convertito, introdotto dall’art. 1, comma 13, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134 (Disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 27 ottobre 2008, n. 166, riconosce al commissario straordinario (nominato ai sensi dell’art. 2, comma 2, del citato d.l. n. 347 del 2003) e al cessionario una specifica facoltà: nel corso delle consultazioni sindacali e una volta che le stesse si siano infruttuosamente svolte, essi possono «concordare il trasferimento solo parziale di complessi aziendali o attività produttive in precedenza unitarie e definire i contenuti di uno o più rami d’azienda, anche non preesistenti, con individuazione di quei lavoratori che passano alle dipendenze del cessionario».
17.3.– In linea generale, l’amministrazione straordinaria è la procedura concorsuale delle grandi imprese insolventi, con più di duecento dipendenti, e persegue «finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali» (art. 1 del d.lgs. n. 270 del 1999). Essa contempla, anzitutto, una fase giudiziaria, contraddistinta, nelle sue disparate scansioni, dalla dichiarazione dello stato d’insolvenza (art. 3), dall’avvio della procedura vera e propria al ricorrere di «concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali» (art. 27, comma 1), dall’accertamento del passivo e dalla ripartizione dell’attivo.
All’autorità amministrativa spetta, invece, la concreta gestione della procedura, affidata a un commissario, che provvede ad attuare le concrete prospettive di detto recupero secondo le alternative delineate dall’art. 27, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 270 del 1999.
17.4.– Tali alternative prevedono, in primo luogo, la «cessione dei complessi aziendali o dei contratti o dei diritti, anche di natura obbligatoria, aventi a oggetto, in tutto o in parte, gli stessi complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell’esercizio dell’impresa di durata non superiore ad un anno (“programma di cessione dei complessi aziendali”)» (art. 27, comma 2, lettera a, modificata dall’art. 1, comma 1-bis, del decreto-legge 18 gennaio 2024, n. 4, recante «Disposizioni urgenti in materia di amministrazione straordinaria delle imprese di carattere strategico», convertito, con modificazioni, nella legge 15 marzo 2024, n. 28).
Altra opzione concerne la «ristrutturazione economica e finanziaria dell’impresa, sulla base di un programma di risanamento di durata non superiore a due anni (“programma di ristrutturazione”)» (art. 27, comma 2, lettera b).
Per le società che operano nel settore dei servizi pubblici essenziali, il legislatore prefigura anche «la cessione di complessi di beni e contratti sulla base di un programma di prosecuzione dell’esercizio dell’impresa di durata non superiore ad un anno (“programma di cessione dei complessi di beni e contratti”)» (art. 27, comma 2, lettera b-bis).
L’art. 27, comma 2-bis, del d.lgs. n. 270 del 1999, inserito dall’art. 1, comma 841, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», consente al Ministero dello sviluppo economico di autorizzare una durata dei programmi fino a quattro anni, con riferimento alle imprese che operano nel settore dei servizi pubblici essenziali o che gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale.
18.– L’art. 56 del d.lgs. n. 270 del 1999 definisce il contenuto del programma, che deve indicare «a) le attività imprenditoriali destinate alla prosecuzione e quelle da dismettere; b) il piano per la eventuale liquidazione dei beni non funzionali all’esercizio dell’impresa; c) le previsioni economiche e finanziarie connesse alla prosecuzione dell’esercizio dell’impresa; d) i modi della copertura del fabbisogno finanziario, con specificazione dei finanziamenti o delle altre agevolazioni pubbliche di cui è prevista l’utilizzazione; d-bis) i costi generali e specifici complessivamente stimati per l’attuazione della procedura, con esclusione del compenso dei commissari e del comitato di sorveglianza» (comma 1).
Il contenuto è poi diversamente modulato a seconda che si privilegi l’indirizzo della cessione dei complessi aziendali o quello della ristrutturazione.
Nell’un caso, il programma deve indicare anche «le modalità della cessione, segnalando le offerte pervenute o acquisite, nonché le previsioni in ordine alla soddisfazione dei creditori» (comma 2), laddove, nell’altro, dev’essere corredato dall’indicazione di «eventuali previsioni di ricapitalizzazione dell’impresa e di mutamento degli assetti imprenditoriali», dei tempi e delle «modalità di soddisfazione dei creditori, anche sulla base di piani di modifica convenzionale delle scadenze dei debiti o di definizione mediante concordato» (comma 3).
