Sentenza 26/2015 (ECLI:IT:COST:2015:26)
Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: CRISCUOLO - Redattore: CORAGGIO
Camera di Consiglio del 28/01/2015;    Decisione  del 28/01/2015
Deposito del 03/03/2015;   Pubblicazione in G. U. 11/03/2015  n. 10
Norme impugnate: Art. 32, c. 4°, del decreto Presidente della Repubblica 29/09/1973, n. 600.
Massime:  38254 
Massime:  38254 
Atti decisi: ord. 133/2014

Massima n. 38254
Titolo
Imposte e tasse - Accertamento delle imposte sui redditi - Notizie e dati non addotti dal contribuente in risposta a questionario inviato dall'amministrazione - Inutilizzabilità a favore dello stesso contribuente nel giudizio tributario - Inesatta identificazione della norma oggetto - Inammissibilità della questione.

Testo

E' inammissibile, per l'inesatta identificazione della norma oggetto di censura, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 32, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, impugnato, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., in quanto prevede l'inutilizzabilità nel giudizio tributario di notizie, dati e documenti non addotti dal contribuente in risposta a questionario inviato dall'amministrazione in sede di accertamento sintetico. Nella prospettazione del rimettente, infatti, la preclusione processuale in cui è incorso il contribuente discende dal quinto comma dello stesso art. 32, che ha la finalità di circoscrivere l'efficacia della disposizione censurata. L'errore di individuazione della norma è, oltre che formale, sostanziale, il che preclude l'esame del merito della questione in quanto esclude a priori la possibilità di pervenire in via interpretativa a superare il difetto di prospettazione.

Sull'inammissibilità della questione per essere stata sottoposta a scrutinio una disposizione diversa dall'effettivo oggetto delle censure, v., ex multis, la citata sentenza n. 59/2013.

Atti oggetto del giudizio
decreto del Presidente della Repubblica  29/09/1973  n. 600  art. 32  co. 4

Parametri costituzionali
Costituzione  art. 24  co. 2
Costituzione  art. 111  co. 2


Pronuncia

SENTENZA N. 26

ANNO 2015


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alessandro CRISCUOLO; Giudici : Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 32, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Como nel procedimento vertente tra B.A. e l’Agenzia delle entrate − Direzione provinciale di Como, con ordinanza del 25 febbraio 2014, iscritta al n. 133 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 28 gennaio 2015 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio.


Ritenuto in fatto

1.– La Commissione tributaria provinciale di Como, con ordinanza del 25 febbraio 2014, iscritta al n. 133 del registro ordinanze 2014, sospetta della legittimità costituzionale dell’art. 32, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), deducendo la lesione degli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione.

La norma impugnata prevede: «Le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta».

2.– Assume la rimettente di essere stata adita da B.A., che ha impugnato due avvisi di accertamento, relativi, rispettivamente, ai periodi di imposta 2007 e 2008, con i quali l’Agenzia delle entrate − Direzione provinciale di Como, a seguito di accertamento sintetico su un maggior reddito IRPEF, aveva ingiunto il pagamento della relativa differenza di imposta.

3.– Il ricorrente aveva introdotto nel giudizio − rispetto a quanto risposto ai questionari inviatigli, ai sensi dell’art. 32, primo comma, numero 4, del d.P.R. n. 600 del 1973, dall’Amministrazione prima di emettere gli avvisi di accertamento − nuovi elementi e la relativa documentazione probatoria, idonei, ad avviso del giudice a quo, a far ritenere non sussistente il presupposto normativo dello scostamento biennale, richiesto dall’art. 38, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 per procedere all’accertamento sintetico.

Il contribuente, tuttavia, nulla deduceva circa la sussistenza di causa a lui non imputabile per non avere adempiuto compiutamente alle richieste dell’ufficio, secondo quanto previsto dall’art. 32, quinto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, che stabilisce «Le cause di inutilizzabilità previste dal terzo comma non operano nei confronti del contribuente che depositi in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile».

4.– Pertanto, in ragione di quanto previsto dalla disposizione censurata, era precluso l’esame degli elementi esposti e della documentazione prodotta.

5.– Espone la Commissione tributaria provinciale di Como che, oltre ad essere rilevante, la questione è non manifestamente infondata.

5.1.– Premette, in proposito che, da un lato, non può trovare applicazione la novella di cui all’art. 22 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, in ragione dei periodi di imposta che vengono in considerazione; dall’altro, non può pervenirsi ad una interpretazione costituzionalmente orientata della norma in esame.

5.2.– Osterebbe a tale ultima opzione l’esistenza di un vero e proprio “diritto vivente”, consolidatosi con riguardo alla analoga disposizione contenuta nell’art. 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), secondo il quale anche il semplice fatto obiettivo della mancata risposta, escluderebbe la possibilità di prendere in considerazione gli elementi dedotti per la prima volta in giudizio.

