Sentenza 63/2024 (ECLI:IT:COST:2024:63)
Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE
Presidente: BARBERA - Redattore: D'ALBERTI
Udienza Pubblica del 21/02/2024;    Decisione  del 21/02/2024
Deposito del 19/04/2024;   Pubblicazione in G. U. 24/04/2024  n. 17
Norme impugnate: Art. 1, c. 332° e 774°, della legge 29/12/2022, n. 197.
Massime: 
Massime: 
Atti decisi: ric. 12/2023


Pronuncia

SENTENZA N. 63

ANNO 2024


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 332 e 774, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), promosso dalla Regione Liguria con ricorso notificato il 27 febbraio 2023, depositato in cancelleria il 7 marzo 2023, iscritto al n. 12 del registro ricorsi 2023 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2023.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 21 febbraio 2024 il Giudice relatore Marco D’Alberti;

uditi l’avvocato Pietro Piciocchi per la Regione Liguria e l’avvocato dello Stato Carmela Pluchino per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 21 febbraio 2024.


Ritenuto in fatto

1.– La Regione Liguria, con ricorso notificato il 27 febbraio 2023, depositato il 7 marzo 2023 e iscritto al n. 12 del registro ricorsi 2023, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 332 e 774, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), in riferimento agli artt. 5, 114, 119, primo, terzo e quarto comma, e 120, secondo comma, della Costituzione.

1.1.– Le questioni sono state promosse su proposta del Consiglio delle autonomie locali della Regione Liguria, ai sensi dell’art. 32, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), in quanto le suddette disposizioni lederebbero l’autonomia finanziaria dei comuni della Liguria, nonché il principio di leale collaborazione.

2.– La prima disposizione impugnata (art. l, comma 332, della legge n. 197 del 2022), nell’estendere anche ai dipendenti degli enti locali l’emolumento accessorio una tantum previsto per il personale statale dall’art. 1, comma 330, della medesima legge (da corrispondersi per tredici mensilità e determinato nella misura dell’1,5 per cento dello stipendio), ha stabilito che i relativi oneri «sono posti a carico dei rispettivi bilanci ai sensi dell’art. 48, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165». Secondo tale disposizione, infatti, in relazione agli enti locali «gli oneri derivanti dalla contrattazione collettiva nazionale sono determinati a carico dei rispettivi bilanci nel rispetto dell’articolo 40, comma 3-quinquies».

La ricorrente – pur non contestando «il riconoscimento del trattamento una tantum al personale dipendente del comparto, che appare chiaramente orientato alla comprensibile finalità di mitigare le conseguenze negative dell’inflazione sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti» – censura la disposizione statale nella parte in cui ha attribuito il relativo onere (che ammonterebbe «per l’intero settore delle autonomie locali ad euro 150 milioni») a carico del bilancio dei comuni, anziché a carico del bilancio dello Stato, ovvero nella parte in cui non ha disposto alcuna forma di ristoro, né ha previsto alcuna forma di consultazione con le associazioni rappresentative degli enti locali.

2.1.– In primo luogo, viene lamentata la violazione degli artt. 5, 114 e 119, primo comma, Cost., perché la disposizione impugnata – imponendo ai comuni un onere finanziario – verrebbe a limitarne la capacità di spesa, con conseguente violazione dell’autonomia politica e delle competenze finanziarie di tali enti. La disposizione, infatti, impatterebbe «sulla possibilità di questi ultimi di perseguire, con mezzi idonei anche in termini di adeguato numero di risorse umane, il proprio indirizzo politico amministrativo».

D’altra parte, poiché la disciplina sulla contrattazione collettiva del comparto degli enti locali è riconducibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile», spetterebbe allo Stato «provvedere alle risorse finanziarie necessarie per farvi fronte» in via diretta o comunque assicurando alle amministrazioni territoriali «forme di adeguato ristoro».

2.2.– In secondo luogo, viene lamentata la lesione dell’art. 119, quarto comma, Cost., poiché la disposizione impugnata, aggravando ulteriormente la spesa corrente degli enti locali per il costo del personale «e senza alcuna previa valutazione d’impatto», impedirebbe agli stessi il regolare esercizio delle funzioni attribuite dall’ordinamento.

Ad avviso della ricorrente, infatti, è «del tutto intuitivo» l’effetto che la disposizione produrrà «in termini di riduzione di servizi ovvero di turn over del personale». D’altra parte, poiché il pagamento dell’emolumento accessorio una tantum concorrerà alla determinazione del raggiungimento delle soglie di spesa del personale, verranno ad essere inevitabilmente ridimensionate le capacità assunzionali degli enti locali, con conseguente compromissione dei risultati dell’azione amministrativa.

2.3.– In terzo luogo, la ricorrente denuncia la violazione del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120, secondo comma, Cost., poiché la disposizione statale, pur imponendo un onere finanziario in capo agli enti locali, non ha previsto alcuna intesa, né altra forma di consultazione con gli enti rappresentativi delle autonomie locali.

Secondo la Regione, infatti, la disposizione impugnata avrebbe richiamato l’art. 48, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), al solo fine di imputare l’onere finanziario della spesa al bilancio degli enti locali, e non già al fine di rinviare anche alla disciplina che – al successivo periodo del medesimo comma – prevede la consultazione del Governo con le «rappresentanze istituzionali del sistema delle autonomie» per la definizione delle risorse da destinare agli incrementi retributivi derivanti dal rinnovo dei contratti collettivi nazionali dei dipendenti delle amministrazioni locali.