19.– Rilievo cruciale riveste, nell’odierno giudizio, la previsione dell’art. 56, comma 3-bis, del d.lgs. n. 270 del 1999, aggiunta dall’art. 14, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2.
La disposizione riguarda le operazioni descritte dai commi 1 e 2 e realizzate «in vista della liquidazione dei beni del cedente», in attuazione dell’art. 27, comma 2, lettere a) e b-bis), del medesimo d.lgs. n. 270 del 1999, e dunque, rispettivamente, di programmi di cessione dei complessi aziendali e, per le aziende esercenti servizi pubblici essenziali, di programmi di cessione dei complessi di beni e contratti.
Il legislatore chiarisce che tali operazioni, alle condizioni descritte, «non costituiscono comunque trasferimento di azienda, di ramo o di parti dell’azienda agli effetti previsti dall’articolo 2112 del codice civile».
20.– Il rimettente muove dalla corretta premessa ermeneutica che l’art. 56, comma 3-bis si attagli alla fattispecie controversa, in cui vengono in rilievo operazioni attuate in esecuzione di particolari programmi di cessione, alternativi rispetto ai programmi di ristrutturazione e rispetto alla prosecuzione dell’attività d’impresa.
20.1.– Come riconosce il giudice a quo, tale disciplina presenta innegabili caratteri di specialità rispetto a quella delineata dall’art. 47, comma 5, della legge n. 428 del 1990, nella versione introdotta dal d.l. n. 135 del 2009, come convertito.
Se l’art. 47, comma 5, della legge n. 428 del 1990 s’incardina, in chiave più generale, sulla mancata prosecuzione o sulla cessazione dell’attività d’impresa e ha come tratto qualificante l’accordo sindacale circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione, l’art. 56, comma 3-bis, del d.lgs. n. 270 del 1999 non subordina l’operatività delle deroghe all’accordo sindacale e concerne una specifica modalità di realizzazione del programma liquidatorio.
Pur accomunate dalla natura liquidatoria delle procedure, le previsioni coesistono e si integrano e serbano intatto un autonomo spazio applicativo.
Alle previsioni del d.lgs. n. 14 del 2019 non si può riconnettere portata di abrogazione implicita. I princìpi e i criteri direttivi della legge di delegazione (legge 19 ottobre 2017, n. 155, recante «Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza») non prefigurano deroghe di così incisiva portata al corpus normativo del d.lgs. n. 270 del 1999.
Né si ravvisa un rapporto d’incompatibilità, che possa avvalorare l’abrogazione della disciplina introdotta nel 2008 allo scopo di far fronte alle peculiari esigenze dell’amministrazione straordinaria.
La perdurante vigenza della normativa in esame è confermata dalla stessa disposizione censurata nell’odierno giudizio, che è intervenuta a novellare l’art. 56 del d.lgs. n. 270 del 1999, e dal d.lgs. n. 136 del 2024, che ha eliminato ogni riferimento all’amministrazione straordinaria nel contesto dell’art. 47 della legge n. 428 del 1990 e ha sancito l’applicabilità della normativa speciale sull’amministrazione straordinaria. Normativa che ha uno dei suoi capisaldi nella previsione dell’art. 56, comma 3-bis, del d.lgs. n. 270 del 1999.
20.2.– Consapevole del fatto che, soprattutto nelle procedure di amministrazione straordinaria, la fattispecie dell’azienda inattiva, già disciplinata dall’art. 47, comma 5, della legge n. 428 del 1990, non esaurisce il più ampio spettro delle procedure liquidatorie, il legislatore ha conferito autonomo rilievo alle ipotesi in cui la liquidazione assume forme diverse, anche attraverso la temporanea continuazione dell’attività d’impresa.
La cessione rappresenta l’obiettivo specifico e l’oggetto esclusivo del programma predisposto dal commissario, nel contesto di una procedura che si può caratterizzare anche per la temporanea prosecuzione dell’attività d’impresa in vista della cessione dei complessi aziendali a terzi.
In questa prospettiva, l’art. 56, comma 3-bis, del d.lgs. n. 270 del 1999 valorizza il raccordo della liquidazione con il programma elaborato ad hoc dal commissario in vista della dismissione e non della ristrutturazione del complesso aziendale.