5.3.– Argomenti a sostegno della legittimità costituzionale della norma censurata non possono trarsi neanche dall’ordinanza n. 181 del 2007, con la quale il Giudice delle leggi ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, sollevata in riferimento all’art. 53 Cost., poiché l’attuale impugnazione verte sulla lesione della tutela giurisdizionale dei diritti sul piano processuale, e non sul principio della capacità contributiva.

Viene, nella specie, in rilievo il diritto alla prova, quale nucleo essenziale del diritto di azione e difesa, che l’art. 24, secondo comma, Cost., afferma essere «inviolabile», al pari degli altri diritti fondamentali.

Come affermato dalla giurisprudenza costituzionale, anche se il legislatore può determinare l’oggetto della garanzia giurisdizionale, la tutela giurisdizionale viene violata «se si nega o si limita alla parte il potere processuale di rappresentare al giudice la realtà dei fatti ad essa favorevoli, se le si nega o le si restringe il diritto di esibire i mezzi rappresentativi di quella realtà» (sentenze n. 248 del 1974 e n. 53 del 1966).

La prevista limitazione del diritto di difesa non troverebbe giustificazione neppure in esigenze di bilanciamento tra interessi costituzionalmente protetti, sia perché non sembra ravvisabile equipollenza tra buon andamento e imparzialità dell’amministrazione ed il diritto di difesa, sia per la mancanza di proporzionalità ed adeguatezza della prevista preclusione processuale rispetto al fine del buon andamento dell’amministrazione.

Deduce la rimettente che deve essere, altresì, considerato, come il rispetto degli obblighi di lealtà nei confronti dell’Amministrazione finanziaria sia già garantito da una specifica disposizione sanzionatoria contenuta nell’art. 11, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’art. 3, comma 133, lettera q, della legge 23 dicembre 1996, n. 662).

Se la garanzia costituzionale del diritto di difesa non comporta per ciò solo la illegittimità di preclusioni o decadenze, tuttavia, nel caso di specie, preclusione e decadenza del contribuente dal diritto di esibire in giudizio i mezzi di prova, non rivestono natura propriamente processuale, poiché non si maturano all’interno del giudizio tributario, ma nella antecedente fase amministrativa di risposta al questionario inviato dall’amministrazione, quando, peraltro, il contribuente non è assistito dalla difesa tecnica, prevista dall’art. 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413).

6.– Anche l’art. 111, secondo comma, Cost., sarebbe leso dalla norma impugnata, in quanto la preclusione in questione non si applicherebbe simmetricamente a tutte le parti in giudizio, incidendo sulla cosiddetta “parità delle armi”.

7.– È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’inammissibilità e la non fondatezza della questione.

8.– Quanto al primo profilo, la difesa dello Stato ha dedotto la possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma impugnata, non ostando a ciò alcun “diritto vivente”, ma, anzi, rinvenendosi nella giurisprudenza di legittimità più pronunce volte ad una esegesi favorevole al contribuente della norma impugnata.

Quindi l’Avvocatura dello Stato ha rilevato che la Commissione tributaria provinciale di Como non avrebbe adeguatamente motivato l’ordinanza di rimessione con riguardo alla rilevanza della questione, non avendo specificato se i documenti prodotti in giudizio fossero stati o meno oggetto di specifica richiesta da parte dell’Amministrazione.

9.– Nel merito il Presidente del Consiglio dei ministri ha richiamato la giurisprudenza costituzionale che ha affermato che il mezzo probatorio può essere sottoposto a delimitazioni suggerite con riguardo al tipo di procedimento, e che l’esclusione di un mezzo di prova non costituisce di per sé violazione del diritto di difesa.

Ricorda, quindi, come la norma impugnata vada contestualizzata nel complessivo procedimento di accertamento sulla veridicità delle dichiarazioni, in cui è previsto un sub procedimento con l’invio di un questionario, per favorire il dialogo tra le parti, al fine di escludere il contenzioso.

Infine, osserva come il rimettente non abbia attribuito rilievo alla disposizione di cui all’art. 32, quinto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 che opera il necessario bilanciamento tra gli interessi che vengono in rilievo.


Considerato in diritto

1.– La Commissione tributaria provinciale di Como, con ordinanza del 25 febbraio 2014, ha impugnato l’art. 32, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), prospettando la lesione degli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione.

2.– Il giudizio tributario ha ad oggetto l’impugnazione di due avvisi di accertamento (IRPEF, anni di imposta 2007 e 2008) emessi dall’Amministrazione finanziaria a seguito di accertamento sintetico effettuato ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel testo anteriore alla novella introdotta dall’art. 22 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122.

