Ritenuto in fatto
1. - Decidendo sui ricorsi ex art. 700 cod. proc. civ. proposti
dalle emittenti radiotelevisive private Telaltitalia s.r.l.,
Telemarsicabruzzo s.p.a., E.R.T. Italiana s.r.l., Telelazio s.p.a. e
Studio Toscana s.r.l. avverso i provvedimenti di disattivazione dei
relativi impianti emessi dal Circostel di Roma in quanto
trasmettevano senza autorizzazione su bande di frequenza non
consentite dal vigente piano di ripartizione delle frequenze (D.M. 31
gennaio 1983), il Pretore di Frascati ha sollevato, con cinque
ordinanze di identico tenore emesse il 29 maggio 1989, una questione
di legittimità costituzionale dell'art. 240 del d.P.R. 29 marzo
1973, n. 156, assumendone il contrasto con gli artt. 3, 21 e 41 Cost.
Tale disposizione fa divieto di "arrecare disturbi o causare
interferenze alle telecomunicazioni ed alle opere ad esse inerenti" e
prevede che "Nei confronti dei trasgressori provvedono direttamente,
in via amministrativa, i direttori dei circoli delle costruzioni
telegrafiche e telefoniche, ed i capi degli ispettorati di zona della
Azienda di Stato per i servizi telefonici, competenti per
territorio".
Il giudice a quo muove dal presupposto secondo cui, a seguito
della sentenza n. 202 del 1976 di questa Corte, esisterebbe un
diritto soggettivo del privato di radiodiffondere in sede locale,
come tale comprimibile solo in presenza di un prevalente interesse
pubblico, con precise garanzie e in base ad accertati disturbi o
interferenze che siano tali da impedire il concreto funzionamento del
servizio pubblico.
Ciò premesso, pone a raffronto la disciplina posta dalla norma
impugnata con quella prevista dalla legge 8 aprile 1983, n. 110, che
nel vietare "emissioni, radiazioni o induzioni tali da compromettere
sia il funzionamento dei servizi di radionavigazione sia la sicurezza
delle operazioni di volo" (art. 1), prevede che l'inosservanza sia
"accertata sentendo anche il titolare dell'impianto", che la
disattivazione di questo sia adottata solo in caso di inottemperanza
ad uno specifico ordine di eliminazione delle cause delle
interferenze e che la sanzione per la turbativa consista solo in una
pena pecuniaria. Rispetto a tale disciplina, la norma impugnata
comporta, secondo il Pretore, un'ingiustificata disparità di
trattamento in danno del titolare del diritto di radiodiffondere in
sede locale, sotto il profilo: dell'omessa garanzia del
contraddittorio in sede di accertamento; dell'"assoluta genericità"
delle nozioni di disturbo o interferenza e dell'intervento
amministrativo della P.A.; della mancanza di graduazione di questo e
della "ben minore sanzione prevista per le interferenze in materia di
volo".
Tale disparità di trattamento darebbe altresì luogo a violazione
degli artt. 21 e 41 Cost., in quanto, "incide profondamente sulla
libertà di manifestazione del pensiero e sulla libertà di impresa"
e "non trova alcuna corrispondenza con poteri di polizia esistenti in
altri settori e nei confronti di altre autorità amministrative".
Il giudice a quo rileva poi che, per il caso di incompatibilità
tra l'attività delle emittenti private temporaneamente consentita
dall'art. 3 legge n. 10 del 1985 e quella dei pubblici servizi, la
giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Lombardia, sez. I, sentenza n.
646 del 1986) ha ritenuto l'applicabilità dell'impugnato art. 240,
precisando però che il potere ripristinatorio conferito da tale
norma non consiste nella sola disattivazione, ma comporta una
graduazione di interventi correlata alla possibilità tecnica di
eliminare l'incompatibilità (emanazione di prescrizioni idonee,
eliminazione d'ufficio degli inconvenienti, assegnazione al privato
di altra frequenza, rimozione o sequestro degli impianti) e richiede
al riguardo una specifica motivazione. Dal fatto che gli artt. 3,
primo comma e 4, terzo comma di tale legge non prevedono, per le
interferenze che danno luogo alla detta incompatibilità, la misura
radicale della disattivazione degli impianti, "rinviando a quei
diversi poteri di intervento che l'art. 240 C. P., correttamente
interpretato rimette al Circostel a livello tecnico", il giudice a
quo deduce una "disparità di trattamento tra gli utenti che hanno
effettuato o, come nel caso sono accusati ingiustamente di aver
effettuato disturbi o interferenze ai danni di servizi pubblici ed
emittenti della stessa natura che abbiano potuto beneficiare del
trattamento ben più favorevole di cui alla legge n. 10/85": ciò che
darebbe luogo ad un ulteriore profilo di violazione degli artt. 3, 21
e 41 Cost.
2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto nei
predetti giudizi - per il tramite dell'Avvocatura dello Stato - con
memorie di tenore identico, eccepisce innanzitutto l'inammissibilità
della questione per difetto di giurisdizione del giudice a quo, data
l'inesistenza di un diritto soggettivo del privato all'attivazione di
impianti radiotelevisivi. Richiama, al riguardo, la giurisprudenza di
questa Corte - e particolarmente le sentenze nn. 826 e 1030 del 1988
- nonché della Corte di cassazione (S.U., n. 6337 de 1984) e del
Consiglio di Stato (sez. VI, nn. 361 del 1982 e 409 del 1988).
Nel merito, l'Avvocatura nega la dedotta violazione dell'art. 3
Cost., sottolineando l'essenziale diversità di presupposti tra le
fattispecie poste a raffronto dal giudice a quo.
Nelle ipotesi considerate nell'impugnato art. 240 si tratta
infatti, a suo avviso, di interferenze permanenti, determinate - come
nei casi di specie - dall'occupazione di frequenze riservate ad altri
servizi: sicché l'accertamento in contraddittorio sarebbe superfluo,
la disattivazione costituirebbe un atto dovuto e la riattivazione
sarebbe ingiustificata. Nei casi considerati dalla legge n. 110 del
1983 si tratterebbe, invece, di interferenze solo temporanee ed
occasionali sulle frequenze utilizzate dai servizi di
radionavigazione, che vanno accertate in contraddittorio e sanzionate
con le dovute garanzie in quanto non sono di per sé evidenti e che
consentono la riattivazione in quanto ne possono essere eliminate le
cause. Tale legge conterrebbe quindi una disciplina che presuppone e
completa quella generale di cui al citato art. 240, rafforzando gli
strumenti di tutela di radiocomunicazioni particolarmente importanti.
La libertà di pensiero e d'impresa non sarebbero d'altra parte
violate, in quanto esse vanno regolamentate quando incidano su altri
beni costituzionalmente protetti o si esplichino con modalità tali
da potersi reciprocamente ostacolare.
3. - Si sono altresì costituite le parti private ricorrenti nei
giudizi a quibus, Telaltitalia s.r.l., Telelazio s.p.a., Studio
Toscana s.r.l., Telemarsicabruzzo s.p.a. e E.R.T. Italiana s.r.l.,
rappresentate e difese, rispettivamente, dagli avv.ti L. Magrone
Furlotti, F. Paoletti, M. Petronio, A. Terranova e G. Tomei.
La difesa della Telaltitalia s.r.l. precisa innanzitutto, in punto
di fatto: che l'utilizzazione della banda di frequenza da essa
occupata le era stata preventivamente inibita dal Ministero P.T. onde
evitare disturbi pregiudizievoli ai servizi del Ministero della
Difesa, cui essa era attribuita in uso promiscuo; che dopo l'inizio
delle trasmissioni il Circostel di Roma l'aveva diffidata a farle
cessare, pena la disattivazione d'ufficio dell'impianto, ma senza
addurre concreti disturbi o interferenze ai servizi predetti; che il
T.A.R. del Lazio, da essa adìto, dopo aver provvisoriamente sospesa
l'efficacia di detto provvedimento, aveva rigettato il ricorso (sez.
II, 5 aprile 1988, n. 539), sostenendo tra l'altro che il citato art.
240 giova non solo a sanzionare concrete interferenze, ma anche a
prevenire disturbi ai servizi di telecomunicazioni; che detto T.A.R.
aveva anche dichiarato inammissibile il ricorso contro un successivo
provvedimento di disattivazione, in quanto meramente confermativo del
primo (sentenza 21 aprile 1989, n. 663); che nelle more del primo
giudizio essa aveva anche adìto, con ricorso ex art. 700 cod. proc.
civ., i Pretori di Roma e Frascati, il quale ultimo, con ordinanza
del 23 dicembre 1987, aveva sospeso l'esecuzione dei predetti
provvedimenti.