20.3.– Con la previsione in esame, il legislatore si ripromette di dirimere tutti i contrasti che possano insorgere, tra procedura e cessionario, sulla sorte dei rapporti patrimoniali e di lavoro, pregiudicando la stessa funzionalità della procedura liquidatoria.
A prescindere dalla configurazione, nel caso concreto, di un trasferimento di azienda o di ramo di azienda, non operano le garanzie sancite dall’art. 2112 cod. civ., al ricorrere dei presupposti enucleati dalla legge, che circoscrive la discrezionalità dei commissari straordinari nell’elaborazione dei programmi e ne indica in modo minuzioso e vincolante il contenuto.
21.– Dopo avere richiamato l’art. 56, comma 3-bis, del d.lgs. n. 270 del 1999, il rimettente, tuttavia, ne esclude la pertinenza, in quanto attribuisce carattere conservativo alla procedura che ha condotto alla cessione del lotto aviation.
21.1.– Il giudice a quo qualifica tale cessione come trasferimento di ramo di azienda e ritiene che la procedura di amministrazione straordinaria di Alitalia abbia una «natura solo formalmente liquidatoria».
Alla prosecuzione dell’attività d’impresa, pertanto, si affiancherebbe la garanzia della continuità dei rapporti di lavoro.
21.2.– Il rimettente riconosce che la distinzione tra le procedure con finalità liquidatoria e quelle con finalità conservativa si rivela talvolta ardua, in quanto la prosecuzione dell’attività di per sé non contraddice la finalità liquidatoria.
Sotto questo profilo, assurge a rilievo dirimente lo scopo delle singole procedure.
Il giudice a quo puntualizza, a tale riguardo, che la procedura si connota come liquidatoria quando sia volta a «massimizzare la soddisfazione della massa dei creditori», e assume, invece, carattere conservativo quando «miri a salvaguardare l’operatività dell’impresa o delle sue unità economicamente redditizie».
La finalità liquidatoria, proprio perché si risolve nella «disapplicazione di garanzie importanti per il lavoratore», dovrebbe essere accertata in concreto e non discenderebbe indefettibilmente dal fatto che siano stati adottati – come nel caso di specie – i programmi di cessione di cui all’art. 27, comma 2, lettere a), e b-bis), del d.lgs. n. 270 del 1999.
21.3.– Con specifico riguardo alla procedura di amministrazione straordinaria di Alitalia, il rimettente osserva che, nel trasferimento dei rami handling e manutenzione, pur correlato ai medesimi programmi di cessione in attuazione dei quali si è avuto il trasferimento del compendio aviation, sono state riconosciute le garanzie dell’art. 2112 cod. civ. ed è stata pertanto esclusa la finalità liquidatoria, incompatibile con tali garanzie.
La cessione del predetto compendio, d’altra parte, è avvenuta per il corrispettivo di un euro, senza che vi sia prova che un simile corrispettivo sia congruo rispetto al reale prezzo di mercato di un complesso aziendale «in piena attività produttiva», depurato di tutte le poste passive, e che un’operazione così congegnata «abbia comunque salvaguardato i creditori da future e più ingenti perdite di valore».
22.– Le medesime valutazioni sono state espresse, nell’atto di costituzione, dai ricorrenti nel giudizio principale e sviluppate nella memoria illustrativa, ponendo in risalto il carattere naturalmente conservativo della procedura, che assumerebbe carattere liquidatorio solo a decorrere dal decreto di cessazione dell’esercizio dell’impresa.
23.– La difesa di ITA contesta l’esclusione di tale carattere e ribatte che sono gli stessi programmi elaborati dai commissari a qualificare ex professo la procedura come liquidatoria, in coerenza con le previsioni del legislatore nazionale e del diritto dell’Unione europea.
23.1.– La prosecuzione dell’attività perseguirebbe l’unico obiettivo di «evitare l’interruzione del servizio pubblico e il progressivo deterioramento del valore dell’impresa» e non si porrebbe in contrasto con il carattere liquidatorio.
La cessione del lotto aviation al corrispettivo di un euro si inquadrerebbe in una più ampia regolamentazione dei rapporti, che ha procurato all’amministrazione straordinaria il vantaggio di non doversi più far carico dei cospicui oneri concernenti i contratti di leasing e gli altri contratti stipulati per l’esercizio dell’attività di trasporto aereo.