In ragione di ciò, risulterebbe violato il principio di leale collaborazione, il quale, in un sistema di decentramento politico e amministrativo fondato sul modello della coesione e della solidarietà, dovrebbe ispirare anche le relazioni tra lo Stato e gli enti locali.

3.– La seconda disposizione impugnata (art. l, comma 774, della legge n. 197 del 2022) interviene sulla disciplina del fondo di solidarietà comunale (FSC), previsto dall’art. 1, comma 380, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)», incrementandone la dotazione finanziaria per l’anno 2023 di 50 milioni di euro rispetto a quanto già previsto dall’art. 1, commi 448 e 449, lettera d-quater), della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019).

3.1.– La ricorrente premette che lo Stato, con la legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), ha disposto la graduale restituzione della quota “verticale” del fondo di solidarietà comunale, che era stata sottratta – a titolo di concorso degli enti locali al risanamento delle finanze pubbliche – dall’art. 47, comma 8, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 23 giugno 2014, n. 89.

Tale progressiva restituzione – pari a 100 milioni di euro nel 2020, 200 milioni di euro nel 2021, 300 milioni di euro nel 2022, 330 milioni di euro nel 2023 e 560 milioni di euro a decorrere dal 2024 – era destinata «a specifiche esigenze di correzione nel riparto del Fondo di solidarietà comunale, da individuare con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri [...]» (art. 1, comma 449, lettera d-quater, della legge n. 232 del 2016, inserito dall’art. 1, comma 849, della legge n. 160 del 2019).

Come ricorda la difesa regionale, l’intervento legislativo mirava anche a sterilizzare gli effetti negativi della progressione della perequazione fondata sulla differenza fra capacità fiscali e fabbisogni standard che era stata disposta, ai fini del riparto delle quote del FSC, dall’art. 57, comma 1, del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 2019, n. 157.

3.2.– La ricorrente sottolinea che le somme sin qui stanziate dallo Stato hanno in effetti «consentito fino ad oggi di rendere praticamente nulli gli effetti negativi della perequazione», assicurando l’attribuzione di maggiori risorse ai comuni con minore capacità fiscale, senza che fossero gli altri comuni a sopportarne il peso.

Tuttavia, ad avviso della Regione, con il progressivo avanzare della percentuale di perequazione per il riparto delle quote del FSC, l’effetto di neutralizzazione in favore dei comuni non potrebbe «più essere perseguito se non attraverso una nuova iniezione di risorse da parte dello Stato, non essendo a tale scopo più sufficienti gli importi originariamente previsti». In particolare, sulla base delle stime della Fondazione IFEL, la ricorrente sostiene che, al fine di evitare ripercussioni negative sui comuni per l’anno 2023, occorrerebbero – oltre ai menzionati 50 milioni aggiuntivi già previsti dallo Stato con la disposizione impugnata – «ulteriori 36 milioni di euro».

Secondo la ricorrente, un simile incremento delle risorse statali permetterebbe di superare i molti profili di criticità che caratterizzano l’attuale modello perequativo e, soprattutto, assicurerebbe un adeguamento di tale modello «alla scelta costituzionale di perequazione verticale» (sono citate le sentenze di questa Corte n. 61 del 2018 e n. 46 del 2013). Ciò, tenuto anche conto della disomogeneità delle risultanze del sistema catastale, nonché del complessivo sottodimensionamento della dotazione finanziaria degli enti locali, come risultante dal rapporto tra il valore delle capacità fiscali e l’ammontare delle risorse necessarie per lo svolgimento delle funzioni fondamentali.

3.3.– Alla luce di tale ricostruzione, la disposizione impugnata violerebbe innanzitutto gli artt. 5 e 119, commi primo, terzo e quarto, Cost. Infatti, l’incremento di 50 milioni previsto da tale disposizione – non essendo sufficiente ad assicurare la piena sterilizzazione degli effetti negativi derivanti dall’adozione del meccanismo perequativo orizzontale – pregiudicherebbe l’autonomia finanziaria dei comuni, impedendo agli stessi di poter esercitare adeguatamente la propria azione, anche in violazione del canone di responsabilità del mandato politico degli amministratori.

D’altra parte, la disposizione contrasterebbe con lo stesso «principio di tipicità degli strumenti di perequazione», dal momento che – secondo la ricorrente – il sistema perequativo «voluto dalla Costituzione» avrebbe la «precipua funzione, tipizzata e non derogabile dal legislatore, di supportare i Comuni con minor[e] capacità fiscale per abitante secondo una modalità che non è quella di togliere risorse ad alcuni Comuni per attribuirne ad altri». Pertanto, la mancata previsione di risorse statali adeguate scaricherebbe il costo della perequazione sui comuni, anziché sullo Stato, consolidando un modello di perequazione orizzontale «apertamente in contrasto» con la giurisprudenza costituzionale.

