Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un procedimento civile promosso dal Comune di
Albano Vercellese contro la Regione Piemonte con l'intervento di
altri, il Commissario per il riordinamento degli usi civici del
Piemonte, della Liguria e della Valle d'Aosta, con ordinanza del 25
gennaio 1989, ha sollevato, in riferimento agli artt. 42, primo comma
e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale degli artt. 1, 2, 3, n. 3. 8, primo comma, lett. g, h,
i; secondo comma, lett. e), m), n); terzo comma; quarto comma nn. 2 e
3; quinto comma, n. 5 della legge della Regione Piemonte 23 agosto
1978, n. 55; nonché degli artt. 1, 2, 3, 9, 11, 15 e 17 della legge
della Regione Piemonte 30 marzo 1987, n. 20. La prima di tali leggi
citate istituisce il Parco naturale delle Lame del Sesia e le riserve
naturali speciali dell'Isolone di Oldenico e della Garzaia di
Villarboit, la seconda ne disciplina l'utilizzo e la fruizione.
Avendo accertato che le terre incluse nel Parco e nelle riserve
naturali "sono quasi tutte di uso civico, in gran parte appartenenti
al comprensorio di uso civico di Albano Vercellese e in parte ai
comprensori dei comuni di Greggio e di Oldenico", il giudice
remittente ritiene che le norme denunziate, in quanto vietano o
limitano gravemente forme di utilizzazione dei terreni in questione
da tempo immemorabile praticate dalle popolazioni locali, violano
l'art. 42, primo comma, della Costituzione: i beni di uso civico,
essendo soggetti al regime dei beni demaniali, "non possono formare
oggetto di espropriazione per pubblico interesse". Per l'inclusione
di una terra di uso civico in un parco o in una riserva naturale "è
necessaria la preventiva manifestazione della volontà degli utenti,
espressa per mezzo del Consiglio comunale, di sdemanializzare il
terreno in questione, nonché l'autorizzazione della giunta
regionale, sentito il parere del Magistrato addetto agli usi civici".
Inoltre le leggi regionali in esame violerebbero l'art. 117, primo
comma, della Costituzione, in quanto eccedono i limiti della
competenza legislativa della Regione, sia perché "la disciplina e la
regolamentazione dei diritti soggettivi è riservata dalla
Costituzione alla legge dello Stato", onde "i diritti di uso
civico... non possono venire non solo soppressi, ma neppure in alcun
modo limitati da una legge regionale", sia perché contrastano con i
principi fondamentali in materia di tutela degli usi civici fissati
dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766.
2. - Nel giudizio davanti alla Corte si sono costituiti il Comune
di Albano Vercellese e la Regione Piemonte. Il primo aderisce alle
argomentazioni dell'ordinanza di rimessione sottolineando i profili
sostanzialmente ablativi, o comunque incompatibili con l'esercizio
dei diritti delle popolazioni locali, delle norme regionali
impugnate, le quali prevedono, tra l'altro, limiti di accesso,
divieti di pascolo, di transito con animali, di raccolta di flora
erbacea, di pesca, nonché la possibilità di un mutamento della
destinazione di uso senza le procedure previste dalla legge n. 1766
del 1927.
In contrario la Regione Piemonte osserva che le finalità
dell'istituzione del parco e delle riserve non solo sono
perfettamente compatibili con l'esercizio del diritto di uso civico
ma, essendo indirizzate soprattutto a preservare l'ambiente
esistente, a valorizzare attività forestali e agricole e ad impedire
trasformazioni di ogni genere, non possono che favorire il perdurare
delle migliori condizioni per l'esercizio dei diritti di uso civico.
Tale esercizio ne risulta anzi maggiormente protetto e salvaguardato,
perché le norme vincolistiche emanate lo garantiscono in modo più
incisivo, eliminando il rischio che esso possa essere travolto da
iniziative incontrollate.
Le leggi denunciate sono legittime, a giudizio della Regione,
anche in considerazione della loro equiparabilità a tutte quelle che
stabiliscono limitazioni all'uso del territorio come le leggi
urbanistiche e le leggi a tutela del paesaggio.