23.2.– Nella memoria illustrativa, la stessa ITA ha posto nuovamente l’accento sulla finalità liquidatoria della procedura, analizzando le numerose pronunce di merito che hanno condiviso tale assunto.
Le questioni sollevate sarebbero, dunque, irrilevanti, come confermerebbero le stesse decisioni delle Corti di merito, che, dopo l’intervento della disposizione censurata, hanno definito i giudizi senza applicarla, in conformità alla normativa previgente.
24.– L’Avvocatura generale dello Stato svolge considerazioni di analogo tenore e argomenta che, anche a volere ravvisare una cessione di ramo d’azienda, la procedura di insolvenza tende alla liquidazione dei beni, con conseguente ammissibilità delle deroghe all’art. 2112 cod. civ.
24.1.– Anche la cessione di un’azienda in esercizio, quando miri al «migliore realizzo per i creditori», presenta natura liquidatoria, come la Corte di giustizia dell’Unione europea ha chiarito di recente (con la già richiamata sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging).
24.2.– Con l’approvazione di un programma di cessione dei beni o di un programma di cessione di beni e contratti, sarebbe oramai definitiva, prosegue l’Avvocatura, «la condizione di spossessamento dell’imprenditore» e la procedura adempirebbe a tutti gli effetti a una finalità liquidatoria, in quanto il risanamento sarebbe attuato in vista dell’alienazione a terzi.
La difesa dello Stato reputa dunque implausibile la motivazione che il rimettente ha esposto sulla rilevanza, disconoscendo l’attinenza della cessione a una procedura finalizzata alla liquidazione dei beni del cedente. Anche a voler pretermettere la disposizione censurata, l’operazione controversa rientrerebbe a pieno titolo nell’àmbito di operatività dell’art. 56, comma 3-bis, del d.lgs. n. 270 del 1999, previsione che lo stesso rimettente reputa compatibile con i princìpi costituzionali.
24.3.– Nella memoria illustrativa, l’interveniente reitera l’eccezione in punto di rilevanza e ribadisce che il programma di cessione non annovera, tra le sue finalità, il ritorno in bonis dell’impresa, ma il «maggior rimborso possibile per i creditori».
Né deporrebbe contro il carattere liquidatorio il fatto che tale obiettivo sia perseguito con la cessione di un ramo di azienda o che concorrano altre finalità, riguardanti l’eliminazione del grave rischio di un complessivo deterioramento del valore dell’impresa ceduta o delle condizioni di vita e di lavoro della manodopera.
25.– Le argomentazioni addotte da ITA e dalla difesa dello Stato, a supporto dell’eccezione di inammissibilità, colgono nel segno, nei termini di séguito esposti.
26.– L’art. 56, comma 3-bis, del d.lgs. n. 270 del 1999 rappresenta il paradigma esclusivo di riferimento per la soluzione del caso di specie.
26.1.– È al momento dell’elaborazione dei programmi che si compiono le scelte strategiche, indirizzate al risanamento dell’impresa, anche mediante la cessione di alcuni complessi, oppure alla sua definitiva dismissione, quando la ristrutturazione si dimostri impraticabile.
Al contenuto dei piani predisposti dai commissari occorre, dunque, avere riguardo per tracciare, in base a criteri predeterminati e oggettivi, la linea di confine tra le procedure con finalità conservativa e quelle con finalità liquidatoria.
26.2.– La disposizione richiamata si attaglia alla specifica vicenda sottoposta al vaglio del rimettente e delinea una procedura provvista di carattere liquidatorio, che non realizza il recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali tramite la ristrutturazione economica e finanziaria dell’impresa, sulla base di un programma di risanamento, ma tramite la cessione dei complessi aziendali (Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza 11 aprile 2023, n. 9621).
26.3.– Già in base al modello normativo astratto, il programma di cessione dei complessi di beni e contratti di cui all’art. 27, comma 2, lettera b-bis), del d.lgs. n. 270 del 1999 si caratterizza per un’intrinseca finalità liquidatoria, perseguita sotto il controllo di un’autorità pubblica competente, conformemente a quanto richiesto dall’art. 5 della direttiva 2001/23/CE, ai fini della inoperatività della garanzia del trasferimento dei rapporti di lavoro.