3.4.– In secondo luogo, la Regione lamenta la violazione dell’art. 119, commi primo e quarto, Cost., perché la mancata previsione delle risorse necessarie a neutralizzare gli effetti negativi della perequazione metterebbe a rischio la possibilità per i comuni di provvedere al regolare esercizio delle funzioni attribuite dalla legge.

Ad avviso della ricorrente, lo Stato avrebbe l’obbligo e la responsabilità di assicurare il regolare esercizio delle funzioni assegnate agli enti locali: ciò, in coerenza con gli orientamenti della giurisprudenza costituzionale che avrebbero imposto la temporaneità dei limiti di spesa fissati alle regioni e agli enti locali, anche al fine di scongiurare un possibile vulnus alle funzioni esercitate in ambiti aventi una notevole rilevanza sociale (sono citate, tra l’altro, le sentenze n. 103 del 2018 e n. 10 del 2016).

3.5.– Infine, la Regione lamenta la lesione dell’art. 120, secondo comma, Cost., dal momento che la disposizione impugnata avrebbe dovuto individuare le risorse necessarie a sterilizzare le ripercussioni negative della perequazione sulla base di una preventiva analisi circa la capacità degli enti di assolvere all’esercizio integrale delle funzioni loro attribuite: il che non è avvenuto, con conseguente violazione delle «più elementari regole della leale collaborazione», la quale sarebbe tanto più necessaria in presenza di interventi dello Stato diretti a ridurre le risorse nei confronti degli enti locali.

4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio con atto depositato il 31 marzo 2023, chiedendo che le relative questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, non fondate.

4.1.– In relazione all’impugnazione dell’art. 1, comma 332, della legge n. 197 del 2022, l’Avvocatura ritiene legittima la scelta del legislatore statale di estendere l’emolumento accessorio una tantum – previsto dal comma 330 del medesimo articolo – anche al personale dipendente degli enti locali: ciò, «allo scopo di evitare disparità di trattamento tra il personale statale e il resto del personale pubblico».

Peraltro, la mancata violazione dei parametri costituzionali evocati dalla Regione Liguria sarebbe confermata dallo stesso richiamo operato dalla disposizione impugnata all’art. 48, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, il quale prevede che siano gli enti locali a sopportare gli oneri derivanti dagli aumenti retributivi del proprio personale.

Ma soprattutto, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la ricorrente avrebbe dovuto fornire un’adeguata dimostrazione circa gli effetti pregiudizievoli della disposizione impugnata per il regolare svolgimento delle funzioni assegnate ai comuni: ciò alla luce della giurisprudenza costituzionale, la quale ha escluso che l’autonomia finanziaria costituzionalmente riconosciuta agli enti territoriali possa comportare una rigida garanzia quantitativa, essendo comunque ammesse riduzioni di risorse, purché le stesse non rendano impossibile lo svolgimento delle funzioni attribuite agli enti medesimi.

La ricorrente, dunque, non avrebbe adeguatamente assolto all’onere di provare l’irreparabilità del pregiudizio derivante dalla disposizione impugnata (è citata la sentenza di questa Corte n. 76 del 2020).

4.2.– Con riferimento all’impugnazione dell’art. 1, comma 774, della legge n. 197 del 2022, l’Avvocatura dello Stato sottolinea la non fondatezza delle censure addotte dalla Regione, alla luce della piena coerenza della disposizione impugnata con la complessiva evoluzione del quadro normativo statale in materia di FSC, la cui legittimità sarebbe stata confermata da questa stessa Corte (è citata la sentenza n. 220 del 2021).

4.2.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri richiama innanzitutto le ragioni che, negli ultimi anni, hanno condotto il legislatore statale a ricostituire progressivamente la componente verticale del FSC, al fine di compensare i comuni delle minori entrate derivanti dalla riforma della tassazione immobiliare e dalle misure di contenimento della spesa.

In un simile contesto – che, come evidenziato da questa Corte, si pone in «netta soluzione di continuità rispetto alla fase dei tagli lineari e inaugura il progressivo ripristino dell’ammontare originario del FSC» (è citata ancora la sentenza n. 220 del 2021) – sarebbe possibile cogliere «la intrinseca ragionevolezza della norma oggetto di specifica censura», la quale, incrementando le risorse statali già previste per il 2023, contribuirebbe a rafforzarne la componente verticale.

4.2.2.– Ad avviso della difesa statale, inoltre, la non fondatezza del ricorso discenderebbe dal fatto che la Regione Liguria – nel lamentare l’insufficiente dotazione del FSC – riproporrebbe censure sostanzialmente analoghe a quelle già rigettate da questa Corte nella citata sentenza n. 220 del 2021, ove si è ribadito, tra l’altro, che gli interventi legislativi che incidono sull’assetto finanziario degli enti territoriali non andrebbero considerati in maniera atomistica, ma nel contesto delle altre disposizioni di carattere finanziario e degli obiettivi di riequilibrio perseguiti dal legislatore statale nell’ambito di manovre di finanza pubblica.

In ragione di ciò, la ricorrente avrebbe dovuto considerare – oltre agli stanziamenti statali diretti a finanziare importanti funzioni comunali in materia di servizi sociali, assistenza e servizi educativi – anche gli ulteriori correttivi già adottati dallo Stato per attenuare gli effetti negativi della variazione delle risorse, soprattutto con riferimento ai piccoli comuni (art. 1, comma 449, lettera d-ter, della legge n. 232 del 2016).

