Reg. ord. n. 1 del 2024 pubbl. su G.U. del 24/01/2024 n. 4

Ordinanza del Tribunale di Brescia  del 06/11/2023

Tra: L. A. e altri



Oggetto:

Reati e pene – Stupefacenti e sostanze psicotrope - Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope - Previsione la quale dispone la pena della reclusione non inferiore agli anni venti per il soggetto che promuova, costituisca, diriga, organizzi oppure finanzi una associazione finalizzata a commettere i delitti di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, in luogo della reclusione non inferiore agli anni sette - Previsione la quale stabilisce che chi partecipi alla associazione sia punito con la reclusione non inferiore agli anni dieci, in luogo della pena della reclusione non inferiore agli anni cinque – Denunciata disciplina che, anche nelle ipotesi in cui la pericolosità sociale della condotta, rispetto al bene giuridico tutelato della salute pubblica, appaia contigua a quella della partecipazione ad una associazione di "lieve entità" (art. 74, comma 6, del d.P.R. n. 309 del 1990), impone un minimo edittale di dieci anni di reclusione – Disposizione che, in caso di partecipazione "qualificata" all’associazione, nonostante l’ampia varietà di condotte sussumibili all’interno della fattispecie, consente al giudice di muoversi attraverso una forbice edittale assai angusta, di quattro anni, proiettata verso il massimo previsto dall’ordinamento per la reclusione - Violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza - Lesione dei principi di colpevolezza e della finalità rieducativa della pena.




Norme impugnate:

decreto del Presidente della Repubblica  del 09/10/1990  Num. 309  Art. 74   Co.

decreto del Presidente della Repubblica  del 09/10/1990  Num. 309  Art. 74   Co.



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.

Costituzione  Art. 27 



Camera di Consiglio del 7 maggio 2024 rel. MODUGNO


Testo dell'ordinanza

N. 1 ORDINANZA (Atto di promovimento) 06 novembre 2023

Ordinanza  del  6  novembre  2023  del  Tribunale  di   Brescia   nel
procedimento penale a carico di L. A. e altri. 
 
Reati e pene - Stupefacenti  e  sostanze  psicotrope  -  Associazione
  finalizzata  al  traffico  illecito  di  sostanze  stupefacenti   o
  psicotrope - Previsione la quale dispone la pena  della  reclusione
  non inferiore  agli  anni  venti  per  il  soggetto  che  promuova,
  costituisca, diriga,  organizzi  oppure  finanzi  una  associazione
  finalizzata a commettere i delitti di cui all'art. 73  del  decreto
  del Presidente della Repubblica n. 309 del  1990,  in  luogo  della
  reclusione non inferiore agli anni  sette  -  Previsione  la  quale
  stabilisce che chi partecipi alla associazione sia  punito  con  la
  reclusione non inferiore agli anni dieci, in luogo della pena della
  reclusione non inferiore agli anni cinque. 
- Decreto del Presidente della Repubblica  9  ottobre  1990,  n.  309
  (Testo  unico  delle  leggi  in   materia   di   disciplina   degli
  stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,   cura   e
  riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza),  art.  74,
  commi 1 e 2. 


(GU n. 4 del 24-01-2024)

 
                        TRIBUNALE DI BRESCIA 
           Sezione giudice per le indagini preliminari GUP 
 
    Il Giudice  per  le  indagini  preliminari  nella  persona  della
dott.ssa Angela Corvi nel procedimento  a  carico  di:  L  A  (difeso
dall'avv. Annalisa Abate, del Foro di Como), L J (difeso dagli avv.ti
Gianfranco e Federico Abate,  del  Foro  di  Brescia),  L  E  (difeso
dall'avv. Alessandro Morandi Betta,  del  Foro  di  Brescia)  e  M  E
(difesa dagli  avv.ti  Gianfranco  e  Federico  Abate,  del  Foro  di
Brescia), tutti sottoposti per questa causa alla misura degli arresti
domiciliari; 
    lette le memorie depositate, nelle more dell'odierna udienza, dai
difensori  degli  imputati;  sentito  il  pubblico  ministero  ed   i
difensori, che si sono riportati agli atti scritti; 
    nel corso della udienza del 6 novembre 2023, alla presenza  delle
parti, ha pronunciato la seguente: 
 