Il programma predisposto dai commissari è disancorato dalla prosecuzione dell’attività d’impresa e dalla sua riorganizzazione e tende, in ultima istanza, alla cessione dei complessi aziendali, secondo procedure assoggettate a vincoli stringenti.
Un programma siffatto non ha come obiettivo il recupero dell’attività del cedente, in vista di un suo ritorno in bonis, ma il trasferimento a terzi di un’attività che l’impresa cedente non è più in grado di esercitare.
Da quest’angolazione prospettica, tra la prosecuzione dell’attività d’impresa e la liquidazione intercorre un nesso funzionale inscindibile: la prosecuzione, lungi dal perseguire una finalità di risanamento e di ristrutturazione, è preordinata a salvaguardare il valore produttivo dell’impresa, in vista della sua alienazione.
27.– Nel caso di specie, la finalità liquidatoria si apprezza in modo univoco non soltanto sul versante delle previsioni di legge applicabili, ma, in concreto, alla luce della stessa valutazione comparativa del programma del 27 gennaio 2018 e del programma del 10 ottobre 2021, legato a un contesto economico e normativo profondamente mutato e oramai permeato dalla finalità di dismissione dei complessi aziendali.
I commissari straordinari, dopo aver acclarato l’impossibilità di attuare un ritorno in bonis del debitore mediante un programma di continuità aziendale calibrato sulla ristrutturazione economico-finanziaria dell’impresa, hanno adottato un programma finalizzato esclusivamente allo spossessamento dell’azienda e alla liquidazione dei beni del cedente.
Il nuovo programma è articolato in tre programmi di cessione, riguardanti il perimetro aviation, il ramo handling e il ramo manutenzione.
Il programma relativo al perimetro aviation, di cui si discute nel giudizio principale, è elaborato ai sensi dell’art. 27, comma 2, lettera b-bis), del d.lgs. n. 270 del 1999, secondo le particolarità di un programma di cessione dei complessi di beni e contratti, riferito a società che operano nel settore dei servizi pubblici essenziali.
28.– Le chiare finalità del programma di cessione del lotto aviation trovano poi puntuale e decisiva rispondenza nella disciplina, che ha scandito le fasi più recenti della procedura e ha plasmato il contenuto dei programmi adottati dai commissari, attestando il carattere liquidatorio negato dal rimettente.
In quest’arco di tempo, hanno giocato un ruolo primario l’interlocuzione con la Commissione europea e la conseguente necessità di adattare i programmi di cessione alle valutazioni espresse in questa sede.
28.1.– L’art. 79, comma 3, primo periodo, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, ha autorizzato «la costituzione di una nuova società interamente controllata dal Ministero dell’economia e delle finanze ovvero controllata da una società a prevalente partecipazione pubblica anche indiretta», destinata a esercitare l’attività d’impresa nel settore del trasporto aereo di persone e di merci.
L’esercizio delle attività di trasporto aereo è subordinato alle valutazioni della Commissione europea (art. 79, comma 3, secondo periodo, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, e come modificato, da ultimo, dall’art. 87, comma 1, lettera a, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, recante «Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia», convertito, con modificazioni, nella legge 13 ottobre 2020, n. 126).
L’art. 79, comma 4, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, ha demandato a un «decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sottoposto alla registrazione della Corte dei Conti, che rappresenta l’atto costitutivo della società», il compito di definire «l’oggetto sociale, il capitale sociale iniziale e ogni altro elemento necessario per la costituzione e il funzionamento della società», di approvarne lo statuto, di nominare gli organi sociali per il primo periodo di durata in carica, di stabilire le remunerazioni degli stessi organi ai sensi dell’art. 2389, primo comma, cod. civ., di definire i criteri, in riferimento al mercato, per la remunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche da parte del consiglio di amministrazione ai sensi dell’art. 2389, terzo comma, cod. civ.
Con la stessa disposizione il Ministero dell’economia e delle finanze è stato autorizzato a partecipare al capitale sociale e a rafforzare la dotazione patrimoniale della società «con un apporto complessivo di 3.000 milioni di euro, da sottoscrivere e versare anche in più fasi e per successivi aumenti di capitale o della dotazione patrimoniale, anche tramite società a prevalente partecipazione pubblica».
L’art. 79, comma 4-bis, ha autorizzato la costituzione della società anche ai fini dell’elaborazione del piano industriale, piano che dev’essere trasmesso alla Commissione europea per le valutazioni di sua competenza e che, alla luce di queste ultime valutazioni, dev’essere integrato e modificato.