Ma soprattutto, la ricorrente avrebbe dovuto dimostrare, in maniera puntuale, l’incidenza della disposizione impugnata sull’effettivo svolgimento delle funzioni assegnate ai comuni: invece, sarebbe stata prospettata «in maniera del tutto apodittica e meramente assertiva» l’esigenza di integrare il FSC di ulteriori 36 milioni di euro.

4.2.3.– L’Avvocatura dello Stato contesta, inoltre, la tesi della ricorrente secondo cui la Costituzione avrebbe delineato un unico modello «tipico» di perequazione verticale, risultando invece pienamente legittimo il carattere orizzontale del Fondo di solidarietà comunale. Il modello perequativo verticale sarebbe imposto esclusivamente dall’art. 119, quinto comma, Cost., ove si prevede il necessario intervento dello Stato attraverso la destinazione di «risorse aggiuntive» per il perseguimento di specifiche finalità di rilievo pubblico. Tuttavia, da tale modello andrebbe nettamente distinta la fattispecie delineata all’art. 119, terzo comma, Cost., ove si prevede l’istituzione di un «fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante».

4.2.4.– Infine, con riguardo alla lamentata violazione del principio di leale collaborazione sancito dall’art. 120, secondo comma, Cost., l’Avvocatura dello Stato evidenzia che l’art. 1, comma 380, della legge n. 228 del 2012, istitutivo del FSC, prevede che i criteri di formazione e di riparto dello stesso siano stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno, previo accordo da sancire in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali. È quindi proprio nell’ambito di tale Conferenza – ove viene approvato lo schema di decreto di riparto del Fondo – che è garantito il dialogo tra i diversi livelli di governo ed è assicurata un’adeguata rappresentazione delle istanze degli enti locali.

5.– In prossimità dell’udienza, la Regione Liguria ha presentato una memoria in replica alle difese dell’Avvocatura dello Stato.

5.1.– In relazione alla prima disposizione impugnata, la ricorrente ribadisce che il rinvio operato dall’art. l, comma 332, della legge n. 197 del 2022, all’art. 48, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, sarebbe funzionale soltanto a chiarire che l’indennità una tantum è posta totalmente a carico del bilancio degli enti locali, ma non già a richiamare la previsione che dispone la «previa consultazione con le rispettive rappresentanze istituzionali del sistema delle autonomie»: tale consultazione, infatti, «non è mai avvenuta, né avrebbe potuto svolgersi» alla luce della completa quantificazione dell’ammontare dell’emolumento da parte della legge statale. Proprio in ragione della natura «del tutto unilaterale» della decisione statale di riconoscere un simile incremento retributivo, lo Stato «avrebbe dovuto prevedere un congruo ristoro per non mortificare ancora una volta […] il valore dell’autonomia locale presidiato dalla Costituzione e della leale collaborazione».

Quanto all’eccezione dell’Avvocatura dello Stato circa la mancata dimostrazione dell’incidenza di tale onere sull’effettiva possibilità di svolgere le funzioni assegnate agli enti locali, la Regione sottolinea innanzitutto che l’ammontare dello stesso è assai significativo e che, in ogni caso, andrebbe considerata l’obiettiva difficoltà di dimostrare il pregiudizio subito dagli enti locali alla luce della mancata definizione dei LEP da parte dello Stato.

5.2.– In relazione alla seconda disposizione impugnata, la Regione innanzitutto evidenzia che – anche in ragione dell’insufficiente stanziamento da parte dello Stato delle «risorse necessarie a neutralizzare gli effetti della perequazione per oltre 4.300 Comuni italiani» – non è stata raggiunta l’intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali sui criteri di riparto del FSC per l’annualità 2023, sebbene ciò non abbia impedito allo Stato di adottare il decreto di formazione e di riparto delle risorse del FSC (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 giugno 2023, recante «Criteri di formazione e di riparto delle risorse del Fondo di solidarietà comunale per l’anno 2023»).

Quanto alle specifiche difese statali, la ricorrente contesta la tesi dell’Avvocatura, secondo la quale – alla luce dell’art. 119, terzo comma, Cost. – le risorse del FSC andrebbero distribuite «su base interamente perequativa e, quindi, sulla base di fabbisogni standard e capacità fiscali dei singoli enti».

Ad avviso della Regione, infatti, la Costituzione non legittimerebbe un sistema perequativo come quello esistente, fondato quasi esclusivamente sul trasferimento orizzontale di risorse da parte dei comuni con maggiori capacità fiscali in favore dei comuni in maggiore sofferenza.

Né, d’altra parte, potrebbe sostenersi – come prospettato invece dall’Avvocatura dello Stato – che la giurisprudenza costituzionale abbia espressamente affermato la piena conformità dell’attuale sistema di perequazione all’art. 119, comma terzo, Cost. La stessa sentenza n. 220 del 2021 avrebbe individuato nel «carattere meramente orizzontale» del FSC una delle principali criticità dell’attuale sistema, senza giungere alla declaratoria di illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate solo in ragione della «presa d’atto dell’abbandono della stagione dei tagli lineari» e dell’impegno del legislatore alla «progressiva ricostituzione della componente verticale del fondo di solidarietà comunale».

