Titolo
SENT. 27/87. ACCUSA (MESSA IN STATO DI) - COMMISSIONE PARLAMENTARE INQUIRENTE- POTERI E MODI DI FUNZIONAMENTO - AMMISSIBILITA' DELLA RICHIESTA DI REFERENDUM ABROGATIVO.
Testo
La disciplina dei poteri e dei modi di funzionamento della Commissione parlamentare inquirente - contenuta negli artt. 1-8 della L. 10 maggio 1978 n. 170, sostanzialmente modificativa della L.n. 20 del 1962 - non rientra in alcuna delle due ipotesi riconducibili alla categoria delle leggi "a contenuto costituzionalmente vincolato", in quanto, per un verso, rappresenta una soltanto fra le numerose scelte legislative possibili per attuare il disposto di cui all'art. 12, L.cost. n. 1 del 1953; per altro verso, la sua eventuale abrogazione referendaria non potrebbe in alcun modo vanificare l'esistenza della predetta Commissione bicamerale permanente, e tanto meno eliminare la procedura di messa in stato d'accusa di cui agli artt. 90, comma secondo, e 96 Cost., o la speciale giurisdizione penale prevista dall'art. 134 Cost.; ne' potrebbe in alcun modo risultare paralizzato il funzionamento della stessa Commissione, a garantire il quale sarebbero di per se` sufficienti - in attesa di altra piu` completa disciplina - le norme del regolamento parlamentare. (Ammissibilita` della richiesta di referendum per l'abrogazione dei primi otto articoli della L. 10 maggio 1978 n. 170). - sulle leggi "a contenuto costituzionalmente vincolato, v. S.nn. 16/1978, 25 e 26/1981.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 75
co. 2
Costituzione
art. 90
co. 2
Costituzione
art. 96
Costituzione
art. 134
legge costituzionale
11/03/1953
n. 1
art. 12
Riferimenti normativi
legge
10/05/1978
n. 170
art. 1
co. 0
legge
10/05/1978
n. 170
art. 2
co. 0
legge
10/05/1978
n. 170
art. 3
co. 0
legge
10/05/1978
n. 170
art. 4
co. 0
legge
10/05/1978
n. 170
art. 5
co. 0
legge
10/05/1978
n. 170
art. 6
co. 0
legge
10/05/1978
n. 170
art. 7
co. 0
legge
10/05/1978
n. 170
art. 8
co. 0
N. 27
SENTENZA 16 GENNAIO 1987-3 FEBBRAIO 1987
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: prof. Antonio LA PERGOLA;
Giudici: prof. Virgilio ANDRIOLI, prof. Giuseppe FERRARI, dott.
Francesco SAJA, prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott.
Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO,
prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio
BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio sull'ammissibilità ai sensi dell'art. 2, comma primo,
della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di
referendum popolare per l'abrogazione degli art.li 1, 2, 3, 4, 5, 6,
7 e 8 della legge 10 maggio 1978, n. 170, recante "Nuove norme sui
procedimenti d'accusa di cui alla legge 25 gennaio 1962, n. 20",
iscritto al n. 35 del Registro Referendum.
Vista l'ordinanza 13 dicembre 1986 con la quale l'Ufficio Centrale
per il Referendum presso la Corte di Cassazione ha dichiarato
legittima la predetta richiesta;
Udito nella Camera di Consiglio del 14 gennaio 1987 il giudice
relatore Ettore Gallo;
Udito l'Avvocato Mauro Mellini per il Comitato promotore;
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza 13 dicembre 1986, l'Ufficio Centrale costituito
presso la Corte di Cassazione dichiarava legittima la richiesta di
Referendum popolare presentata da otto promotori il 9 luglio 1986 sul
seguente questito: "Volete voi l'abrogazione degli articoli 1, 2, 3,
4, 5, 6, 7 e 8 della l. 10 maggio 1978 n. 170 recante (Nuove norme
sui procedimenti d'accusa di cui alla l. 25 gennaio 1962 n. 20)?".
Conseguentemente, previo le comunicazioni e le notificazioni di rito
dell'ordinanza stessa, trasmetteva gli atti a questa Corte per
l'ulteriore corso in ordine al giudizio di ammissibilità: atti che
venivano iscritti al n. 35 del Registro Referendum 1986.
In attuazione all'art.33 della l. 25 maggio 1970, n. 252, la Corte
veniva convocata per questa Camera di Consiglio, dandosi le
comunicazioni di legge.
2. - Il Comitato promotore depositava nei termini memoria, nella
quale veniva ricordato che l'intero testo di legge, ora oggetto
dell'iniziativa referendaria, aveva sostituito gli articoli 3, 4, 5,
6, 7, 8, 9, e parzialmente gli articoli 11, 12, 13, 14 e 16 della l.
25 gennaio 1962 n. 20, a loro volta, a suo tempo oggetto di analoga
richiesta dichiarata ammissibile da questa Corte. La l. n. 170/1978
era stata, perciò, promulgata proprio per impedire il già detto
referendum, e l'Ufficio centrale con ord. 25 maggio 1978 aveva,
infatti, dichiarato, alla stregua dell'art. 39 l. 25 maggio 1970, n.
352 (così come ritenuto dalla sentenza di questa Corte 17 maggio
1978 n. 68), che le operazioni referendarie non dovevano avere più
corso.
A seguito di ciò, il 23 ottobre successivo il comitato promotore
proponeva ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti della
detta ordinanza. Il ricorso, dichiarato ammissibile in sede di
sommaria deliberazione con ord. 8 gennaio 1979 n. 2 di questa Corte,
veniva, però, successivamente dichiarato inammissibile con sent. 20
marzo 1980 n. 31.
I ricorrenti avevano in quella occasione lamentato che l'ordinanza
dell'Ufficio Centrale non avrebbe tenuto conto che le nuove
disposizioni non erano in realtà abrogative della sostanza di quelle
investite dall'iniziativa referendaria, sì da doversi anzi ritenere
che esse fossero ripetitive, in quanto non determinavano alcun
effetto comunque riconducibile alla effettiva finalità
dell'iniziativa.
Ma la sentenza della Corte, senza entrare nel merito, aveva
rilevato che l'ordinanza dell'Ufficio Centrale non si era limitata
alla mera constatazione del dato formale, ma aveva preso in esame
l'aspetto del carattere sostanziale dell'intervenuta abrogazione.
A quel punto, perciò, la Corte non poteva sostituirsi ad un
potere che la legge attribuisce all'Ufficio Centrale del Referendum.
Sta di fatto che, secondo i promotori, il tempo avrebbe poi dato
torto all'Ufficio Centrale, giacché generale sarebbe divenuto il
riconoscimento che la cosidetta riforma del 1978 nulla avrebbe in
realtà innovato, tanto che nuove proposte di modifica della legge
sono state presentate assieme a quelle di revisione delle stesse
disposizioni costituzionali che regolano la materia.
3. - Ciò premesso, sembrava ai promotori che, pur non potendosi
parlare di questione già coperta da precedente giudicato, tuttavia,
secondo i criteri espressi in via generale dalla sentenza n. 16/78
ammissiva del precedente Referendum, ogni questione rilevante sarebbe
già stata definita dalla sentenza stessa.
Pacifiche, perciò, dovrebbero essere l'univocità e l'omogeneità
del quesito, che viene oggi riproposto rispetto agli articoli che
hanno sostituito i precedenti, così come non dovrebbe esservi alcun
dubbio che questa legge, come la precedente, non possa essere
considerata "a contenuto costituzionalmente vincolato": e ciò sia
che - come sostengono i promotori - si tratti sempre sostanzialmente
della stessa scelta che con la legge abrogata il legislatore aveva
operato per attuare l'art. 12 della legge costituzionale 11 marzo
1953 n. 1, sia che si ritenga diversa quella contenuta nella legge
oggetto dell'attuale iniziativa. Numerose, infatti, essendo le scelte
possibili, non può negarsi il diritto di interpellare il popolo
circa il gradimento di quella attuale.
Né si vede - aggiungono i promotori - quali altre questioni
potrebbero essere affacciate in ordine all'ammissibilità
dell'attuale referendum, che già non sieno state escluse dalla
citata sentenza n. 16/1978 con riguardo al precedente giudizio.
All'odierna Camera di Consiglio è comparso, per il Comitato
promotore, l'Avv. Mauro Mellini che, illustrando la memoria di cui
s'è detto, ha insistito per l'ammissione del referendum.
Considerato in diritto
1. - Come si è ricordato nella parte narrativa, i promotori
insistono nell'affermare che le disposizioni della legge vigente,
investite dall'iniziativa referendaria, sono sostanzialmente
ripetitive di quelle abrogate, contenute nella l. n. 20/1962.
Nonostante sul punto questa Corte sia già intervenuta con la citata
sentenza n. 31/1980, non può essere sottaciuto che una sommaria
comparazione delle due normative mette facilmente in luce le notevoli
differenze, non certo formali.
Già i poteri, attribuiti alla Commissione dall'art. 3 della legge
precedente, sono notevolmente più ampi di quanto non lo siano quelli
che l'art. 4, quarto co. della legge attuale conferisce richiamando
l'art. 82 Cost.: e ciò non foss'altro che per il potere di disporre
direttamente, non solo della polizia giudiziaria, ma di tutta la
forza pubblica, e di richiedere direttamente l'intervento delle Forze
armate.
Ma, anche da ciò prescindendo, è certo, comunque, che nella
nuova legge sono scomparsi aspetti sostanziali e processuali di non
poco rilievo. Non c'è più, infatti, la fattispecie penale di cui
all'art. 8 (Rifiuto di obbedienza alla Commissione); non esistono
più le prerogative processuali dei funzionari, degli ufficiali ed
agenti di polizia giudiziaria,
della forza pubblica e delle Forze armate, addetti o richiesti dalla
Commissione, per fatti compiuti in esecuzione di ordini della
Commissione stessa (art. 9); la facoltà di riunione dei procedimenti
di cui all'art. 16 della vecchia legge, è stata nell'attuale
limitata alle ipotesi di cui ai numeri 1 e 2 dell'art. 45 cod. proc.
pen.; è scomparsa l'efficacia preclusiva della definizione del
procedimento d'accusa per causa diversa da quella di cui agli art.li
90 e 96 Cost. (art. 15); è caduta l'inopponibilità del segreto
d'ufficio o di Stato per l'esibizione di cui all'art. 342 cod. proc.
pen. da parte di pubblici ufficiali, impiegati e incaricati di
pubblico servizio.
È stato, invece, introdotto ex novo nella legge attualmente in
vigore l'istituto della convalida dell'arresto disposto dalla
Commissione, ad opera della Camera di appartenenza, per le persone
indicate negli art.li 90 e 96 Cost., o della Camera dei deputati per
i non parlamentari (art. 2). È stato altresì fissato un termine
perentorio entro cui - salvo una breve proroga - le indagini della
Commissione debbono essere concluse (art. 4, secondo comma).
Non ci si può, dunque, semplicemente riferire al precedente
giudizio di questa Corte (sent. n.16 del 1978), ma è necessario
prendere in esame la legge investita dall'attuale iniziativa
referendaria, che è legge sostanzialmente diversa da quella su cui
il "referendum" era stato dichiarato ammissibile. Ciò non significa
ovviamente che i principi giurisprudenziali affermati nella citata
sentenza non debbano, tuttavia, essere tenuti presenti, ed
adeguatamente riconsiderati anche alla luce della giurisprudenza
costituzionale successiva e del dibattito della dottrina.
2. - Nella sentenza n.16 del 1978 questa Corte ha affermato che
non sono sottoponibili a Referendum abrogativo le disposizioni di
legge ordinaria "a contenuto costituzionalmente vincolato",
precisando che tali devono, intendersi quelle disposizioni "il cui
nucleo normativo non possa venire alterato o privato di efficacia
senza che ne risultino lesi i corrispondenti specifici disposti della
Costituzione stessa (o di altre leggi costituzionali)". Come appare
chiaro da questa definizione e come questa Corte ha avuto modo di
dire anche in sentenze successive, a questa categoria di leggi
possono essere ricondotte due distinte ipotesi: innanzitutto, le
leggi ordinarie che contengono l'unica necessaria disciplina
attuativa conforme alla norma costituzionale, di modo che la loro
abrogazione si tradurrebbe in lesione di quest'ultima (cfr. sentenze
n. 26/1981 e 16/1978); in secondo luogo, le leggi ordinarie, la cui
eliminazione ad opera del referendum, priverebbe totalmente di
efficacia un principio o un organo costituzionale "la cui esistenza
è invece voluta e garantita dalla Costituzione (cfr. sentenza n.
25/1981)".
Orbene, è pacifico che anche la legge ordinanaria attuale (10
maggio 1978, n.170), disciplinando i poteri e i modi di funzionamento
di quella Commissione che la legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1
prevede all'art.12, rappresenta una fra le tante soluzioni
astrattamente possibili per attuare il disposto di rango
costituzionale: così come la legge abrogata ne rappresentava altra.
In altri termini, la disciplina che il legislatore ordinario detta
per dare attuazione al disposto costituzionale, rappresenta " una
scelta politica del Parlamento che poteva anche essere diversa" senza
che ne resti elusa o violata la volontà della norma costituzionale e
in ordine alla quale non può, pertanto, negarsi al popolo di
esprimere il suo voto.
Deve, inoltre, escludersi che la legge oggetto della presente
richiesta referendaria rientri anche nella seconda delle ipotesi di
"leggi a contenuto costituzionalmente vincolato" formulate da questa
Corte. Secondo tale ipotesi deve ritenersi inammissibile una
votazione referendaria che, abrogando determinate disposizioni di
legge ordinaria, minacci l'esistenza stessa di un principio, di un
organo o di un istituto previsto dalla Costituzione o da una legge
costituzionale. Si tratta, più precisamente, di un'ipotesi che va
distinta logicamente da quella in cui il referendum possa, in caso di
approvazione, semplicemente intaccare il funzionamento di un organo
costituzionale, o l'applicazione di un principio, nello specifico
modo previsto dalla legge di cui si chiede l'abrogazione, senza
tuttavia vanificarne totalmente gli effetti o l'operatività.
Orbene, se non vi è dubbio che, ove fosse accolta dal voto
popolare, la richiesta referendaria in esame renderebbe più
difficoltoso il funzionamento della Commissione prevista dalla legge
costituzionale n.1 del 1953, dev'essere tuttavia escluso che, per
quanto si riferisce alla proposta di referendum in esame, l'eventuale
abrogazione degli articoli della l. 10 maggio 1978, n.170, sottoposti
ad iniziativa referendaria, comporti la vanificazione della
Commissione medesima. Tanto meno, poi, risulterebbero eliminate la
particolare procedura prevista dagli artt. 90 secondo comma e 96
Cost., nonché la speciale giurisdizione contemplata nell'ultimo
inciso dall'art.134 Cost. per le persone ivi elencate. Del resto, né
l'esistenza della "Commissione" ex art.12 citato, né le procedure e
la giurisdizione particolari previste dalla Costituzione sono
investite (né potrebbero esserlo) dall'iniziativa referendaria.
3. - Deve dirsi, anzi, che l'art.12 della legge costituzionale
citata si limita a disporre che la messa in istato d'accusa delle
dette personalità è deliberata dal Parlamento in seduta comune "su
relazione di una Commissione", formata ed eletta nei modi ivi
previsti. Al limite, pertanto, specie nei casi di tutta evidenza, la
Commissione ben potrebbe limitare il suo compito a redigere la
relazione per il Parlamento sulla base delle risultanze documentali
acquisite: in tal modo, quindi, rendendo operativo il dettato di
rango costituzionale senza ricorrere a particolari discipline.
Senonché, intendere in tal senso la funzione di una Commissione
bicamerale a carattere permanente di ben venti membri, espressamente
contemplata da una legge costituzionale per mettere il Parlamento in
condizione
di decidere sulla messa in stato d'accusa di personalità investite
delle più alte funzioni dello Stato, sarebbe estremamente riduttivo.
Quanto meno, si deve ammettere che la Commissione bicamerale
permanente in parola, per adempiere seriamente alla funzione imposta
dalla legge costituzionale, dovrebbe avere almeno i poteri che la
Costituzione assegna alle Commissioni unicamerali temporanee previste
dall'art. 82 Cost. Ed, infatti, il Parlamento se n'era dato carico,
già prima della legge precedente, intervenendo frattanto a disegnare
una disciplina interna che regolasse sul piano formale un
procedimento istruttorio fondato su esperimento di indagini; come
dimostra l'art.17 del Regolamento, approvato dalla Camera dei
deputati e dal Senato rispettivamente il 14 e 20 luglio 1961,
successivamente modificato dai due rami nel 1979.
Tutto ciò significa che l'eventuale abrogazione degli articoli
della l. n.170/1978, a seguito di esito affermativo del referendum,
non potrebbe in alcun modo paralizzare il funzionamento della
Commissione durante il tempo in cui il legislatore elaborasse altra
più completa disciplina, perché il Regolamento parlamentare sarebbe
di per sé sufficiente a consentire la funzionalità dell'Organo.
Questo non vuol dire, però, che il referendum richiesto risulti
inutile. Una volta che il legislatore ha rinnovato, fra le tante
possibili, un'altra scelta di più completa disciplina per il
funzionamento della Commissione, non può essere impedito ai
promotori di sottoporre anche questa al giudizio del popolo.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per
l'abrogazione dei primi otto articoli della l. 10 maggio 1978 n. 170
(Nuove norme sui procedimenti d'accusa di cui alla l. 25 gennaio 1962
n. 20), nei termini di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, in Camera di Consiglio, nella sede della
Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 1987.
Il Presidente: LA PERGOLA
Il Redattore: GALLO
Depositata in cancelleria il 3 febbraio 1987.
Il direttore della cancelleria: VITALE