Ciò premesso, la difesa assume che, nell'attuale carenza di
disciplina del procedimento autorizzatorio, sussisterebbe - alla
stregua delle sentenze di questa Corte nn. 202 del 1976 e 237 del
1984 - un diritto soggettivo del privato all'occupazione delle bande
di frequenza assegnate al servizio pubblico ed a quello privato e non
utilizzate dal primo, diritto comprimibile solo in caso di
interferenze concrete. Sostiene, inoltre, che la condotta del
Ministero P.T. consistente nella mancata emanazione del piano
nazionale di assegnazione delle frequenze e nella disattivazione
delle emittenti private non rientranti - perché attivate
successivamente - nella disciplina provvisoria di cui alla legge n.
10 del 1985, sarebbe qualificabile come abuso di posizione dominante
in favore della RAI ai sensi dell'art. 86 del Trattato C.E.E.:
sicché l'art. 240, se interpretato nel senso anzidetto, dovrebbe
essere disapplicato dal giudice nazionale. Se poi detta norma viene
intesa nel senso di sanzionare con la disattivazione immediata
qualsiasi disturbo o interferenza causati da un impianto privato ai
servizi pubblici di telecomunicazione, essa incorre - ad avviso della
difesa - nelle censure prospettate dal giudice a quo, in quanto non
osserva quel giusto contemperamento tra utilità sociale e sicurezza
della collettività, da un lato, e diritti del singolo, dall'altro,
che è stato viceversa realizzato con le leggi nn. 110 del 1983 e 10
del 1985.
Anche le difese delle soc. Telelazio, Studio Toscana,
Telemarsicabruzzo e E.R.T. Italiana aderiscono alla prospettazione
del giudice a quo. Le prime due contestano, in particolare,
un'applicazione della norma impugnata che prescinda da interferenze
concrete. La quarta sostiene, in via preliminare, l'irrilevanza della
questione, assumendo che agli impianti di radiodiffusione sono
applicabili le disposizioni di cui agli artt. 396 e segg. (Capo VII
del titolo IV) del d.P.R. n. 156 del 1973, e non anche l'art. 240; e
che, comunque, questo non conferirebbe alla P.A. un potere di
disattivazione degli impianti, che sarebbe riservato all'autorità
giudiziaria ex art. 15 Cost.
4. - Nel giudizio instaurato con l'ordinanza n. 374 del 1989
l'Avvocatura dello Stato ha presentato una memoria aggiunta, nella
quale insiste per l'inammissibilità della questione, rilevando che
la necessità di una previa autorizzazione dell'attività di
trasmissione era stata riconosciuta dalla stessa società
Telaltitalia con l'istanza di ripartizione della banda di frequenza
poi abusivamente occupata e con l'impugnazione al T.A.R. del relativo
diniego. L'autorizzazione sarebbe del resto imposta dagli accordi
internazionali sulla ripartizione delle frequenze radioelettriche. Di
conseguenza, non solo non potrebbe configurarsi in materia
un'assoluta libertà d'impresa, ma sarebbe infondata la tesi della
predetta società circa una pretesa incompatibilità tra l'art. 240
cod. post. e l'art. 86 del Trattato C.E.E., dato che quest'ultima
disposizione andrebbe coordinata con gli artt. 228 e 234 dello stesso
Trattato.
La censura che assume come tertium comparationis l'art. 3 della
legge n. 10 del 1985 è infondata - secondo l'Avvocatura - in quanto
il divieto ivi previsto "di determinare situazioni di
incompatibilità con i pubblici servizi" è concetto non diverso da
quello di "arrecare disturbi o causare interferenze alle
telecomunicazioni" di cui al predetto art. 240: con la conseguenza
che quest'ultimo deve ritenersi applicabile anche alle emittenti già
in funzione alla data del 31 ottobre 1984 e che quindi non sussiste
l'assunta disparità di trattamento. L'art. 4 della citata legge n.
10, d'altra parte, prevede un'ulteriore ed autonoma ipotesi di
esercizio del potere di disattivazione.
L'art. 240 cod. post., peraltro, non escluderebbe una gradualità
di interventi, rimessa alla discrezionale valutazione della P.A.: e
perciò la questione non investirebbe la costituzionalità di tale
norma, ma solo la legittimità del concreto provvedimento adottato.