La disposizione impugnata, tuttavia, non avrebbe raggiunto lo scopo di mitigare le conseguenze negative della progressione del criterio perequativo, alla luce dell’insufficiente dotazione di risorse per la ricostituzione della componente verticale del FSC, con conseguente aggravamento del pregiudizio a carico dei comuni con maggiori capacità fiscali.

6.– Ai sensi dell’art. 6 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, hanno depositato opinioni scritte, quali amici curiae, l’Associazione nazionale insegnanti e formatori (ANIEF), in data 23 aprile 2023, e l’Associazione nazionale comuni italiani (ANCI), in data 26 aprile 2023, opinioni entrambe ammesse con decreto presidenziale dell’8 gennaio 2024.

6.1.– L’ANIEF ritiene costituzionalmente illegittimo l’art. l, comma 332, della legge n. 197 del 2022, poiché l’incremento retributivo una tantum sarebbe stato unilateralmente deciso dallo Stato, prescindendo dalla consultazione preventiva con le istituzioni rappresentative delle autonomie territoriali, che è invece prevista dall’art. 48, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001.

6.2.– L’ANCI, per parte sua, pur condividendo l’opportunità dell’aumento retributivo disposto dall’art. l, comma 332, della legge n. 197 del 2022, sottolinea che tale disposizione si discosterebbe dal modello di determinazione dei trattamenti economici del personale dipendente degli enti locali, il quale è il risultato di un complesso percorso di concertazione, che vede coinvolte anche le relative associazioni rappresentative.

Viene altresì sottolineato che la Ragioneria generale dello Stato ha provveduto a comunicare, attraverso la pubblicazione di un’apposita nota, il preciso ammontare dell’indennità una tantum riferibile a tutti i dipendenti degli enti locali, il cui costo complessivo supererebbe i 160 milioni di euro. Tuttavia, di tali oneri si sarebbe dovuto far carico lo Stato, anche alla luce dell’assenza di qualsiasi meccanismo di concertazione preventiva.

L’ANCI ritiene costituzionalmente illegittimo, infine, anche l’art. l, comma 774, della legge n. 197 del 2022, posto che l’integrazione delle risorse statali prevista dalla legge di bilancio per il 2023 sarebbe del tutto insufficiente ad assicurare l’invarianza delle risorse per i comuni “finanziatori”, anche alla luce dell’incremento degli oneri energetici e degli effetti strutturali dell’inflazione.


Considerato in diritto

1.– Con ricorso iscritto al n. 12 del registro ricorsi 2023, la Regione Liguria ha promosso – su istanza del Consiglio delle autonomie locali – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 332 e 774, della legge n. 197 del 2022, in riferimento agli artt. 5, 114, 119, commi primo, terzo e quarto, e 120, secondo comma, Cost.

2.– L’art. 1, comma 332, della legge n. 197 del 2022 è impugnato nella parte in cui pone a carico del bilancio dei comuni gli oneri derivanti dal riconoscimento – anche in favore dei dipendenti di tali enti – dell’emolumento accessorio una tantum previsto per il personale statale dall’art. 1, comma 330, della medesima legge, da corrispondersi per tredici mensilità e determinato nella misura dell’1,5 per cento dello stipendio.

2.1.– Ad avviso della ricorrente, la disposizione impugnata violerebbe gli artt. 5, 114 e 119, commi primo e quarto, Cost., poiché, venendo ad imporre un onere finanziario ai comuni, ne avrebbe leso l’autonomia politica e finanziaria, ostacolando la possibilità per tali enti di svolgere regolarmente le funzioni loro attribuite dall’ordinamento. Inoltre, è lamentata la violazione del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120, secondo comma, Cost., poiché la disposizione impugnata avrebbe imposto unilateralmente tale onere finanziario ai comuni, senza prevedere alcuna intesa, né altra forma di consultazione con gli enti rappresentativi delle autonomie locali.

2.2.– Le questioni non sono fondate.

2.3.– La legge di bilancio per il 2023 ha posto in essere un intervento straordinario in favore di tutti i dipendenti pubblici, prevedendo il riconoscimento di un «emolumento accessorio una tantum», nella misura dell’1,5 per cento dello stipendio (art. 1, commi 330 e 332, della legge n. 197 del 2022). Si tratta di un aumento retributivo di natura temporanea, perché destinato ad operare nel 2023 esclusivamente «per tredici mensilità», e che rileva ai soli fini del trattamento di quiescenza.

Come emerge dai lavori preparatori, l’intervento legislativo è ispirato dalla finalità di contrastare l’impatto dell’inflazione sul personale dell’intero settore pubblico. Proprio in ragione di tale finalità, l’aumento retributivo è stato riconosciuto non solo in favore dei dipendenti statali (per i quali la stessa legge di bilancio ha direttamente stanziato le risorse necessarie), ma anche in favore dei dipendenti degli enti locali e delle amministrazioni regionali.

Con riguardo agli oneri finanziari derivanti dal riconoscimento di tale emolumento in favore dei dipendenti non statali, il legislatore si è limitato a richiamare il primo periodo dell’art. 48, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, il quale prevede che «[p]er le amministrazioni di cui all’articolo 41, comma 2» (tra cui rientrano anche i comuni) «gli oneri derivanti dalla contrattazione collettiva nazionale sono determinati a carico dei rispettivi bilanci nel rispetto dell’articolo 40, comma 3-quinquies».

2.4.– Così ricostruito il quadro normativo di riferimento, va considerata, nel caso in esame, la natura eccezionale e temporanea della disposizione impugnata. Tale natura consente di escludere il denunciato contrasto con gli artt. 5, 114 e 119, primo comma, Cost., per violazione dell’autonomia politica e finanziaria dei comuni.

Questa Corte, infatti, ha in più occasioni sottolineato che lo Stato può imporre limitazioni all’autonomia di spesa degli enti territoriali, purché abbiano, entro i limiti di cui si dirà, portata transitoria (si vedano: sentenze n. 103 del 2018, n. 169 del 2017, n. 43 del 2016, n. 156 del 2015, n. 23 del 2014, n. 236 del 2013, n. 139 del 2012, n. 159 del 2008, n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004).

Tale orientamento, pur essendosi affermato in relazione a interventi statali riconducibili alla materia del coordinamento della finanza pubblica, esprime un principio generale applicabile anche nell’odierna fattispecie in cui lo Stato, nell’esercizio di una propria competenza legislativa, incide sulla capacità di spesa degli enti territoriali.

Nel caso in esame, la natura temporanea dell’obbligo imposto agli enti locali risulta chiaramente confermata dal fatto che l’emolumento aggiuntivo ha trovato applicazione esclusivamente in relazione alle tredici mensilità del 2023 e, quindi, per un periodo di tempo limitato e ben determinato, che non è stato oggetto di interventi di proroga da parte del legislatore statale.

2.5.– Né, d’altra parte, può ritenersi – come sostenuto invece dalla ricorrente – che l’imposizione di tale spesa abbia determinato un vulnus all’autonomia finanziaria degli enti locali con conseguente violazione dell’art. 119, quarto comma, Cost.

Come ribadito da questa Corte, l’autonomia finanziaria degli enti territoriali non comporta una rigida garanzia quantitativa, potendo le risorse disponibili subire modifiche, anche in diminuzione, purché simili riduzioni non producano uno «squilibrio incompatibile» con le esigenze complessive della spesa (sentenza n. 143 del 2017); grava sulla parte ricorrente, in ogni caso, «l’onere di provare l’irreparabile pregiudizio lamentato» (tra le tante, sentenze n. 220 del 2021 e n. 76 del 2020): ciò, anche attraverso la produzione di «dati finanziari analitici correlati ai profili disfunzionali censurati» (sentenza n. 246 del 2012).

Nel caso in esame, la ricorrente non ha assolto in maniera adeguata a tale onere dimostrativo.

La Regione, infatti, si è limitata a riportare alcune stime dell’intero ammontare dell’onere finanziario derivante dal riconoscimento dell’emolumento una tantum per tutti i comuni italiani, senza chiarirne la specifica consistenza e il concreto impatto sul bilancio dei singoli enti per il 2023, ad esempio tenendo in considerazione il numero dei dipendenti in servizio nelle diverse realtà comunali. D’altra parte, una simile ricostruzione sarebbe stata agevolata dal fatto che, come riferito dall’ANCI, a seguito dell’approvazione della disposizione impugnata, la Ragioneria generale dello Stato ha reso noto l’esatto ammontare dell’incremento retributivo mensile da riconoscere a ciascun dipendente degli enti locali, a seconda del diverso livello di inquadramento.

Il ricorso proposto dalla Regione Liguria si fonda, invece, su elementi presuntivi e ipotetici, che non dimostrano il concreto impatto economico della misura tanto sulla capacità di spesa degli enti locali, quanto sui relativi limiti assunzionali: il che sarebbe stato ancor più necessario in un contesto che, soprattutto a seguito della crisi pandemica, ha visto un progressivo incremento dei finanziamenti statali in favore degli enti locali.

2.6.– Quanto, infine, alla lamentata violazione del principio di leale collaborazione, va evidenziato che, anche alla luce della straordinarietà dell’intervento posto in essere dalla disposizione impugnata, il legislatore non ha inteso – né avrebbe potuto – richiamare la disciplina prevista dal secondo periodo dell’art. 48, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, la quale stabilisce che il Governo definisca le risorse necessarie «per il rinnovo dei contratti collettivi nazionali», previa «consultazione» con le «rappresentanze istituzionali del sistema delle autonomie».

Tale disciplina, infatti, trova applicazione con riguardo alle ipotesi – diverse da quella in esame – di aumenti retributivi derivanti dal rinnovo dei contratti collettivi. Nel caso di cui si tratta, invece, il legislatore statale – operando nell’ambito di una propria competenza legislativa esclusiva (riferibile alla materia «ordinamento civile») – ha inteso eccezionalmente individuare ex lege uno specifico e temporaneo aumento retributivo, non destinato ad essere recepito in sede di contrattazione collettiva.

Proprio alla luce della decisione statale di riconoscere direttamente, a livello legislativo, l’emolumento una tantum per tutti i dipendenti pubblici, non risulta essere stato violato l’art. 120, secondo comma, Cost., per mancato coinvolgimento del sistema delle autonomie. La giurisprudenza costituzionale, infatti, ha escluso l’operatività degli strumenti procedimentali della leale collaborazione in relazione al procedimento legislativo, ancor più in ambiti riconducibili ad una competenza legislativa esclusiva dello Stato (sentenze n. 6 del 2023, n. 137 del 2018 e n. 237 del 2017).