Con decreto del 9 ottobre 2020, registrato il 30 ottobre 2020 dalla Corte dei conti e dall’Ufficio centrale di bilancio, il Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ha costituito la società per azioni denominata Italia Trasporto Aereo spa, destinata all’esercizio dell’attività d’impresa nel settore del trasporto aereo di persone e merci (art. 1), ha approvato lo statuto della società (art. 2), ha designato i nove membri del consiglio d’amministrazione (art. 3) e i membri del collegio sindacale (art. 4).
28.2.– Nelle more della decisione della Commissione europea, l’art. 11-quater, comma 2, del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73 (Misure urgenti connesse all’emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali), convertito, con modificazioni, nella legge 23 luglio 2021, n. 106, ha autorizzato alla prosecuzione dell’attività d’impresa «l’Alitalia - Società Aerea Italiana S.p.a. e l’Alitalia Cityliner S.p.a. in amministrazione straordinaria».
In seguito alla decisione della Commissione europea, l’Alitalia in amministrazione straordinaria e l’Alitalia Cityliner spa in amministrazione straordinaria «provvedono, anche mediante trattativa privata» a trasferire alla società costituita ai sensi del citato art. 79 del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, i «complessi aziendali individuati nel piano e pongono in essere le ulteriori procedure necessarie per l’esecuzione del piano industriale medesimo» (art. 11-quater, comma 3).
Ai commissari straordinari spetta la facoltà di adottare, per ciascun compendio dei beni oggetto di cessione, anche «distinti programmi nell’ambito di quelli previsti dall’articolo 27 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270» e di modificare il programma, con la «cessione a trattativa privata anche di singoli beni, rami d’azienda o parti di essi, perimetrati in coerenza con la decisione della Commissione europea» (art. 11-quater, comma 4).
L’art. 11-quater, comma 4, autorizza, inoltre, la cessione diretta alla medesima società costituita ai sensi dell’art. 79 del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, «di compendi aziendali del ramo aviation individuati dall’offerta vincolante formulata dalla società in conformità alla decisione della Commissione europea» (terzo periodo), disponendo che, a seguito «della cessione totale o parziale dei compendi aziendali del ramo aviation, gli slot aeroportuali non trasferiti all’acquirente» siano «restituiti al responsabile dell’assegnazione delle bande orarie sugli aeroporti individuato ai sensi del regolamento (CEE) n. 95/93 del Consiglio, del 18 gennaio 1993» (quarto periodo).
Ai fini dell’odierno scrutinio, viene in rilievo la previsione dell’art. 11-quater, comma 8, del medesimo d.l. n. 73 del 2021, come convertito, che riconnette all’esecuzione del programma, nei termini indicati dalla decisione della Commissione europea, l’integrazione del «requisito richiesto dall’articolo 73, comma 1, del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270» (primo periodo).
La disposizione richiamata stabilisce che, intervenuta l’integrale cessione dei complessi aziendali nel termine inizialmente previsto o in quello prorogato, il tribunale, su richiesta del commissario straordinario o d’ufficio, dichiari con decreto la cessazione dell’esercizio dell’impresa.
Una volta che sia perfezionata l’integrale cessione di tutti i complessi aziendali, è revocata con decreto l’attività d’impresa dell’Alitalia in amministrazione straordinaria e dell’Alitalia Cityliner spa in amministrazione straordinaria e, a far data da tale revoca, la procedura prosegue con finalità liquidatoria (art. 11-quater, comma 8, secondo periodo), dando così compimento a quel piano di dismissione già delineato nei programmi dei commissari.
Quanto ai proventi, «al netto, fino al 31 dicembre 2023, dei costi di completamento della liquidazione e degli oneri di struttura, gestione e funzionamento dell’amministrazione straordinaria, nonché dell’indennizzo ai titolari di titoli di viaggio, di voucher o analoghi titoli emessi dall’amministrazione straordinaria», essi «sono prioritariamente destinati al soddisfacimento in prededuzione dei crediti verso lo Stato, ivi inclusi i crediti da recupero di aiuti di Stato dichiarati illegittimi dalla Commissione europea» (art. 11-quater, comma 8, secondo periodo).
Analoghe previsioni detta l’art. 31 del decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48 (Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro), convertito, con modificazioni, nella legge 3 luglio 2023, n. 85, che reca la rubrica «Completamento dell’attività liquidatoria dell’Alitalia» e regola, per un verso, gli effetti dell’esecuzione dei programmi di cessione (comma 1) e, per altro verso, la prosecuzione dell’amministrazione straordinaria dopo la revoca dell’attività d’impresa dell’Alitalia (comma 2).
28.3.– È in questo quadro normativo che, il 24 agosto 2021, ITA ha formulato un’offerta vincolante per l’acquisto del lotto aviation e l’offerta è stata accettata dall’amministrazione straordinaria di Alitalia.
Le consultazioni sindacali, avviate il 23 agosto 2021 con una comunicazione trasmessa da ITA ai sindacati e ai ministri competenti, si sono concluse l’8 settembre 2021, con la sottoscrizione di un verbale, in cui le parti hanno dichiarato chiusa, con un mancato accordo, la procedura di informazione e di consultazione di cui all’art. 47 della legge n. 428 del 1990.
La Commissione europea, con la già citata decisione 2021/6665, ha affermato che il trasferimento degli asset di Alitalia a ITA non determina continuità economica tra le due società e che l’apporto di capitale in ITA non configura aiuto di Stato.
I commissari straordinari, il 10 ottobre 2021, hanno sottoposto al Ministero dello sviluppo economico il nuovo programma (Programma 2021), anche con riferimento al perimetro aviation.
28.4.– Su una procedura connotata in senso liquidatorio si innesta anche l’art. 12 del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 104 (Disposizioni urgenti a tutela degli utenti, in materia di attività economiche e finanziarie e investimenti strategici), convertito, con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2023, n. 136.
Il legislatore, con la previsione richiamata, ha approvato misure di sostegno dei lavoratori dipendenti di Alitalia, società in amministrazione straordinaria, e Alitalia Cityliner spa e, al fine di agevolarne la ricollocazione e il reimpiego, ha prorogato il trattamento straordinario di integrazione salariale, introducendo una prestazione integrativa a carico del Fondo di solidarietà per il settore del trasporto aereo e del sistema aeroportuale, e ha accordato sgravi contributivi a chi assuma i dipendenti delle società del gruppo Alitalia.
29.– L’art. 11-quater del d.l. n. 73 del 2021, come convertito, imprime dunque alla procedura un carattere marcatamente liquidatorio, che fa riscontro all’interlocuzione intavolata con la Commissione europea e privilegia la dismissione del patrimonio aziendale rispetto alla prospettiva della ristrutturazione dell’impresa.
L’art. 31 del d.l. n. 48 del 2023, come convertito, menziona ex professo il completamento della procedura liquidatoria e conferma che la cessione dei complessi aziendali non scaturisce da un disegno di riorganizzazione e di continuazione dell’attività da parte dell’impresa in amministrazione straordinaria.
Anche le misure di sostegno, introdotte dal d.l. n. 104 del 2023, come convertito, sono correlate a una liquidazione, che è all’origine della necessità di ricollocare e reimpiegare i lavoratori, approntando le tutele più incisive.
30.– La preponderante giurisprudenza di merito, che si è pronunciata a tale riguardo in molteplici occasioni, ha riscontrato in concreto la natura liquidatoria della procedura (fra le molte, allegate all’atto di costituzione e alla memoria illustrativa di ITA, Corte d’appello di Milano, sezione lavoro, sentenze 29 luglio 2024, n. 583 e n. 557, 11 luglio 2024, n. 438 e n. 437, 17 giugno 2024, n. 618, 10 giugno 2024, n. 463, e 15 maggio 2024, n. 426).
Nella disamina del contenuto dei programmi di cessione anche alla stregua dell’avvicendarsi della disciplina applicabile, i giudici d’appello hanno accertato che la dismissione dei complessi aziendali ha carattere definitivo e non esprime alcun disegno di riorganizzazione e continuazione dell’attività da parte dell’impresa cedente soggetta alla procedura concorsuale.
31.– I dati desumibili dalla normativa astratta che disciplina i programmi di cessione, dal concreto contenuto dei programmi stessi e dalla regolamentazione che li ha via via definiti non sono contraddetti da elementi decisivi di segno contrario.