5. - Hanno presentato memorie aggiunte anche le parti private,
Telaltitalia s.r.l., Telelazio s.p.a., Telemarsicabruzzo s.p.a.,
E.R.T. Italiana s.r.l. e Studio Toscana s.r.l. (quest'ultima,
peraltro, oltre il termine stabilito al riguardo).
La difesa della soc. Telaltitalia contesta la tesi dell'Avvocatura
sull'inammissibilità della questione per carenza di giurisdizione
del giudice a quo, sostenendo che essa potrebbe essere dichiarata
solo quando la carenza di giurisdizione risulti ictu oculi e sia
confermata da un orientamento giurisprudenziale costante e da una
normativa inequivoca.
Nel caso di specie, viceversa, la normativa sarebbe del tutto
carente e vi sarebbe incertezza e confusione circa la necessità
della previa autorizzazione amministrativa.
D'altra parte, la questione oggetto nel giudizio non concernerebbe
la necessità o meno dell'autorizzazione, bensì la sussistenza o no
del potere di disattivazione in assenza dei presupposti (interferenze
o disturbi) per i quali esso è attribuito.
La predetta società afferma, inoltre, che il potere di
disattivazione, in quanto incide su libertà costituzionalmente
protette (art. 21 Cost.) dovrebbe potersi esercitare solo quando
concorrano gravi motivi e sia stata seguita una procedura idonea a
tutelare il soggetto passivo e garantire l'eventuale successivo
controllo giurisdizionale. Ciò sarebbe confermato dal raffronto con
la disciplina di cui alla legge n. 110 del 1983, ove esso è
applicabile solo al termine di una procedura amministrativa che
verifichi l'impossibilità di misure meno restrittive.
Contestando quanto sostenuto in proposito dall'Avvocatura, la
difesa nega che quest'ultima fattispecie sia diversa da quella di cui
all'impugnato art. 240, in quanto a suo avviso questo non sanziona la
violazione delle (inesistenti) regole di accesso all'utilizzazione
dei canali televisivi liberi, la cui occupazione non potrebbe quindi
essere qualificata come disturbo o interferenza alle
telecomunicazioni.
La difesa della Telelazio s.p.a. insiste sull'omogeneità delle
fattispecie poste a raffronto dal giudice a quo, nonché
sull'applicabilità della norma impugnata solo in caso di effettivo
disturbo o interferenza, non potendo a suo avviso ritenersi
assoggettato ad autorizzazione l'esercizio del diritto soggettivo di
radiodiffondere in ambito locale.
Anche la difesa della Telemarsicabruzzo s.p.a. insiste sulla
qualificazione come diritto soggettivo di tale attività, che non
sarebbe soggetta a concessione od autorizzazione amministrativa. A
suo avviso, l'art. 240 cod. post. sarebbe applicabile solo nei
confronti dei soggetti titolari di concessione o autorizzazione.
La difesa della E.R.T. Italiana s.r.l., a sua volta, ribadisce la
propria tesi circa l'irrilevanza della questione, fondata
sull'assunto dell'inesistenza del potere di disattivazione in caso di
c.d. "disturbo giuridico", che prescinde da concrete interferenze e
della riserva all'autorità giudiziaria, ex art. 15 Cost., del potere
di apporre limiti al diritto di radiodiffondere.
Considerato in diritto
1. - Le cinque ordinanze di rimessione del Pretore di Frascati
sono di identico tenore e propongono le medesime questioni di
legittimità costituzionale. I relativi procedimenti vanno perciò
riuniti.
2. - Con le predette ordinanze il Pretore dubita della
legittimità costituzionale dell'art. 240 del d.P.R. 29 marzo 1973,
n. 156 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia
postale, di bancoposta e di telecomunicazioni) in quanto, stabilendo
che si provveda "direttamente, in via amministrativa" nei confronti
di chi arrechi disturbi o causi interferenze alle telecomunicazioni,
prevede che possa essere disposta la disattivazione degli impianti
radiotelevisivi privati sprovvisti di autorizzazione e suscettibili
di arrecare disturbi ai servizi cui sono attribuite le bande di
frequenza occupate.
