Titolo
SENT. 83/96. USI CIVICI - REGIONE LAZIO - CRITERI DI LIQUIDAZIONE - CALCOLO DEL CAPITALE D'AFFRANCO E DEL CANONE ANNUO - RIFERIMENTO ALLA DESTINAZIONE URBANISTICA DEL TERRENO - DEDOTTA VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 3, PRIMO COMMA, 42, TERZO COMMA, E 117, PRIMO COMMA, COST. - VINCOLATIVITA' DELLA PRASSI AMMINISTRATIVA - PRESUPPOSTO INTERPRETATIVO ERRONEO - NATURA INTEGRATIVA DELLA DISCIPLINA STATALE - INTERPRETAZIONE - NON FONDATEZZA NEI SENSI DI CUI IN MOTIVAZIONE.
Testo
Non e' fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimita' costituzionale, riferita agli artt. 3, primo comma, 42, terzo comma, e 117, primo comma, della costituzione, dell'art. 4 della legge della Regione Lazio 3 gennaio 1986, n. 1, nella parte in cui comporta che nel caso di liquidazione degli usi civici mediante imposizione di canone, quest'ultimo debba essere calcolato in misura corrispondente al valore venale del terreno, anziche' al valore dei diritti, come dispone l'art. 7 della legge 16 giugno 1927, n. 1766, avente valore di principio fondamentale, in quanto la norma impugnata, contrariamente a quanto ritiene il giudice 'a quo' sulla base del duplice erroneo presupposto, della vincolativita' della "prassi amministrativa" rispetto all'interpretazione giudiziale, per un verso, e, per altro verso, della antinomia dei criteri di calcolo indicati dalla legge regionale impugnata rispetto a quelli fissati dalla legge statale, va interpretata come una norma che somministra una regola non gia' sostitutiva, bensi' integrativa della legge statale, limitandosi a precisare che l'incremento di valore prodotto da una sopravvenuta destinazione edificatoria (a differenza di quello prodotto dalle migliorie apportate dal proprietario) non va dedotto dal valore del fondo ai fini del calcolo del compenso, il quale comunque seguira' le regole poste dalla legge statale. - Sul valore della prassi amministrativa, v. S. nn. 86/1982 e 177/1973. red.: F. Mangano
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
co. 1
Costituzione
art. 42
co. 3
Costituzione
art. 117
co. 1
Riferimenti normativi
legge della Regione Lazio
03/01/1986
n. 1
art. 4
co. 0
N. 83
SENTENZA 7-19 MARZO 1996
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge
della Regione Lazio 3 gennaio 1986, n. 1 (Regime urbanistico dei
terreni di uso civico e relative norme transitorie), promosso con due
ordinanze emesse:
1) il 25 marzo 1995 dal Commissario per la liquidazione degli usi
civici della Toscana, del Lazio e dell'Umbria, nel procedimento
civile vertente tra Filippeschi Mario contro il Comune di Sutri,
iscritta al n. 406 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale,
dell'anno 1995;
2) il 27 marzo 1995 dal Commissario per la liquidazione degli usi
civici della Toscana, del Lazio e dell'Umbria, nel procedimento
civile vertente tra Trasatti Maria ed altri contro il Comune di
Sutri, iscritta al n. 407 del registro ordinanze 1995 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie
speciale, dell'anno 1995;
Visti gli atti di intervento della Regione Lazio;
Udito nella camera di consiglio del 21 febbraio 1996 il giudice
relatore Luigi Mengoni.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di due analoghe controversie, promosse
rispettivamente da Mario Filippeschi e da Maria Trasatti e altri
contro il comune di Sutri per opporsi alle proposte di liquidazione
in via amministrativa degli usi civici gravanti su alcuni terreni di
proprietà degli attori siti nel territorio comunale, il Commissario
per la liquidazione degli usi civici della Toscana, del Lazio e
dell'Umbria, con due ordinanze del 25 e del 27 marzo 1995, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 42, terzo comma,
e 117, primo comma, della Costituzione (quest'ultimo in relazione
alle norme di principio di cui agli artt. 5, 6 e 7 della legge 16
giugno 1927, n. 1766), questione di legittimità costituzionale
dell'art. 4 della legge della Regione Lazio 3 gennaio 1986, n. 1, il
quale dispone: "Allorché si procede alla liquidazione degli usi
civici, le zone gravate di uso civico che, per la destinazione del
piano regolatore generale o di altre norme urbanistiche oppure per la
naturale espansione dell'abitato e per l'edificazione di fatto che si
sia su di esse verificata in mancanza di strumento urbanistico
generale, abbiano acquistato un carattere edificatorio, sono stimate
secondo il loro valore attuale, tenendo conto anche dell'incremento
di valore che esse hanno conseguito per effetto della destinazione o
delle aspettative edificatorie".