Quest’ultimo articolo, al quarto comma, nel testo applicabile ratione temporis, stabilisce, per quanto qui rileva: «L’ufficio […] può, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato. A tal fine, con decreto del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, sono stabilite le modalità in base alle quali l’ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in relazione agli elementi indicativi di capacità contributiva […] quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di imposta».

Con il sistema comunemente denominato “redditometro”, dunque, l’ufficio può determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente, persona fisica, non basandosi sulle singole e specifiche fonti produttive dello stesso, ma assoggettando a tassazione anche redditi di fonte sconosciuta.

Il contribuente però, ai sensi del successivo sesto comma dello stesso art. 38, sempre nel testo all’epoca vigente, può dimostrare che il maggior reddito presunto induttivamente è costituito o giustificato da redditi esenti, redditi soggetti a ritenuta a titolo d’imposta o da una diminuzione del patrimonio posseduto. Precisa inoltre la norma che «l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione».

3.– È in questo quadro che si inserisce la norma impugnata, secondo cui «Le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta».

Essa, dunque, stabilisce un collegamento fra il giudizio e il procedimento tributario e in particolare la fase istruttoria di quest’ultimo, i relativi poteri d’ufficio e i corrispondenti oneri del contribuente.

L’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, infatti, stabilisce: «per l’adempimento dei loro compiti gli uffici delle imposte possono», tra l’altro, «inviare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti, […] con invito a restituirli compilati e firmati» (art. 32, primo comma, numero 4).

E al riguardo si può ricordare come la circolare 9 agosto 2007, n. 49/E, dell’Agenzia delle entrate abbia dato indicazioni volte ad instaurare un contraddittorio anticipato fra l’Amministrazione e il contribuente, ancor prima della specifica disciplina poi dettata dalla novella del d.l. n. 78 del 2010.

Ciò è quanto avvenuto nella specie, poiché l’Amministrazione finanziaria ha inviato al contribuente un questionario che è rimasto senza risposta.

4.– Va premesso che una questione di legittimità costituzionale del quarto comma dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, è già stata sollevata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in riferimento all’art. 53, primo comma, Cost.; e questa Corte, con l’ordinanza n. 181 del 2007, ne ha dichiarato la manifesta infondatezza poiché le preclusioni relative all’allegazione in giudizio di documenti o dati di cui all’art. 32, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, hanno natura processuale, in quanto attengono alla tutela giurisdizionale dei diritti (art. 24 Cost.), e non al principio di capacità contributiva (art. 53, primo comma, Cost.), che ha natura sostanziale.

5.– Nel caso di specie non può giungersi all’esame del merito della questione sollevata poiché essa è inammissibile, essendo stata sottoposta a scrutinio una disposizione diversa dall’effettivo oggetto delle censure (ex multis, sentenza n. 59 del 2013).

6.− Nella stessa prospettazione della rimettente assume un rilievo determinante il quinto comma del medesimo art. 32. Esso ha la finalità «di circoscrivere l’efficacia della norma sulle cause di inutilizzabilità in sede contenziosa» (d.d.l. Atto camera 4565-ter, XIII Legislatura, Commissione VI, seduta del 1° ottobre 1998), e alla sua stregua «Le cause di inutilizzabilità previste dal terzo comma» (il riferimento si deve intendere all’attuale quarto comma, norma impugnata, che era il terzo comma, prima che l’art. 1, comma 402, lettera c, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2005”, introducesse l’attuale terzo comma) «non operano nei confronti del contribuente che depositi in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile».

Dall’ordinanza, infatti, si desume che la preclusione processuale in cui è incorso il contribuente discende in realtà da quest’ultima disposizione, là dove, in particolare, la rimettente osserva a proposito della rilevanza che essa sussiste perché il comma è stato interpretato dalla giurisprudenza nel senso che la inutilizzabilità della documentazione si verifica anche in caso di omissione procedimentale meramente colposa.

Ne consegue che secondo la Commissione tributaria, almeno in caso di dolo, il quarto comma non dovrebbe essere rimosso dall’ordinamento.

7.– In queste condizioni l’errore di individuazione della norma è, oltre che formale, sostanziale, il che esclude a priori la possibilità di pervenire in via interpretativa a superare il difetto di prospettazione.

Si aggiunga che il ricorrente non ha dato alcuna giustificazione del suo comportamento omissivo in sede procedimentale, cosicché un’ipotetica prospettazione della illegittimità del quinto comma nei termini suindicati avrebbe evidenziato a sua volta un problema di rilevanza.

8.– Pertanto, in ragione della inesatta identificazione della norma oggetto di censura, deve essere dichiarata l’inammissibilità della questione.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), sollevata, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Como, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 3 marzo 2015.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella Paola MELATTI