Tale disposizione contrasterebbe, a suo avviso, con l'art. 3 Cost.
in quanto:
a) diversamente da quanto stabilito dall'art. 3 della legge 8
aprile 1983, n. 110 per le turbative ai servizi di radioassistenza al
volo, non prescrive il previo contraddittorio con l'interessato né
dispone - stante la genericità delle previsioni sulle interferenze e
sulle modalità dell'intervento della P.A. - che questo sia graduato
in relazione alle possibilità tecniche di eliminazione dei disturbi
e dia luogo alla disattivazione solo come extrema ratio;
b) la disattivazione degli impianti non sarebbe prevista dagli
artt. 3 e 4 della legge 4 febbraio 1985, n. 10 per i casi di
incompatibilità con i pubblici servizi dell'attività delle
emittenti televisive private.
Tale disparità di trattamento, inoltre, in quanto "incide
profondamente sulla libertà della manifestazione del pensiero e
sulla libertà di impresa" comporterebbe la violazione anche degli
artt. 21 e 41 Cost.
3. - L'Avvocatura dello Stato ha preliminarmente eccepito
l'inammissibilità della questione per carenza di legittimazione del
giudice a quo, data l'inesistenza di un diritto soggettivo del
privato all'attivazione di impianti radiotelevisivi che il Pretore ha
affermato come presupposto per la proposizione dell'incidente.
L'eccezione è fondata.
Deve innanzitutto ribadirsi che il difetto di giurisdizione del
giudice a quo fa escludere la rilevanza della questione di
costituzionalità quando risulti chiaramente dalla legge o
corrisponda ad un univoco orientamento giurisprudenziale, sì da
rivestire il carattere dell'evidenza (cfr. sentenze nn. 159 del 1983,
190 del 1985, 346 del 1987, 777 del 1988, 575 del 1989, ordinanze nn.
100 del 1988 e 523 del 1989). In tal caso, infatti, l'eventuale
pronuncia di incostituzionalità verrebbe privata delle conseguenze
che le sono proprie in quanto resterebbe inapplicabile ai casi
concreti che l'hanno occasionata.
Rispetto alla fattispecie in esame, la carenza di giurisdizione
del giudice ordinario, anche ai soli fini dell'adozione di
provvedimenti urgenti, risulta dal costante ed univoco orientamento
sia della Corte di cassazione (cfr. da ultimo, ad es., Sez. Un. civ.,
sentenza n. 6766 del 1988) e del Consiglio di Stato, sia di questa
medesima Corte (sentenze nn. 237 del 1984, 826 e 1030 del 1988).
In tali decisioni si è chiaramente esclusa la configurabilità di
un diritto soggettivo del privato all'attivazione ed esercizio di
impianti radiotelevisivi, dato che questi comportano l'utilizzazione
di un bene comune - l'etere - naturalmente limitato e perciò non
fruibile da tutti e presuppongono necessariamente, di conseguenza, un
provvedimento di assegnazione della banda di frequenza che, in quanto
immette un quid novi nella sfera giuridica del privato, ha indubbio
carattere costitutivo.
In particolare, nelle citate sentenze nn. 826 (par. 22) e 1030
(par. 9) del 1988, questa Corte ha sottolineato la necessità di un
provvedimento abilitativo, che nel settore in esame implica un ambito
di discrezionalità non solo tecnica, ma anche amministrativa (cfr.
anche la sentenza n. 153 del 1987, par. 9). Ciò discende da
disposizioni di diritto sia interno (artt. 2 e 183, quarto comma,
d.P.R. n. 156 del 1973) che internazionale, e si fonda sull'esigenza
di assicurare un razionale ed ordinato governo dell'etere, la quale
comporta tra l'altro che venga garantito il coordinamento e la
compatibilità reciproca tra i vari servizi di telecomunicazione, ivi
compresa l'emittenza radiotelevisiva. Coerente a tale esigenza, e
correlato al potere di assegnazione e di disciplina delle modalità
d'impiego delle frequenze, è il potere di disattivazione conferito
alla P.A. dall'impugnato art. 240, che è appunto preordinato a
prevenire e reprimere usi non consentiti o concrete interferenze. A
fronte di poteri - di assegnazione e di disattivazione - così
strutturati e finalizzati, la posizione soggettiva del privato non
può che essere di interesse legittimo al loro corretto esercizio, e
perciò essa è tutelabile, nel vigente ordinamento, solo innanzi al
giudice amministrativo (che del resto, nel giudizio di cui
all'ordinanza n. 374 del 1989, era già stato adi'to dalla parte
privata).
Pertanto la questione, in quanto sollevata da un giudice carente
di giurisdizione nella materia, va dichiarata inammissibile.