                              Ordinanza 
 
    Ritiene questo Giudice che vi siano i presupposti per  sollevare,
ex officio, ai sensi dell'art. 23, comma I, II e III I.  87/1953,  la
questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  74  decreto  del
Presidente della Repubblica 309/90, in relazione al  comma  I,  nella
parte in cui prevede la pena della reclusione non inferiore agli anni
venti, per il soggetto che promuova, costituisca,  diriga,  organizzi
oppure finanzi una associazione finalizzata a commettere uno  o  piu'
delitti previsti dal precedente art. 73 decreto del Presidente  della
Repubblica 309/90, in luogo della reclusione non inferiore agli  anni
sette; nonche' in relazione al comma II della medesima  disposizione,
nella parte in cui prevede che chi partecipi  alla  associazione  sia
punito con la reclusione non inferiore  agli  anni  dieci,  in  luogo
della pena della reclusione non inferiore agli anni cinque.  E  cio',
per violazione degli articoli 3 e 27 della Carta Costituzionale,  con
riferimento ai principi di proporzionalita', ragionevolezza  (di  cui
all'art. 3 Cost.), oltre che del principio di  rieducazione  (di  cui
all'art. 27 Cost.) della pena. 
    In  punto   rilevanza   della   questione,   occorre   brevemente
sintetizzare la vicenda processuale che vede  coinvolti  gli  odierni
imputati. 
    Con decreto di giudizio immediato,  emesso  dal  giudice  per  le
indagini preliminari Tribunale di Brescia il 31 gennaio 2023, costoro
erano tratti a giudizio fra l'altro, per avere  preso  parte  ad  una
associazione  per  delinquere  finalizzata  a  commettere  una  serie
indeterminata di delitti connessi al commercio di stupefacenti, quali
l'acquisto, il  trasporto,  la  detenzione,  il  confezionamento,  la
vendita al dettaglio o all'ingrosso di cocaina, predisponendo i mezzi
necessari per  l'esecuzione  del  programma  delittuoso  ed  operando
secondo articolata e specifica divisione  dei  ruoli  (cfr.  capo  33
della imputazione). 
    Ai fratelli L A e J ed a L E , era contestata  la  partecipazione
c.d. apicale o qualificata (art. 74 comma I  decreto  del  Presidente
della Repubblica 309/90). 
    Secondo quanto indicato nel capo di imputazione di riferimento, L
A avrebbe svolto  il  ruolo  di  capo,  promotore  ed  organizzatore;
sovraintendendo   alla   complessiva   attivita'   criminosa   svolta
unitamente  agli  altri  sodali,  di  cui  coordina  a   l'attivita';
mantenendosi costantemente informato di  ogni  evenienza;  impartendo
istruzioni ed indicazioni ai correi,  in  ordine  al  compimento  dei
traffici illeciti; tessendo i  contatti  con  i  fornitori  e  con  i
principali acquirenti; occupandosi personalmente delle consegne delle
partite piu' consistenti di cocaina; ricevendo i  proventi  economici
dei commerci delittuosi. 
    L J avrebbe, parimenti, svolto il ruolo  di  capo,  promotore  ed
organizzatore, svolgendo attivita' analoga a quella del fratello,  ed
inoltre occupandosi del "reclutamento" di nuovi adepti; dell'acquisto
ed intestazione fittizia di vetture da impiegare per le  consegne  di
droga; dello "smistamento" delle richieste ricevute dalla clientela e
della  loro  assegnazione  ai  vari  corrieri;  della  tenuta   della
contabilita' dell'ente; del pagamento del corrispettivo  dei  legali,
in caso di arresto dei sodali. 
    L E , dal canto suo, avrebbe svolto il  ruolo  di  organizzatore,
ricevendo le chiamate dei tossicodipendenti in cerca di  nuove  dosi,
programmando le relative consegne ed istruendo i corrieri; tenendo la
contabilita' ed i contatti con i fittizi intestatari delle auto nella
disponibilita' dell'organizzazione. 
    A M E , invece, la Pubblica  Accusa  contesta  la  partecipazione
c.d.  semplice  (art.  74  comma  II  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 309/90), per avere rivestito il  ruolo  di  custode  della
sostanza, di "vedetta" e consigliera del marito, L J  ,  nonche'  per
avere svolto  altre  attivita'  funzionali  alla  operativita'  della
organizzazione criminosa di cui si discute. 
    Occorre specificare che, per questi stessi fatti  oltre  che  per
numerosi  episodi  di  detenzione  illecita  e  spaccio  di  sostanza
stupefacente del tipo cocaina, e di intestazione fittizia di  beni  -
lo stesso giudice per le indagini preliminari  Tribunale  di  Brescia
applicava la misura custodiale nei confronti dei quattro -  all'epoca
indagati, riconoscendo, per quanto qui  di  interesse,  il  requisito
della gravita' indiziaria in ordine al reato di cui all'art. 74 comma
I  e   II   decreto   del   Presidente   della   Repubblica   309/90,
rispettivamente loro ascritto;  e  la  misura,  sempre  in  punto  di
gravita' indiziaria, era confermata dal Tribunale  della  Liberta'  -
adito ex art. 309 codice di procedura penale dai difensori dei due  L
e  della  M  il  quale,  fra  l'altro,  condivideva  la   provvisoria
qualificazione, operata dal giudice della cautela, della associazione
criminosa, incasellandola nel paradigma  di  cui  ai  comma  I  e  II
dell'art. 74, in luogo della fattispecie di cui al  successivo  comma
VI. 
    Regolarmente  notificati  i  decreti  ex  art.  455   c.p.p.,   i
difensori, in forza di procura speciale,  chiedevano  tempestivamente
che nei confronti dei loro assistiti si procedesse  nelle  forme  del
giudizio abbreviato; la richiesta era reiterata  personalmente  dagli
imputati,  con  l'ausilio  dei   difensori   fiduciari,   nel   corso
dell'udienza camerale fissata ex art. 458 comma  II  c.p.p.,  del  12
giugno  2023,  quando  il  Giudice  ammetteva  il   rito   cartolare,
aggiornando dapprima il processo all'udienza del 23 ottobre 2023, per
la discussione, e poi all'odierna udienza. 
    Da quanto sopra, emerge la rilevanza della questione, posto  che,
qualora I' ipotesi accusatoria venisse confermata, in punto  fatto  e
diritto, sulla base delle contestazioni cristallizzate  nei  capi  di
imputazione (cfr.  Corte  costituzionale,  sentenza  n.  63/2022,  al
periodo 2 del "considerato in diritto", con riferimento al vaglio del
requisito, sulla base delle contestazioni di  cui  all'incolpazione),
la pena "base", cui questo Giudice dovrebbe fare  riferimento,  nella
commisurazione della pena ai sensi dell'art. 133 c.p.,  sarebbe  pari
