N. 146 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 giugno 2023
Ordinanza del 27 giugno 2023 della Corte di giustizia tributaria di
primo grado di Roma sul ricorso proposto da ENI Global Energy Markets
spa contro Agenzia entrate - Direzione regionale Lazio.
Tributi - Energia - Prevista istituzione, per l'anno 2022, di un
contributo straordinario contro il caro bollette a carico delle
imprese operanti nel settore energetico - Individuazione dei
soggetti passivi - Quantificazione della base imponibile - Criterio
di determinazione costituito dall'incremento del saldo tra le
operazioni attive e le operazioni passive, riferito al periodo dal
1° ottobre 2021 al 30 aprile 2022, rispetto al saldo del periodo
dal 1° ottobre 2020 al 30 aprile 2021 - Previsione che, in caso di
saldo negativo del periodo dal 1° ottobre 2020 al 30 aprile 2021,
ai fini del calcolo della base imponibile per tale periodo e'
assunto un valore di riferimento pari a zero - Applicazione del
contributo nella misura del 25 per cento nei casi in cui il
suddetto incremento sia superiore a euro 5.000.000, mentre se e'
inferiore al 10 per cento non e' dovuto alcun contributo -
Assunzione, ai fini del calcolo del medesimo saldo, del totale
delle operazioni attive e del totale delle operazioni passive,
entrambe al netto dell'IVA.
- Decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21 (Misure urgenti per contrastare
gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina), convertito,
con modificazioni, nella legge 20 maggio 2022, n. 51, art. 37, come
modificato dall'art. 55 del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50
(Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali,
produttivita' delle imprese e attrazione degli investimenti,
nonche' in materia di politiche sociali e di crisi ucraina),
convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2022, n. 91.
(GU n. 46 del 15-11-2023)
LA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO DI ROMA
Sezione 27
Riunita in udienza il 5 aprile 2023 alle ore 9,30 con la seguente
composizione collegiale:
Proietti Roberto - Presidente;
Salassa Pier Marco - Relatore;
Venanzi Mario - Giudice,
in data 3 maggio 2023 ha pronunciato la seguente ordinanza sul
ricorso n. 17223/2022 depositato il 30 dicembre 2022, proposto da ENI
Global Energy Markets S.p.a. - 11076280962;
Difeso da:
Davide De Girolamo - DGRDVD77A24H501P;
Livia Salvini - SLVLVI57H67H501M;
Rappresentato da Giorgio Bigoni - BGNGRG59B22D548K ed
elettivamente domiciliato presso
davidedegirolamo@ordineavvocatiroma.org
Contro Agenzia entrate - Direzione regionale Lazio -
elettivamente domiciliato presso dr.lazio.gtpec@pce.agenziaentrate.it
Avente ad oggetto l'impugnazione di:
Silenzio Rifiut n. IST. del 9 settembre 2022 Caro Bollette
2022 - a seguito di discussione in pubblica udienza.
Elementi in fatto e diritto
1. La societa' ENI Global Energy Markets S.p.a. ha proposto
ricorso contro l'Agenzia delle Entrate - Direzione regionale del
Lazio, avverso il silenzio-rifiuto maturato con riferimento alla
richiesta di rimborso dell'importo di euro 203.113.131,24 corrisposto
in data 30 giugno 2022 ex art. 37 decreto-legge n. 21/2022,
convertito in legge n. 51/2022, come modificato dall'art. 55
decreto-legge n. 50/2022, convertito in legge n. 91/2022, a titolo di
«contributo straordinario contro il caro bollette», oltre interessi
maturati e maturandi, presentata via PEC all'Amministrazione
finanziaria in data 9 settembre 2022.
La ricorrente ha dedotto, sia nell'istanza di rimborso che nel
ricorso, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 37 decreto-legge
n. 21/2022 sotto molteplici profili.
La predetta norma sarebbe, infatti, costituzionalmente
illegittima per:
2. Violazione degli artt. 23, 3 e 53 della Costituzione.
2.1. Genericita', indeterminatezza e irragionevolezza del
presupposto.
La ricorrente ha evidenziato che l'art. 37 decreto-legge 21 marzo
2022, n. 21, convertito in legge 20 maggio 2022, n. 51, ha introdotto
un contributo straordinario contro il caro bollette a carico delle
imprese operanti nel settore energetico. Tuttavia, i soli elementi
essenziali del contributo che il legislatore si e' premurato di
individuare sono i soggetti passivi e i criteri di determinazione
(base imponibile e aliquota), mentre il legislatore non ha
individuato e definito il presupposto del tributo.
Non sarebbe quindi possibile comprendere, nella sostanza, quale
sia la manifestazione di capacita' contributiva che l'imposta intende
individuare e colpire.
Solo dalla lettura dei lavori preparatori sembrerebbe potersi
dedurre che il contributo in esame dovrebbe intercettare asseriti
«extraprofitti» di cui le imprese del comparto dell'energia avrebbero
beneficiato, in relazione all'aumento dei prezzi e delle tariffe del
settore verificatosi a causa della crisi internazionale conseguente
all'invasione dell'Ucraina da parte della Russia. Tuttavia, nella
norma in esame non si fa mai riferimento ad «extraprofitti»,
cosicche' resterebbe indeterminata quale maggiore capacita'
contributiva il tributo sia volto a colpire.
