LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo
CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
Ritenuto in fatto
1. - Il Tribunale di Catania - Sezione agraria, con ordinanza del
18 aprile 1984, ha sollevato questione di legittimità costituzionale
dell'art. 1 della legge 14 giugno 1974 n. 270, che determina la
misura del canone enfiteutico da prendere a base, ai sensi dell'art.
9 della legge 18 dicembre 1970 n. 1138, per il calcolo del capitale
di affrancazione del fondo.
La disposizione denunziata, la quale aggiunge un terzo comma
all'art. 2 della legge n. 1138 del 1970, dispone che "il canone dei
rapporti di enfiteusi costituiti successivamente al 23 ottobre 1941
non può risultare inferiore alla quindicesima parte dell'indennità
di espropriazione determinata ai sensi delle leggi di riforma agraria
12 maggio 1950 n. 230 e 21 ottobre 1950 n. 841", cioè del valore
definitivamente accertato per l'applicazione della imposta
straordinaria progressiva sul patrimonio ai sensi dell'art. 9 del
d.leg.c.p.s. 29 marzo 1947 n. 143.
Ad avviso del giudice remittente tale norma urta contro l'art. 42
Cost. in quanto "imponendo la predetta misura fissa, ha ancorato il
canone enfiteutico a un valore monetario che, con il passare degli
anni e il modificarsi dell'assetto economico del paese, non ha più
rispondenza con i valori attuali". La legge n. 270 del 1974 non ha
tradotto correttamente le indicazioni impartite da questa Corte con
la sentenza n. 145 del 1973, la quale intendeva "riferirsi non tanto
alla misura fissa consistente nell'indennità che sarebbe stata
pagata ai proprietari nell'ipotesi in cui i loro terreni fossero
stati espropriati in forza delle leggi di riforma agraria, quanto ai
criteri stabiliti da tali leggi, consistenti nell'applicazione di
coefficienti-base di maggiorazione al reddito imponibile dominicale,
in modo da consentire un costante adeguamento dei canoni enfiteutici
alla mutevole realtà economica".
2. - Nel giudizio davanti alla Corte non si sono costituite le
parti private, né ha spiegato intervento la Presidenza del Consiglio
dei Ministri.
Considerato in diritto
1. - La questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della
legge n. 270 del 1974, sollevata dal Tribunale di Catania, è
fondata.
Non occorre qui riepilogare tutta la complessa vicenda
dell'intervento legislativo in materia di enfiteusi, a partire dalla
legge 22 luglio 1966 n. 607, che ha profondamente modificato
l'istituto nel quadro di una politica diretta a favorire la
congiunzione della proprietà dei fondi rustici con la titolarità
delle imprese agricole che li coltivano. È sufficiente riassumere la
posizione di questa Corte, quale risulta specialmente dalle sentenze
n. 145 del 1973 e n. 53 del 1974, circa i limiti imposti a tale
politica legislativa dal rispetto del diritto di proprietà garantito
dall'art. 42 Cost. Essa si articola essenzialmente in due punti:
a) sebbene la nuova disciplina dell'enfiteusi stabilisca per il
capitale di affranco una misura d'imperio in luogo del valore venale
effettivo della nuda proprietà, "appare arbitrario equiparare
all'espropriazione l'esercizio della facoltà di riscatto della piena
proprietà mediante l'affrancazione" (sent. n. 53 del 1974).
Pertanto, come ha ribadito la sentenza n. 246 del 1984, le norme con
le quali sono stati stabiliti nuovi criteri di determinazione del
canone, e quindi del capitale di affranco, non sono soggette al
requisito della giustificazione per motivi di interesse generale
statuito dal terzo comma dell'art. 42, né possono essere confrontate
con le norme in tema di espropriazione per pubblica utilità, in
riferimento all'art. 3 Cost.;
b) tuttavia, poiché il capitale di affranco del fondo
enfiteutico non ha più, come nella disciplina originaria del codice
civile, funzione di corrispettivo (prezzo), bensì ha assunto la
funzione di "indennizzo", sono applicabili per analogia i criteri di
valutazione di congruità dell'indennizzo da corrispondere in caso di
espropriazione, i quali devono essere "applicabili senza grave e
ingiustificata lesione dei diritti dei concedenti": pur non essendo
ragguagliabile al valore di mercato, la somma pagata al proprietario
non può essere meramente simbolica o irrisoria, ma deve
rappresentare un serio ristoro. In questo senso la sentenza n. 145
del 1973 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 2 della
legge 18 dicembre 1970 n. 1138 per violazione dell'art. 42, terzo
comma, nella parte in cui, per le enfiteusi costituite dopo il 23
ottobre 1941, determinava il canone, e quindi il capitale di
affrancazione (pari a quindici volte il canone), in misura fissa
corrispondente al reddito dominicale risultante dal catasto secondo
la revisione del 1939 e rivalutato con il d. leg. n. 356 del 1947.
2. - La sentenza n. 145 del 1973 ha indicato quello che, ad avviso
della Corte, deve essere il parametro per una congrua indennità,
identificandolo nei criteri stabiliti dalle leggi del 1950 ("legge
Sila" n. 230 e "legge stralcio" n. 84) per la determinazione
dell'indennizzo dei proprietari espropriati in attuazione della
riforma agraria.
Il dispositivo della sentenza è stato recepito alla lettera dalla
legge n. 270 del 1974, senza le integrazioni che da parte del
legislatore sarebbero state necessarie per coglierne, alla stregua
della motivazione, l'esatto significato e tradurlo in norma
giuridica. La motivazione precisa che il riferimento al reddito
imponibile risultante dai dati catastali non è illegittimo a
condizione che sia tenuta "distinta la funzione generica del ricorso
ai dati catastali dalla misura della loro operatività in concreto,
affinché ne sia mantenuta adeguata, nei limiti di una ragionevole
approssimazione, la corrispondenza con la effettiva realtà
economica". Alla stregua di questa direttiva si deve ritenere - come
osserva l'ordinanza di rimessione - che "la Corte costituzionale
abbia fatto riferimento non tanto alla misura fissa consistente nella
indennità che sarebbe stata corrisposta qualora i terreni fossero
stati espropriati in applicazione delle leggi di riforma agraria,
quanto invece ai criteri stabiliti da quelle leggi", nel senso che i
capitali di affranco non possono essere inferiori ai valori assunti
per l'applicazione dell'imposta straordinaria progressiva sul
patrimonio a norma dell'art. 9 del d. leg. n. 143 del 1947,
periodicamente aggiornati mediante "coefficienti di maggiorazione
stabiliti e pubblicati man mano dalla Commissione Censuaria
centrale".
Invece l'art. 1 della legge n. 270 determina i capitali di
affranco in misura fissa ragguagliata ai valori medi dei terreni per
il periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947 calcolati a norma dell'art. 9
del citato decreto n. 143 del 1947, cioè in una misura già nel 1974
incongrua, e nel 1982 - anno in cui è stata domandata
l'affrancazione nel caso in controversia - senz'altro irrisoria, come
dimostra puntualmente l'ordinanza di rimessione, dalla quale si
apprende che l'indennizzo dovuto al concedente è stato fissato dal
Pretore in lire 122.236.
3. - Non si può pensare che l'art. 1 della legge n. 270 del 1974
sia implicitamente integrato dalla legge 20 ottobre 1954 n. 1044, la
quale prevedeva che le tabelle compilate dalla Commissione censuaria
centrale per l'applicazione dell'imposta progressiva straordinaria
sul patrimonio fossero aggiornate secondo un coefficiente determinato
ogni anno dalla medesima Commissione. Questa legge, che prevedeva un
procedimento di accertamento automatico dell'imponibile per
l'applicazione dell'imposta di successione sui fondi rustici, è
stata abrogata dall'art. 58 del d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 637,
entrato in vigore il 1° gennaio 1973: infatti l'ultimo aggiornamento
del coefficiente di maggiorazione ai sensi dell'art. 1 della legge
risale al 1972.
Nemmeno si può pensare che la norma in questione sia integrabile
con l'art. 8 della legge 17 dicembre 1986 n. 880 (che ha introdotto
per tutti i terreni un nuovo sistema di accertamento automatico
dell'imponibile per l'applicazione dell'imposta di successione), sia
per ragioni giuridiche, la legge n. 880 essendo retroattiva solo fino
al 1° luglio 1986 e comunque, trattandosi di legge tributaria, non
estensibile oltre il caso previsto, sia per ragioni tecniche, posto
che la base di partenza per la determinazione dei canoni enfiteutici
non è il reddito dominicale risultante dal catasto secondo la
revisione del 1939, bensì il valore medio per il periodo 1° luglio
1946-31 marzo 1947 determinato - sulla base del reddito catastale -
mediante l'applicazione dei coefficienti previsti dall'art. 9 del
decreto n. 143 del 1947.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 14
giugno 1974 n. 270 ("Norme in materia di enfiteusi") nella parte in
cui non prevede che il valore di riferimento da esso prescelto per la
determinazione del canone enfiteutico sia periodicamente aggiornato
mediante l'applicazione di coefficienti di maggiorazione idonei a
mantenerne adeguata, con una ragionevole approssimazione, la
corrispondenza con la effettiva realtà economica.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1988.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: MENGONI
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 7 aprile 1988.
Il direttore della cancelleria: MINELLI