ad anni venti,  per  i  capi,  promotori  o  organizzatori  dell'ente
criminoso; e ad anni dieci, per il "mero" partecipe. Su questo minimo
edittale dovrebbero, infatti, innestarsi i successivi calcoli, ed  in
particolare quello relativo alla eventuale continuazione ex  art.  81
comma II c.p., la fattispecie associativa  risultando  indubbiamente,
in astratto, il "reato piu' grave". 
    Quanto alla non manifesta infondatezza  della  questione,  e  con
riferimento ai parametri costituzionali gia' evocati  «si  e'  detto,
articoli 3 e 27 Cost.), si osserva quanto segue. 
    L'art. 74 decreto del Presidente della Repubblica  309/90,  nella
attuale formulazione, punisce con pena non inferiore ai vent'anni chi
promuova, costituisca, organizzi, diriga o finanzi  una  associazione
criminale che abbia quale scopo la commissione di una  pluralita'  di
reati di cui al precedente art. 73;  mentre  pena  non  inferiore  ai
dieci anni e' riservata a coloro che facciano  parte  del  sodalizio,
senza rivestire uno dei ruoli sopra descritti. E'  prevista  poi  una
circostanza aggravante comune «co. III),  qualora  la  compagine  sia
formata almeno da dieci soggetti o se fra i sodali vi  siano  persone
dedite  all'uso  di  sostanze  stupefacenti  o  psicotrope,   e   due
aggravanti ad effetto speciale, applicabili in caso  di  associazione
annata (co. IV) o quando le sostanze "maneggiate" dall'ente criminoso
siano state adulterate o commiste ad altre, in modo da accentuarne la
potenzialita' lesiva (co. V, con  riferimento  all'art.  80  comma  I
lettera E). 
    Le scelte sanzionatorie,  particolarmente  severe,  compiute  dal
legislatore con l'introduzione dell'art. 74,  sono  state  compensate
con la previsione di una peculiare figura  associativa,  disciplinata
al  comma  VI  della  disposizione,  il   quale   prevede   che   «Se
l'associazione e' costituita per commettere  i  fatti  descritti  dal
comma V dell'art. 73, si applicano  il  primo  ed  il  secondo  comma
dell'art. 416 del codice penale». 
    Le Sezioni Unite della  Corte  di  cassazione  (cfr.  Cassazione,
S.U., 22 settembre 2011, n. 34475) hanno avuto modo di affermare  che
quella di cui al comma VI costituisce fattispecie autonoma di  reato,
e non mera ipotesi  attenuata  del  delitto.  di  cui  al  precedente
comma I (e II); cio', in forza  della  chiara  dizione  della  norma,
espressione di un rinvio quoad factum e non  di  un  meramente  quoad
poenam,  indicativa  della  volonta'  del  legislatore  di  riservare
all'ipotesi criminosa in questione, in  ragione  del  minore  allarme
sociale suscitato  dai  fatti  e  della  minore  pericolosita'  degli
autori, un regime diverso. 
    Ne deriva che, in questa ipotesi, non si  applica  la  disciplina
processual-penalistica  e  penitenziaria,  particolarmente  rigorosa,
prevista per il fatto di cui all'art. 74 comma I e II: ad esempio, la
presunzione di cui all'art. 275 comma III codice di procedura  penale
non  puo'  intendersi  riferita  alla  associazione  finalizzata   al
traffico di stupefacenti di lieve entita'; la fattispecie non rientra
fra quelle annoverate dall'art. 51 comma III bis c.p.p.,  e,  dunque,
nelle previsioni che richiamano quest'ultima norma, con  riferimento,
fra l'altro, al raddoppio dei termini di prescrizione ed  al  divieto
di patteggiamento allargato. Quanto al piano della  esecuzione  della
pena, non opera il divieto di sospensione dell'esecuzione della pena,
ne' le restrizioni di cui all'art. 4-bis ordinanza pen. 
    La giurisprudenza e' univoca  nel  ritenere  che  la  fattispecie
associativa prevista  dall'art.  74  comma  VI  sia  configurabile  a
condizione  che  i  sodali  abbiano  programmato  esclusivamente   la
commissione  di  fatti  di  lieve  entita',  predisponendo  modalita'
strutturali ed operative incompatibili con fatti di maggiore gravita'
e che, in concreto, l'attivita' associativa si  sia  manifestata  con
condotte tutte rientranti  nella  previsione  dell'art.  73  comma  V
decreto del Presidente  della  Repubblica  309/90.  Non  e'  tuttavia
sufficiente considerare la natura dei  singoli  episodi  di  cessione
accertati in concreto, perche' occorre valutare il  momento  genetico
della associazione, nel senso che essa deve essere  stata  costituita
per commettere cessioni  di  stupefacente  di  lieve  entita',  e  le
potenzialita' dell'organizzazione, con riferimento ai quantitativi di
sostanze che il gruppo e' in grado di procurarsi. Puo'  dunque  darsi
che l'associazione sia si' finalizzata alla perpetrazione di fatti di
cessione  che,  singolarmente   considerati,   potrebbero   rientrare
nell'alveo  dell'art.  73  comma  V  decreto  del  Presidente   della
Repubblica 309/90; e che tuttavia la stessa non sia  sussumibile  nel
comma VI dell'art. 74, in forza della complessiva  considerazione  in
concreto  dell'attivita'  di  spaccio  in  concreto  esercitata,  che
esorbiti, per la molteplicita' degli episodi ed il loro reiterarsi in
un apprezzabile lasso di tempo, nonche' per la predisposizione di una
idonea organizzazione, dalla previsione di "lieve entita'" (cfr.,  da
ultimo, Cassazione, sez. VI, 9 ottobre  2019,  n.  1642;  Cassazione,
sez. IV, 25 novembre 2021, n. 476). 
    Ebbene,  se  la  qualificazione   giuridica   della   fattispecie
associativa "a monte" a norma dei comma I e II dell'art.  74  decreto
del Presidente della Repubblica 309/90, in luogo del comma  VI  -  si
modella sulle caratteristiche del programma criminoso "a valle" - sia
pure con le specificazioni sopra illustrate - e' allora evidente che,
in punto ragionevolezza del trattamento sanzionatorio (artt. 3  e  27
Cost.), si ripropongono le censure gia' avanzate nella ordinanza  del
17 marzo 2017, della Corte di Appello di Trieste, fatte  proprie  dal
Giudice delle Leggi, con la sentenza n. 40 del 2019. 
    Nel provvedimento si osservata, infatti, che «... mentre la linea
di demarcazione "naturalistica"  fra  le  fattispecie  "ordinaria"  e
"lieve" e' talvolta non netta (si  pensi  alle  condotte  concernenti
quantitativi non particolarmente  cospicui,  ma  non  minimi,  ovvero
connotate da modalita' esecutive caratterizzate da una certa, ma  non
rilevante  pericolosita',  quanto  al  rischio  di  diffusione  della
sostanza, suscettibili di escludere comunque la sussumibilita'  della
fattispecie   concreta   nell'art.   73   comma   V),   il   "confine
sanzionatorio"  dell'una  e  dell'altra  incriminazione  e',   invece
estremamente - ed  irragionevolmente -  distante  (intercorrendo  ben
quattro anni di pena detentiva fra il massimo dell'una  e  il  minimo
dell'altra).  Il  che,  nella  prassi,  spesso  induce  i  giudici  a
forzature interpretative, tese a rimediare -  mediante  l'ampliamento
dell'ambito  applicativo  dell'ipotesi  "lieve"  -   l'ingiustificato
dislivello edittale tra le due fattispecie  incriminatrici  [...]  le
fattispecie concrete presentano talora  un  confine  sfumato  tra  il
fatto di lieve entita' che meriti il massimo della sanzione  edittale
prevista dall'art. 73 comma V [...] e il fatto "non lieve" che meriti
pero' il minimo della pena prevista dall'art. 73 comma  I  [...];  il
peso che il giudice di merito e' chiamato a dare a ogni elemento  per
una  corretta  qualificazione  giuridica  del   caso   concreto   non
giustifica pero', il trattamento sanzionatorio sensibilmente  diverso
tra le c.d. "fattispecie di confine", che non si pone in  ragionevole
rapporto con il disvalore della condotta». 
    Il  tema  si  ripropone,  inevitabilmente,  in   relazione   alla
fattispecie associativa,  laddove  il  Giudice  e'  chiamato  ad  una
valutazione, per cosi' dire, "sinergica", che tenga conto dei singoli
reati  scopo  -  ad  esempio  di  trasporto,  vendita  o  cessione  -
programmati    e/o     realizzati;     delle     condotte     dirette
all'approvvigionamento  della   sostanza   commerciata;   dei   mezzi
economici e/o le risorse di  cui  l'ente  disponga;  della  ampiezza,
territoriale e temporale, del suo raggio di azione. 
    Pure facendo rigorosa  applicazione  di  questi  -  multiformi  e
sfaccettati  -  criteri,  possono  darsi  casi  di  confine,  in  cui
l'organizzazione criminosa, pur non possedendo le caratteristiche per
essere inquadrata nella ipotesi  di  minore  gravita',  presenti,  in
concreto, una pericolosita' sociale contenuta, o comunque prossima  a
quella delle associazioni genuinamente sussumibili nella  fattispecie
di cui  al  comma  VI  dell'art.  74  decreto  del  Presidente  della
Repubblica   309/90.   Casi   che,   come   osservato   dalla   Corte
costituzionale, nella sentenza 40/2019 a proposito delle  fattispecie
di cui all'art. 73, comma I e V, si collocano in una  "zona  grigia",
al confine  fra  le  due  fattispecie  di  reato,  sicche'  non  puo'
ritenersi giustificabile uno intervallo sanzionatorio di cinque  anni
(fra la pena massima prevista per la partecipazione "semplice" di cui
agli articoli 416 comma II, e la pena minima di cui all'art. 74 comma
II decreto del Presidente della Repubblica 309/90) o  addirittura  di
tredici  anni  (fra  il   massimo   edittale   della   partecipazione
qualificata alla associazione  "lieve"  ed  il  minimo  previsto  per
l'apicale di una associazione finalizzata al traffico di stupefacenti
"ordinaria"). Si tratta di uno iato evidentemente sproporzionato, sol
che si consideri che il  minimo  edittale  del  fatto  di  non  lieve
entita' e' pari esattamente al doppio del massimo edittale del  fatto
lieve, per il comma II dell'art.  74  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 309/90, quando non a poco meno del triplo, per  l'art.  74
comma I. 
    Pure  in   questo   caso,   quindi,   «l'ampiezza   del   divario
sanzionatorio condiziona inevitabilmente la  valutazione  complessiva
che il giudice di merito deve compiere al fine di accertare la  lieve
entita' del fatto [...], con il rischio di dar luogo a  sperequazioni
punitive,  in  eccesso  o  in  difetto,  oltre  che  a  irragionevoli
difformita' applicative in un numero rilevante di condotte». 
    D'altra  parte,  se  e'  vero  che  i  requisiti  di  fattispecie
dell'art. 74 decreto del  Presidente  della  Repubblica  309/90  sono
quelli previsti, in generale, per il reato  associativo  -  ossia  la
presenza di uno  stabile  accordo  fra  almeno  tre  persone,  di  un
programma criminoso indeterminato  (nel  caso  di  specie  quanto  al
numero,  e  non  alla  tipologia,  dei  reati   scopo)   e   di   una
organizzazione, di  uomini  e  di  mezzi,  dotata  di  un  minimo  di
stabilita' - e' altresi' vero  che  quest'ultimo  elemento  -  quello
della "organizzazione" - si modella sugli scopi  di  volta  in  volta
avuti di mira dall'ente, nel  senso  che  l'armamentario  di  cui  il
sodalizio dispone deve renderlo capace, in concreto, di raggiungere e
perpetuare  i  suoi  obiettivi  criminosi,  costituendo  una  viva  e
perdurante occasione di commissione di condotte  descritte  dall'art.
73 decreto del Presidente della Repubblica 309/90. 
    Se  e'  dunque  l'effettiva  capacita',  in  capo  alla   singola
associazione ex art.  74  decreto  del  Presidente  della  Repubblica
309/90, di realizzare il suo specifico programma delinquenziale - sia
esso costituito, ad esempio, dalla importazione o dalla  esportazione
di una o piu' sostanze, su  scala  internazionale  o  nazionale;  dal
commercio all'ingrosso o al dettaglio, con un raggio di azione piu' o
meno ampio - e' allora evidente che, nell'unico "contenitore" di  cui
alla   disposizione   richiamata,   rientreranno    sodalizi    dalle
peculiarita'  assai  disparate,  con  un   ben   diverso   grado   di
pericolosita' rispetto ai beni giuridici tutelati dall'ordinamento  -
in primis, la salute pubblica e, dunque, caratterizzati da  gradi  di
disvalore radicalmente distinti. 
    In questo senso, la Corte costituzionale, nella sentenza 231  del
2011 - con cui dichiarava l'illegittimita' dell'art.  275  comma  III
c.p.p., nella formulazione all'epoca vigente,  nella  parte  in  cui,
parificando  la  disciplina  prevista  per  l'art.  74  decreto   del
Presidente della Repubblica 309/90 con quella di cui all'art. 416-bis
c.p., prevedeva  una  presunzione  «assoluta»  di  adeguatezza  della
custodia  cautelare  in  carcere  -  evidenziava  proprio  la  natura
"aperta" della fattispecie, cio' che la rendeva nettamente eterogenea
rispetto  al  sodalizio  di  stampo   mafioso,   al   contrario   ben
distintamente connotato, sul piano criminologico e  sociologico  («Il
delitto di associazione di tipo mafioso e',  infatti,  normativamente
connotato di riflesso ad un dato empirico-sociologico -  come  quello
in cui il vincolo associativo esprime una forza  di  intimidazione  e
condizioni di assoggettamento e di omerta', che da  quella  derivano,
per conseguire determinati fini illeciti.  Caratteristica  essenziale
e' proprio tale specificita' del vincolo, che,  sul  piano  concreto,
implica ed e' suscettibile di produrre, da  un  lato,  una  solida  e
permanente adesione tra  gli  associati,  una  rigida  organizzazione
gerarchica, una rete di collegamenti e un radicamento territoriale e,
dall'altro, una diffusivita' dei  risultati  illeciti,  a  sua  volta
produttiva di accrescimento della forza intimidatrice  del  sodalizio
criminoso. Sono tali peculiari connotazioni  a  fornire  una  congrua
"base statistica" alla presunzione considerata, rendendo  ragionevole
la convinzione che, nella generalita' dei casi, le esigenze cautelari
derivanti dal delitto in questione non possano  venire  adeguatamente
fronteggiate se non con la misura carceraria, in quanto idonea -  per
valersi delle parole della Corte europea dei diritti de  'uomo  -  «a
tagliare i legami esistenti tra le  persone  interessate  e  il  loro
ambito criminale di  origine»,  minimizzando  «il  rischio  che  esse
mantengano contatti personali con le strutture  delle  organizzazioni
criminali  e   possano   commettere   ne/frattempo   delitti»   [...]
Altrettanto non puo' dirsi per il delitto di associazione finalizzata
al traffico illecito di sostanze  stupefacenti  o  psicotrope.  Quest
'ultimo si concreta, infatti, in una forma speciale  del  delitto  di
associazione per delinquere, qualificata unicamente dalla natura  dei
reati-fine (i delitti previsti dall'art. 73 del  d.P.R.  n.  309  del
1990).   Per   consolidata   giurisprudenza,   essa    non    postula
necessariamente  la  creazione   di   una   struttura   complessa   e
gerarchicamente ordinata, essendo viceversa sufficiente una qualunque
organizzazione, anche rudimentale, di attivita' personali e di  mezzi
economici, benche' semplici ed elementari, per il  perseguimento  del
fine  comune.  Il  delitto  in  questione  prescinde,  altresi',   da
radicamenti sul territorio, da particolari collegamenti  personali  e
soprattutto  da  qualsivoglia  specifica  connotazione  del   vincolo
associativo[ ...] Si tratta, dunque, di fattispecie, per cosi'  dire,
"aperta",   che,   descrivendo   in   definitiva   solo   lo    scopo
dell'associazione e non anche specifiche qualita' di essa, si  presta
a qualificare penalmente  fatti  e  situazioni  in  concreto  i  piu'
diversi ed eterogenei: da un sodalizio transnazionale, forte  di  una
articolata  organizzazione,  di   ingenti   risorse   finanziarie   e
rigidamente strutturato, al piccolo gruppo, talora persino  ristretto
ad un ambito familiare - come nel caso oggetto del giudizio  a  quo -
operante in un'area limitata e con i piu' modesti e  semplici  mezzi.
Proprio per l'eterogeneita' delle fattispecie concrete riferibili  al
paradigma  punitivo  astratto,  ricomprendenti   ipotesi   nettamente
differenti quanto a contesto, modalita' lesive del  bene  protetto  e
intensita' del legame tra gli  associati,  non  e'  dunque  passibile
enucleare una regala di esperienza, ricollegabile  ragionevolmente  a
tutte le «connotazioni criminologiche» del fenomeno [...]». 
    Si profila cosi' una ulteriore  ragione  di  incostituzionalita',
sempre per violazione degli articoli 3, 27  Cost.,  con  riguardo  al
contrasto  del  trattamento  sanzionatorio  con   il   principio   di
proporzionalita',  colpevolezza  e   di   necessaria   finalizzazione
rieducativa della pena. 
    Se,  infatti,  possono  darsi  casi  in  cui-  in  considerazione
dell'ampiezza  del  raggio  di  azione  dell'ente  criminoso,   della
tipologia e quantita' di stupefacente maneggiato, della  varieta'  ed
imponenza dei mezzi strumentali ed economici a  disposizione,  da  un
lato, e delle concrete caratteristiche della condotta  partecipativa,
dall'altro - il disvalore di azione sia tale per cui una pena  uguale
o prossima al massimo edittale appaia adeguata, oltre che  necessaria
per permettere il  reinserimento  sociale  del  condannato,  nelle  -
probabilmente, ben piu' numerose - ipotesi in  cui  la  pericolosita'
della condotta, rispetto al bene giuridico rappresentato dalla salute
pubblica, appaia contigua, o comunque non troppo "distante", rispetto
a quella della partecipazione  in  associazione  di  "lieve  entita'"
(art. 74 comma VI), l'imposizione di un minimo edittale "astratto" di
ben dieci anni si traduce, in concreto, nella scelta obbligata di una
pena assolutamente sproporzionata rispetto alla  gravita'  del  fatto
contestato. 
    Il  contrasto  con  il  principio  costituzionale  del  finalismo
rieducativo  si  fa  ancora  piu'  "drammatico"  in  relazione   alla
partecipazione qualificata, di cui all'art: 74 comma  I  decreto  del
Presidente della Repubblica 309/90, laddove la pena base e'  pari  ad
anni venti, sicche' il Giudice si trova, nel caso  concreto,  pure  a
fronte della ampia varieta'  di  condotte  astrattamente  sussumibili
all'interno della fattispecie,  a  muoversi  attraverso  una  forbice
edittale assai angusta (quattro anni), tutta proiettata, fra l'altro,
verso il massimo previsto  dall'ordinamento  per  la  pena  detentiva
della reclusione (art. 23 comma I c.p.). 
    Sul punto, l'insegnamento del Giudice delle Leggi (ribadito nella
recente  pronuncia  n.   63/2022,   in   relazione   al   trattamento
sanzionatorio previsto dall'art. 12, comma 3, lettera D, del  decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286), e' nel senso che,  allorche'  le
pene comminate appaiano manifestamente sproporzionate  rispetto  alla
gravita' del fatto previsto quale reato, si profila un contrasto  con
gli articoli 3 e 27 Cost., giacche' una pena non  proporzionata  alla
gravita' del fatto si  risolve  in  un  ostacolo  alla  sua  funzione
rieducativa (sent. nn. 236/2016 e 222/2018, fra le altre). I principi
di cui agli articoli 3 e 27 Cost. «esigono di contenere la privazione
della liberta' e la sofferenza  inflitta  alla  persona  umana  nella
misura minima necessaria e sempre allo scopo di favorirne il  cammino
di recupero, riparazione, riconciliazione  e  reinserimento  sociale»
(sent. n. 179/2017), in vista del «progressivo reinserimento armonico
della  persona  nella  societa',  che  costituisce  l'essenza   della
finalita'  rieducativa»  della   pena   (sent.   n.   149/2018).   Al
raggiungimento di  tale  impegnativo  obiettivo  posto  dai  principi
costituzionali e', dunque, di  ostacolo  «l'espiazione  di  una  pena
oggettivamente non proporzionata alla  gravita'  del  fatto,  quindi,
soggettivamente percepita come ingiusta e inutilmente  vessatoria  e,
dunque, destinata a non realizzare lo  scopo  rieducativo  verso  cui
obbligatoriamente deve tendere» (sent. n. 40/2019). 
    Sempre agli  ormai  consolidati  principi  espressi  dalla  Corte
costituzionale in  materia,  nelle  pronunce  sopra  citate,  occorre
rifarsi  ai  fini  della  individuazione  del  minimo   edittale   di
fattispecie (semplice  e  qualificata)  che  possa  sostituirsi  alla
previsione sanzionatoria che qui si assume illegittima. 
    Se e' vero che le valutazioni discrezionali di  dosimetria  della
pena spettano  anzitutto  al  legislatore,  non  sussistono  ostacoli
all'intervento  della  Corte   costituzionale,   quando   le   scelte
sanzionatorie adottate dal primo  si  siano  rivelate  manifestamente
arbitrarie,  o  irragionevoli  e  il  sistema  legislativo   consenta
l'individuazione di soluzioni, anche alternative tra loro, che  siano
tali da «ricondurre a coerenza le scelte gia' delineate a  tutela  di
un  determinato  bene   giuridico,   procedendo   puntualmente,   ove
possibile, all'eliminazione di ingiustificabili incongruenze»  (sent.
nn. 236/2016  e  233/2018).  Non  e'  quindi  necessario  che  esista
un'unica  soluzione  costituzionalmente  vincolata,   in   grado   di
sostituirsi a quella dichiarata illegittima -  come  quella  prevista
per una norma avente identica struttura  e  ratio,  idonea  a  essere
assunta come tertium  comparationis  -  essendo  sufficiente  che  il
sistema  nel  suo  complesso  offra  alla  Corte  "precisi  punti  di
riferimento"   e   soluzioni   gia'    esistenti,    ancorche'    non
"costituzionalmente  obbligate",   che   possano   sostituirsi   alla
previsione sanzionatoria dichiarata illegittima (sent. n.  222/2018),
garantendo,  al  contempo,  coerenza  alla  logica   perseguita   dal
legislatore (sentenza n. 233 del 2018). 
    Orbene, ritiene questo Giudice che  simile  soluzione  non  possa
coincidere - come pure gia' ipotizzato, in eccezioni  difensive  gia'
dichiarate  manifestamente  infondate  dalla  Suprema   Corte   (cfr.
Cassazione, sez. IV, 28 giugno 2016, n. 40903 e Cassazione, sez.  VI,
26 settembre 2019, n. 5560) -  nella  assimilazione,  quantomeno  nel
minimo, del trattamento sanzionatorio della associazione  finalizzata
al traffico di stupefacenti a quello di una o piu' altre  fattispecie
associative gia' presenti  nel  nostro  ordinamento  (le  quali,  per
inciso, presentano tutte cornici sanzionatorie diverse fra loro). 
    Estendere in toto la disciplina di cui all'art. 416 codice penale
si rivelerebbe illogico, irrazionale, contrastante con  il  principio
di  eguaglianza  (nel  senso  di  trattare  situazioni  diverse,  per
gravita', in maniera identica), oltre che certamente  contrario  alla
"logica perseguita dal legislatore" nella  repressione  del  fenomeno
criminoso di cui si discute, «... in considerazione  del  persistente
dilagare del fenomeno criminoso e dello scopo di lucro sempre sotteso
a tale reato, che comporta la diffusione di sostanze  nocive  per  la
salute pubblica e privata» (Cass., sez. IV, n. 40903/2016). 
    Quanto al delitto di cui all'art. 416-bis c.p.,  basta  ricordare
le peculiari caratteristiche criminologiche della fattispecie che  si
traducono nella  definizione  del  requisito  del  "metodo  mafioso",
estranee, di per se', al reato associativo di cui all'art. 74 decreto
del Presidente della  Repubblica  309/90  (tant'e'  che,  qualora  un
sodalizio presenti. in concreto, gli elementi costitutivi previsti da
entrambe le nonne, puo' ben darsi concorso  formale  fra  le  stesse:
Cassazione, sez. VI, 14 maggio 2019, n. 31908; Cassazione, sez. I,  4
maggio 2018, n. 4071). 
    I reati previsti dagli  articoli  270  e  270-bis  codice  penale
presentano una oggettivita' giuridica del tutto eterogenea,  rispetto
alla associazione di cui si discute e lo  stesso  vale  pure  per  la
fattispecie di cui all'art. 291-quater decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 43/1973 (associazione  per  delinquere  finalizzata  al
contrabbando di tabacchi lavorati esteri), la quale,  ci  pare,  piu'
che salvaguardare la salute pubblica, la vita e  l'integrita'  fisica
di una moltitudine di individui, tutela il monopolio dello Stato  sul
commercio nel settore merceologico di riferimento. 
    Piuttosto, il "rimedio" conforme ai parametri costituzionali piu'
volte evocati, capace di ricondurre a razionalita' il sistema,  senza
sconfessare  le  scelte  di  fondo   di   natura   politico-criminale
perseguite dal legislatore nella materia  di  repressone  penale  del
fenomeno del traffico di sostanze stupefacenti, si ritiene sia quello
di ancorare e fare coincidere il minimo  edittale  della  fattispecie
associativa di cui all'art. 74 comma I e II  decreto  del  Presidente
della Repubblica 309/90, con il massimo  della  pena  rispettivamente
previsto dal comma I e II dell'art. 416 c.p., ossia  la  disposizione
cui, come si e' detto, l'art. 74 comma VI, fa  rinvio  quoad  factum.
Entrambi i reati associativi (previsti dalla disciplina in materia di
stupefacenti), infatti, risultano del tutto identici,  riguardo  alla
condotta  punita,   l'unica   differenza   assestandosi   sul   grado
dell'offesa  al  bene  giuridico  ritenuto   meritevole   di   tutela
dall'ordinamento. 
    Non pare  superfluo  ricordare  che,  in  un  ordinamento  penale
necessariamente ispirato - in forza del dettato costituzionale (cfr.,
per tutte, Corte costituzionale sentenza 265/2005) - al principio  di
necessaria  offensivita'  (per  cui,  sul  piano   della   previsione
normativa, il legislatore e' vincolato a  prevedere  fattispecie  che
esprimano, in astratto, un contenuto lesivo, o comunque la  messa  in
pericolo, di un bene o interesse oggetto della tutela penale, mentre,
sul piano interpretativo, al Giudice e' imposto l'onere di  accertare
che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo  in  pericolo
il bene o l'interesse tutelato), la ragione per cui  la  creazione  e
partecipazione  ad  un   sodalizio   finalizzato   al   traffico   di
stupefacenti e' punita, sia nel caso in cui lo  scopo  criminoso  non
venga raggiunto, sia quando i  fatti  di  produzione,  fabbricazione,
vendita, cessione etc. siano effettivamente posti  in  essere  (cosi'
cumulandosi le rispettive sanzioni penali), non puo'  che  essere  la
concreta pericolosita' dell'ente stesso - di per se' ed a prescindere
da  quanto   eventualmente   realizzato   per   il   bene   giuridico
rappresentato dalla salute pubblica. 
    L'associazione di  cui  all'art.  74 -  sia  essa  finalizzata  a
realizzare fatti "di lieve entita'" o traffici di maggiore spessore -
esiste ed e' punibile quando e' effettivamente capace di realizzare e
perpetuare  i  propri  obiettivi,  costituendo  "centro   propulsore"
rispetto alla commissione di condotte descritte dall'art. 73  decreto
del Presidente della Repubblica 309/90; sicche' non basta  punire  le
singole ''imprese'' dell'ente, ma occorre proprio -  in  vista  della
tutela di beni giuridici di rilievo certamente  costituzionale  (art.
32 Cost.) - sanzionare il solo  fatto  di  partecipare  allo  stesso,
poiche' gia' questa sola condotta  determina  la  probabilita'  o  la
rilevante possibilita' di commissione di  nuovi  ed  ulteriori  reati
"scopo". 
    E dunque, in questa ottica  -  e  con  particolare  rigore  -  il
Giudice e' tenuto ad interpretare  i  requisiti  di  fattispecie  del
reato associativo, ossia la  presenza  di  uno  stabile  accordo  fra
almeno tre persone, di un programma criminoso indeterminato (nel caso
di specie quanto al numero, e non alla tipologia, dei reati scopo)  e
di una organizzazione - di uomini e di mezzi - dotata di un minimo di
stabilita' e idonea al raggiungimento degli scopi criminosi avuti  di
mira. 
    Al di sotto di questa "soglia minima", non e' dato  ravvisare  la
sussistenza di partecipazione - semplice o qualificata che sia  -  ad
una associazione penalmente rilevante,  e  l'interprete  si  trovera'
semmai,  di  fronte  ad  un  concorso   di   persone,   eventualmente
continuato, in uno o piu' delitti previsti  dal  precedente  art.  73
decreto del Presidente della Repubblica 309/90, se del caso aggravato
ai sensi dell'art. 80 comma I (che richiama, al comma  1  lettera  B,
l'art. 112 comma I n. 2 c.p., il  quale  a  sua  volta  contempla  la
promozione, organizzazione e/o direzione della condotta  concorsuale)
o del comma III (che prevede, quale  aggravante,  l'impiego  di  armi
(co. 3). 
    Qualora,  al  contrario,  si   ravvisino   tutti   gli   elementi
costitutivi della fattispecie, cio' che varia e' soltanto il grado di
offesa, che, per sua natura, integra «un concetto  quantitativo,  che
esprime la progressiva intensificazione della lesione o  della  messa
in  pericolo  del  bene  giuridico  protetto,  senza   soluzioni   di
continuita'» (cfr. ordinanza GUP Tribunale di Rovereto, del  9  marzo
2016). 
    Per tale ragione -  fermo  restando  l'insindacabile  potere  del
legislatore  di  riservare  soltanto  alle  fattispecie  di  maggiore
"consistenza"  offensiva,  la  disciplina  processuale  ed  esecutiva
"speciale" di cui  si  e'  detto,  espressa,  in  particolare,  dagli
articoli 51 comma III  bis  c.p,p.  e  4-bis  ordinanza  pen.  appare
conforme ai principi costituzionali gia' evocati, che il Giudice  sia
chiamato a determinare -  facendo  applicazione  dei  canoni  di  cui
all'art. 133 comma I e II codice penale - la pena proporzionata  alla
gravita' del fatto commesso, oltre che  necessaria  e  sufficiente  a
svolgere la sua  irrinunciabile  funzione  rieducativa,  scegliendola
nell'ambito di una cornice edittale che rappresenti ed  esprima  quel
continuum  -  il  massimo  edittale  della  fattispecie  piu'   lieve
coincidendo con il minimo di quella "ordinaria" che, sul piano  della
offensivita', sussiste fra i due reati associativi previsti dall'art.
74 decreto del Presidente della Repubblica 309/90. 
    Questo Giudice e' consapevole che, in  questo  modo,  la  forbice
edittale dei reati di cui al comma I,  e  soprattutto  al  comma  II,
della disposizione risulterebbe particolarmente estesa. 
    Tuttavia, e' questo un tratto che caratterizza pure la disciplina
sanzionatoria dei cosiddetti reati scopo, di cui all'art. 73  decreto
del Presidente della Repubblica 309/90, che  contempla  una  risposta
sanzionatoria  complessivamente  assai  dilatata:  dai  sei  mesi  ai
quattro anni di reclusione (oggi cinque, in seguito alla  novella  di
cui all'art. 4 comma III decreto-legge 123/2023), per i fatti di  cui
all'art. 73 comma V, a prescindere dalla  tipologia  di  stupefacente
maneggiato; dai due ai sei anni di reclusione, per i fatti non  lievi
aventi ad oggetto le sostanze stupefacenti o psicotrope di  cui  alle
tabelle II e IV previste  dall'art.  14;  da  sei  a  venti  anni  di
reclusione - successivamente all'intervento del Giudice delle  Leggi,
che comportava la reviviscenza della misura della pena minima  per  i
fatti non lievi, introdotta con l'art. 4-bis del decreto-legge n. 272
del 2005 - qualora le condotte individuate dalla disposizione abbiano
ad oggetto i preparati di cui alle tabelle I e III). 
    Pure  in  quel  caso,  l'ampiezza  dell'intervallo  sanzionatorio
rispecchia la natura di norma "collettore" dell'art. 73  decreto  del
Presidente della Repubblica 309/90 destinata, cosi'  come  quella  di
cui al successivo art. 74, a catalizzare condotte  caratterizzate  da
gradi di offensivita' assai eterogenei; formo restando che,  in  ogni
caso, nella concreta opera  di  individualizzazione  della  sanzione,
l'interprete sara' chiamato  a  fare  applicazione  dei  gia'  citati
criteri  di  cui   all'art.   133   c.p.,   che   ne   orientano   la
discrezionalita' sul punto, offrendo puntuale e rigorosa motivazione. 
    Si da' atto che la presente ordinanza e' stata letta  all'udienza
del 6 novembre 2023, alla presenza del pubblico ministero,  di  tutti
gli imputati e dei rispettivi difensori di fiducia,  cio'  che  tiene
luogo, ai sensi dell'art. 23 comma IV legge 87/1953,  della  notifica
alle medesime parti. 

 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23 legge 87/1953, 
    ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 74 decreto del Presidente della
Repubblica 309/90, in relazione  al  comma  I,  nella  parte  in  cui
prevede la pena della reclusione non inferiore agli anni  venti,  per
il soggetto  che  promuova,  costituisca,  diriga,  organizzi  oppure
finanzi una associazione finalizzata a commettere uno o piu'  delitti
previsti  dal  precedente  art.  73  decreto  del  Presidente   della
Repubblica 309/90, in luogo della reclusione non inferiore agli  anni
sette, nonche' in relazione al comma II della medesima  disposizione,
nella parte in cui prevede che chi partecipi  alla  associazione  sia
punito con la reclusione non inferiore  agli  anni  dieci,  in  luogo
della pena della  reclusione  non  inferiore  agli  anni  cinque,  in
entrambi i casi per contrasto con gli articoli 3  e  27  della  Carta
Costituzionale; 
    dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso; ordina  che,  a  cura
della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente
del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti  delle  due
Camere (le parti processuali gia' edotte, ai sensi dell'art. 23 comma
IV legge 87/1953). 
    Visto l'art. 159 comma I n. 2 c.p. dichiara sospesi i termini  di
prescrizione. 
    Visto l'art. 304 comma I lettera  A  e  C  bis  c.p.p.,  dichiara
sospesi i termini di durata della custodia cautelare in atto, di  cui
all'art. 303 comma I lett. B bis, in relazione a tutti gli imputati. 
      Brescia, 6 novembre 2023. 
 
                          Il Giudice: Corvi