Pertanto, le censure sollevate dalla Regione Liguria nei confronti dell’art. 1, comma 332, della legge n. 197 del 2022, con riferimento agli artt. 5, 114, 119, commi primo e quarto, e 120, secondo comma, Cost., non sono fondate.

3.– Con un secondo motivo di ricorso, è impugnato l’art. 1, comma 774, della legge n. 197 del 2022, nella parte in cui incrementa – per il 2023 – la dotazione del FSC nella misura di soli 50 milioni di euro, rispetto a quanto già previsto dall’art. 1, commi 448 e 449, lettera d-quater), della legge n. 232 del 2016.

Secondo la Regione tale incremento non sarebbe comunque sufficiente ad assicurare la piena sterilizzazione degli effetti negativi che i comuni subiscono per effetto dell’avanzare del criterio perequativo ai fini del riparto del FSC, con conseguente pregiudizio della loro autonomia politica e finanziaria e della stessa possibilità di assicurare il regolare svolgimento delle funzioni attribuite dalla legge. Di qui, la lamentata violazione degli artt. 5 e 119, commi primo, terzo e quarto, Cost., nonché del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120, secondo comma, Cost., poiché la disposizione impugnata non avrebbe previsto alcuna forma di consultazione con gli enti rappresentativi delle autonomie locali.

3.1.– Le questioni non sono fondate.

3.2.– Come già sottolineato da questa Corte nella sentenza n. 220 del 2021, le più recenti modifiche alla disciplina del FSC hanno avviato un percorso di ripristino, con risorse incrementali, della componente verticale del FSC, ossia quella alimentata dallo Stato.

In particolare, la legge di bilancio per il 2020 ha inteso reintegrare le somme statali a suo tempo decurtate dal FSC a titolo di concorso degli enti locali al risanamento della finanza pubblica (art. 47 del d.l. n. 66 del 2014, come convertito), prevedendo lo stanziamento – da parte dello Stato – di 100 milioni di euro per il 2020, di 200 milioni di euro per il 2021, di 300 milioni di euro per il 2022, di 330 milioni di euro per il 2023 e di 560 milioni di euro a decorrere dal 2024, da destinarsi «a specifiche esigenze di correzione nel riparto del Fondo di solidarietà comunale», definite con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (art. 1, comma 449, lettera d-quater, della legge n. 232 del 2016, inserito dall’art. 1, comma 849, della legge n. 160 del 2019).

Tale intervento legislativo ha segnato «una netta soluzione di continuità rispetto alla fase dei tagli lineari», avendo inaugurato «il progressivo ripristino dell’ammontare originario del FSC» (sentenza n. 220 del 2021).

In effetti, il «progressivo ripristino» della componente verticale del FSC è proseguito in piena coerenza rispetto al “crono-programma” delineato dall’art. 1, comma 849, della legge n. 160 del 2019: il che ha consentito – come riconosciuto dalla stessa Regione Liguria nel ricorso – «di rendere praticamente nulli gli effetti negativi della perequazione», assicurando l’attribuzione di maggiori risorse ai comuni con minore capacità fiscale «senza che fossero gli altri Comuni a doverne fare le spese perché lo sforzo si è concentrato sullo Stato».

3.3.– È proprio in tale contesto di costante e incrementale ricostituzione della componente verticale del Fondo che si inserisce la disposizione impugnata, la quale ha inteso ulteriormente accelerare il “crono-programma” definito dall’art. 1, comma 849, della legge n. 160 del 2019, prevedendo per il 2023 lo stanziamento di ulteriori 50 milioni di euro, che si vanno ad aggiungere ai 330 milioni di euro già stabiliti dal legislatore.

Orbene, proprio alla luce di un intervento legislativo che, lungi dall’aver ridotto lo stanziamento statale già previsto per il 2023, lo ha incrementato di ulteriori 50 milioni di euro, la Regione – ai fini della dimostrazione della violazione degli artt. 5 e 119, commi primo, terzo e quarto, Cost. – avrebbe dovuto assolvere in maniera ancor più rigorosa all’onere di provare il pregiudizio finanziario determinato dalla disposizione impugnata.

La ricorrente, invece, si è limitata ad affermare che – alla luce delle «prime stime di I.F.E.L.» per il 2023 – il risultato della «neutralizzazione» degli effetti negativi dell’avanzare della percentuale di perequazione per i comuni con maggiore capacità fiscale non potrebbe essere più perseguito «se non attraverso una nuova iniezione di risorse da parte dello Stato», risultando a tal fine necessari «ulteriori 36 milioni di euro», oltre ai 50 milioni già stanziati in aggiunta dalla legge di bilancio.

Tuttavia, il ricorso non chiarisce in che modo il mancato stanziamento di ulteriori 36 milioni di euro da parte dello Stato abbia effettivamente menomato – quantomeno per i comuni liguri – l’autonomia finanziaria municipale e contraddetto il «principio di corrispondenza tra risorse e funzioni» (sentenza n. 71 del 2023) di cui all’art. 119, quarto comma, Cost. Né, d’altra parte, è stato precisato l’impatto concreto che tale mancato stanziamento avrebbe determinato nel 2023 sui comuni liguri con più elevata capacità fiscale, in termini di maggiorazione dei trasferimenti “orizzontali” a favore dei comuni in maggiore difficoltà.

