Considerato in diritto
1. - La questione di legittimità costituzionale investe la
disposizione che disciplina la composizione della commissione cui è
rimesso l'esame delle domande dirette a conseguire i benefici
previsti, a favore dei perseguitati politici antifascisti o razziali,
e dei loro familiari superstiti, dalla legge 10 marzo 1955, n. 96.
L'art. 8, di tale legge - nel testo sostituito prima dall'art. 4
della legge 8 novembre 1956, n. 1317, e poi dall'art. 4 della legge
22 dicembre 1980, n. 932 - dispone che la commissione è presieduta
da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed
è composta, oltre che da un rappresentante per ciascuno dei
Ministeri le cui competenze sono coinvolte (dell'interno, della
giustizia, del tesoro, del lavoro e della previdenza sociale), da tre
rappresentanti dell'associazione nazionale perseguitati politici
italiani antifascisti.
La Corte dei conti ritiene che questa disposizione sia in contrasto
con l'art. 3 della Costituzione nella parte in cui non prevede, così
determinando una ingiustificata disparità di trattamento, che della
commissione faccia parte un esponente della comunità ebraica,
perché concorra ad esprimere per i perseguitati razziali,
analogamente a quanto avviene per i perseguitati politici con la
partecipazione di rappresentanti della loro associazione, le
complesse valutazioni richieste dalla stessa legge per il
riconoscimento della condizione di perseguitato e per la concessione
dei relativi benefici.
2. - La questione di legittimità costituzionale è fondata.
La legge n. 96 del 1955 prevede particolari provvidenze per i
perseguitati politici antifascisti: in particolare un assegno
vitalizio di benemerenza per chi ha subito, a seguito dell'attività
politica svolta contro il fascismo, anteriormente all'8 settembre
1943, atti di carattere persecutorio (detenzione in carcere, confino
di polizia, violenze o sevizie, internamento in campi di
concentramento), da cui sia derivata una menomazione della capacità
lavorativa. Lo stesso beneficio è concesso a chi ha subito, dopo il
7 luglio 1938, nelle identiche ipotesi, persecuzioni per motivi di
ordine razziale (art. 1). Inoltre ai perseguitati, sia politici che
razziali, sono riconosciuti servizi o contributi figurativi per il
trattamento di pensione (artt. 4 e 5).
Alle due distinte categorie, dei perseguitati politici antifascisti
e dei perseguitati razziali, sono attribuiti i medesimi benefici, pur
rimanendo differenti le cause e le finalità degli atti lesivi che
danno titolo all'indennizzo. Anche la disciplina del procedimento
amministrativo per il riconoscimento della qualifica di perseguitato
e delle situazioni che danno titolo alla concessione dei previsti
benefici è identica, mentre la composizione della commissione
appositamente istituita per l'esame delle relative domande vede
rappresentata una categoria, quella dei perseguitati politici
antifascisti, e non l'altra, giacché nessun componente della
commissione è riferibile ai perseguitati per motivi razziali.
Questa analogia di condizione, stabilita dalla legge per le due
categorie, pone le premesse per verificare la ragionevolezza della
diversità di disciplina in relazione alla loro rappresentanza nella
commissione.
3. - Va anzitutto ricordato che rientra nella discrezionalità del
legislatore, nel disporre in ordine all'organizzazione dei pubblici
uffici, prevedere l'istituzione di apposite commissioni per
l'esercizio di specifiche attività amministrative, non solo
consultive ma anche deliberative.
Espressione della stessa discrezionalità, da esercitare nei limiti
della ragionevolezza ed orientata dai principi di buon andamento e di
imparzialità, è la disciplina della composizione delle commissioni
amministrative, delle quali può essere chiamato a far parte anche
chi non ha un rapporto d'impiego con la pubblica amministrazione, ma
è ritenuto idoneo ad apportare all'attività amministrativa il
contributo di particolari conoscenze richieste nelle materie
attribuite alla competenza della commissione stessa o rappresenta
interessi particolari da tenere presenti nella valutazione
dell'interesse generale.
4. - Nel disciplinare la condizione di chi ha subito persecuzioni a
seguito dell'attività svolta contro il fascismo o per motivi
d'ordine razziale, il legislatore ha esercitato la sua
discrezionalità nell'organizzare gli uffici cui è demandato
l'esercizio della funzione amministrativa istituendo, appunto, una
commissione cui è attribuita la competenza ad esaminare le domande
di riconoscimento della qualifica di perseguitato politico o razziale
e ad accertare la sussistenza delle situazioni che danno titolo alla
concessione delle relative provvidenze.
La composizione della commissione rispecchia l'esigenza che queste
determinazioni siano assunte sulla base di valutazioni che implicano
anche l'apprezzamento di situazioni in base alla diretta conoscenza
ed esperienza delle vicende che hanno dato luogo agli atti
persecutori. In questa prospettiva, si giustifica la partecipazione
alla commissione, in numero non maggioritario, di estranei agli
apparati amministrativi dei Ministeri interessati, designati
dall'associazione nazionale perseguitati politici antifascisti, che
riunisce quanti subirono persecuzioni a causa del loro antifascismo:
arrestati, processati, detenuti, diffidati, feriti o comunque fatti
oggetto di violenze nella persona, danneggiati nei beni o esonerati
dalle pubbliche e private attività lavorative, esclusi da cariche
elettive, da organi centrali e locali. Questa associazione non solo
rappresenta gli interessi delle persone che hanno subito le
persecuzioni politiche, ma ha assunto, tra l'altro, il compito di
effettuare un preciso censimento delle vittime del fascismo (artt. 2
e 3 dello statuto); la stessa associazione, in relazione alle
finalità che la legge persegue, può dunque offrire l'esperienza di
particolari conoscenze, considerate utili per il migliore esercizio
della funzione amministrativa.