Considerato in diritto
1. - Il Commissario agli usi civici del Piemonte mette in dubbio
la legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 8, primo comma,
lettere g, h, i; secondo comma, lettere l, m, n; terzo comma; quarto
comma, nn. 2 e 3; quinto comma, n. 5, della legge della Regione
Piemonte 23 agosto 1978, n. 55, istitutiva del Parco naturale delle
Lame del Sesia e delle Riserve naturali speciali dell'Isolone di
Oldenico e della Garzaia di Villarboit; nonché degli artt. 1, 2, 3,
9, 11, 15, 17 della legge regionale 30 marzo 1987, n. 20, recante
norme per l'utilizzo e la fruizione del detto parco e delle dette
riserve naturali. Le norme denunciate sopprimerebbero o limiterebbero
gravemente, in contrasto con l'art. 42, primo comma, della
Costituzione, la destinazione pubblica di gran parte delle terre
incluse nel parco e nelle riserve all'esercizio degli usi civici su
esse gravanti a favore delle comunità locali, e comunque
eccederebbero i limiti fissati alla competenza legislativa della
Regione dall'art. 117, primo comma.
2. - La questione non è fondata.
La tesi sostenuta nell'ordinanza di rimessione, secondo cui le
terre di uso civico non potrebbero essere incluse in parchi o riserve
naturali se non previa procedura (impropriamente detta) di
"sdemanializzazione", a norma degli artt. 12, secondo comma, della
legge n. 1776 del 1927, e 39 del r.d. n. 332 del 1928, e quindi solo
col consenso della popolazione titolare del dominio collettivo, non
trova conforto nemmeno nel diritto anteriore alla Costituzione del
1948, come si argomenta esplicitamente dall'art. 8, primo comma, del
r.d. n. 2124 del 1923, portante il regolamento di esecuzione della
legge n. 1511 istitutiva del Parco nazionale d'Abruzzo. In quanto
sottopone a controllo dell'autorità amministrativa del parco anche i
tagli di bosco "per usi civici", la disposizione citata dimostra che
i beni di uso civico inclusi nel parco non sono stati
"sdemanializzati". Più in generale, dall'art. 5, secondo comma, del
d.P.R. n. 1178 del 1951, portante il regolamento di esecuzione della
legge n. 740 del 1935 istitutiva del Parco nazionale dello Stelvio,
si arguisce che il vincolo di determinati terreni a parco o a riserva
naturale può essere costituito "a qualsiasi proprietario
appartengano", cioè si rende operante secondo un criterio di
trattamento indifferenziato dei vari tipi di proprietà.
Va pure ricordato l'art. 111 del r.d. n. 3267 del 1923 (legge
forestale), il quale comprende tra i terreni boscati, che possono
venire espropriati per essere incorporati nel demanio forestale,
anche quelli "costituenti i demani comunali nel Mezzogiorno e quelli
di dominio collettivo nelle altre province". Da questa norma si
argomenta che, diversamente dalla disciplina dei beni demaniali in
senso stretto e tecnico, al regime di inalienabilità dei beni di uso
civico (che, più esattamente, dovrebbe definirsi di alienabilità
controllata) non inerisce la condizione di beni non suscettibili di
espropriazione forzata per pubblica utilità, né può essere citata
in contrario la sentenza di questa Corte n. 67 del 1957. Tanto meno,
dunque, possono ritenersi soggetti al requisito della previa
"sdemanializzazione" i provvedimenti che includono terre di uso
civico in un parco o in una riserva naturale. Essi non modificano gli
assetti proprietari, ma impongono al godimento dei titolari
limitazioni di vario genere in funzione degli interessi generali alla
cui tutela è finalizzata l'istituzione di parchi o riserve naturali.
3. - Invero, già secondo le finalità della legge del 1927 la
destinazione pubblica dei beni di demanio civico non si determina in
funzione dell'esercizio dei diritti di uso civico, connessi a
economie familiari di consumo sempre meno attuali, bensì in funzione
dell'utilizzazione di tali beni a fini di interesse generale. Per i
beni silvo-pastorali la destinazione pubblica all'utilizzazione come
fattori produttivi, impressa dalla legge del 1927 (artt. 11, lett. a,
e 12, primo comma, viene subordinata, nel nuovo ordinamento
costituzionale, all'interesse di conservazione dell'ambiente naturale
in vista di una utilizzazione come beni ecologici, tutelato dall'art.
9, secondo comma, Cost. Con questa norma costituzionale, che "assume
come primario il valore estetico-culturale" (cfr. Corte cost. n. 359
del 1985 e n. 151 del 1986), deve integrarsi la funzione sociale
della proprietà assicurata dall'art. 42, secondo comma, alla quale
anche i demani civici, sotto l'aspetto privatistico costituito dei
diritti reali di godimento attribuiti ai singoli (cfr. Corte cost. n.
142 del 1972), sono sottoposti. A livello di legislazione ordinaria
l'integrazione tra le due norme costituzionali ha preso corpo
nell'assoggettamento delle terre gravate da usi civici a vincolo
paesaggistico ai sensi della legge n. 431 del 1985.
Pertanto l'art. 1 della legge regionale n. 55 del 1978, che
istituisce il parco e le riserve naturali di cui è causa, l'art. 2,
che ne definisce i confini includendovi terre di uso civico, e l'art.
3, che tra le finalità dell'istituzione annovera pure quella di
"organizzare il territorio per favorirne la fruizione a fini
ricreativi, didattici, scientifici e culturali", trovano fondamento
costituzionale nel principio di tutela del paesaggio: per il tramite
dell'art. 42, secondo comma, Cost. esso opera come criterio di
conformazione dei diritti reali esistenti sulle terre incluse nel
parco e nelle riserve.
Il limite che ne risulta all'esercizio dei diritti di uso civico
non incide eccessivamente sul loro contenuto, né può dirsi
sproporzionato alle esigenze di conservazione della natura. L'art. 8
fa salve le attività agro-silvo-pastorali attualmente praticate
(secondo comma, lettere l e m; quarto comma, n. 3, col quale va
coordinato il divieto dell'art. 2 della legge n. 20 del 1987) e la
costruzione di nuovi manufatti ad esse funzionali (primo comma, lett.
g), o tutt'al più le assoggetta a controllo dell'autorità regionale
(quarto comma, n. 2; sesto comma, n. 5), mentre il divieto stabilito
dall'art. 11 della legge n. 20 del 1987 a salvaguardia del sottobosco
è temperato dalla riserva del diritto di fungatico a favore delle
comunità locali prevista dall'art. 9, il quale ne consente
l'esercizio in tre giorni della settimana, più che sufficienti data
la misura in cui il diritto è contenuto dall'art. 12, terzo comma,
della legge sugli usi civici. Il divieto assoluto di pesca è
circoscritto alle riserve naturali (art. 8, secondo comma, lett. n
della legge n. 55 del 1978), mentre nel parco la pesca resta
consentita nel corso principale del fiume Sesia (art. 15 della legge
n. 20 del 1987). Infine, per quanto riguarda la lamentata "abolizione
del taglio ceduo nei boschi di uso civico inclusi nel parco", si
osserva che l'art. 8, sesto comma, n. 4 della legge n. 55 del 1978,
in conformità dell'art. 3 della legge propedeutica n. 43 del 1975,
eccettua dal divieto di tagli boschivi "i tagli necessari per evitare
il deterioramento delle piante, la ceduazione e i diradamenti".
Del resto, la funzione sociale della proprietà può giustificare
anche limiti ablatori di certe utilità economiche, purché non
assumano carattere espropriativo (nel qual caso, peraltro, la
questione di legittimità si porrebbe in relazione al terzo comma
dell'art. 42 Cost., non richiamato nell'ordinanza di rimessione) e
rispettino il canone della ragionevolezza.
4. - Oltre che con l'art. 42, primo comma, le norme denunciate
sono ritenute dal giudice a quo contrastanti con l'art. 117, primo
comma, in quanto eccederebbero i limiti della competenza legislativa
concorrente della Regione, sia sotto il profilo del vincolo dei
principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sia sotto il
profilo della preclusione di "materie concernenti i diritti
soggettivi, che possono essere disciplinati solo da norme legislative
nazionali".
Si lamenta anzitutto la violazione di un principio della
legislazione statale secondo cui, per l'inclusione di una terra di
uso civico in un parco o in una riserva naturale, sarebbe "necessaria
la preventiva manifestazione della volontà degli utenti, espressa
per mezzo del consiglio comunale, di sdemanializzare il terreno in
questione". Ma tale principio, affermato sulla base di una
inammissibile interpretazione estensiva dell'art. 12, secondo comma,
della legge n. 1766 del 1927, in realtà non esiste, come si è
precedentemente dimostrato.
Il secondo principio richiamato, cioè "il principio dell'apertura
dei terreni di uso civico agli usi di tutti i cittadini del Comune"
(art. 26 della legge n. 1766), non può ritenersi violato né
dall'art. 8, secondo comma, lett. l, della legge regionale n. 55 del
1978, né dall'art. 17 della legge n. 20 del 1987. La disposizione
dell'art. 8 prevede un divieto generale di accesso al territorio
delle riserve se non per certi fini o senza l'autorizzazione del
Consiglio direttivo, esonerando però "da tale divieto e
autorizzazione i proprietari e gli aventi titolo", e quindi, in
particolare, i componenti delle comunità locali aventi titolo
all'esercizio degli usi civici; l'art. 17 prevede soltanto la
possibilità di divieti temporanei di accesso a particolari e
limitate zone a fini silvo-colturali e/o faunistici, fini rispondenti
anche all'interesse delle popolazioni locali.
In generale si può osservare che i limiti e i divieti stabiliti
dalle leggi regionali impugnate, a tutela dell'interesse di
conservazione dell'ambiente, trovano riscontro in modelli normativi
delle leggi statali sui parchi nazionali, compreso il citato art. 17
della legge n. 20 del 1987 (cfr. art. 4, lett. f, della legge n. 1511
del 1923).
Il terzo principio fondamentale chiamato in causa è quello
dell'immutabilità della destinazione delle terre appartenenti ai
demani collettivi. Tale principio sarebbe violato dalle norme di cui
all'art. 8, primo comma lett. g e h, secondo comma, lett. l e m, e
terzo comma (in relazione all'art. 3, primo comma, n. 3) della legge
regionale n. 55 del 1978, le quali favoriscono fruizioni pubbliche
dei terreni di cui si controverte diverse dalle attività
agro-silvo-pastorali, e consistenti in attività ricreative,
didattiche, scientifiche e culturali. Ma già si è visto che
nell'ordinamento attuale la destinazione pubblica dei beni
silvo-pastorali all'utilizzazione come beni economici non può
considerarsi esclusiva, dovendo invece subordinarsi alla nuova
concezione del bosco come elemento dell'ambiente naturale da
conservare integro e alla connessa destinazione pubblica alla
fruizione come bene ecologico.
Dopo tutto non va trascurato il rilievo che, a norma dell'art. 5,
le funzioni di direzione e di amministrazione delle attività
necessarie per il conseguimento delle finalità indicate nell'art. 3
sono affidate a un consiglio direttivo formato in larga maggioranza
da rappresentanti dei Comuni titolari dei demani civici compresi del
parco, i quali, nell'esercizio di tali funzioni, potranno far valere
l'interesse delle popolazioni da essi rappresentate al contenimento
delle attività previste dall'art. 3, n. 3 entro modalità di tempo e
di luogo tali da non intralciare l'esercizio dei diritti di uso
civico. Risulta così osservato dalla legge regionale anche il
principio del giusto procedimento, il quale postula la partecipazione
degli interessati alla formazione degli atti che coinvolgono le loro
aspettative.
5. - L'altro limite della competenza legislativa regionale, che si
assume trasgredito dalle leggi impugnate, è formulato dal giudice a
quo in termini troppo generici. Una volta che ne sia precisata la
portata, esso non appare in nessun modo violato.
La preclusione al potere legislativo regionale di interferenze
nella disciplina dei diritti soggettivi riguarda i profili
civilistici dei rapporti da cui derivano, cioè i modi di acquisto e
di estinzione, i modi di accertamento, le regole sull'adempimento
delle obbligazioni e sulla responsabilità per inadempimento, la
disciplina della responsabilità extracontrattuale, i limiti dei
diritti di proprietà connessi ai rapporti di vicinato, e via
esemplificando. Per quanto attiene, invece, alla normazione
conformativa del contenuto dei diritti di proprietà allo scopo di
assicurarne la funzione sociale, la riserva di legge stabilita
dall'art. 42 Cost. può trovare attuazione anche in leggi regionali,
nell'ambito, s'intende, delle materie indicate dall'art. 117.
L'art. 9 Cost., interpretato quale direttiva rivolta allo
Stato-apparato nelle sue articolazioni territoriali, ripartisce tra
Stato e regioni la competenza legislativa per la tutela del
paesaggio, intesa nel senso ampio di tutela ecologica, della quale
nella legislazione regionale è un istituto specifico quello del
parco e della riserva naturale. Esso comporta una funzionalizzazione
dei diritti reali di qualsiasi tipo afferenti ai terreni inclusi,
cioè appunto una determinazione del loro contenuto, operata dal
potere normativo della regione, al fine di conformarlo alle esigenze
dell'interesse generale alla conservazione della natura.