Il corrispettivo pattuito per la cessione non dev’essere considerato in modo atomistico, ma nel contesto di un più articolato assetto, chiamato a uniformarsi alle indicazioni della Commissione europea.
L’obiettivo del miglior soddisfacimento dell’interesse dei creditori, disconosciuto dal rimettente, è coessenziale, a ben considerare, a tutte le fasi della procedura: guida dapprima la scelta di fondo tra la prosecuzione e la cessazione dell’attività d’impresa e quindi la concreta attuazione della fase liquidatoria, in un contesto presidiato da controlli e rimedi contro ogni deviazione dallo scopo che la legge indica come prioritario.
Non sono risolutive neppure le diverse condizioni previste per la cessione dei distinti complessi handling e manutenzione, in quanto ciascun programma dev’essere valutato nelle sue irriducibili peculiarità e nelle finalità che di volta in volta lo ispirano.
32.– In ultima analisi, il trasferimento d’azienda in crisi non può essere assimilato, per il differente contesto in cui si colloca e per la molteplicità di interessi che coinvolge, al trasferimento di un’impresa in bonis.
È proprio la gestione pubblica dell’insolvenza, che si accompagna a una vasta gamma di garanzie e di rimedi e al presidio del controllo costante della giurisdizione, a giustificare le deroghe all’art. 2112 cod. civ., anche alla stregua delle prescrizioni del diritto dell’Unione europea e della nozione più ampia di procedura liquidatoria che la giurisprudenza della Corte di giustizia ha tratteggiato.
In quest’orizzonte si rivela la ratio della specialità delle procedure liquidatorie nell’amministrazione straordinaria e della duttilità di azione che le caratterizza, in vista della salvaguardia del valore sociale dell’impresa e della necessità di contemperare una pluralità di interessi, destinati a travalicare quelli meramente individuali dell’impresa insolvente.
33.– È dunque lo stesso atteggiarsi del programma di cessione del lotto aviation, unito all’evoluzione della normativa speciale che ne ha regolato le fasi salienti, a individuare nell’art. 56, comma 3-bis, del d.lgs. n. 270 del 1999 il modello esaustivo, cui è chiamata a conformarsi la decisione del caso concreto, e a privare di rilievo determinante la normativa censurata.
Come hanno rimarcato le Corti di merito nello scrutinare vicende assimilabili a quella odierna alla luce delle previsioni del d.lgs. n. 270 del 1999 (Corte d’appello di Milano, sezione lavoro, sentenze 11 luglio 2024, n. 475 e n. 437, e 10 giugno 2024, n. 463 e n. 461), l’art. 6 del d.l. n. 131 del 2023, come convertito, non dispiega influenza decisiva sul percorso argomentativo che il giudice è chiamato a compiere per definire il caso di specie.
34.– In conclusione, i plurimi elementi finora esaminati contraddicono la supposta natura conservativa della procedura, che rappresenta il fulcro del ragionamento sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza e ha condotto il rimettente a negare l’applicabilità dell’art. 56, comma 3-bis, del d.lgs. n. 270 del 1999, con l’effetto di annettere possibile rilievo alla disposizione censurata.
È proprio la dichiarata natura liquidatoria della procedura di amministrazione straordinaria, oggetto del giudizio principale, ad attrarre la fattispecie nell’àmbito di operatività del citato art. 56, comma 3-bis.
Né rileva che il legislatore, con la disposizione censurata, abbia integrato la previsione in esame, affiancando la fattispecie delle cessioni di complessi aziendali, di beni e contratti, effettuate sulla base di decisioni della Commissione europea che escludano la continuità economica fra cedente e cessionario, a quella, già regolata e applicabile all’odierno giudizio, delle cessioni poste in essere in esecuzione dei programmi di cui, rispettivamente, alle lettere a) e b-bis) dell’art. 27, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 270 del 1999.
Da ciò discende che l’art. 56, comma 3-bis, del d.lgs. n. 270 del 1999 trova applicazione nel giudizio a quo a prescindere dalla disposizione censurata, che non rileva ai fini della decisione in tale giudizio.
Ne consegue l’inammissibilità della questione per l’erronea interpretazione in cui è incorso il giudice a quo e che è stata posta a fondamento dell’ordinanza di rimessione, inficiando la rilevanza della questione.
35.– Resta assorbito l’esame degli ulteriori profili di inammissibilità eccepiti da ITA e dall’Avvocatura generale dello Stato.