5. - La condizione di chi ha subito persecuzioni per motivi
razziali dopo il 7 luglio 1938, delineata dalla stessa legge n. 96
del 1955, presenta, sebbene siano identici i benefici previsti ed il
tipo di situazioni lesive cui si è, con tale legge, inteso porre
rimedio, caratteristiche diverse. Manca, difatti, per costoro ogni
collegamento con l'attività politica contro il fascismo, mentre
assume rilievo, come causa delle situazioni lesive della persona,
l'appartenenza alla minoranza ebraica: le persecuzioni sono infatti
dovute ad una condizione personale, indipendentemente dalle opinioni
e dall'attività politica di chi le ha subite.
Le discriminazioni nei confronti degli ebrei, lesive dei diritti
fondamentali e della dignità della persona, hanno assunto
consistenza normativa con un complesso di provvedimenti che hanno
toccato i diversi settori della vita sociale: dalla scuola (regio
d.-l. 5 settembre 1938, n. 1390; regio d.-l. 15 novembre 1938, n.
1779), all'esercizio delle professioni (legge 29 giugno 1939, n.
1054); dalla materia matrimoniale (regio d.-l. 17 novembre 1938, n.
1728), a quella delle persone, del nome e delle successioni (legge 13
luglio 1939, n. 1055); dall'interdizione all'esercizio di determinati
uffici, alle limitazioni in materia patrimoniale e nelle attività
economiche (ancora il regio d.-l. n. 1728 del 1938).
In questo contesto normativo, la discriminazione razziale si è
manifestata con caratteristiche peculiari, sia per la generalità e
sistematicità dell'attività persecutoria, rivolta contro un'intera
comunità di minoranza, sia per la determinazione dei destinatari,
individuati come appartenenti alla razza ebraica secondo criteri
legislativamente stabiliti (art. 8 del regio d.-l. n. 1728 del 1938),
sia per le finalità perseguite, del tutto peculiari e diverse da
quelle che hanno caratterizzato gli atti di persecuzione politica:
la legislazione antiebraica individua una comunità di minoranza, che
colpisce con la "persecuzione dei diritti", sulla quale si
innesterà, poi, la "persecuzione delle vite".
L'esigenza, avvertita dal legislatore, di acquisire il contributo
della diretta conoscenza delle vicende persecutorie, quale può
essere attinta da competenze esterne all'apparato amministrativo, per
l'esame delle domande di concessione dei benefici previsti dalla
legge n. 96 del 1955, è stata soddisfatta inserendo nella
commissione, appositamente istituita, componenti rappresentativi di
quanti hanno subito le persecuzioni. Questo obiettivo è stato
tuttavia realizzato solo per la categoria dei perseguitati politici e
non per quella dei perseguitati razziali. Posta dal legislatore la
distinzione tra le due categorie, costituisce un'irragionevole
disparità di trattamento tra di esse l'omesso inserimento nella
commissione di una rappresentanza dei perseguitati razziali, perché
apporti, analogamente a quanto avviene per i perseguitati politici,
il particolare contributo di esperienza e conoscenza delle specifiche
situazioni lesive; né, proprio in ragione della diversità di
contesti e vicende, la rappresentanza dei perseguitati razziali può
ritenersi assorbita dall'associazione nazionale perseguitati politici
italiani antifascisti.
La specificità delle situazioni che fanno capo alle due categorie
e la distinta rappresentanza di esse sono state, del resto, già
affermate dal legislatore in un analogo contesto normativo. Anche per
l'esame delle domande per la concessione di un assegno vitalizio a
favore degli ex deportati nei campi di sterminio nazisti, è stata
istituita un'apposita commissione con funzioni del tutto analoghe a
quelle della commissione istituita con la norma denunciata, ma
prevedendo, accanto ai rappresentanti delle associazioni dei
deportati politici e dei perseguitati politici antifascisti, anche un
rappresentante dell'Unione delle comunità israelitiche (art. 3 della
legge 18 novembre 1980, n. 791). Alla minoranza ebraica è stata
dunque riconosciuta una specificità di posizione, e ne è stata
attribuita la rappresentanza all'ente che, secondo la legislazione
allora vigente, curava gli interessi degli israeliti italiani e delle
loro comunità (art. 36 del regio decreto 30 ottobre 1930, n. 1731).
Alla violazione dell'art. 3 della Costituzione può essere posto
riparo superando la disparità di trattamento che la norma denunciata
determina con i criteri seguiti dal legislatore nell'analoga e già
richiamata situazione relativa ai deportati: integrando, quindi, la
composizione della commissione con un rappresentante della comunità
che ha subito le persecuzioni razziali. Lo stesso legislatore ha
individuato tale rappresentanza nell'unione delle comunità
israelitiche italiane, ente che, ora con la denominazione di Unione
delle comunità ebraiche italiane, è rappresentativo degli ebrei in
Italia e ne tutela gli interessi generali (art. 37 dello statuto
approvato dal congresso straordinario dell'unione tenutosi il 6 - 8
dicembre 1987) e la cui rappresentatività è riconosciuta dall'art.
19 della legge 8 marzo 1989, n. 101 (Norme per la regolazione dei
rapporti tra lo Stato e l'Unione delle comunità ebraiche italiane).
6. - Ricondotta a legittimità costituzionale la norma denunciata,
colmando l'omessa previsione nella composizione della commissione di
un rappresentante dell'Unione delle comunità ebraiche italiane,
permane integro il potere del legislatore di dettare eventualmente
una nuova disciplina anche relativa ad una diversa composizione della
commissione ed ai criteri di designazione dei suoi componenti.