Tale incertezza, deduce la ricorrente, si porrebbe in contrasto
sia con l'art. 23 della Costituzione, che, prevedendo una chiara
riserva di legge in relazione alle prestazioni patrimoniali, impone
al legislatore di individuare gli elementi essenziali identificativi
della prestazione tributaria, ivi incluso il presupposto, cioe' il
fatto al verificarsi del quale la prestazione e' dovuta, sia con gli
artt. 3 e 53 della Costituzione, dal momento che, pur rientrando
nella discrezionalita' del legislatore la determinazione dei singoli
fatti espressivi della capacita' contributiva, che puo' essere
desunta da qualsiasi indice che sia rivelatore di ricchezza, tale
discrezionalita' incontra il limite della non arbitrarieta'.
Infatti, le norme costituzionali citate esigono che il
presupposto del prelievo abbia «un indefettibile raccordo con la
capacita' contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri
di progressivita', come svolgimento ulteriore, nello specifico campo
tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di
rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla
liberta' ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di
solidarieta' politica, economica e sociale (artt. 2 e 3 della
Costituzione)» (Corte costituzionale, sentenza n. 341/2000, ripresa
sul punto dalla sentenza n. 223/2012).
Cosi' non sarebbe nel caso di specie, atteso che le regole
dettate per la determinazione della base imponibile apparirebbero di
per se' irragionevoli e tecnicamente errate, non consentendo di
determinare e colpire una ricchezza che sia in qualche modo
riconducibile ad una nozione economica di extraprofitto.
Invero, il contributo di cui trattasi, cosi' come configurato dal
legislatore, inciderebbe su materia imponibile del tutto diversa dai
presunti sovraprofitti delle imprese energetiche, ed anche su
soggetti che in nessun modo hanno beneficiato di eventuali
sovraprofitti.
A tale proposito, la ricorrente ha premesso che l'art. 37
decreto-legge n. 21/2022, con riferimento ai soggetti passivi,
dispone al primo comma che sono tali: a) i soggetti che esercitano
nel territorio dello Stato, per la successiva vendita dei beni,
l'attivita' di produzione di energia elettrica, i soggetti che
esercitano l'attivita' di produzione di gas metano o di estrazione di
gas naturale, i soggetti rivenditori di energia elettrica, di gas
metano e di gas naturale e i soggetti che esercitano l'attivita' di
produzione, distribuzione e commercio di prodotti petroliferi; b) i
soggetti che, per la successiva rivendita, importano a titolo
definitivo energia elettrica, gas naturale o gas metano, prodotti
petroliferi o che introducono nel territorio dello Stato detti beni
provenienti da altri Stati dell'Unione europea.
Ha evidenziato la ricorrente che i soggetti incisi dal contributo
sono individuati sulla base di un criterio puramente qualitativo, che
e' rappresentato dalla loro appartenenza ai mercati energetici nel
significato piu' ampiamente inteso, senza alcuna declinazione
specifica del contributo a seconda dello svolgimento in concreto
delle diverse attivita', ne' alcuna specificazione riguardante i
soggetti che svolgono piu' attivita', sia comprese che non comprese
nell'elencazione sopra riportata.
Con riferimento alla quantificazione della base imponibile, il
secondo comma del citato art. 37 precisa che essa e' costituita
«dall'incremento del saldo tra le operazioni attive e le operazioni
passive, riferito al periodo dal 1° ottobre 2021 al 30 aprile 2022,
rispetto al saldo del periodo dal 1° ottobre 2020 al 30 aprile 2021».
A tal fine, la norma richiama quindi la disciplina in materia di IVA,
e nello specifico quella delle relative liquidazioni periodiche
(«LIPE»).
2.2. Inidoneita' allo scopo della norma.
Tanto premesso, la ricorrente ha osservato che, ove pure il
contributo avesse realmente per obiettivo la tassazione dei
sovraprofitti delle imprese energetiche, la sua concreta
articolazione tecnica si dimostrerebbe del tutto inidonea allo scopo,
non apparendo in alcun modo progettato per incidere su una materia
imponibile coincidente con eventuali sovraprofitti energetici.
Infatti, il contributo grava:
a) su materia imponibile del tutto diversa da margini di
«sovraprofitto» quali che siano, atteso che, essendo il tributo
calcolato su un differenziale tra «saldi IVA», gli e' totalmente
estraneo qualsivoglia meccanismo di determinazione del
«sovraprofitto» basato vuoi sul rendimento degli investimenti, vuoi
sul margine lordo su merci, ecc.;
b) su una platea indistinta e variegata di soggetti, molti
dei quali non hanno beneficiato in nessun modo dell'ascesa dei prezzi
e delle tariffe del settore;
c) su un valore che raffronta i dati delle LIPE realizzati
nell'anno corrente con quelli realizzati in un periodo (quello
pandemico) intrinsecamente anomalo, nei quali l'imponibile IVA delle
societa' era influenzato da variabili casuali e imprevedibili, quindi
del tutto inidoneo a fungere da riferimento per individuare e
calcolare una supposta «plus-ricchezza», e cioe' l'ipotetico
«sovraprofitto», realizzato dalle imprese.
Apparirebbe, quindi, ancora piu' evidente la violazione delle
norme costituzionali citate, atteso che il sacrificio ai principi di
eguaglianza e capacita' contributiva recato da un tributo speciale e
selettivo non dev'essere sproporzionato e non deve degradare in
arbitraria discriminazione, in quanto «la sua struttura deve
raccordarsi con la relativa ratio giustificatrice». Pertanto, «Se ...
il presupposto economico che il legislatore intende colpire e' la
eccezionale redditivita' dell'attivita' svolta in un settore che
presenta caratteristiche privilegiate in un dato momento
congiunturale, tale circostanza dovrebbe necessariamente riflettersi
sulla struttura dell'imposizione» (Corte costituzionale n. 10/2015).
Piu' specificamente, la ricorrente ha sottolineato:
A) - L'inidoneita' ad intercettare presunti «extraprofitti»
del meccanismo scelto per la determinazione della base imponibile,
tenuto conto che le operazioni rilevanti ai fini IVA si fondano su
fattori che, sia sul fronte delle operazioni attive che sul fronte di
quelle passive, possono non avere alcuna relazione con gli
extraprofitti, intesi come un incremento degli utili dell'impresa di
tipo congiunturale, dovuto ad attivita' speculativa oppure a
circostanze esterne rispetto all'attivita' dell'impresa.
Invero, mentre il concetto di «sovraprofitto» si puo' al piu'
calcolare sulla dinamica dei margini ovvero sugli utili
«incrementali», la base imponibile quantificata in base alle norme in
materia di IVA non tiene conto dei rilevantissimi elementi di costo
che insistono in maniera significativa sui profitti, e quindi sugli
ipotetici «sovraprofitti», del settore. Si pensi, in particolare,
agli oneri di gestione (primi tra tutti i costi di personale), agli
ammortamenti o ai differenziali realizzati su contratti derivati, che
se sono considerati non soggetti ad IVA non sono computabili ai fini
del contributo, ma rilevano ai fini della quantificazione dei
profitti straordinari.
Inoltre, alla base imponibile IVA concorrono elementi del tutto
svincolati da un concetto di «sovraprofitto» incrementale, sia in
senso economico che finanziario, come ad esempio le operazioni
straordinarie (cessioni di partecipazioni, fusioni, scissioni etc.),
che alterano l'omogeneita' degli elementi soggettivi ed oggettivi di
raffronto fra i due periodi di riferimento individuati dal citato
art. 37 e coinvolgono in ogni caso vicende estranee alla gestione
caratteristica dell'impresa, alla quale soltanto dovrebbero essere
ricollegabili gli extraprofitti.
Ed ancora, secondo l'interpretazione dell'Amministrazione
finanziaria (circolare n. 22/E del 23 giugno 2022), il contributo in
esame si applica sull'interezza del fatturato ritratto da tutte le
attivita' esercitate, anche nel caso di soggetti operanti anche al di
fuori dell'ambito energetico, cosi' confermando che l'imposizione
fiscale puo' estendersi anche a redditi maturati in settori di
attivita' totalmente diversi da quello energetico, che in nessun modo
si presuppongono beneficiati dall'andamento del prezzo dei prodotti
energetici.
Irragionevole appare, altresi', il fatto che il contributo,
gravando sul fatturato IVA, incide su elementi radicalmente estranei
alla definizione di profitto in senso economico o fiscale, come
tipicamente accade con gli importi riferiti alle accise traslate sui
clienti, che rappresentano componenti fiscali in definitiva riversate
allo Stato, che non rientrano in alcun modo nella definizione di
profitto in senso economico o fiscale, sicche' non possono
rappresentare in alcun modo un incremento rilevante di «ricchezza»
tassabile.
A cio' si aggiunga che, proprio perche' le accise sono un tributo
che viene riversato allo Stato e non un provento che rimane nella
disponibilita' dei soggetti passivi, includere le medesime nella base
imponibile del contributo vuole dire applicare un tributo su un altro
tributo, con un risultato manifestamente irrazionale.
Peraltro, le accise sono commisurate alle quantita' del prodotto
venduto e non all'incremento di prezzo dello stesso e, quindi, non
dipendono in nessun modo dall'aumento dei «margini», e cioe' dei
«profitti», delle imprese.
La ricorrente ha quindi concluso che la base imponibile su cui
calcolare il contributo, cosi' come attualmente configurata dall'art.
37, sarebbe fortemente distorta e molto lontana dal rappresentare un
indicatore della reale capacita' contributiva del soggetto obbligato.
B) - L'inidoneita' ad isolare un presunto sovraprofitto anche
delle norme in materia di competenza temporale.
Osserva la ricorrente che per isolare un preteso sovraprofitto -
e, prima ancora, un eventuale profitto - e' necessario che la
struttura di un tributo sia idonea a correlare le componenti attive
con le corrispondenti componenti passive. Il principio di competenza
economica, cosi' come il principio di cassa, presuppone infatti la
correlazione tra costi e ricavi proprio al fine di calcolare un
preciso risultato economico realizzato in un determinato lasso di
tempo. Tale principio non esiste nel sistema dell'IVA la quale,
essendo un'imposta che grava sulle singole operazioni, si
disinteressa di eventuali collegamenti tra le masse di operazioni
attive e passive, non essendo strutturalmente demandata ad
intercettare un risultato differenziale tra tali masse.
Anche sotto questo profilo, pertanto, la base imponibile del
contributo in esame sarebbe del tutto sbilanciata: quest'ultimo,
sebbene volto specificamente a colpire un differenziale, vale a dire
un sovraprofitto incrementale, appiattendosi sulle norme IVA mutua da
quest'ultima imposta anche le regole di imputazione temporale delle
operazioni; regole che tuttavia non sono in nessun modo idonee ad
intercettare un profitto e men che meno un sovraprofitto, dal momento
che non sono affatto basate sul criterio di competenza che -
raffrontando temporalmente i ricavi con i relativi costi - consente
di determinare con precisione il risultato economico dell'attivita'.
C) - L'inidoneita' anche del periodo di tempo preso a
riferimento dalla norma (1° ottobre 2021 - 30 aprile 2022) a
rappresentare ipotetici sovraprofitti realizzati dalle imprese.
Innanzitutto, si tratta di un periodo troppo breve e
completamente svincolato dall'anno solare/esercizio. E' infatti ben
possibile che, a fronte di un risultato economico positivo
consuntivato nel periodo temporale rilevante ai fini del contributo,
le societa' realizzino nei mesi successivi rilevantissime perdite.
L'individuazione di un cosi' breve lasso temporale non e' quindi di
per se', in concreto, sufficientemente significativo per inquadrare
un incremento di «valore» che sia legato a un maggiore profitto.
A cio' si aggiunga che gli extraprofitti realizzati nel
2021-2022, rispetto al corrispondente periodo 2020-2021, spesso sono
dovuti al fatto che durante la pandemia le societa' erano in perdita.
Il semestre compreso tra il 1° ottobre 2020 ed il 30 aprile 2021,
infatti, ha risentito del calo dei consumi dei prodotti energetici
dovuto al perdurare dell'emergenza sanitaria e delle connesse misure
di contenimento, che ha comportato un minor impiego di tali prodotti.
Pertanto, il differenziale che confluisce nella base imponibile
del contributo non rappresenta un «sovraprofitto» posto in relazione
con un «ordinario» profitto realizzato nel periodo precedente,
riconducibile - nell'opinione del legislatore - ad una posizione «di
vantaggio» dell'impresa sul mercato dovuta all'aumento delle tariffe,
ma si rivela incrementale solo perche' posto in relazione con una
perdita realizzata in costanza di pandemia.
In buona sostanza, in tale settore il sovraprofitto non e'
riconducibile ad un incremento dei prezzi, ma solo ad un incremento
delle quantita' venduta, che, a sua volta, non rappresenta un
risultato positivamente straordinario, ma un «ripristino» della
situazione ordinaria rispetto a quella, negativamente straordinaria,
realizzata in costanza di emergenza pandemica.
Ha quindi osservato la ricorrente che l'aumento delle vendite
nell'arco temporale preso in considerazione dall'art. 37
decreto-legge n. 21/2022 non sarebbe affatto il sintomo di un
sovraprofitto, ne' dello sfruttamento di una situazione di vantaggio
derivante dall'aumento dei prezzi.
Infatti, non e' l'aumento delle vendite cio' che genera una
capacita' contributiva aggiuntiva come quella che la predetta norma
vorrebbe colpire, ma semmai l'aumento dei margini. La disposizione,
irragionevolmente, non ha pero' distinto tra l'operatore che abbia
effettivamente potuto fruire di margini piu' elevati, a parita' di
costi, grazie alla vertiginosa crescita dei prezzi delle materie
prime energetiche, e l'operatore che, invece, abbia soltanto
aumentato le proprie vendite. Quest'ultimo non esibisce alcuna
capacita' contributiva aggiuntiva che non sia gia' peraltro incisa
dalle ordinarie imposte sui redditi e, soprattutto, non palesa una
capacita' contributiva differente da qualunque operatore economico,
diverso da quelli che agiscono nei mercati delle fonti di energia,
che abbia in quel dato periodo storico, superata la fase pandemica,
aumentato i propri livelli produttivi.
Dunque, ha concluso la ricorrente, assoggettare adesso questo
aumento ad un contributo straordinario sarebbe manifestamente
ingiusto ed irrazionale, atteso che l'imposizione fiscale colpirebbe
non un extraprofitto propriamente detto, ma il mero ordinario
profitto realizzato dall'impresa, piu' elevato rispetto al periodo
precedente solo in ragione di un incremento di volumi dovuto a
ragioni contingenti.
D) - L'omessa considerazione, nel calcolo della base
imponibile, dei derivati realizzati per la copertura delle variazioni
prezzo dei prodotti oggetto dell'attivita' caratteristica, quale
ulteriore elemento di incoerenza del prelievo fiscale in esame.
Premesso che le societa' operanti nei settori incisi dal
contributo sostengono ingenti costi, anch'essi aumentati data la
contingenza economica, rappresentati da differenziali negativi
realizzati su contratti derivati, ha osservato la ricorrente che tali
costi, non rappresentando corrispettivi di una controprestazione,
secondo quanto chiarito dalle indicazioni di prassi
dell'Amministrazione finanziaria (risoluzione MEF n. 77 del 16 luglio
1998), non concorrono all'ammontare complessivo delle operazioni
passive ai fini dell'IVA, in quanto correttamente trattati come non
soggetti al tributo, e conseguentemente, pur rilevando in misura
significativa ai fini della quantificazione dei redditi delle
societa', non assumono alcuna rilevanza ai fini del calcolo della
base imponibile del contributo, in quanto - come detto - non soggetti
ad IVA e, quindi, non contabilizzati nelle relative liquidazioni
periodiche.
Si tratta di contratti che prevedono l'impegno delle parti a
versare importi differenziali, da stabilire in base alle quotazioni
di determinati beni, stipulati dalle imprese energetiche a copertura
di rischi legati all'andamento delle quotazioni di beni che
costituiscono materie prime o prodotti finiti oggetto della propria
attivita'. L'esigenza sottesa a tali contratti e', in sostanza,
quella di evitare che tali quotazioni possano causare l'erosione dei
margini di guadagno per effetto dell'aumento del prezzo di materie
prime o della contrazione del prezzo dei prodotti oggetto
dell'attivita'.
Non puo' quindi dubitarsi che tali componenti siano direttamente
riconducibili all'attivita' di impresa, trattandosi di costi
specificamente riferibili al suo oggetto: conseguentemente, non puo'
nemmeno dubitarsi che essi concorrano, sia in senso economico che
giuridico, alla produzione di profitti e quindi, di eventuali
«sovraprofitti» realizzati nell'esercizio di quella stessa attivita'.
La ricorrente ha quindi concluso evidenziando che l'omessa
rilevanza dei differenziali ai fini del contributo per il solo fatto
di non rilevare ai fini dell'IVA, sarebbe indice di un ulteriore
motivo di irragionevolezza del criterio (e, in ogni caso, del
tributo), per la sua inidoneita' - anche per tale via - a
rappresentare correttamente la ricchezza che esso intende tassare.
Anche sotto tale aspetto, il Contributo apparirebbe del tutto
inidoneo a rappresentare correttamente il supposto «sovraprofitto»
che intende colpire.
2.3. Modelli di corretta tassazione degli extraprofitti, non
seguiti dal legislatore.
La ricorrente ha evidenziato che il legislatore aveva a
disposizione almeno tre modelli di «corretta» tassazione dei
sovraprofitti incrementali, di cui tuttavia non avrebbe in alcun modo
tenuto conto.
2.3.1. - Un primo modello e' quello disegnato nel regolamento
(UE) 2022/1854 del Consiglio dell'UE del 6 ottobre 2022 «relativo a
un intervento di emergenza per far fronte ai prezzi elevati
dell'energia», che delinea al Capo III, artt. 14 e ss., un
«contributo di solidarieta'» gravante sugli «utili eccedenti»
generati dalle attivita' energetiche ad esso soggette (attivita'
estrattive).
Tale norma e' esplicitamente ispirata al medesimo scopo che
orienta il contributo italiano, vale a dire intervenire sui
sovraprofitti delle societa' energetiche per redistribuire tali
plus-ricchezze ai soggetti che stanno subendo gli effetti
dell'incremento dei prezzi dei prodotti e servizi energetici, ma le
relative strutture sono radicalmente differenti. Il contributo
europeo, infatti, mira ad intercettare proprio i sovraprofitti
derivanti dagli incrementi di prezzo e riesce in questo intento
includendo nella propria base imponibile gli utili «determinati in
base alla normativa fiscale nazionale nell'esercizio fiscale che
inizia il 1° gennaio 2022 o successivamente, che eccedono un aumento
del 20% degli utili imponibili medi, determinati secondo la normativa
tributaria nazionale, dei tre esercizi fiscali che iniziano il 1°
gennaio 2019 o successivamente».
Come chiarito nel Considerando 13 del regolamento citato,
l'intenzione del legislatore europeo e' quella di tassare solo gli
utili «straordinari» realizzati dalle imprese soggette al tributo.
Viene infatti ribadito che il contributo straordinario sulle imprese
estrattive deve essere «adeguato per gestire gli utili eccedenti in
caso di circostanze impreviste. Tali utili non corrispondono agli
utili ordinari che le imprese e le stabili organizzazioni dell'Unione
che svolgono attivita' nei settori del petrolio greggio, del gas
naturale, del carbone e della raffineria si sarebbero aspettati o
avrebbero potuto prevedere di ottenere in circostanze normali, se non
si fossero verificati eventi imprevedibili sui mercati dell'energia»;
cio' sempre al fine di garantire «condizioni di parita' in tutta
l'Unione».
Ha osservato la ricorrente che il regolamento riesce a disegnare
un'imposta idonea ad isolare solo il sovraprofitto ritratto dalle
imprese tassate, incidendo sui profitti in una accezione
incrementale, in relazione alla particolare congiuntura economica.
Tale caratteristica sembrerebbe del tutto assente nel contributo
italiano, che non solo - e a monte - non sarebbe idoneo ad incidere
sui «profitti», ma men che meno riuscirebbe ad isolare un loro
incremento, e cioe' un «sovraprofitto».
2.3.2. - Un secondo modello, anch'esso comunitario, e' quello
proposto nella «Comunicazione RePowerEU: azione europea comune per
un'energia piu' sicura, piu' sostenibile e a prezzi piu'
accessibili», pubblicata l'8 marzo 2022 dalla Commissione europea.
Nel relativo Allegato 2, la Commissione ha infatti stabilito
delle linee guida per orientare gli Stati membri verso una tassazione
degli utili inframarginali compatibile con il diritto eurounitario,
rilevando, tra l'altro, che:
«tale misura dovrebbe tuttavia essere attentamente concepita
per evitare inutili distorsioni del mercato»;
«il metodo di calcolo dei rendimenti da considerare eccessivi
[...] dovrebbero essere chiaramente e specificamente giustificati» ed
i profitti fortuiti «dovrebbero essere definiti sulla base di criteri
ed eventi oggettivi e verificabili» al fine di evitare «qualsiasi uso
arbitrario che comporterebbe gravi distorsioni»;
«le tendenze a lungo termine dei prezzi derivanti dagli
sviluppi strutturali del mercato e il segnale del prezzo del carbonio
proveniente dall'EU ETS non dovrebbero essere influenzati, in modo da
non interferire con i segnali di prezzo a lungo termine che
contribuiscono alla copertura dei costi fissi e di investimento»;
«la misura non dovrebbe essere retroattiva e dovrebbe
recuperare unicamente una quota degli utili effettivamente
realizzati».
Ha osservato, quindi, la ricorrente che la Commissione europea ha
fornito agli Stati membri indicazioni sufficientemente chiare per
«disegnare» tributi che devono incidere soltanto sull'extraprofitto
delle imprese energetiche e che non devono alterare il normale
funzionamento concorrenziale del mercato, in coerenza con i generali
principi dell'ordinamento dell'Unione europea. Tuttavia, nessuna di
tali indicazioni sarebbe stata recepita dal legislatore italiano,
atteso che il contributo in argomento, per come concepito, non solo
non definirebbe in maniera «oggettiva e verificabile» i sovraprofitti
tassabili, ma escluderebbe anche dalla base imponibile tutti i costi
«di investimento».
2.3.3. - Un terzo modello, puramente «domestico», emerge
dalla sentenza n. 10/2015 della Corte costituzionale sulla nota
«Robin Hood Tax».
Secondo la Corte costituzionale, la congiuntura economica
caratterizzata da un eccezionale rialzo dei prezzi di prodotti
energetici al contempo insostenibile per gli utenti puo' incrementare
sensibilmente i margini di profitto degli operatori dei settori
interessati e quindi costituire «un elemento idoneo a giustificare un
prelievo differenziato che colpisca gli eventuali "sovra-profitti"
congiunturali». Tuttavia, «affinche' il sacrificio recato ai principi
di eguaglianza e di capacita' contributiva non sia sproporzionato e
la differenziazione dell'imposta non degradi in arbitraria
discriminazione, la sua struttura deve coerentemente raccordarsi con
la relativa ratio giustificatrice». Cio' non avveniva nel caso della
maggiorazione dell'aliquota IRES prevista dal decreto-legge n.
112/2008, in quanto il tributo «si applica[va] all'intero reddito di
impresa, anziche' ai soli "sovra-profitti"».
Il precedente fornisce pero' preziose indicazioni al legislatore
per disegnare un'imposta equa. Si legge infatti nella pronuncia che:
«sebbene una pluralita' di indizi contenuti nel testo
normativo impugnato e nei relativi lavori preparatori suggeriscano
che l'intento del legislatore fosse quello di colpire i
"sovra-profitti" conseguiti da detti soggetti in una data congiuntura
economica, in realta' la struttura della nuova imposta non sarebbe
poi coerente con tale ratio giustificatrice»;
«la possibilita' di imposizioni differenziate deve pur sempre
ancorarsi a una adeguata giustificazione obiettiva, la quale deve
essere coerentemente, proporzionalmente e ragionevolmente tradotta
nella struttura dell'imposta»;
«se, come nel caso in esame, il presupposto economico che il
legislatore intende colpire e' la eccezionale redditivita'
dell'attivita' svolta in un settore che presenta caratteristiche
privilegiate in un dato momento congiunturale, tale circostanza
dovrebbe necessariamente riflettersi sulla struttura
dell'imposizione»;
«il vizio di irragionevolezza e' evidenziato dalla
configurazione del tributo in esame come maggiorazione di aliquota
che si applica all'intero reddito di impresa, anziche' ai soli
"sovra-profitti"».
A contrario, dalla sentenza si evince che un'imposta sui
sovraprofitti e', in linea di principio, equa e costituzionale a
condizione che sia idonea ad incidere sui «profitti» in un'accezione
«incrementale» in relazione alla «particolare congiuntura economica».
La ricorrente ha dunque evidenziato che nessuna di queste
indicazioni sarebbe stata recepita nel contributo in esame, che non
solo - e a monte - non sarebbe idoneo ad incidere sui «profitti», ma
men che meno riuscirebbe ad isolare un loro incremento, e cioe' un
«sovraprofitto».
Le conclusioni, allora, non potrebbero che essere identiche a
quelle tratte nella citata sentenza: anche il contributo di cui
all'art 37 decreto-legge n. 21/2022, al pari del suo «precedente», e'
incompatibile con le norme costituzionali sopra indicate, in quanto
il suo presupposto non si «riflette sulla struttura
dell'imposizione».
2.4. Sulla base delle considerazioni sopra esposte, la
ricorrente, con riferimento alla violazione degli artt. 23, 3 e 53
della Costituzione, ha prospettato una duplice conclusione.
O l'intenzione del legislatore in realta' non sarebbe quella di
indirizzare il contributo sui «sovraprofitti» delle imprese
energetiche, ed allora risulterebbe confermata la piu' totale
mancanza di ragioni giustificative del contributo, in violazione
delle norme costituzionali di cui sopra.
Oppure - e in subordine logico - il contributo sarebbe
ipoteticamente inteso a colpire proprio i sovraprofitti, ma in tale
caso esso si dimostrerebbe di fatto completamente inadeguato allo
scopo, perche' articolato in previsioni del tutto inidonee ad
incidere selettivamente su tali grandezze economiche e su chi ne e'
eventualmente titolare, con l'inevitabile conseguenza della piu'
totale discriminatorieta' ed irragionevolezza dell'intervento
normativo, ancora in violazione delle norme costituzionali indicate.
2.5. Per quanto riguarda, in particolare, i profili rilevanti
ex art. 3 della Costituzione, la ricorrente ha evidenziato la portata
discriminatoria del contributo, interna o esterna al mercato
energetico.
In primo luogo, esso determinerebbe una chiara discriminazione
tra le imprese del settore energetico e la restante platea dei
contribuenti operanti in altri settori merceologici che pure hanno
realizzato consistenti extraprofitti durante e dopo la crisi
pandemica, senza tuttavia essere in alcun modo colpiti dall'imposta
(ad. es. i settori bancario-finanziario o farmaceutico).
In secondo luogo, esso determinerebbe discriminazioni interne
allo stesso mercato energetico, gravando il contributo solo su alcune
delle imprese che operano nel settore energetico e risolvendosi in un
vantaggio degli operatori operanti nel settore energetico che - per
ragioni del tutto «casuali» - non sono assoggettati al medesimo, non
essendo in grado di isolare soggetti che abbiano realizzato una
maggiore capacita' contributiva effettiva rispetto ai concorrenti.
In terzo luogo, il contributo, mandando esenti da imposta
operatori che hanno realizzato extraprofitti per importi inferiori a
5 milioni di euro o in una percentuale inferiore al 10 per cento,
introdurrebbe un regime fiscale differenziato pur a fronte di
situazioni del tutto comparabili.
La ricorrente ha quindi concluso evidenziando che il contributo
in commento non sarebbe conforme a Costituzione anche per le evidenti
discriminazioni interne al settore energetico, non giustificate da
alcuna differenziazione in relazione ad una diversa capacita'
contributiva, in manifesta violazione dell'art. 3 della Costituzione.
3. Violazione degli artt. 53 e 42 della Costituzione.
3.1. La ricorrente ha evidenziato che l'art. 37 decreto-legge
n. 21/2022, nella misura in cui accetta che il contributo possa avere
effetti ablativi anche integrali della capacita' economica del
soggetto inciso, sarebbe in palese contrasto anche con gli artt. 53 e
42 della Costituzione.
Invero, il contributo in concreto dovuto dalla ricorrente ammonta
a complessivi euro 507.782.828,10 ed ha un impatto dirompente sui
conti della Societa', come documentato dai bilanci prodotti in atti,
non solo erodendo integralmente il risultato operativo e l'utile ante
imposte dell'ultimo esercizio concluso, ma addirittura superando
ampiamente il patrimonio netto della stessa, come risultante
dall'ultimo bilancio approvato.
Infatti, proprio a causa del neointrodotto contributo, il socio
Eni S.p.a. si e' visto costretto a ricapitalizzare la societa'
ricorrente, per evitare di incorrere nelle conseguenze di cui
all'art. 2447 c.c.
Pertanto, la ricorrente ha osservato che la predetta imposta
sortirebbe effetti tipicamente espropriativi e, anche per tale via,
si rivelerebbe incostituzionale.
Con riferimento all'art. 42 della Costituzione, norma posta dai
costituenti a garanzia della proprieta' privata, un livello di
imposizione tale da superare la ricchezza disponibile del
contribuente conduce inevitabilmente all'ablazione graduale del
patrimonio. Inoltre, l'art. 42 della Costituzione, quando al secondo
comma dispone che «la legge determina i modi di acquisto della
proprieta' privata», garantisce l'esistenza del mercato, ossia di un
luogo in cui i privati scambiano i propri beni. Perche' vi sia un
mercato e' necessaria la circolazione dei capitali, impossibile se i
singoli sono privati, per effetto di un «supposto» tributo, del
complesso dei beni economici necessario al soddisfacimento delle
primarie necessita'.
In sintesi, il legittimo sacrificio che puo' essere imposto in
nome dell'interesse pubblico non puo' giungere sino alla pratica
vanificazione dell'oggetto del diritto di proprieta', pena la
violazione della norma citata (Corte costituzionale, sentenza n.
348/2007).
L'art. 53 della Costituzione opera, inoltre, da ulteriore
baluardo contro prelievi il cui presupposto, pur essendo
economicamente apprezzabile o sintomatico, sia configurato in modo da
generare l'erosione progressiva dell'oggetto cui e' riferita
l'imposta, oppure contro prelievi che sottraggono integralmente la
stessa ricchezza tassata o in una misura che possa fondatamente
minacciare l'equilibrio tra i bisogni finanziari del settore pubblico
e l'interesse dei singoli.
Peraltro, l'art. 53 della Costituzione, e in particolare il
concetto di «capacita' contributiva», reca in se' il divieto di
imposizione espropriativa.
Non e' infatti consentito al legislatore soddisfare «l'interesse
fiscale» in ogni modo, ma tale bisogno deve essere bilanciato con gli
altri valori costituzionali, in quanto l'art. 53 della Costituzione
non indica alcuna prevalenza dell'interesse fiscale rispetto agli
altri diritti costituzionalmente tutelati.
4. Violazione dell'art. 117 della Costituzione e, in via
mediata, dell'art. 1 del Primo Protocollo CEDU.
La ricorrente ha evidenziato che il contributo ex art. 37
decreto-legge n. 21/2022 si porrebbe in manifesta violazione
dell'art. 1 del Primo Protocollo CEDU e, per esso, dell'art. 117
della Costituzione, che impone al legislatore di operare nel rispetto
degli obblighi internazionali.
L'art. 1 del Primo Protocollo CEDU e' posto a presidio della
tutela proprietaria, prevedendo al primo comma, primo periodo, la
regola secondo cui «ogni persona fisica o giuridica ha diritto al
rispetto dei suoi beni» e cosi' vietando, in via generale, ogni
compressione al libero godimento dei beni stessi. I periodi
successivi del testo della disposizione autorizzano, a certe
condizioni, la limitazione del diritto di proprieta': il secondo
periodo del primo comma prevede, infatti, che «nessuno puo' essere
privato della sua proprieta' se non per causa di pubblica utilita' e
nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del
diritto internazionale».
Il secondo comma dispone a sua volta che «le disposizioni
precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in
vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso
dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il
pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende».
Tanto premesso, la ricorrente ha osservato che il contributo in
esame determinerebbe una limitazione della tutela proprietaria nel
godimento dei beni della medesima, risolvendosi in una contribuzione
in denaro che determina l'erosione di tutto il patrimonio netto
sociale, come gia' sopra evidenziato.
Tale limitazione non sarebbe giustificata sulla base di una delle
eccezioni ammesse dal secondo paragrafo dell'art. 1, con particolare
riferimento alla seconda eccezione, che legittima le privazioni della
tutela proprietaria volte ad «assicurare il pagamento delle imposte o
di altri contributi o delle ammende» (art. 1, par. 2).
Secondo la costante giurisprudenza della Corte EDU, una
restrizione della tutela proprietaria, anche se basata su ragioni di
ordine fiscale, deve comunque:
essere legittima, nella consapevolezza che «l'esistenza di
una base giuridica nel diritto interno non e' di per se' sufficiente
a soddisfare il principio di liceita'» in quanto detta base giuridica
«deve avere una certa qualita', ovvero deve essere compatibile con lo
stato di diritto e deve fornire garanzie contro l'arbitrarieta'»
(CEDU, N.K.M. vs. Hungary, sentenza del 14 maggio 2013);
rispondere ad un «giusto equilibrio» tra le esigenze
pubbliche e quelle di tutela dei diritti fondamentali dell'individuo.
Nell'ambito di tale equilibrio, il potere impositivo trova un chiaro
limite proprio nel divieto di introdurre «imposte confiscatorie», le
quali incidono sui beni del contribuente in maniera cosi' dirompente
da alterare in maniera illegittima e radicale l'equilibrio tra
interesse fiscale e diritto alla tutela proprietaria.
La Corte EDU ha avuto modo di esaminare la questione in tre
recenti sentenze emesse nei confronti dell'Ungheria (CEDU, N.K.M. vs.
Hungary, sentenza del 14 maggio 2013; CEDU, Gall vs. Hungary,
sentenza del 25 giugno 2013 e CEDU, R.Sz. vs. Hungary, sentenza del 2
luglio 2013.), nelle quali e' stata accertato una violazione
dell'art. 1 del Protocollo n. 1 della CEDU posta in essere dal
legislatore ungherese, dato che quest'ultimo aveva introdotto
retroattivamente un'imposta molto gravosa sulle somme corrisposte ai
lavoratori del pubblico impiego in occasione della conclusione del
rapporto di lavoro.
Nelle pronunce, la Corte ha avuto modo definire quando un'imposta
puo' essere considerata confiscatoria, chiarendo che: «un'ingerenza
nel diritto al pacifico godimento dei beni, anche se avvenuta alle
condizioni previste dalla legge - che implica l'assenza di
arbitrarieta' - e nell'interesse pubblico, deve sempre trovare un
«giusto equilibrio» tra le esigenze dell'interesse generale della
collettivita' e le esigenze della tutela dei diritti fondamentali
della persona. In particolare, deve sussistere un ragionevole
rapporto di proporzionalita' tra i mezzi impiegati e la finalita'
perseguita dal provvedimento impugnato».
Alla luce di tali premesse, l'imposta ungherese doveva
considerarsi contraria al citato art. 1 in quanto la misura
contestata:
1) comportava un onere «eccessivo e individuale da parte del
ricorrente»;
2) riguardava «solo un determinato gruppo di soggetti»;
3) era da considerarsi «retroattiva» nell'accezione intesa
dalla stessa Corte EDU.
La ricorrente ha quindi evidenziato che il contributo di cui
all'art. 37 decreto-legge n. 21/2022 presenta tutte e tre le citate
caratteristiche, erodendo da solo tutto il patrimonio netto della
societa', con effetto espropriativo evidente, avendo natura
intrinsecamente discriminatoria, come gia' sopra argomentato, ed
essendo un prelievo con caratteristiche di retroattivita', gravando
su una ricchezza comunque formatasi ben prima della sua entrata in
vigore, nonche' privo del requisito della prevedibilita',
determinando retroattivamente una situazione sfavorevole in capo ai
contribuenti che non avrebbe potuto essere ragionevolmente prevista.
5. La Corte concorda con le suddette considerazioni e ritiene
rilevante, posto che la presenza dell'art. 37 decreto-legge n.
21/2022 nell'ordinamento giuridico, osta al richiesto rimborso, e non
manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale
della predetta norma secondo i profili dedotti dalla ricorrente.
P.Q.M.
La Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma;
Nella Camera di consiglio del 3 maggio 2023;
A scioglimento della riserva ex art. 35, decreto legislativo n.
546/1992 assunta all'udienza del 5 aprile 2023;
Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 37 decreto-legge n. 21/2022,
convertito in legge n. 51/2022, come modificato dall'art. 55
decreto-legge n. 50/2022, convertito in legge n. 91/2022, per
violazione degli artt. 3, 23, 42, 53, 117 della Costituzione e, in
via mediata, dell'art. 1 del Primo Protocollo CEDU.
Sospende il giudizio.
Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale.
Ordina alla Segreteria che la presente ordinanza sia notificata
alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata
al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della
Camera dei Deputati.
Roma, 3 maggio 2023
Il Presidente: Proietti
Il Giudice-estensore: Salassa