Peraltro, anche alla luce dell’esigenza – più volte ribadita da questa Corte (tra le altre, sentenze n. 83 del 2019 e n. 205 del 2016) – di non considerare gli interventi legislativi che incidono sull’assetto finanziario degli enti territoriali in maniera atomistica, ma nel contesto delle altre disposizioni di carattere finanziario, la ricorrente avrebbe altresì dovuto tenere conto del complessivo incremento degli stanziamenti che hanno caratterizzato negli ultimi anni il FSC, sia pur attraverso l’introduzione di «una componente perequativa speciale, non più diretta a colmare le differenze di capacità fiscale, ma puntualmente vincolata a raggiungere determinati livelli essenziali e obiettivi di servizio» (come rilevato dalla sentenza n. 71 del 2023).

3.4.– Né può ritenersi che il mancato stanziamento da parte dello Stato delle risorse necessarie ad assicurare la completa sterilizzazione degli effetti negativi dell’avanzare del meccanismo perequativo in base ai fabbisogni standard sia di per sé lesivo dell’autonomia finanziaria degli enti locali perché, ad avviso della ricorrente, contrasterebbe con la «scelta sostanziale per un modello di perequazione di tipo verticale» che sarebbe stata operata dalla Costituzione.

Occorre innanzitutto evidenziare che il risultato – auspicato dal ricorso introduttivo – della piena «sterilizzazione» degli effetti derivanti dall’avanzare del criterio perequativo in base ai fabbisogni standard in luogo del criterio della spesa storica, finirebbe per porsi in contraddizione con l’obiettivo, che è sotteso alla stessa riforma del federalismo fiscale, di favorire una maggiore efficienza e una migliore qualità della spesa degli enti locali.

In ogni caso, non appare condivisibile l’assunto da cui muove l’intero ricorso regionale, ovvero che l’art. 119, terzo comma, Cost., presupporrebbe un modello di perequazione integralmente verticale, in quanto fondato esclusivamente sullo stanziamento di risorse statali. Un simile modello è infatti espressamente imposto solo dall’art. 119, quinto comma, Cost., il quale attribuisce chiaramente allo «Stato» il compito di destinare «risorse aggiuntive» e di effettuare interventi speciali a favore di «determinati» enti territoriali, quando lo richiedano, tra l’altro, gli obiettivi di promuovere lo sviluppo economico, di coesione e solidarietà sociale, di rimuovere gli squilibri economici e sociali, o infine, di garantire l’effettivo esercizio dei diritti della persona (sulle caratteristiche della perequazione di cui all’art. 119, quinto comma, Cost., da ultimo, sentenze n. 71 del 2023 e n. 123 del 2022).

È innegabile che, in passato, il carattere meramente orizzontale del FSC abbia contribuito ad “amplificare” alcune disfunzioni nella distribuzione delle risorse fra i comuni italiani (come rilevato dalle sentenze n. 71 del 2023 e n. 220 del 2021). Tuttavia, tali disfunzioni – pur in un contesto che continua problematicamente a caratterizzarsi per la mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) – appaiono senza dubbio attenuate dalla successiva e progressiva ricostituzione (pur con le nuove criticità evidenziate da questa Corte nella sentenza n. 71 del 2023) della componente verticale del FSC a cui concorre anche la disposizione impugnata.

3.5.– Quanto, infine, alle censure concernenti la violazione dell’art. 120, secondo comma, Cost., non si comprende in che termini e secondo quali modalità lo Stato avrebbe dovuto assicurare il coinvolgimento delle autonomie locali rispetto ad una scelta che è stata effettuata in una sede – quale è quella legislativa – ove non operano gli ordinari meccanismi procedimentali della leale collaborazione.

Va in ogni caso evidenziato che la disciplina del FSC ha espressamente previsto il coinvolgimento della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, se non sulla definizione del complessivo ammontare degli stanziamenti statali da destinare al FSC (ammontare contestato dalla Regione), in relazione alle scelte sui «criteri di riparto» di tale Fondo, consentendo comunque allo Stato di adottare il d.P.C.m. di riparto dei fondi anche in caso di mancato accordo con le rappresentanze delle autonomie territoriali (art. 1, comma 451, della legge n. 232 del 2016).

3.6.– In ragione di quanto evidenziato, le censure sollevate dalla Regione Liguria nei confronti dell’art. 1, comma 774, della legge n. 197 del 2022, in riferimento agli artt. 5, 119, commi primo, terzo e quarto, e 120, secondo comma, Cost., non sono fondate.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 332, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), promosse, in riferimento agli artt. 5, 114, 119, commi primo e quarto, e 120, secondo comma, della Costituzione, dalla Regione Liguria con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 774, della legge n. 197 del 2022, promosse, in riferimento agli artt. 5, 119, commi primo, terzo e quarto, e 120, secondo comma, Cost., dalla Regione Liguria con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Marco D'ALBERTI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 19 aprile 2024

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA