“La Corte custode attenta della Costituzione. Ma la Costituzione non appartiene ai custodi. È di tutti.”

Intervista al Presidente Augusto Antonio Barbera

Presidente Barbera, la Corte è composta da quindici giudici che devono, per necessità, parlare con una sola voce. Le decisioni prese in camera di consiglio con un alto spirito di condivisione aggiungono valore all’autorevolezza del Collegio?

“Divenuto giudice costituzionale, sono rimasto colpito dalla intensità con la quale la collegialità permea la vita della Corte, al punto che non vi è aspetto di una decisione che non sia oggetto di confronto meditato tra ciascuno di noi, fino a toccare nella consueta camera di consiglio del lunedì le più minute espressioni lessicali; financo le virgole! Ogni nostra pronuncia, allora, si può dire assunta all’unanimità. Non, ovviamente, nel senso che venga condivisa da tutti: sarebbe ingenuo credere che le questioni di costituzionalità contengano in sé una sola e unica soluzione. Ma la stesura di una pronuncia costituzionale, e la sua successiva lettura e approvazione, rifugge da ogni logica di esclusione; le maggioranze nel Collegio si formano e si disfano di volta in volta senza pregiudizi di sorta; senza, è ovvio, nessun pregiudizio politico.”

La decisione del Collegio di non riportare più il nome e il cognome del relatore o della relatrice, nei comunicati stampa della Corte che illustrano le sentenze, va letta come una spinta ulteriore nella direzione di una Corte che parla sempre all’unisono?

“L’intento di questa innovazione è quello di valorizzare al massimo la collegialità e la raggiunta composizione dei fisiologici contrasti che ogni questione giuridica potenzialmente suscita. L’esito al quale il Collegio perviene è, infatti, frutto del confronto tra opinioni diverse, anche espressione di differenti percorsi professionali e sensibilità culturali. Lo scopo, inoltre, è quello di evitare che nella comunicazione sulle sentenze veicolata dalla Corte verso l’esterno venga letta un’eccessiva personalizzazione.”

Nel dibattito pubblico è frequente imbattersi nelle preoccupazioni di chi teme che la Corte possa presto vedere limitata la sua indipendenza. Crede che le regole per la composizione del Collegio siano solide e articolate a sufficienza per evitare che queste previsioni si verifichino?

“Credo che queste regole rappresentino una garanzia per l’indipendenza dei giudici. La Corte è composta da quindici giudici: cinque espressi dalle supreme magistrature (tre dalla Cassazione, uno dal Consiglio di Stato ed uno dalla Corte dei Conti) con elezione a scrutinio segreto; cinque nominati dal Capo dello Stato in piena autonomia, per lo più fra accademici, nel rispetto di un certo pluralismo culturale e di genere; cinque sono eletti dal Parlamento in seduta comune con una maggioranza altissima (se non si raggiungono i due terzi è necessaria la maggioranza dei tre quinti), ovviamente a scrutinio segreto, con la inevitabile coda dei franchi tiratori. Per l’elezione di questi ultimi giudici sono necessari, quindi, accordi fra i gruppi parlamentari: benvenuti perché espressione di pluralismo politico! La collegialità e il rispetto del segreto della camera di consiglio sono poi – e lo dico con forza! – ulteriori elementi di garanzia dell’autonomia dei giudici; in particolare, per quelli di nomina parlamentare, anche dai gruppi politici che li hanno indicati.”

Voi giudici spronate il Parlamento inviando moniti al legislatore, che spesso preferisce lasciar correre, ma fate notizia in prima pagina solo quando cancellate una norma in contrasto con la Costituzione…

“In effetti fanno notizia le sentenze che dichiarano l’illegittimità di una norma e questo – è ovvio – infastidisce la maggioranza che quella legge aveva votato: è accaduto con tutte le maggioranze, quelle più antiche di centro, quelle di centro sinistra e quelle di centro destra. Ma sarebbero da considerare anche le sentenze che respingono eccezioni di costituzionalità salvando puntuali scelte legislative di tutte le maggioranze fin qui succedutesi.”

Ha in mente qualche sentenza in particolare?

“Di recente, per esempio, i titoli dei giornali hanno dato grande rilievo ad alcune norme demolite dalla Corte relative al Jobs Act mentre, in precedenza, erano state riportate con molto meno clamore quelle decisioni che, sempre in materia di Jobs Act, avevano confermato le scelte del legislatore .”

Esiste ampia letteratura sui possibili conflitti tra i Parlamenti e le Corti, così come tra i Governi e le Corti. Non è raro sentir argomentare che i palazzi della politica mal tollerano l’autonomia degli organismi di garanzia.

“Per le rispettive funzioni, è naturale che talvolta ci sia un dialogo critico: anche le Corti devono porre grande attenzione a non invadere il campo d’azione del legislatore. Nella relazione per la Riunione straordinaria della Corte, mi soffermo su un punto che ritengo cruciale: il rispetto incrociato. In un sistema costituzionale fondato sulla separazione dei poteri, infatti, al rispetto dell’autonomia delle decisioni delle magistrature corrisponde l’altrettanto rilevante rispetto delle decisioni delle sedi parlamentari, espressione della sovranità popolare.”

Lei afferma che, in un sistema articolato come il nostro, la lettura della Costituzione sia compito non esclusivo della Corte e, quindi, potenzialmente diffuso tra tutte le istituzioni. Vuole spiegare meglio?

“La Carta costituzionale non andrebbe letta come un ‘testo separato’ ma, piuttosto, come parte irradiante di un più ampio ‘ordinamento costituzionale’, alimentato dalla ‘base materiale’, su cui poggia, che è in continua evoluzione. Sia essa rappresentata dal Parlamento, dai giudici, dal ricco tessuto sociale. È anche in questa chiave che va letto il coinvolgimento delle sedi parlamentari che questa Corte sollecita nell’assunzione di scelte che necessariamente richiedono una lettura ‘non ingessata’ della Costituzione. Ma tale lettura è alimentata soprattutto da questa Corte, chiamata sì ad essere ‘Custode della Costituzione’, ma restando sempre attenta a non costruire, con i soli strumenti dell’interpretazione, una fragilissima ‘Costituzione dei custodi’.”

E se questo coinvolgimento non scatta?

“È questo il senso profondo della sollecitazione che la Corte ha fatto al Parlamento, chiamandolo ad intervenire, per esempio, sul fine vita. Del resto questa sinergia in passato ha già dato i suoi frutti sulla disciplina dell’interruzione di gravidanza o su quella delle unioni civili. Sono scelte frutto del concorso di pronunce della Corte costituzionale a cui hanno fatto seguito decisioni legislative.”

È pur vero, però, che i moniti inviati dalla Corte al legislatore sono più volte caduti nel vuoto. Anche quando si tratta di temi sociali ed etici molto rilevanti per i cittadini.

“Certamente la Corte non può rinunciare al suo ruolo di garanzia che, davanti a una reiterata inerzia legislativa, prevede anche il compito di accertare e dichiarare i diritti fondamentali consolidatisi e oggi reclamati da una coscienza sociale in continua evoluzione. Penso, in particolare, ai moniti relativi al riconoscimento di quei bimbi nati all’estero con pratiche che in Italia sono vietate, ma che non possono essere motivo di discriminazione nei loro confronti. Le incertezze giuridiche, del resto, stanno portando i Comuni a muoversi confusamente nelle più svariate direzioni.”

A suo avviso le persone possono sentirsi pienamente tutelate dalla Corte costituzionale?

Purtroppo la struttura del giudizio di costituzionalità, che presuppone una questione sollevata da un giudice nel corso di un giudizio, non ci ha consentito, finora almeno, di intervenire nella grave compressione dei diritti operata dai grandi gruppi privati multinazionali che controllano il governo dei social. La Corte ha fatto tantissimo sul fronte delle libertà ma sulle grandi piattaforme digitali, che regolano la vita dei cittadini, permangono forti limiti.”

Le decisioni assunte dalla Corte incidono, talvolta anche con conseguenze finanziarie non trascurabili, sul bilancio dello Stato: e un debito pubblico più pesante ricadrebbe inevitabilmente sulle future generazioni.

“L’equilibrio di bilancio, che la Costituzione tutela con l’articolo 81, incide in prospettiva non soltanto sulle future generazioni ma anche sulle attuali, tenuto conto che siamo costretti a pagare enormi interessi, quasi 90 miliardi di euro nel 2024, utilizzando risorse che invece potrebbero essere destinate all’istruzione, alla sanità, alle infrastrutture... Nel valutare la legittimità costituzionale di una disposizione, qualora questa non si ponga in diretto ed antinomico rapporto con una norma costituzionale, bisogna dunque operare un bilanciamento con altri interessi e valori costituzionali, fra cui l’equilibrio di bilancio. Per questo, dopo l’ovvio confronto con i colleghi, avrei intenzione di proporre la costituzione di un nucleo di esperti all’interno del Servizio studi che valuti l’incidenza delle decisioni sulla spesa e sulla diminuzione delle entrate, ma anche sulle ricadute delle stesse sui procedimenti amministrativi. Deve essere chiaro però che si tratterebbe di indicazioni puramente orientative.”

I giudici della Corte non sono più soltanto “signori”. Lo avete deciso all’unanimità, nella prima camera di consiglio non giurisdizionale da lei presieduta, abolendo, nell’epigrafe delle sentenze, “la Corte costituzionale composta dai signori giudici”…

“È una questione di forma. Ma è stato comunque un passo doveroso da compiere per abbandonare retaggi linguistici del passato. A questo aggiungo un altro piccolo passo che stiamo compiendo in collaborazione con il Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri: presso il comando della Corte arriveranno molto presto alcune carabiniere che affiancheranno i colleghi in servizio qui a Palazzo della Consulta. Pienamente consapevole che i percorsi per raggiungere la parità di genere sono altri, lunghi e complessi, la Corte è da sempre in prima linea su questo fronte.”

Ci ricorda alcune di queste tappe?

“Grazie a una sentenza, le donne per la prima volta hanno avuto accesso al concorso per entrare in magistratura e nella carriera prefettizia, penso poi alla disciplina sull’interruzione di gravidanza, alla cancellazione dell’adulterio come reato attribuibile solo alle donne, all’abolizione del divieto di promuovere i contraccettivi. Oppure alla tutela della salute della donna nella procreazione medicalmente assistita, alle regole sul doppio cognome e ad altre sentenze ancora. Sono tante le pronunce della Corte che hanno affrontato temi legati alla parità di genere. Tutto questo però non basta perché bisognerebbe agire anche in ambito extralegislativo, nella società, nelle relazioni interpersonali, in quello spazio che Michel Foucault chiama la microfisica del potere...

Nel lungo Viaggio in Italia della Corte ripreso a settembre del 2023 e che continuerà anche nel prossimo anno scolastico, i giudici costituzionali stanno riallacciando i fili di un dialogo con gli studenti di alcune scuole superiori in tutte le regioni. Per il futuro, è ipotizzabile pensare di consolidare questa esperienza per coinvolgere un maggior numero di docenti e di studenti?

“Il Viaggio nelle scuole sta avendo un buon successo! È stata una eccellente idea di Paolo Grossi, anche grazie alla collaborazione con il Ministero dell’Istruzione. Intenderei adesso riprendere contatto con il Ministro Giuseppe Valditara per provare ad accrescere insieme la portata di questa iniziativa, rivolgendoci in particolare ai professori chiamati dai nuovi programmi ad insegnare educazione civica, così da realizzare un ‘effetto moltiplicatore’ di questa importante esperienza.”

Nell’orizzonte europeo si moltiplicano le fonti e i parametri di riferimento, quindi non solo nazionali ma anche comunitari e internazionali. In questa cornice allargata e a tratti complessa, che travalica i limiti del potere statale, cambia il passo della Corte sulla lunga strada della tutela dei diritti e della persona?

“Non bastando quel giudice a Berlino che Bertolt Brecht faceva auspicare al mugnaio di Potsdam, più Corti sono chiamate ad assicurare l’osservanza di più Carte: le singole Corti costituzionali nazionali, la Corte di giustizia, la Corte europea dei diritti, nonché i giudici comuni, altrettanto protagonisti nei fronti periferici.”

Strette fra queste Corti e i giudici comuni, che con le prime talvolta dialogano direttamente, le Corti costituzionali nazionali non rischiano l’emarginazione?

“Non proprio, ma è una posizione non facile per la Corte italiana, dovendo contemporaneamente garantire sia la Costituzione nazionale, sia l’applicazione del diritto europeo, sia l’osservanza della Convenzione dei diritti o della Carta sociale europea. In quest’ottica si è inserita la sentenza numero 269 del 2017, che ha consentito la cosiddetta doppia pregiudiziale. Nel caso di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, con l’iniziativa incidentale davanti a questa Corte, eventualmente assunta in fase anteriore al rinvio alla Corte di Lussemburgo, il giudice comune si assicura che la questione sia esaminata nell’ottica della Costituzione repubblicana, così da fare emergere, ove essa non sia ritenuta fondata, ogni ulteriore profilo meritevole di considerazione nella prospettiva del diritto dell’Unione.”

Ciò non significa ridimensionare l’importanza del diritto europeo e il ruolo della Corte di giustizia?

“Al contrario! Non si può ormai dubitare che il giudizio costituzionale sia divenuto una sede privilegiata di applicazione del diritto dell’Unione, in un’ottica sia di integrazione delle tutele, sia di arricchimento del significato di esse alla luce dei principi propri del diritto dell’Unione.”