2. - Ad avviso del giudice rimettente la disposizione, nel
significato ad essa attribuito dalla prassi amministrativa, viola
l'art. 117 della Costituzione in quanto comporta che nel caso -
ricorrente nella fattispecie oggetto dei giudizi principali - di
liquidazione degli usi civici mediante imposizione di canone,
quest'ultimo debba essere calcolato in misura corrispondente al
valore venale del terreno, anziché al valore dei diritti, come
dispone l'art. 7 della legge 16 giugno 1927, n. 1766, avente valore
di principio fondamentale vincolante per il legislatore regionale.
Poiché il diritto regionale applicato appare sostitutivo, non
integrativo, della normativa statale, il giudice a quo, ritenendo di
non avere il potere di disapplicarla, ha sospeso il giudizio per
sottoporla al vaglio di costituzionalità indicando come parametri,
oltre all'art. 117, anche gli artt. 3 e 42, terzo comma, della
Costituzione.
Sarebbe violato il principio di eguaglianza perché il medesimo
diritto civico dovrebbe essere compensato in misura diversa da zona a
zona, a seconda che sia intervenuta o no l'urbanizzazione; sarebbe
violata la garanzia del diritto di proprietà perché il criterio di
calcolo fondato sul valore del fondo comporterebbe l'espropriazione
di una quota della rendita urbana senza indennizzo per il
proprietario.
3. - Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si è
costituita la Regione Lazio chiedendo che la questione sia dichiarata
infondata. In una memoria aggiunta la Regione ha dedotto, senza
però riprodurla nelle conclusioni, anche l'inammissibilità della
questione, sul rilievo che "l'art. 4 della legge regionale n. 1 del
1986 ha riguardo esclusivamente al valore del terreno, non anche alla
valutazione del diritto di uso civico, che rimane rimessa alla
vigente legge n. 1766 del 1927".
Nel merito la Regione osserva che la questione sollevata dal
Commissario muove da due presupposti errati: irrilevanza del valore
del terreno secondo la legislazione nazionale; riferimento esclusivo
a questo valore secondo la legge regionale. In realtà, il criterio
del valore del terreno, richiamato dall'art. 6 per la liquidazione
mediante scorporo, concorre col criterio del valore dei diritti di
uso civico anche nella liquidazione mediante imposizione di canone:
trattandosi di una specie del medesimo genere, il criterio di
determinazione del compenso non può non essere il medesimo. La norma
regionale ha una funzione integrativa, non sostitutiva della
disciplina statale.
Inconsistente, secondo la Regione, è altresì la pretesa
violazione degli artt. 3 e 42 della Costituzione. Non è leso il
principio di eguaglianza, perché l'urbanizzazione di certe zone le
differenzia dalle altre; non è leso il principio del terzo comma
dell'art. 42 della Costituzione, perché la liquidazione degli usi
civici è una figura giuridica diversa dall'espropriazione per
pubblica utilità, sia per la natura (non ablatoria) sia per il fine
(ordinato a un interesse privato).
Considerato in diritto
1. - L'art. 4 della legge della Regione Lazio 3 gennaio 1986, n.
1, dispone: "Allorché si procede alla liquidazione degli usi civici,
le zone gravate di uso civico che, per la destinazione del piano
regolatore generale o di altre norme urbanistiche oppure per la
naturale espansione dell'abitato e per l'edificazione di fatto che si
sia su di esse verificata in mancanza di strumento urbanistico
generale, abbiano acquistato un carattere edificatorio, sono stimate
secondo il loro valore attuale, tenendo conto anche dell'incremento
di valore che esse hanno conseguito per effetto della destinazione o
delle aspettative edificatorie".
La disposizione è impugnata, con due ordinanze del medesimo
tenore, dal Commissario per la liquidazione degli usi civici della
Toscana, del Lazio e dell'Umbria, nel significato ad essa attribuito
dalla prassi amministrativa, secondo cui, nel caso - ricorrente in
entrambi i giudizi principali - di liquidazione mediante imposizione
di canone, quest'ultimo si determina in proporzione al valore del
terreno (tenuto conto della sopravvenuta destinazione edificatoria),
mentre, secondo l'art. 7, primo comma, della legge 16 giugno 1927, n.
1766, avente valore di principio fondamentale, va commisurato "al
valore dei diritti". Sarebbero così violati il limite della
competenza concorrente della Regione indicato nell'art. 117, primo
comma, della Costituzione, nonché il principio di eguaglianza (art.
3 della Costituzione) e la tutela del diritto di proprietà di cui
all'art. 42, terzo comma.
2. - I giudizi introdotti dalle due ordinanze, aventi ad oggetto la
medesima questione, possono essere riuniti e decisi con unica
sentenza.
3. - La questione non è fondata nei sensi di seguito precisati.
Il giudice rimettente muove da due premesse che non possono essere
condivise:
a) il significato attribuito alla norma sotto esame dalla prassi
amministrativa costituisce "diritto vivente", il quale preclude al
giudice la possibilità di una diversa interpretazione "adeguatrice",
o almeno lo autorizza a sottoporre senz'altro alla Corte
costituzionale la questione di legittimità del significato normativo
applicato, indipendentemente dalla possibilità di un'altra
interpretazione;
b) i due modi di liquidazione, previsti rispettivamente dagli
artt. 5 e 6 e dall'art. 7 della legge n. 1766 del 1927, seguono
metodi distinti di calcolo del compenso, i quali si escludono
reciprocamente: nel caso di liquidazione mediante divisione (o
scorporo) si determina una porzione del fondo da assegnare al comune
sulla base del valore del terreno (art. 6), nei limiti delle quote,
minima e massima, fissate dall'art. 5; nel caso di liquidazione
mediante imposizione di canone (art. 7), unico referente di calcolo
è il valore dei diritti di uso civico estinti.
Alla premessa sub a) va obiettato che la prassi amministrativa non
è tale, né nella forma di regolamenti esecutivi o di circolari
(cfr. sentenza n. 86 del 1982), né, tanto meno, nella forma di
singoli provvedimenti, da precludere al giudice una interpretazione
diversa. Essa può valere soltanto come dato fattuale concorrente
con i dati linguistici del testo normativo ad orientare
l'interpretazione, sempreché si mantenga nei limiti consentiti dal
dettato della legge (cfr. sentenza n. 177 del 1973) e non trovi
controindicazioni nella giurisprudenza.
La premessa sub b) aderisce a una posizione del Consiglio di Stato
(cfr. Sez. VI, n. 232 del 1950) che oggi può considerarsi superata.
Poiché l'affrancazione mediante imposizione di canone è un
surrogato del modo di liquidazione previsto dall'art. 5 della legge
del 1927 (rispetto al quale ha carattere di eccezione: arg. ex art.
12, primo comma, del regolamento di esecuzione, approvato con r.d. 26
febbraio 1928, n. 332), il canone capitalizzato deve risultare pari
al valore della quota del fondo che sarebbe spettata al comune se si
fosse proceduto all'affrancazione mediante divisione, di guisa che
pure nel caso dell'art. 7 della legge n. 1766 è rilevante quale
coefficiente di calcolo il valore del fondo, come si argomenta a
chiare lettere dall'art. 10, relativo all'affrancazione di terre di
uso civico occupate. Viceversa del valore dei diritti estinti dovrà
tenersi conto in entrambi i casi quale criterio concorrente di
proporzionamento della quota o del capitale del canone tra il minimo
e il massimo indicati dall'art. 5. I due criteri di calcolo non già
si escludono, bensì si integrano a vicenda.
4. - Dopo queste precisazioni, l'interpretazione della norma
impugnata procede pianamente in termini scevri da ogni contrasto con
i parametri costituzionali evocati. La norma non incide sul metodo di
calcolo del compenso dell'affrancazione, ma si limita a precisare che
l'incremento di valore prodotto da una sopravvenuta destinazione
edificatoria, a differenza di quello prodotto dalle migliorie
apportate dal proprietario, non va dedotto dal valore del fondo ai
fini della determinazione del compenso, la quale poi seguirà secondo
le regole degli artt. 5, 6 e 7 della legge statale.
La non deducibilità di questo tipo di incremento di valore
risponde a equità. L'affrancazione libera in favore del proprietario
un terreno non più agricolo o boschivo o pascolivo, ma divenuto area
fabbricabile, che non potrebbe essere sfruttato, secondo la nuova
più lucrosa destinazione, senza l'estinzione dei diritti di uso
civico da cui è gravato: è giusto, perciò, che della
sopravvenienza profitti proporzionalmente anche la popolazione
titolare dei diritti estinti.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara non fondata, nei sensi di cui in
motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4
della legge della Regione Lazio 3 gennaio 1986, n. 1 (Regime
urbanistico dei terreni di uso civico e relative norme transitorie),
sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 42, terzo comma,
e 117, primo comma, della Costituzione, dal Commissario per la
liquidazione degli usi civici della Toscana, del Lazio e dell'Umbria
con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Conusulta, il 7 marzo 1996.
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Mengoni
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 19 marzo 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola