Titolo
SENT. 237/84 A. RADIOTELEVISIONE E SERVIZI RADIOELETTRICI - IMPIANTI RICETRASMITTENTI - ESERCIZIO SENZA CONCESSIONE - SANZIONI PENALI - MANIFESTA INAMMISSIBILITA' DELLA QUESTIONE.
Testo
Sono manifestamente inammissibili - per difetto di motivazione sulla rilevanza - le questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 183, 195, 334, comma primo, n. 2 d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, i primi due nel testo sotitutito con l'art. 45 della legge 14 aprile 1975 n. 103, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 27, comma terzo, Cost., nella parte in cui prevedono la pena dell'ammenda e dell'arresto per chi esercita senza concessione un impianto radio-elettrico ricetrasmittente di debole potenza.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 27
co. 3
Riferimenti normativi
decreto del Presidente della Repubblica
29/03/1973
n. 156
art. 183
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
29/03/1973
n. 156
art. 195
co. 0
legge
14/04/1975
n. 103
art. 45
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
29/03/1973
n. 156
art. 334
co. 0
Titolo
SENT. 237/84 B. RADIOTELEVISIONE E SERVIZI RADIOELETTRICI - IMPIANTI DI TELECOMUNICAZIONI - ESERCIZIO SENZA CONCESSIONE O AUTORIZZAZIONE - SANZIONI - ASSERITA DISPARITA' RISPETTO ALLA LIBERTA' DI TRASMISSIONI RADIOTELEVISIVE IN AMBITO LOCALE - INFONDATEZZA DELLE QUESTIONI.
Testo
Posto che la sentenza della Corte dichiarativa dell'illegittimita' delle norme che non consentivano previa autorizzazione statale le attivita' di diffusione radiotelevisiva via etere in ambito locale, e' mancato l'intervento autorizzativo del legislatore nella materia 'de qua', il principio di eguaglianza non puo' essere invocato in senso inverso a quello naturale assumendo la situazione anomala di assoluta liberta' in cui si svolgono attualmente le trasmissioni via etere su scala locale esercitata dai privati come metro di legittimita' della regola generale (di cui alla normativa impugnata) che vuole l'installazione e l'esercizio degli impianti di telecomunicazione subordinati alla concessione o all'autorizzazione governativa. (Non fondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale, sollevate in riferimento all'art. 3, comma primo., Cost. degli artt. 183, 195 e 334, comma primo, n. 2, d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, i primi due nel testo sostituito dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103, dei medesimi artt. 183 e 195 d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156 nel testo sostituito con il citato art. 45 legge 103 del 1975, del medesimo art. 195 nel testo come sopra sostituito, nonche' dell'art. 184 del citato d.P.R. 156 del 1973 e dell'art. 195 del medesimo d.P.R. nel testo sostituito). - S. nn. 225/1974, 226/1974, 202/1976; 42/1977; 71/1979; 162/1981; 168/1982; 71/1983.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
co. 1
Riferimenti normativi
decreto del Presidente della Repubblica
29/03/1973
n. 156
art. 183
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
29/03/1973
n. 156
art. 184
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
29/03/1973
n. 156
art. 195
co. 0
legge
14/04/1975
n. 103
art. 45
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
29/03/1973
n. 156
art. 334
co. 1
Titolo
SENT. 237/84 C. RADIOTELEVISIONE E SERVIZI RADIOELETTRICI - PENA - FUNZIONE RIEDUCATIVA - INAMMISSIBILITA' DELLA QUESTIONE.
Testo
Sono inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale sollevate in riferimento all'art. 27, comma terzo, Cost., degli artt. 183, 195 e 334, comma primo n. 2 d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, i primi due nel testo sotituito con l'art. 45 legge n. 103 del 1975 e del medesimo art. 195 nel testo sostituito, nonche' dell'art. 184 dello stesso d.P.R. n. 156 del 1973, in quanto sfugge al controllo di legittimita' l'indagine sulla efficacia rieducativa della pena edittale, la cui determinazione e' rimessa alla valutazione discrezionale del legislatore. - S. nn. 22/1971 e 107/1980.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 27
co. 3
Riferimenti normativi
decreto del Presidente della Repubblica
29/03/1973
n. 156
art. 183
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
29/03/1973
n. 156
art. 195
co. 0
legge
14/04/1975
n. 103
art. 45
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
29/03/1973
n. 156
art. 334
co. 0
Titolo
SENT. 237/84 D. RADIOTELEVISIONE ED IMPIANTI RADIOELETTRICI - APPARECCHIO PORTATILE - IMPIANTO NON AUTORIZZABILE - SANZIONE PENALE - PRODUZIONE, IMPORTAZIONE, COMMERCIO E DETENZIONE DEGLI STESSI APPARECCHI - DEPENALIZZAZIONE - SANZIONE AMMINISTRATIVA - INAMMISSIBILITA' DELLA QUESTIONE.
Testo
E' inammissibile la questione di legittimita' costituzionale sollevata in riferimento all'art. 3, comma primo, Cost., dell'art. 195 d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156 nel testo sostituito con l'art. 45 legge 14 aprile 1975 n. 103 in quanto spetta al legislatore, nell'ambito della sue discrezionalita', configurare le ipotesi di reato determinando la pena per ciascuna di esse e depenalizzare fatti dianzi configurati come reato.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
co. 1
Riferimenti normativi
decreto del Presidente della Repubblica
29/03/1973
n. 156
art. 195
co. 0
legge
14/04/1975
n. 103
art. 45
co. 0
Titolo
SENT. 237/84 E. RADIOTELEVISIONE E SERVIZI RADIOELETTRICI - IMPIANTO RICETRASMITTENTE DI DEBOLE POTENZA - ESERCIZIO SENZA CONCESSIONE - PERQUISIZIONE DOMICILIARE IN SEGUITO A DENUNCIA - INAMMISSIBILITA' DELLA QUESTIONE.
Testo
E' inammissibile - per difetto di rilevanza - la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 183, 195 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156 nel testo sostituito con l'art. 45 della L. 14 aprile 1975 n. 103 sollevata in riferimento agli artt. 3, comma primo, 10 e 21 Cost.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
co. 1
Costituzione
art. 10
Costituzione
art. 21
Riferimenti normativi
decreto del Presidente della Repubblica
29/03/1973
n. 156
art. 1
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
29/03/1973
n. 156
art. 183
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
29/03/1973
n. 156
art. 195
co. 0
legge
14/04/1975
n. 103
art. 45
co. 0
Titolo
SENT. 237/84 F. RADIOTELEVISIONE E SERVIZI RADIOELETTRICI - APPARECCHI DI TIPO PORTATILE - REGIME DELLA CONCESSIONE (OD AUTORIZZAZIONE) - ASSERITA LESIONE DELLA LIBERA MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO - INAMMISSIBILITA' DELLA QUESTIONE.
Testo
E' inammissibile la questione di legittimita' costituzionale, sollevata in riferimento all'art. 21 Cost., degli artt. 184 e 195 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, il secondo nel testo sostituito con l'art. 45 legge 14 aprile 1975 n. 103 in quanto la pretesa lesione del diritto della libera manifestazione del pensiero e' profilo estraneo alla norma sanzionatoria, riferendosi alla norma precettiva come tale non impugnata.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 21
Riferimenti normativi
decreto del Presidente della Repubblica
29/03/1973
n. 156
art. 184
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
29/03/1973
n. 156
art. 195
co. 0
legge
14/04/1975
n. 103
art. 45
co. 0
N. 237
SENTENZA 13 LUGLIO 1984
Deposito in cancelleria: 30 luglio 1984.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 218 dell'8 agosto 1984.
Pres. DE STEFANO - Rel. MALAGUGINI
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. ANTONINO DE STEFANO, Presidente -
Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN -
Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO
ANDRIOLI - Prof. GIUSEPPE FERRARI - Dott. FRANCESCO SAJA - Prof.
GIOVANNI CONSO - Prof. ETTORE GALLO - Dott. ALDO CORASANITI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1,
183, 184, 195 e 334, primo comma, n. 2, del d.P.R. 29 marzo 1973, n.
156, (Codice postale e delle telecomunicazioni) modificati dall'art.
45 della legge 14 aprile 1975, n. 103 promossi con le ordinanze emesse
il 20 dicembre 1977 dal pretore di Firenze, il 30 novembre 1979 dal
pretore di Torino, il 29 marzo e 12 giugno 1980 dai pretori di
Putignano e Modena; il 14 gennaio 1981 dal pretore di Torino, l'11
marzo 1981 dal tribunale di Livorno, il 27 marzo e 15 maggio 1981 dal
pretore di Susa, il 5 ottobre 1981 dal pretore di Reggio Emilia (2
ordinanze) il 31 marzo 1982 dal pretore di Verona, il 3 novembre 1982
dal pretore di Saluzzo, il 1 dicembre 1982 dal pretore di Bologna, il
16 novembre 1982 dal pretore di Terralba e il 13 gennaio 1983 dal
pretore di Morbegno, iscritte rispettivamente al n. 262 del registro
ordinanze del 1978, ai nn. 76, 347, 838, del registro ordinanze 1980,
ai nn. 291, 358, 512, 698, 704, 705 del registro ordinanze 1981 e ai
nn. 460, 916 del registro ordinanze 1982 e ai nn. 33, 40 e 143 del
registro ordinanze 1983 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 222 del 1978, nn. 92 e 166 del 1980, nn. 56, 262, 248,
304 del 1981, nn. 33 e 344 del 1982, nn. 142, 149, 177 e 191 del 1983.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 10 gennaio 1984 il Giudice relatore
Alberto Malagugini;
Udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del
Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto:
1. - Nel corso di un procedimento penale a carico di Pieri Piero,
imputato del reato di cui all'art. 195 d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156,
come modificato dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103, per aver
attivato un impianto ripetitore dei programmi televisivi della RAI
nella Valle del Mugnone senza la prescritta autorizzazione
ministeriale, il pretore di Firenze, con ordinanza del 20 dicembre 1977
(r.o. 262/78), sollevava una questione di legittimità di tale norma
incriminatrice, assumendone il contrasto con l'art. 3 Cost.
Dopo aver rilevato che la legge n. 103 del 1975, sulla scorta dei
principi posti dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 225 del
1974, ha introdotto il regime della concessione per gli impianti di
diffusione radiotelevisiva via etere in ambito locale (c.d. radio
libere) e quello della autorizzazione per gli impianti ripetitori, e
che il primo regime è stato caducato per effetto della successiva
sentenza della Corte n. 202 del 1976, il pretore osservava che in tale
situazione risulta del tutto libera un'attività prima sottoposta a
regole più rigide, e per contro assoggettata ad obblighi (necessità
di preventiva autorizzazione, pagamento di tasse e canoni) penalmente
sanzionati un'attività analoga che sin dal primo esame era sembrata
non creare pericoli di monopolio od oligopolio.
La norma impugnata - strettamente collegata a quella parte della
stessa disposizione dichiarata incostituzionale ed anzi attinente ad un
sistema necessariamente unitario - contrasterebbe quindi, ad avviso
del pretore, col principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.. E
ciò in quanto, pur essendovi parità di condizioni oggettive
(esercizio di apparati radiotrasmittenti) e pur dovendo le due
situazioni, secondo un'autorevole interpretazione, essere assoggettate
ad un analogo regime di autorizzazione, esse subiscono invece un
trattamento differenziato senza che la disparità sia fondata su
presupposti logici ed obiettivi che ne giustifichino razionalmente
l'adozione.
2. - Della legittimità costituzionale degli artt. 1, 183 e 195
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, come modificati dall'art. 45 legge 14
aprile 1975, n. 103, dubitava altresì il Pretore di Putignano, con
ordinanza 29 marzo 1980 (r.o. 347/80) emessa pregiudizialmente alla
decisione su una richiesta della P.G. di perquisizione domiciliare,
tendente al sequestro di un apparecchio ricetrasmittente (C.B.) di
debole potenza usato senza concessione. Ad avviso del pretore dette
disposizioni contrasterebbero: a) con l'art. 3 Cost. per essere allo
stato "del tutto libere e esenti da tasse di concessione
l'installazione e l'esercizio di impianti di diffusione radiofonica e
televisiva di potenza assai maggiore"; b) con l'art. 21 Cost., in
quanto le norme impugnate sottopongono ad un regime di concessione
amministrativa il diritto di tutti i cittadini di "manifestare
liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro
mezzo di diffusione": c) con l'art. 10 della Convenzione internazionale
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva in
Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848 che sancisce la libertà di
espressione e di, "conseguenza", con l'art. 10 della Costituzione.
3. - Intervenendo nel giudizio instaurato con la prima delle
predette ordinanze, l'Avvocatura dello Stato rilevava innanzitutto che
la Corte, nel dichiarare - con la sentenza n. 202 del 1976 -
l'illegittimità costituzionale della disciplina che assoggettava le
attività di diffusione radiotelevisiva via etere in ambito locale al
regime concessorio anziché a quello autorizzatorio, aveva avvertito
che la caducazione del primo non avrebbe implicato l'automatica
applicazione (agli impianti già esistenti) del secondo. Essa avrebbe
invece "reso necessario l'intervento del legislatore per stabilire i
modi e le condizioni di attuazione, in attesa del quale, poiché il
regime di autorizzazione presuppone un vero e proprio diritto perfetto
del richiedente, sarebbero state "inapplicabili sanzioni penali
prevedute per ipotesi diverse anche se analoghe" (cfr. n. 5 sent.
cit.).
Finora l'auspicabile intervento del legislatore non si è
concretizzato, sicché allo stato, le attività ora dette godono di un
anomalo regime transitorio di libertà.
Questa precaria carenza di disciplina delle suddette attività,
già per la sua stessa contingente provvisorietà, non può però
riflettersi, ad avviso dell'Avvocatura, sulla persistente legittimità
della specifica disciplina che la legge del 1975 detta, in armonia con
la ricordata giurisprudenza costituzionale, per altre attività come
quelle inerenti agli impianti ripetitori; e neppure autorizza il
sospetto che la diversità di trattamento possa non essere
giustificata.
Già nelle sentenze nn. 225 e 226 del 1974 - con le quali erano
stati "liberalizzati", rispettivamente, i ripetitori di trasmissioni
estere ed il settore delle reti locali di trasmissione via cavo - la
Corte aveva sottolineato la legittimità (ed anzi l'opportunità)
dell'assoggettamento di tali attività ad un regime autorizzatorio, in
quanto interferenti col monopolio radiotelevisivo statale ed al fine di
coordinarle con questo e tra di loro, a salvaguardia di preminenti
interessi pubblici. Le stesse esigenze erano state poi ribadite nella
sentenza n. 202 del 1976.
Di qui, dunque, da un lato la legittimità dell'attuale disciplina
delle attività inerenti agli impianti di ripetizione - data la loro
incidenza sul limitato numero di bande assegnate all'Italia e la loro
interferenza con il servizio statale, con la c.d. libertà di antenna
nell'ambito locale e con il limite della localizzazione delle attività
private -; e dall'altro, la non ipotizzabilità di una irrazionale
disparità di trattamento per l'eventuale diverso regime di queste
attività rispetto ad altre, come quelle inerenti alle emittenti
private locali, diverse per le implicazioni tecniche e per quelle
giuridiche.
D'altra parte, se la ricordata giurisprudenza postulasse la
necessità di assoggettare le diverse attività ad analogo regime
autorizzatorio, ne discenderebbe non già l'ingiustificatezza della
disciplina cui sono assoggettati gli impianti ripetitori, per i quali
è appunto richiesta l'autorizzazione, bensì del regime transitorio di
libertà del quale provvisoriamente godono le emittenti private locali.
Quanto al contrasto tra un regime di autorizzazione e la libertà
di manifestazione del pensiero (artt. 21 Cost. e 10 Convenzione
Europea), sostenuto dal pretore di Putignano, esso è secondo
l'Avvocatura, smentito dalle sentenze della Corte già ricordate (nn.
225 e 226 del 1974, 202 del 1976), tutte concordi nel ritenere
necessaria una disciplina autorizzatoria.
4. - Nel corso di un procedimento penale a carico di Cavalli
Giancarlo - imputato del reato di cui agli artt. 183 e 195 d.P.R. 29
marzo 1973, n. 156, come modificato dall'art. 45 legge 14 aprile 1975,
n. 103, per aver installato ed utilizzato nella propria azienda, senza
la prescritta concessione, due apparecchi ricetrasmittenti di debole
potenza - il pretore di Torino sollevava in riferimento agli artt. 3 e
27 Cost., una questione di legittimità costituzionale delle predette
norme, nonché dell'art. 334, primo comma, n. 2 del citato d.P.R. n.
156 del 1973, "nella parte in cui prevedono la pena dell'ammenda e
dell'arresto per chi esercita senza concessione un impianto
radioelettrico ricetrasmittente di debole potenza di tipo portatile in
ausilio a servizi di impresa industriale, e non prevedono alcuna pena
per chi esercita privatamente, senza concessione od autorizzazione,
trasmissioni radio-televisive via etere in ambito locale" (r.o. 76/80).
Il pretore rilevava innanzitutto: che per i servizi radioelettrici,
disciplinati dal Titolo IV della legge 29 marzo 1973 n. 156, vige, in
generale e per la totalità dei casi, il principio del "regime
vincolato"; che, in particolare, sono esercitate in regime di
concessione (art. 183) le trasmissioni e comunicazioni via etere a
mezzo di ricetrasmittenti, anche quando si tratti di apparecchi
radioelettrici di debole potenza (art. 334) installati in ausilio a
servizi di imprese industriali (comma primo, n. 2 del medesimo
articolo); che in mancanza di concessione l'art. 195 d.P.R. cit.
commina la pena dell'arresto da 3 a 6 mesi e dell'ammenda da L.
200.000 a 2.000.000. Tale regime è, ad avviso del pretore, del tutto
ingiusticato ove lo si raffronti con quello relativo alle trasmissioni
via etere su scala locale che, a seguito della sentenza n. 202 del 1976
della Corte Costituzionale, sono esercitate di fatto dai privati senza
alcuna concessione o autorizzazione, in regime di totale carenza
legislativa (e quindi anche di sanzione penale): e ciò, nonostante che
si tratti di attività di eccezionale importanza che coinvolge
interessi economici e sociali rilevanti, rispetto alla quale le
trasmissioni radioelettriche con apparecchi portatili di debole potenza
sono certamente un minus. Né potrebbe obiettarsi che tale vuoto
legislativo non è stato voluto dalla Corte, che ha anzi postulato la
necessità di disciplinare la materia: in attesa di questa si è
comunque venuta oggettivamente a creare - nell'ambito di una stessa
fattispecie tecnico-giuridica di trasmissione via etere - una
disparità di trattamento tra un'attività meno grave e una più grave,
che può essere eliminata solo rendendo non sanzionabile la fattispecie
meno grave.
Tale normativa sarebbe inoltre in contrasto con il principio di cui
all'art. 27, terzo comma, Cost. (finalità rieducativa della pena) in
quanto - ad avviso del pretore - "colui che si vede condannato per un
fatto meno grave di quello commesso da altri (di eguale natura, ma di
maggiore rilevanza), che rimane impunito perché considerato lecito dal
legislatore, sente una ingiustizia di fondo che toglie alla pena ogni
possibilità di emendarlo".
5. - Nel corso di procedimenti penali relativi all'esercizio senza
autorizzazione di impianti radioelettrici ricetrasmittenti di debole
potenza, numerosi altri giudici sollevavano questioni di legittimità
costituzionale delle sopra richiamate disposizioni cui agli artt. 183,
195 e 334, primo comma n. 2 del d.P.R. n. 156/1973 (le prime due nel
testo modificato con l'art. 45 legge n. 103/1975).
Nelle relative ordinanze venivano svolte considerazioni analoghe a
quelle enunciate dal pretore di Torino nell'ordinanza 30 dicembre
1979. L'impugnativa era riferita talora al solo art. 3, talaltra anche
all'art. 27, terzo comma, Cost.. In particolare deducevano la
violazione del solo art. 3 Cost.: il pretore di Susa con due ordinanze
del 27 marzo e 15 maggio 1981 (r.o. 512 e 698/81); il pretore di
Saluzzo con ordinanza del 3 novembre 1982 (r.o. 916/82); il pretore di
Morbegno con ordinanza del 13 gennaio 1983 (r.o. 143/83).
Lamentavano, invece, anche la violazione dell'art. 27, terzo comma
Cost.: il pretore di Modena con ordinanza del 12 giugno 1980 (r.o.
838/80); il tribunale di Livorno con ordinanza dell'11 marzo 1981 (r.o.
358/81); il pretore di Reggio Emilia con due ordinanze del 5 ottobre
1981 (r.o. 704 e 705/81); il pretore di Terralba con ordinanza del 16
novembre 1982 (r.o. 40/83); il pretore di Torino con ordinanza del 14
gennaio 1981 (r.o. 291/81). Va precisato che in quest'ultima ordinanza
venivano censurati gli artt. 184 e 195 d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156,
modificati dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103, dei quali si
assumeva altresì il contrasto con l'art. 21 Cost., peraltro col solo
rilievo che la normativa in oggetto impedirebbe la libera
manifestazione del pensiero.
Le ordinanze del Tribunale di Livorno e dei pretori di Reggio
Emilia, Verona e Morbegno erano motivate con un semplice richiamo (per
relationem) a quella in data 30 novembre 1979 del pretore di Torino, o
ad altre analoghe.
6. - L'Avvocatura dello Stato è intervenuta con memorie di tenore
sostanzialmente analogo nei giudizi instaurati con le ordinanze nn. 78
e 347/80, 291, 512, 698 e 705/81, 460 e 916/82, 40/83. In tali
memorie, essa ripeteva i rilievi già svolti in ordine sia alla
necessità di sottoporre a regime autorizzatorio le stazioni di
radiotelediffusione via etere di portata locale, sia
all'inapplicabilità a tali ipotesi, nell'attuale situazione di carenza
di disciplina, delle sanzioni penali previste per ipotesi diverse anche
se analoghe. Rilevava peraltro che proprio la riconosciuta esigenza
dell'autorizzazione statale impedisce che tale situazione possa essere
assunta come parametro al quale rapportare situazioni simili onde
verificarne la conformità al principio di uguaglianza. All'uopo
potrebbe invece valere la disciplina prevista per i ripetitori di
programmi esteri e per le reti via cavo a raggio locale dalle stesse
norme impugnate, che - applicando i principi fissati nelle sentenze
della Corte nn. 225 e 226 del 1974 - sanzionano penalmente l'esercizio
senza autorizzazione di tali attività.
D'altra parte, le esigenze di garanzia del pluralismo
dell'informazione ed, in genere, della libertà di manifestazione del
pensiero, poste a base della sentenza n. 202/76, non possono valere per
le residue ipotesi tuttora previste dal citato art. 195, che riguardano
collegamenti diretti tra determinati apparecchi o stazioni trasmittenti
e riceventi e non trasmissioni destinate ad un pubblico indeterminato:
il che fa escludere che si tratti di una medesima fattispecie
tecnico-giuridica.
Riguardo alla questione posta in riferimento all'art. 27, terzo
comma, Cost., l'Avvocatura osservava che "il fine della rieducazione
del condannato può essere pregiudicato dai presupposti, modi e tempi
della detenzione, non dalla considerazione di temporanei vuoti di
regolamentazione normativa".
7. - Nel corso di un procedimento penale a carico di Norelli
Giuseppe ed altri, il pretore di Bologna rilevava che, in base alle
risultanze degli atti, l'utilizzazione degli apparecchi radioelettrici
(radiotelefoni) detenuti dagli imputati non poteva essere autorizzata
essendo essi tutti tarati su frequenze già assegnate a terzi
(Ministeri dell'Interno e della Difesa), e che peraltro, la normativa
vigente non considera penalmente illecita l'importazione, la
produzione, la detenzione ed il commercio degli stessi apparecchi
(artt. 320, 398, 399, 402 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 e art. 1
legge 22 maggio 1980, n. 209), anche quando si tratta di apparecchi non
omologabili, non commerciabili, e non utilizzabili per le
caratteristiche relative alle frequenze.
Ritenendo tale differenza di trattamento sanzionatorio non
rispondente a criteri di ragionevolezza, il pretore, con ordinanza
dell'1 dicembre 1982 (r.o. 33/83), dichiarava "rilevante e non
manifestamente infondata, con riferimento all'art. 3 della
Costituzione, la questione di illegittimità costituzionale dell'art.
195 d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, modificato dall'art. 45 legge 14
aprile 1975, n. 103, nella parte in cui prevede la pena dell'arresto e
dell'ammenda per chi esercita senza autorizzazione un impianto
radioelettrico ricetrasmittente di tipo portatile, per il quale non è
possibile alcuna autorizzazione a causa delle sue caratteristiche, e
non prevede alcuna pena per chi produce, importa, commercia e detiene
analoghi apparecchi".
8. - Intervenendo nel giudizio così instaurato, l'Avvocatura dello
Stato osservava che il divieto di costruire, usare ed esercitare
apparecchi radioelettrici che producano emissioni su frequenze o con
potenze diverse da quelle ammesse per il servizio cui sono destinati
era originariamente munito di sanzione penale (ammenda: artt. 399-402
d.P.R. n. 156/1973), e che questa era stata trasformata in sanzione
amministrativa per effetto della legge 24 dicembre 1975, n. 706 (sulla
depenalizzazione dei reati minori), mantenendo poi tale natura sia con
le modifiche ed integrazioni apportate ai suddetti articoli con la
legge 22 maggio 1980 n. 209, sia con la nuova legge di depenalizzazione
n. 689/81 (art. 32).
Ciò premesso, l'Avvocatura rilevava che rispetto a tale normativa,
finalizzata alla tutela dei principi sull'omologazione delle
apparecchiature, è indifferente che l'esercizio dell'apparecchio
radioelettrico sia stato o meno autorizzato, così come è
indifferente, ai fini dell'integrazione della contravvenzione di cui
all'art. 195 cod. postale, che gli apparecchi radioelettrici
utilizzati siano o meno conformi alle speciali prescrizioni dettate per
la prevenzione e la eliminazione dei disturbi alle radiocomunicazioni
(v. in tal senso, sent. n. 47 del 1979).
Trattandosi perciò di precetti aventi contenuto e finalità
diverse, il prevedere per l'uno la sanzione penale e per l'altro la
sanzione amministrativa rientra - ad avviso dell'Avvocatura -
nell'ambito di discrezionalità del legislatore; e la questione
dovrebbe quindi essere dichiarata "inammissibile o comunque infondata".
9. - Le ordinanze di rimessione indicate nei precedenti punti,
tutte ritualmente notificate e comunicate, venivano pubblicate,
rispettivamente, nella Gazzetta Ufficiale nn. 222 del 9 agosto 1978
(r.o. 262/78), 92 del 2 aprile 1980 (r.o. 76/80), 166 del 18 giugno
1980 (r.o. 347/80), 56 del 25 febbraio 1981 (r.o. 838/80), 262 del 23
settembre 1981 (r.o. 291/81), 248 del 9 settembre 1981 (r.o. 358/81),
304 del 4 novembre 1981 (r.o. 512/81), 33 del 3 febbraio 1982 (r.o.
698, 704, 705/81), 344 del 15 dicembre 1982 (r.o. 460/82), 142 del 25
maggio 1983 (r.o. 916/82), 149 dell'1 giugno 1983 (r.o. 33/83), 177 del
29 giugno 1983 (r.o. 40/83), 191 del 13 luglio 1983 (r.o. 143/83).
Considerato in diritto:
1. - Le quindici ordinanze di rimessione propongono questioni
identiche od analoghe. I relativi giudizi possono, quindi, essere
riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - Preliminarmente va osservato che il tribunale di Livorno (r.o.
358/81) ed il pretore di Reggio Emilia (r.o. nn. 704 e 705 del 1981)
sollevano entrambi "questione di legittimità costituzionale degli
artt. 183, 195, 334, primo comma n. 2, del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156
e successive modificazioni nella parte in cui prevede la pena
dell'ammenda e dell'arresto per chi esercita senza concessione un
impianto radio-elettrico ricetrasmittente di debole potenza, in
riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione".
Nelle tre ordinanze qui considerate manca, peraltro, qualsiasi
motivazione in punto di rilevanza ed il benché minimo accenno alle
fattispecie dedotte nei rispettivi giudizi, così che non è
verificabile la pregiudizialità della questione sollevata. Per
quanto, poi, attiene alla non manifesta infondatezza della questione
stessa, i giudici a quibus si limitano a scrivere che ritengono di
"condividere pienamente le motivazioni di cui all'ordinanza 30 novembre
1979 del pretore di Torino da ritenersi (qui) integralmente riprodotta
(G. U. n. 92 in data 2 aprile 1980)".
Tali essendo le risultanze processuali, in conformità alla
costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. da ultimo, le ordinanze
nn. 61, 64, 76, 98 e 113 del 1984), deve dichiararsi la manifesta
inammissibilità delle questioni proposte dal tribunale di Livorno
(r.o. n. 358/1981) e dal pretore di Reggio Emilia (r.o. n. 704 e n.
705 del 1981).
3. - All'esame delle questioni sollevate con le restanti dodici
ordinanze di rimessione, giova premettere una sommaria ricognizione
della normativa vigente in materia, quale risultante anche per effetto
delle sentenze di questa Corte.
Il testo unico delle disposizioni legislative in materia postale di
bancoposta e di telecomunicazioni approvato con d.P.R. 29 marzo 1973,
n. 156, all'art. 1 riservava in esclusiva allo Stato, nei limiti
previsti da quel testo, per quanto qui interessa "i servizi di
telecomunicazioni".
I successivi artt. 183, 184 e 195, compresi nel libro IV (Dei
servizi di telecomunicazioni) titolo I (parte generale) capo I
(disposizioni di carattere generale) e capo II (norme comuni alla
concessione ad uso pubblico e ad uso privato) disciplinavano
l'"Esecuzione ed esercizio di impianti di telecomunicazioni -
Esclusività - Eccezioni - Assegnazione di radiofrequenze" (art. 183),
gli "Impianti di telecomunicazioni delle amministrazioni dello Stato e
di esercenti di mezzi adibiti al pubblico servizio di trasporto di
persone o cose" (art. 184) nonché l'"Impianto ed esercizio di
telecomunicazioni senza concessione - Sanzione "(art. 185). Infine
l'art. 334, compreso nel titolo IV ("Dei servizi radioelettrici") capo
II ("Concessione di stazioni radioelettriche ad uso privato") Sezione
IV ("Concessione di stazioni radioelettriche di debole potenza"),
disciplina la "Riserva di frequenze, impieghi consentiti".
Con le sentenze n. 225 e n. 226 del 1974 questa Corte ha dichiarato
la illegittimità costituzionale degli artt. 1, 183 e 195 del succitato
T. U. del 1973 "nella parte relativa ai servizi di radiotelediffusione
circolare a mezzo di onde elettromagnetiche", nonché, "nelle parti
relative ai servizi di televisione via cavo".
In ossequio, alle predette pronunzie, l'art. 45 della legge 14
aprile 1975, n. 103 ha sostituito gli artt. 1, 183 e 195 del citato
testo unico.
È sopravvenuta, infine, la sentenza n. 202 del 1976 con la quale
questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt.
1, 2 e 45 della legge 14 aprile 1975 n. 103 (nuove norme in materia di
diffusione radiofonica e televisiva) "nella parte in cui non sono
consentiti, previa autorizzazione statale e nei sensi di cui in
motivazione, l'installazione e l'esercizio di impianti di diffusione
radiofonica e televisiva via etere di portata non eccedente l'ambito
locale". Con la medesima sentenza la Corte, a norma dell'art. 27 della
legge 11 marzo 1953 n. 87, ha dichiarato altresì "l'illegittimità
costituzionale dell'art. 14 della citata legge n. 103 del 1975 nella
parte in cui prevede la possibilità che mediante le realizzazioni di
impianti da parte della società concessionaria siano esaurite le
disponibilità consentite dalle frequenze assegnate all'Italia dagli
accordi internazionali per i servizi di radiodiffusione".
Quest'ultima sentenza ha, dunque, riconosciuto il diritto di
iniziativa privata per l'installazione e l'esercizio di impianti per le
trasmissioni via etere di programmi radiofonici e televisivi su scala
locale. Nel riconoscere un tale diritto, questa Corte, ha però
affermato anche "la necessità dell'intervento del legislatore
nazionale perché stabilisca l'organo dell'amministrazione centrale
dello Stato competente a provvedere all'assegnazione delle frequenze ed
all'effettuazione dei conseguenti controlli e fissi le condizioni che
consentano l'autorizzazione all'esercizio di tale diritto in modo che
questo si armonizzi e non contrasti con il preminente interesse
generale (di cui sopra) e si svolga sempre nel rigoroso rispetto dei
doveri ed obblighi anche internazionali, conformi a Costituzione".
Tale esplicito invito al legislatore, perché intervenisse nella
materia de qua, adeguandosi ad una serie di indicazioni specifiche
(intervento presupposto anche nel dispositivo della sentenza) è
rimasto, però, sin qui inascoltato.
Riassumendo e parafrasando quanto esattamente rilevato dal pretore
di Torino (r.o. n. 86/1980) il d.P.R. n. 156 del 1973 e la legge n.
103 del 1975 regolano la materia delle trasmissioni radiofoniche e
televisive in regime o di monopolio o di concessione o di
autorizzazione, mentre per quanto riguarda i servizi radioelettrici di
telecomunicazioni vige il principio del "regime vincolato". Per le
trasmissioni via etere a mezzo di ricetrasmittenti (anche quando si
tratti di apparecchi di debole potenza installati in ausilio a servizi
di imprese industriali, commerciali, artigiane ed agrarie (art. 334 n.
2 del T. U.) occorre cioè la concessione governativa (art. 322 del T.
U.).
Dalla normativa qui considerata emerge, dunque, una regola
generale, in forza della quale l'installazione, lo stabilimento e
l'esercizio di impianti di telecomunicazioni sono subordinati al previo
ottenimento dell'autorizzazione o della concessione governativa, mentre
la trasmissione via etere su scala locale, esercitata dai privati, per
effetto della citata sent. n. 202 del 1976, è assolutamente libera
nel senso che si svolge, "in regime di totale carenza legislativa".
Si è determinata in tal modo la situazione indubbiamente anomala e
squilibrata, dalla quale prendono le mosse la maggior parte dei giudici
rimettenti.
4. - Comune alle dodici ordinanze, qui considerate è la questione
di legittimità costituzionale dell'art. 195 del d.P.R n. 156 del 1973,
nel testo sostituito dall'art. 45 della legge n. 103 del 1975.
Al proposito occorre rilevare che, pure quando nelle denunzie dei
giudici a quibus vengono formalmente coinvolti anche altri disposti del
T. U. del 1973, (con le modificazioni introdotte nel 1975) ed in
particolare gli artt. 183 e 334, primo comma n. 2, il dubbio di
costituzionalità riguarda sempre ed esclusivamente il trattamento
sanzionatorio dettato dal legislatore per le ipotesi contravvenzionali
di cui al predetto art. 195, senza porre in discussione i relativi
precetti. Ciò è vero, non solo e, ovviamente, per l'ordinanza del
pretore di Firenze (r.o. n. 262 del 1978) che censura il solo art. 195
del d.P.R. 156 del 1973, nel testo modificato, ma anche per le restanti
ordinanze.
Così il pretore di Torino (ord. n. 76 del 1980) denunzia "gli
artt. 183, 195, 334, primo comma n. 2 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156,
modificato dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103" ma soltanto
"nella parte in cui prevedono la pena dell'ammenda e dell'arresto per
chi esercita senza concessione un impianto radioelettrico
ricetrasmittente di debole potenza di tipo portatile in ausilio a
servizi di impresa industriale e non prescrivono alcuna pena per chi
esercita privatamente senza concessione o autorizzazione, trasmissioni
radiotelevisive via etere in ambito locale".
Il pretore di Modena, a sua volta, (ord. n. 838 del 1980) dubita
della legittimità costituzionale degli artt. 183, 195, 334 d.P.R. 29
marzo 1973 n. 156, modificato dall'art. 45 legge 14 aprile 1975 n. 103,
nella parte in cui prevedono la pena dell'ammenda e dell'arresto per
chi esercita senza concessione un impianto radio- elettrico di debole
potenza in ausilio delle attività professionali sanitarie, e non
prevedono alcuna pena per chi esercita senza concessione o
autorizzazione trasmissioni radiotelevisive via etere, in ambito
locale. In termini anche letteralmente identici la questione è posta
dal pretore di Torino (reg. ord. n. 291 del 1981, in riferimento ad un
impianto radioelettrico ricetrasmittente di tipo portatile), dal
pretore di Susa (r.o. n. 512 e n. 698 del 1981, in riferimento ad un
impianto radioelettrico di debole potenza in ausilio ad attività
sportive), dal pretore di Saluzzo (r.o. n. 916 del 1982 in riferimento
ad un impianto radioelettrico ricetrasmittente di debole potenza) e dal
pretore di Terralba (r.o. n. 40 del 1983 in relazione ad un impianto
radioelettrico ricetrasmittente di debole potenza in ausilio a servizi
di imprese industriali e agrarie).
Sostanzialmente uguali, infine, sono le prospettazioni del pretore
di Verona (r.o. n. 460 del 1982) e del pretore di Morbegno (r.o. n.
143 del 1983) che del resto fanno riferimento tra le altre alle
succitate ordinanze del pretore di Susa e del pretore di Torino.
5. - La questione da decidere (salve le precisazioni seguenti in
questo stesso paragrafo) è essenzialmente quella avente ad oggetto
l'art. 195 del T. U. del 1973, nel testo novellato.
La norma così denunziata punisce (con la sola pena dell'ammenda se
il fatto non si riferisce ad impianti radioelettrici; con la pena
dell'arresto e dell'ammenda se il fatto si riferisce ad impianti
radioelettrici o televisivi via cavo) "chiunque installa, stabilisce od
esercita impianto di telecomunicazione senza aver prima ottenuto la
relativa concessione o l'autorizzazione" (di cui al secondo comma
dell'art. 184 stesso T. U. e richiesta anche per gli impianti
ripetitori via etere di programmi sonori e televisivi esteri o
nazionali).
Il dubbio di costituzionalità nasce dal confronto che i giudici a
quibus istituiscono tra la situazione qui sopra descritta e quella di
chi "senza concessione o autorizzazione" "esercita privatamente"
"trasmissioni radiotelevisive via etere in ambito locale".
Così posta, la questione è chiaramente infondata. Ciò non tanto
in base al rilievo che potrebbe essere giudicato formale per cui la
fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 195 in esame presuppone
l'obbligo del preventivo ottenimento della concessione o della licenza
per l'esercizio delle attività ivi considerate, mentre un tale obbligo
allo stato non sussiste nelle situazioni poste a confronto, per le
quali quindi è del tutto gratuito parlare di esercizio senza
concessione o autorizzazione. L'infondatezza della questione nasce dal
più sostanziale rilievo che il principio di uguaglianza viene invocato
dai giudici a quibus in senso inverso a quello naturale, assumendo la
situazione anomala (e, ci si augura, temporanea) determinata
dall'inerzia del legislatore dopo la sentenza n. 202 del 1976 di questa
Corte come metro di legittimità della regola generale, di cui alla
normativa denunziata, che vuole l'installazione e l'esercizio degli
impianti di telecomunicazioni subordinati alla concessione o
all'autorizzazione governativa.
Ciò tanto più quando, proprio con la sentenza n. 202 del 1976 la
Corte, lungi dal prospettare una deroga alla predetta regola generale
per l'installazione e l'esercizio di impianti per le trasmissioni
radiotelevisive via etere in ambito locale da parte dei privati, ha,
per quanto di sua competenza, riaffermato l'esigenza di una "previa
autorizzazione statale".
Vero è, del resto, che con la normativa della quale si discute, il
legislatore ha perseguito il fine, più che legittimo, doveroso per lo
Stato democratico, di garantire la funzionalità di servizi essenziali
per la vita del Paese, di impedire il disordine e la sopraffazione nel
campo considerato e di assicurare le condizioni per il rispetto del
principio di uguaglianza.
La questione, dunque, sollevata dai giudici a quibus nei termini
sopra puntualizzati, deve dichiararsi infondata, in coerenza con gli
orientamenti ripetutamente espressi da questa Corte (cfr. sentt. nn. 42
del 1977; 71 del 1979; 162 del 1981; 168 del 1982 e 71 del 1983).
Per concludere sul punto, è bene aggiungere che le argomentazioni
sin qui svolte e la conclusione raggiunta non cambierebbero quand'anche
si dovesse ritenere che i giudici a quibus (con l'eccezione del pretore
di Firenze) abbiano inteso coinvolgere negli incidenti di
costituzionalità non le sole disposizioni sanzionatorie, ma l'intera,
sebbene "incompleta" fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 195
del T.U. del 1973, nel testo novellato, integrandone il precetto con i
disposti di altri articoli del T. U. medesimo.
Ciò perché, anche in siffatta ipotesi non muterebbero i termini e
la caratteristica del confronto istituito dai giudici medesimi per
dedurne la violazione del principio di eguaglianza.
6. - Il pretore di Torino (r.o. nn. 76/80 e 291/81) il pretore di
Modena (r.o. n. 838/80) e il pretore di Terralba (r.o. n. 40/83)
denunziano la disposizione di legge sopra esaminata anche in
riferimento all'art. 27, terzo comma, Cost.
Secondo i giudici a quibus, "colui che si vede condannato per un
fatto meno grave di quello commesso da altri (di uguale natura, ma di
maggiore rilevanza) che rimane impunito perché considerato lecito dal
legislatore, sente una ingiustizia di fondo che toglie alla pena ogni
possibilità di emendarlo" (ord. 76/80 del pretore di Torino, cui sono
sostanzialmente conformi le motivazioni delle altre tre ordinanze in
esame).
Ancora una volta, presupposto della censura è la comparazione
delle due situazioni delle quali si è sin qui discorso.
La questione così proposta è però inammissibile perché
l'invocato art. 27, terzo comma, Cost. "si riferisce propriamente alla
esecuzione della pena in senso stretto" (sent. n. 167/73; cfr. anche
sent. n. 104 del 1982), mentre sfugge al controllo di legittimità
l'indagine sulla efficacia rieducativa della pena edittale, la cui
determinazione è rimessa alla valutazione discrezionale del
legislatore (cfr. sent. n. 22 del 1971 e n. 107 del 1980).
7. - Il Pretore di Bologna (r.o. n. 33/1983) dubita anche egli
della legittimità costituzionale dell'art. 195 del T. U. del 1973, nel
testo novellato, in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost..
Diversamente da quanto dedotto nelle ordinanze più sopra esaminate
(nn. 4 e 5) il giudice a quo lamenta la disparità di trattamento, a
suo avviso ingiustificato, tra la situazione di chi installa ed
esercita senza autorizzazione - quando l'autorizzazione non sia
concedibile a causa delle caratteristiche dell'impianto - un
apparecchio radioelettrico ricetrasmittente di tipo portatile, che per
questo fatto è punito con pena pecuniaria e detentiva, da un lato, e
la situazione di chi produce, importa, commercia e detiene gli stessi
apparecchi ed è per questo soggetto a sanzione amministrativa,
dall'altro.
Come giustamente eccepisce l'Avvocatura dello Stato, anche questa
questione è inammissibile.
Invero, il fatto della produzione, dell'importazione, del commercio
e della detenzione degli apparecchi in esame "non utilizzabili per le
caratteristiche relative alla frequenza" (come rileva il giudice a quo)
era punito con l'ammenda, ai sensi dell'art. 402, in relazione all'art.
399 del T. U. del 1973. La fattispecie contravvenzionale è stata
depenalizzata con la legge 24 dicembre 1975 n. 706, modificata ed
integrata con la legge 22 maggio 1980 n. 209.
Le due situazioni a confronto derivano, quindi, da scelte
discrezionali del legislatore al quale soltanto spetta di configurare
le ipotesi di reato, determinando la pena per ciascuna di esse, e di
depenalizzare fatti dianzi configurati come reato.
Scelte di politica criminale quali quelle in questione non sono
sindacabili da questa Corte, quando rispondono a valutazioni non
eccedenti i limiti della ragionevolezza, che non sono certamente stati
superati nelle ipotesi considerate.
La questione sollevata dal pretore di Bologna deve pertanto
dichiararsi inammissibile.
8. - Il pretore di Putignano (r.o. 347 del 1980) solleva questione
di legittimità costituzionale degli artt. 1, 183 e 195 del T. U. del
1973, nel testo novellato, in riferimento, oltre che all'art. 3, primo
comma, nei termini più sopra riferiti, anche agli artt. 21 e 10 Cost.
La questione viene sollevata dal giudice a quo, a seguito della
richiesta di perquisizione domiciliare avanzata dalla Direzione
compartimentale PP.TT. di Bari nei confronti di un soggetto indicato
quale responsabile del reato di cui ai citati artt. 1, 183 e 195 del T.
U. del 1973, "per aver usato un impianto ricetrasmittente di debole
potenza senza la prescritta concessione" governativa: richiesta che,
come risulta dagli atti, traeva origine da una denuncia anonima
relativa a molestie che sarebbero state commesse con l'utilizzazione di
tale impianto.
L'incidente di costituzionalità è stato proposto dal pretore di
Putignano sulla base soltanto della citata richiesta della Direzione
compartimentale PP.TT. di Bari, prima ancora di aver inviato
all'indiziato comunicazione giudiziaria per una specifica ipotesi di
reato e prima di aver compiuto una qualsiasi, sia pure sommaria,
indagine.
Può allora dubitarsi che la questione sia stata sollevata nel
corso di un giudizio, come esige l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n.
87, ma anche a negare fondatezza ad un tale dubbio, si deve riconoscere
che la questione medesima è irrilevante.
Invero, dal "sistema normativo risultante dall'art. 1 della legge
costituzionale n. 1 del 1948 e dall'art. 23 della legge n. 87 del 1953
si deduce che la pregiudizialità necessaria della questione di
costituzionalità rispetto alla decisione del giudizio a quo va intesa
considerando tale decisione come conclusiva di un itinerario logico,
ciascuno dei cui passaggi necessari può dar luogo ad un incidente di
costituzionalità, ogniqualvolta il giudice dubita della legittimità
costituzionale delle disposizioni normative che, in quel momento, è
chiamato ad applicare per la prosecuzione e/o la definizione del
giudizio" (sent. n. 53 del 1982).
L'osservanza dei riferiti criteri porta a ritenere che la semplice
denunzia di un fatto di reato, rende meramente eventuale, soltanto
possibile, l'applicazione della norma incriminatrice, i cui
indispensabili presupposti devono ancora essere verificati.
L'incidente di costituzionalità è stato, dunque, proposto
intempestivamente dal giudice a quo che, in quel momento, non era
chiamato ad applicare la norma denunziata bensì a compiere atti di
istruzione probatoria, in applicazione di norme del codice processuale
penale. Ne consegue che le questioni proposte dal pretore di Putignano
vanno dichiarate inammissibili.
9. - Per finire, il pretore di Torino (r.o. n. 291 del 1981)
solleva questione di legittimità costituzionale degli artt. 184 e 195
del T. U. del 1973, nel testo novellato, oltre che in riferimento agli
artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma (del che ci si è occupati sub
5 e sub 6), anche in riferimento all'art. 21 Cost.
Peraltro la denunzia, formulata nei termini sopra descritti sub 4,
investe, per come si è detto, la norma sanzionatoria e non anche la
norma precettiva.
Ne consegue la inammissibilità della questione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
- dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 183, 195 e 334, primo comma, n.
2 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, i primi due nel testo sostituito
con l'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103 sollevate in
riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. dal tribunale di
Livorno (ord. n. 358 del 1981) e dal pretore di Reggio Emilia (ordd.
nn. 704 e 705 del 1981);
- dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
- tutte proposte in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost. -: a)
degli artt. 183, 195 e 334, primo comma, n. 2 del d.P.R. 29 marzo 1973,
n. 156 - i primi due nel testo sostituito con l'art. 45 della legge 14
aprile 1975, n. 103 - sollevate dai pretori di Torino (ord. n. 74 del
1980), di Modena (ord. n. 838 del 1980), di Susa (ord. n. 698 del
1981), di Verona (ord. n. 460 del 1982), di Saluzzo (ord. n. 916 del
1982), di Terralba (ord. n. 40 del 1983) e di Morbegno (ord. n. 143 del
1983); b) dei medesimi artt. 183 e 195 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156,
nel testo sostituito con il citato art. 45 legge n. 103/75, sollevata
dal pretore di Susa (ord. n. 512 del 1981); c) del medesimo art. 195,
nel testo come sopra sostituito, nonché dell'art. 184 del citato
d.P.R. n. 156 del 1973, sollevata dal pretore di Torino (ord. n. 291
del 1981); d) dell'art. 195 del medesimo d.P.R., nel testo sostituito,
sollevata dal pretore di Firenze (ord. n. 262 del 1978);
- dichiara l'inammissibilità delle questioni di legittimità
costituzionale - tutte proposte in riferimento all'art. 27, terzo
comma, Cost. -: a) degli artt. 183, 195 e 334, primo comma, n. 2 del
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, i primi due nel testo sostituito con il
citato art. 45 legge n. 103 del 1975, sollevate dai pretori di Torino
(ord. n. 76 del 1980), di Modena (ord. n. 838 del 1980) e di Terralba
(ord. n. 40 del 1983); b) del medesimo art. 195, nel testo sostituito,
nonché dell'art. 184 dello stesso d.P.R. n. 156 del 1973 sollevata dal
pretore di Torino (ord. n. 291 del 1981);
- dichiara l'inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale dell'art. 195 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, nel
testo sostituito con l'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103,
sollevata in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost. dal pretore di
Bologna (ord. n. 33 del 1983);
- dichiara l'inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale degli artt. 1, 183 e 195 del d.P.R. 29 marzo 1973, n.
156, tutti nel testo sostituito con l'art. 45 della legge 14 aprile
1975, n. 103, sollevata in riferimento agli artt. 3, primo comma, 10 e
21 Cost. dal pretore di Putignano (ord. n. 347 del 1980);
- dichiara l'inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale degli artt. 184 e 195 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 -
il secondo nel testo sostituito con l'art. 45 della legge 14 aprile
1975, n. 103 - sollevata in riferimento all'art. 21 Cost. dal pretore
di Torino (ord. n. 291 del 1981).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 luglio 1984.
F.to: ANTONINO DE STEFANO - GUGLIELMO
ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO
MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO
MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA -
VIRGILIO ANDRIOLI - GIUSEPPE FERRARI
- FRANCESCO SAJA - GIOVANNI CONSO -
ETTORE GALLO - ALDO CORASANITI.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere