Reg. ord. n. 145 del 2023 pubbl. su G.U. del 08/11/2023 n. 45

Ordinanza del Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Roma  del 27/06/2023

Tra: ENI SPA C/ AGENZIA DELLE ENTRATE - DIREZIONE REGIONALE LAZIO



Oggetto:

Tributi – Energia – Prevista istituzione, per l’anno 2022, di un contributo straordinario contro il caro bollette a carico delle imprese operanti nel settore energetico – Individuazione dei soggetti passivi – Quantificazione della base imponibile – Criterio di determinazione costituito dall'incremento del saldo tra le operazioni attive e le operazioni passive, riferito al periodo dal 1° ottobre 2021 al 30 aprile 2022, rispetto al saldo del periodo dal 1° ottobre 2020 al 30 aprile 2021 – Previsione che, in caso di saldo negativo del periodo dal 1° ottobre 2020 al 30 aprile 2021, ai fini del calcolo della base imponibile per tale periodo è assunto un valore di riferimento pari a zero – Applicazione del contributo nella misura del 25 per cento nei casi in cui il suddetto incremento sia superiore a euro 5.000.000, mentre se è inferiore al 10 per cento non è dovuto alcun contributo – Assunzione, ai fini del calcolo del medesimo saldo, del totale delle operazioni attive e del totale delle operazioni passive, entrambe al netto dell'IVA – Denunciata introduzione, da parte del legislatore, di un contributo non pertinente ai sovraprofitti delle imprese energetiche e, pertanto, privo di una sua ragione giustificativa – Disposizione carente degli elementi essenziali identificativi del contributo, incluso il presupposto - Lesione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza, della capacità contributiva e della riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali imposte – In subordine, contributo inadeguato allo scopo, qualora fosse istituito al fine di colpire i sovraprofitti, essendo articolato in previsioni inidonee a incidere su tali grandezze economiche e su chi ne è eventualmente titolare – Contributo che determina una discriminazione tra le imprese del settore energetico e la restante platea dei contribuenti operanti in altri settori merceologici non colpiti dall’imposta – Intervento legislativo che determina un’ulteriore discriminazione interna allo stesso mercato energetico, gravando il contributo solo su alcune delle imprese operanti nel settore energetico, a vantaggio degli altri operatori del medesimo settore, non assoggettati allo stesso contributo – Contributo che, esentando coloro che hanno realizzato extra-profitti per importi inferiori a 5 milioni di euro o in una percentuale inferiore al 10 per cento, introduce un regime fiscale differenziato pur a fronte di situazioni del tutto comparabili - Imposizione che, non potendo esser traslata sui clienti, quando questi ultimi sono consumatori finali, si risolve in un aiuto di Stato nei confronti di coloro che operano a monte della catena produttiva, non assoggettati a tale divieto - Intervento normativo irragionevole, in spregio ai principi di uguaglianza e della capacità contributiva – Previsione di un contributo che può determinare effetti ablativi, anche integrali, della capacità economica del soggetto inciso e che lede l’equilibrio tra i bisogni finanziari del settore pubblico e l’interesse dei singoli - Contrasto con il principio della capacità contributiva - Conflitto con la garanzia costituzionale posta a presidio della proprietà privata, attesa l’imposizione di un sacrificio che comporta una concreta vanificazione dell’oggetto del diritto di proprietà – Previsione, secondo i criteri elaborati dalla Corte EDU, di un’imposta confiscatoria, essendo erosiva di tutto il patrimonio netto della società, con conseguente effetto espropriativo, di natura discriminatoria, con carattere retroattivo, gravando su una ricchezza formatasi ben prima della sua introduzione e priva del requisito della prevedibilità - Violazione degli obblighi internazionali, come declinati dall’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU – Lesione della libertà di iniziativa economica privata – Norma inidonea a conseguire il suo scopo, poiché il divieto di traslazione degli oneri sui prezzi al consumo non è in grado di evitare che l’imposta sia sopportata dai consumatori sotto forma di maggiorazione dei prezzi dei prodotti energetici, di per sé altamente dinamici – Violazione ulteriore dei principi di ragionevolezza e della capacità contributiva – Lesione della competenza legislativa statale esclusiva nella materia della tutela della concorrenza. 




Norme impugnate:

decreto-legge  del 21/03/2022  Num. 21  Art. 37   convertito con modificazioni in

legge  del 20/05/2022  Num. 51  come modificato da

decreto-legge  del 17/05/2022  Num. 50  Art. 55   convertito con modificazioni in

legge  del 15/07/2022  Num. 91



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.

Costituzione  Art. 23 

Costituzione  Art. 41 

Costituzione  Art. 42 

Costituzione  Art. 53 

Costituzione  Art. 117   Co.

Costituzione  Art. 117   Co. 2 lett. e)

Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali  Art.



Udienza Pubblica del 10 aprile 2024 rel. ANTONINI


Testo dell'ordinanza

N. 145 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 giugno 2023

Ordinanza del 27 giugno 2023 della Corte di giustizia  tributaria  di
primo grado di Roma sul ricorso proposto da ENI  Spa  contro  Agenzia
delle entrate - Direzione regionale Lazio . 
 
Tributi - Energia - Prevista istituzione,  per  l'anno  2022,  di  un
  contributo straordinario contro il caro  bollette  a  carico  delle
  imprese  operanti  nel  settore  energetico  -  Individuazione  dei
  soggetti passivi - Quantificazione della base imponibile - Criterio
  di determinazione  costituito  dall'incremento  del  saldo  tra  le
  operazioni attive e le operazioni passive, riferito al periodo  dal
  1° ottobre 2021 al 30 aprile 2022, rispetto al  saldo  del  periodo
  dal 1° ottobre 2020 al 30 aprile 2021 - Previsione che, in caso  di
  saldo negativo del periodo dal 1° ottobre 2020 al 30  aprile  2021,
  ai fini del calcolo della  base  imponibile  per  tale  periodo  e'
  assunto un valore di riferimento pari a  zero  -  Applicazione  del
  contributo nella misura del  25  per  cento  nei  casi  in  cui  il
  suddetto incremento sia superiore a euro 5.000.000,  mentre  se  e'
  inferiore al  10  per  cento  non  e'  dovuto  alcun  contributo  -
  Assunzione, ai fini del calcolo  del  medesimo  saldo,  del  totale
  delle operazioni attive e  del  totale  delle  operazioni  passive,
  entrambe al netto dell'IVA. 
- Decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21 (Misure urgenti per  contrastare
  gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina), convertito,
  con modificazioni, nella legge 20 maggio 2022, n. 51, art. 37, come
  modificato dall'art. 55 del decreto-legge 17  maggio  2022,  n.  50
  (Misure urgenti in  materia  di  politiche  energetiche  nazionali,
  produttivita'  delle  imprese  e  attrazione  degli   investimenti,
  nonche' in materia  di  politiche  sociali  e  di  crisi  ucraina),
  convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2022, n. 91. 


(GU n. 45 del 08-11-2023)

 
       LA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO DI ROMA 
                             Sezione 27 
 
    Riunita in udienza il 5 aprile 2023 alle ore 9,30 con la seguente
composizione collegiale: 
        Proietti Roberto, Presidente; 
        Salassa Pier Marco, relatore; 
        Venanzi Mario, giudice, 
    in data 3 maggio 2023 ha pronunciato la  seguente  ordinanza  sul
ricorso n. 17284/2022 depositato il 30 dicembre 2022 proposto da: 
        Eni Spa  -  00484960588,  difeso  da  Davide  De  Girolamo  -
DGRDVD77A24H501P - Livia Salvini - SLVLVI57H67H501M, rappresentato da
Giorgio Bigoni - BGNGRG59B22D548K ed elettivamente domiciliato presso
davidedegirolamo@ordineavvocatiroma.org; 
    Contro Agenzia entrate - Direzione regionale Lazio, elettivamente
domiciliato  presso  dr.lazio.gtpec@pce.agenziaentrate.it  avente  ad
oggetto l'impugnazione di: 
        Silenzio Rifiut n. IST. del 9 settembre  2022  Caro  bollette
2022, a seguito di discussione in pubblica udienza. 
 
                     Elementi in fatto e diritto 
 
    1. La societa' ENI S.p.a. ha proposto  ricorso  contro  l'Agenzia
delle  entrate  -  Direzione  regionale   del   Lazio,   avverso   il
silenzio-rifiuto maturato con riferimento alla richiesta di  rimborso
dell'importo di euro 335.152.546,20 corrisposto  in  data  31  agosto
2022 ex art. 37 decreto-legge n.  21/2022,  convertito  in  legge  n.
51/2022, come  modificato  dall'art.  55  decreto-legge  n.  50/2022,
convertito in legge n. 91/2022, a titolo di «contributo straordinario
contro il caro bollette» per euro 334.442.428,71 e relativi interessi
da ravvedimento operoso per euro 710.117,49, oltre interessi maturati
e maturandi, presentata via PEC  all'Amministrazione  finanziaria  in
data 9 settembre 2022. 
    La ricorrente ha dedotto, sia nell'istanza di  rimborso  che  nel
ricorso, l'illegittimita' costituzionale dell'art.  37  decreto-legge
n. 21/2022 sotto molteplici profili. 
    La   predetta   norma   sarebbe,   infatti,    costituzionalmente
illegittima per: 
        2. Violazione degli articoli 23, 3 e 53 della Costituzione. 
        2.1. Genericita',  indeterminatezza  e  irragionevolezza  del
presupposto. 
    La ricorrente ha evidenziato che l'art. 37 decreto-legge 21 marzo
2022, n. 21, convertito in legge 20 maggio 2022, n. 51, ha introdotto
un contributo straordinario contro il caro bollette  a  carico  delle
imprese operanti nel settore energetico. Tuttavia,  i  soli  elementi
essenziali del contributo che  il  legislatore  si  e'  premurato  di
individuare sono i soggetti passivi e  i  criteri  di  determinazione
(base  imponibile  e  aliquota),  mentre  il   legislatore   non   ha
individuato e definito il presupposto del tributo. 
    Non sarebbe quindi possibile comprendere, nella  sostanza,  quale
sia la manifestazione di capacita' contributiva che l'imposta intende
individuare e colpire. 
    Solo dalla lettura dei  lavori  preparatori  sembrerebbe  potersi
dedurre che il contributo in  esame  dovrebbe  intercettare  asseriti
«extraprofitti» di cui le imprese del comparto dell'energia avrebbero
beneficiato, in relazione all'aumento dei prezzi e delle tariffe  del
settore verificatosi a causa della crisi  internazionale  conseguente
all'invasione dell'Ucraina da parte  della  Russia.  Tuttavia,  nella
norma  in  esame  non  si  fa  mai  riferimento  ad  «extraprofitti»,
cosicche'   resterebbe   indeterminata   quale   maggiore   capacita'
contributiva il tributo sia volto a colpire. 
    Tale incertezza, deduce la ricorrente, si porrebbe  in  contrasto
sia con l'art. 23 Cost., che, prevedendo una chiara riserva di  legge
in relazione alle prestazioni patrimoniali, impone al legislatore  di
individuare gli elementi essenziali identificativi della  prestazione
tributaria, ivi incluso il presupposto, cioe' il fatto al verificarsi
del quale la prestazione e' dovuta, sia  con  gli  articoli  3  e  53
Cost., dal momento che, pur  rientrando  nella  discrezionalita'  del
legislatore la determinazione  dei  singoli  fatti  espressivi  della
capacita' contributiva, che puo' essere desunta da  qualsiasi  indice
che sia rivelatore di ricchezza, tale  discrezionalita'  incontra  il
limite della non arbitrarieta'. 
    Infatti,  le  norme  costituzionali   citate   esigono   che   il
presupposto del prelievo abbia  «un  indefettibile  raccordo  con  la
capacita' contributiva, in un quadro di sistema informato  a  criteri
di progressivita', come svolgimento ulteriore, nello specifico  campo
tributario, del principio di eguaglianza,  collegato  al  compito  di
rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti  di  fatto  alla
liberta' ed eguaglianza dei cittadini-persone umane,  in  spirito  di
solidarieta' politica,  economica  e  sociale  (artt.  2  e  3  della
Costituzione)» (Corte Cost., sentenza n. 341/2000, ripresa sul  punto
dalla sentenza n. 223/2012). 
    Cosi' non sarebbe nel  caso  di  specie,  atteso  che  le  regole
dettate per la determinazione della base imponibile apparirebbero  di
per se' irragionevoli  e  tecnicamente  errate,  non  consentendo  di
determinare  e  colpire  una  ricchezza  che  sia  in  qualche   modo
riconducibile ad una nozione economica di extraprofitto. 
    Invero, il contributo di cui trattasi, cosi' come configurato dal
legislatore, inciderebbe su materia imponibile del tutto diversa  dai
presunti  sovraprofitti  delle  imprese  energetiche,  ed  anche   su
soggetti  che  in  nessun  modo  hanno   beneficiato   di   eventuali
sovraprofitti. 
    A tale  proposito,  la  ricorrente  ha  premesso  che  l'art.  37
decreto-legge  n.  21/2022,  con  riferimento  ai  soggetti  passivi,
dispone al primo comma che sono tali: a) i  soggetti  che  esercitano
nel territorio dello Stato,  per  la  successiva  vendita  dei  beni,
l'attivita' di  produzione  di  energia  elettrica,  i  soggetti  che
esercitano l'attivita' di produzione di gas metano o di estrazione di
gas naturale, i soggetti rivenditori di  energia  elettrica,  di  gas
metano e di gas naturale e i soggetti che esercitano  l'attivita'  di
produzione, distribuzione e commercio di prodotti petroliferi;  b)  i
soggetti  che,  per  la  successiva  rivendita,  importano  a  titolo
definitivo energia elettrica, gas naturale  o  gas  metano,  prodotti
petroliferi o che introducono nel territorio dello Stato  detti  beni
provenienti da altri Stati dell'Unione europea. 
    Ha evidenziato la ricorrente che i soggetti incisi dal contributo
sono individuati sulla base di un criterio puramente qualitativo, che
e' rappresentato dalla loro appartenenza ai  mercati  energetici  nel
significato  piu'  ampiamente  inteso,  senza   alcuna   declinazione
specifica del contributo a  seconda  dello  svolgimento  in  concreto
delle diverse attivita',  ne'  alcuna  specificazione  riguardante  i
soggetti che svolgono piu' attivita', sia comprese che  non  comprese
nell'elencazione sopra riportata. 
    Con riferimento alla quantificazione della  base  imponibile,  il
secondo comma del citato art.  37  precisa  che  essa  e'  costituita
«dall'incremento del saldo tra le operazioni attive e  le  operazioni
passive, riferito al periodo dal 1° ottobre 2021 al 30  aprile  2022,
rispetto al saldo del periodo dal 1° ottobre 2020 al 30 aprile 2021».
A tal fine, la norma richiama quindi la disciplina in materia di IVA,
e nello  specifico  quella  delle  relative  liquidazioni  periodiche
(«LIPE»). 
        2.2. Inidoneita' allo scopo della norma. 
    Tanto premesso, la ricorrente  ha  osservato  che,  ove  pure  il
contributo  avesse  realmente  per  obiettivo   la   tassazione   dei
sovraprofitti   delle   imprese   energetiche,   la   sua    concreta
articolazione tecnica si dimostrerebbe del tutto inidonea allo scopo,
non apparendo in alcun modo progettato per incidere  su  una  materia
imponibile coincidente con eventuali sovraprofitti energetici. 
    Infatti, il contributo grava: 
        a) su materia imponibile del  tutto  diversa  da  margini  di
«sovraprofitto» quali che  siano,  atteso  che,  essendo  il  tributo
calcolato su un differenziale tra  «saldi  IVA»,  gli  e'  totalmente
estraneo    qualsivoglia    meccanismo    di    determinazione    del
«sovraprofitto» basato vuoi sul rendimento degli  investimenti,  vuoi
sul margine lordo su merci, ecc.; 
        b) su una platea indistinta e variegata  di  soggetti,  molti
dei quali non hanno beneficiato in nessun modo dell'ascesa dei prezzi
e delle tariffe del settore; 
        c) su un valore che raffronta i dati  delle  LIPE  realizzati
nell'anno corrente  con  quelli  realizzati  in  un  periodo  (quello
pandemico) intrinsecamente anomalo, nei quali l'imponibile IVA  delle
societa' era influenzato da variabili casuali e imprevedibili, quindi
del tutto  inidoneo  a  fungere  da  riferimento  per  individuare  e
calcolare  una  supposta  «plus-ricchezza»,   e   cioe'   l'ipotetico
«sovraprofitto», realizzato dalle imprese. 
    Apparirebbe, quindi, ancora piu'  evidente  la  violazione  delle
norme costituzionali citate, atteso che il sacrificio ai principi  di
eguaglianza e capacita' contributiva recato da un tributo speciale  e
selettivo non dev'essere  sproporzionato  e  non  deve  degradare  in
arbitraria  discriminazione,  in  quanto  «la  sua   struttura   deve
raccordarsi con la relativa ratio giustificatrice». Pertanto, «Se ...
il presupposto economico che il legislatore  intende  colpire  e'  la
eccezionale redditivita' dell'attivita'  svolta  in  un  settore  che
presenta   caratteristiche   privilegiate   in   un   dato    momento
congiunturale, tale circostanza dovrebbe necessariamente  riflettersi
sulla struttura dell'imposizione» (Corte Cost. n. 10/2015). 
    Piu' specificamente, la ricorrente ha sottolineato: 
        A) - L'inidoneita' ad intercettare  presunti  «extraprofitti»
del meccanismo scelto per la determinazione  della  base  imponibile,
tenuto conto che le operazioni rilevanti ai fini IVA  si  fondano  su
fattori che, sia sul fronte delle operazioni attive che sul fronte di
quelle  passive,  possono  non  avere  alcuna   relazione   con   gli
extraprofitti, intesi come un incremento degli utili dell'impresa  di
tipo  congiunturale,  dovuto  ad  attivita'  speculativa   oppure   a
circostanze esterne rispetto all'attivita' dell'impresa. 
    Invero, mentre il concetto di «sovraprofitto»  si  puo'  al  piu'
calcolare   sulla   dinamica   dei   margini   ovvero   sugli   utili
«incrementali», la base imponibile quantificata in base alle norme in
materia di IVA non tiene conto dei rilevantissimi elementi  di  costo
che insistono in maniera significativa sui profitti, e  quindi  sugli
ipotetici «sovraprofitti», del settore.  Si  pensi,  in  particolare,
agli oneri di gestione (primi tra tutti i costi di  personale),  agli
ammortamenti o ai differenziali realizzati su contratti derivati, che
se sono considerati non soggetti ad IVA non sono computabili ai  fini
del  contributo,  ma  rilevano  ai  fini  della  quantificazione  dei
profitti straordinari. 
    Inoltre, alla base imponibile IVA concorrono elementi  del  tutto
svincolati da un concetto di  «sovraprofitto»  incrementale,  sia  in
senso economico  che  finanziario,  come  ad  esempio  le  operazioni
straordinarie (cessioni di partecipazioni, fusioni, scissioni  etc.),
che alterano l'omogeneita' degli elementi soggettivi ed oggettivi  di
raffronto fra i due periodi di  riferimento  individuati  dal  citato
art. 37 e coinvolgono in ogni caso  vicende  estranee  alla  gestione
caratteristica dell'impresa, alla quale  soltanto  dovrebbero  essere
ricollegabili gli extraprofitti. 
    Ed   ancora,   secondo   l'interpretazione   dell'Amministrazione
finanziaria (circolare n. 22/E del 23 giugno 2022), il contributo  in
esame si applica sull'interezza del fatturato ritratto  da  tutte  le
attivita' esercitate, anche nel caso di soggetti operanti anche al di
fuori dell'ambito energetico,  cosi'  confermando  che  l'imposizione
fiscale puo' estendersi  anche  a  redditi  maturati  in  settori  di
attivita' totalmente diversi da quello energetico, che in nessun modo
si presuppongono beneficiati dall'andamento del prezzo  dei  prodotti
energetici. 
    Irragionevole appare,  altresi',  il  fatto  che  il  contributo,
gravando sul fatturato IVA, incide su elementi radicalmente  estranei
alla definizione di profitto  in  senso  economico  o  fiscale,  come
tipicamente accade con gli importi riferiti alle accise traslate  sui
clienti, che rappresentano componenti fiscali in definitiva riversate
allo Stato, che non rientrano in  alcun  modo  nella  definizione  di
profitto  in  senso  economico  o  fiscale,   sicche'   non   possono
rappresentare in alcun modo un incremento  rilevante  di  «ricchezza»
tassabile. 
    A cio' si aggiunga che, proprio perche' le accise sono un tributo
che viene riversato allo Stato e non un  provento  che  rimane  nella
disponibilita' dei soggetti passivi, includere le medesime nella base
imponibile del contributo vuole dire applicare un tributo su un altro
tributo, con un risultato manifestamente irrazionale. 
    Peraltro, le accise sono commisurate alle quantita' del  prodotto
venduto e non all'incremento di prezzo dello stesso  e,  quindi,  non
dipendono in nessun modo dall'aumento  dei  «margini»,  e  cioe'  dei
«profitti», delle imprese. 
    La ricorrente ha quindi concluso che la base  imponibile  su  cui
calcolare il contributo, cosi' come attualmente configurata dall'art.
37, sarebbe fortemente distorta e molto lontana dal rappresentare  un
indicatore della reale capacita' contributiva del soggetto obbligato. 
        B) - l'inidoneita' ad isolare un presunto sovraprofitto anche
delle norme in materia di competenza temporale. 
    Osserva la ricorrente che per isolare un preteso sovraprofitto  -
e, prima ancora,  un  eventuale  profitto  -  e'  necessario  che  la
struttura di un tributo sia idonea a correlare le  componenti  attive
con le corrispondenti componenti passive. Il principio di  competenza
economica, cosi' come il principio di cassa,  presuppone  infatti  la
correlazione tra costi e ricavi  proprio  al  fine  di  calcolare  un
preciso risultato economico realizzato in  un  determinato  lasso  di
tempo. Tale principio non  esiste  nel  sistema  dell'IVA  la  quale,
essendo  un'imposta  che   grava   sulle   singole   operazioni,   si
disinteressa di eventuali collegamenti tra  le  masse  di  operazioni
attive  e  passive,  non   essendo   strutturalmente   demandata   ad
intercettare un risultato differenziale tra tali masse. 
    Anche sotto questo profilo,  pertanto,  la  base  imponibile  del
contributo in esame  sarebbe  del  tutto  sbilanciata:  quest'ultimo,
sebbene volto specificamente a colpire un differenziale, vale a  dire
un sovraprofitto incrementale, appiattendosi sulle norme IVA mutua da
quest'ultima imposta anche le regole di imputazione  temporale  delle
operazioni; regole che tuttavia non sono in  nessun  modo  idonee  ad
intercettare un profitto e men che meno un sovraprofitto, dal momento
che non  sono  affatto  basate  sul  criterio  di  competenza  che  -
raffrontando temporalmente i ricavi con i relativi costi -consente di
determinare con precisione il risultato economico dell'attivita'. 
        C) -  L'inidoneita'  anche  del  periodo  di  tempo  preso  a
riferimento  dalla  norma  (1°/10/2021-  30/4/2022)  a  rappresentare
ipotetici sovraprofitti realizzati dalle imprese. 
    Innanzitutto,  si  tratta  di   un   periodo   troppo   breve   e
completamente svincolato dall'anno solare/esercizio. E'  infatti  ben
possibile  che,  a  fronte  di  un   risultato   economico   positivo
consuntivato nel periodo temporale rilevante ai fini del  contributo,
le societa' realizzino nei mesi  successivi  rilevantissime  perdite.
L'individuazione di un cosi' breve lasso temporale non e'  quindi  di
per se', in concreto, sufficientemente significativo  per  inquadrare
un incremento di «valore» che sia legato a un maggiore profitto. 
    A  cio'  si  aggiunga  che  gli  extraprofitti   realizzati   nel
2021-2022, rispetto al corrispondente periodo 2020-2021, spesso  sono
dovuti al fatto che durante la pandemia le societa' erano in perdita.
Il semestre compreso tra il 1° ottobre 2020 ed  il  30  aprile  2021,
infatti, ha risentito del calo dei consumi  dei  prodotti  energetici
dovuto al perdurare dell'emergenza sanitaria e delle connesse  misure
di contenimento, che ha comportato un minor impiego di tali prodotti. 
    Pertanto, il differenziale che confluisce nella  base  imponibile
del contributo non rappresenta un «sovraprofitto» posto in  relazione
con  un  «ordinario»  profitto  realizzato  nel  periodo  precedente,
riconducibile - nell'opinione del legislatore - ad una posizione  «di
vantaggio» dell'impresa sul mercato dovuta all'aumento delle tariffe,
ma si rivela incrementale solo perche' posto  in  relazione  con  una
perdita realizzata in costanza di pandemia. 
    In buona sostanza,  in  tale  settore  il  sovraprofitto  non  e'
riconducibile ad un incremento dei prezzi, ma solo ad  un  incremento
delle quantita'  venduta,  che,  a  sua  volta,  non  rappresenta  un
risultato  positivamente  straordinario,  ma  un  «ripristino»  della
situazione ordinaria rispetto a quella, negativamente  straordinaria,
realizzata in costanza di emergenza pandemica. 
    Ha quindi osservato la ricorrente  che  l'aumento  delle  vendite
nell'arco   temporale   preso   in   considerazione   dall'art.    37
decreto-legge n.  21/2022  non  sarebbe  affatto  il  sintomo  di  un
sovraprofitto, ne' dello sfruttamento di una situazione di  vantaggio
derivante dall'aumento dei prezzi. 
    Infatti, non e' l'aumento  delle  vendite  cio'  che  genera  una
capacita' contributiva aggiuntiva come quella che la  predetta  norma
vorrebbe colpire, ma semmai l'aumento dei margini.  La  disposizione,
irragionevolmente, non ha pero' distinto tra  l'operatore  che  abbia
effettivamente potuto fruire di margini piu' elevati,  a  parita'  di
costi, grazie alla vertiginosa  crescita  dei  prezzi  delle  materie
prime  energetiche,  e  l'operatore  che,  invece,   abbia   soltanto
aumentato  le  proprie  vendite.  Quest'ultimo  non  esibisce  alcuna
capacita' contributiva aggiuntiva che non sia  gia'  peraltro  incisa
dalle ordinarie imposte sui redditi e, soprattutto,  non  palesa  una
capacita' contributiva differente da qualunque  operatore  economico,
diverso da quelli che agiscono nei mercati delle  fonti  di  energia,
che abbia in quel dato periodo storico, superata la  fase  pandemica,
aumentato i propri livelli produttivi. 
    Dunque, ha concluso la  ricorrente,  assoggettare  adesso  questo
aumento  ad  un  contributo  straordinario   sarebbe   manifestamente
ingiusto ed irrazionale, atteso che l'imposizione fiscale  colpirebbe
non  un  extraprofitto  propriamente  detto,  ma  il  mero  ordinario
profitto realizzato dall'impresa, piu' elevato  rispetto  al  periodo
precedente solo in ragione  di  un  incremento  di  volumi  dovuto  a
ragioni contingenti. 
        D) -  L'omessa  considerazione,  nel   calcolo   della   base
imponibile, dei derivati realizzati per la copertura delle variazioni
prezzo dei  prodotti  oggetto  dell'attivita'  caratteristica,  quale
ulteriore elemento di incoerenza del prelievo fiscale in esame. 
    Premesso  che  le  societa'  operanti  nei  settori  incisi   dal
contributo sostengono ingenti  costi,  anch'essi  aumentati  data  la
contingenza  economica,  rappresentati  da   differenziali   negativi
realizzati su contratti derivati, ha osservato la ricorrente che tali
costi, non rappresentando  corrispettivi  di  una  controprestazione,
secondo    quanto    chiarito    dalle    indicazioni    di    prassi
dell'Amministrazione finanziaria (risoluzione MEF n. 77 del 16 luglio
1998), non  concorrono  all'ammontare  complessivo  delle  operazioni
passive ai fini dell'IVA, in quanto correttamente trattati  come  non
soggetti al tributo, e  conseguentemente,  pur  rilevando  in  misura
significativa  ai  fini  della  quantificazione  dei  redditi   delle
societa', non assumono alcuna rilevanza ai  fini  del  calcolo  della
base imponibile del contributo, in quanto - come detto - non soggetti
ad IVA e, quindi,  non  contabilizzati  nelle  relative  liquidazioni
periodiche. 
    Si tratta di contratti che  prevedono  l'impegno  delle  parti  a
versare importi differenziali, da stabilire in base  alle  quotazioni
di determinati beni, stipulati dalle imprese energetiche a  copertura
di  rischi  legati  all'andamento  delle  quotazioni  di   beni   che
costituiscono materie prime o prodotti finiti oggetto  della  propria
attivita'. L'esigenza sottesa  a  tali  contratti  e',  in  sostanza,
quella di evitare che tali quotazioni possano causare l'erosione  dei
margini di guadagno per effetto dell'aumento del  prezzo  di  materie
prime  o  della  contrazione  del   prezzo   dei   prodotti   oggetto
dell'attivita'. 
    Non puo' quindi dubitarsi che tali componenti siano  direttamente
riconducibili  all'attivita'  di  impresa,   trattandosi   di   costi
specificamente riferibili al suo oggetto: conseguentemente, non  puo'
nemmeno dubitarsi che essi concorrano, sia  in  senso  economico  che
giuridico,  alla  produzione  di  profitti  e  quindi,  di  eventuali
«sovraprofitti» realizzati nell'esercizio di quella stessa attivita'. 
    La  ricorrente  ha  quindi  concluso  evidenziando  che  l'omessa
rilevanza dei differenziali ai fini del contributo per il solo  fatto
di non rilevare ai fini dell'IVA,  sarebbe  indice  di  un  ulteriore
motivo di  irragionevolezza  del  criterio  (e,  in  ogni  caso,  del
tributo),  per  la  sua  inidoneita'  -  anche  per  tale  via  -   a
rappresentare correttamente la ricchezza che esso intende tassare. 
    Anche sotto tale aspetto, il  Contributo  apparirebbe  del  tutto
inidoneo a rappresentare correttamente  il  supposto  «sovraprofitto»
che intende colpire. 
        2.3. Modelli di corretta tassazione degli extraprofitti,  non
seguiti dal legislatore. 
    La  ricorrente  ha  evidenziato  che  il  legislatore   aveva   a
disposizione  almeno  tre  modelli  di  «corretta»   tassazione   dei
sovraprofitti incrementali, di cui tuttavia non avrebbe in alcun modo
tenuto conto. 
        2.3.1. - Un primo modello e' quello disegnato nel Regolamento
(UE) 202211854 del Consiglio dell'UE del 6 ottobre 2022  «relativo  a
un  intervento  di  emergenza  per  far  fronte  ai  prezzi   elevati
dell'energia», che delinea  al  Capo  III,  articoli  14  e  ss.,  un
«contributo  di  solidarieta'»  gravante  sugli   «utili   eccedenti»
generati dalle attivita'  energetiche  ad  esso  soggette  (attivita'
estrattive). 
    Tale norma e'  esplicitamente  ispirata  al  medesimo  scopo  che
orienta  il  contributo  italiano,   vale   adire   intervenire   sui
sovraprofitti  delle  societa'  energetiche  per  redistribuire  tali
plus-ricchezze  ai  soggetti   che   stanno   subendo   gli   effetti
dell'incremento dei prezzi dei prodotti e servizi energetici,  ma  le
relative  strutture  sono  radicalmente  differenti.  Il   contributo
europeo,  infatti,  mira  ad  intercettare  proprio  i  sovraprofitti
derivanti dagli incrementi di  prezzo  e  riesce  in  questo  intento
includendo nella propria base imponibile gli  utili  «determinati  in
base alla normativa  fiscale  nazionale  nell'esercizio  fiscale  che
inizia il 1° gennaio 2022 o successivamente, che eccedono un  aumento
del 20% degli utili imponibili medi, determinati secondo la normativa
tributaria nazionale, dei tre esercizi fiscali  che  iniziano  il  10
gennaio 2019 o successivamente». 
    Come  chiarito  nel  Considerando  13  del  Regolamento   citato,
l'intenzione del legislatore europeo e' quella di  tassare  solo  gli
utili «straordinari» realizzati dalle imprese  soggette  al  tributo.
Viene infatti ribadito che il contributo straordinario sulle  imprese
estrattive deve essere «adeguato per gestire gli utili  eccedenti  in
caso di circostanze impreviste. Tali  utili  non  corrispondono  agli
utili ordinari che le imprese e le stabili organizzazioni dell'Unione
che svolgono attivita' nei settori  del  petrolio  greggio,  del  gas
naturale, del carbone e della raffineria  si  sarebbero  aspettati  o
avrebbero potuto prevedere di ottenere in circostanze normali, se non
si fossero verificati eventi imprevedibili sui mercati dell'energia»;
cio' sempre al fine di garantire  «condizioni  di  parita'  in  tutta
l'Unione». 
    Ha osservato la ricorrente che il Regolamento riesce a  disegnare
un'imposta idonea ad isolare solo  il  sovraprofitto  ritratto  dalle
imprese  tassate,   incidendo   sui   profitti   in   una   accezione
incrementale, in relazione alla  particolare  congiuntura  economica.
Tale caratteristica sembrerebbe  del  tutto  assente  nel  contributo
italiano, che non solo - e a monte - non sarebbe idoneo  ad  incidere
sui «profitti», ma men  che  meno  riuscirebbe  ad  isolare  un  loro
incremento, e cioe' un «sovraprofitto». 
        2.3.2. - Un secondo modello, anch'esso comunitario, e' quello
proposto nella «Comunicazione «RePowerEU: azione europea  comune  per
un'energia  piu'  sicura,  piu'   sostenibile   e   a   prezzi   piu'
accessibili», pubblicata l'8 marzo 2022 dalla Commissione europea. 
    Nel relativo Allegato 2,  la  Commissione  ha  infatti  stabilito
delle linee guida per orientare gli Stati membri verso una tassazione
degli utili inframarginali compatibile con il  diritto  eurounitario,
rilevando, tra l'altro, che: 
        «tale misura dovrebbe tuttavia essere attentamente  concepita
per evitare inutili distorsioni del mercato»; 
        «il metodo di calcolo dei rendimenti da considerare eccessivi
[ ... ] dovrebbero essere chiaramente e specificamente  giustificati»
ed i profitti fortuiti «dovrebbero  essere  definiti  sulla  base  di
criteri ed eventi  oggettivi  e  verificabili»  al  fine  di  evitare
«qualsiasi uso arbitrario che comporterebbe gravi distorsioni»; 
        «le tendenze a  lungo  termine  dei  prezzi  derivanti  dagli
sviluppi strutturali del mercato e il segnale del prezzo del carbonio
proveniente dall'EU ETS non dovrebbero essere influenzati, in modo da
non  interferire  con  i  segnali  di  prezzo  a  lungo  termine  che
contribuiscono alla copertura dei costi fissi e di investimento»; 
        «la  misura  non  dovrebbe  essere  retroattiva  e   dovrebbe
recuperare  unicamente   una   quota   degli   utili   effettivamente
realizzati». 
    Ha osservato, quindi, la ricorrente che la Commissione europea ha
fornito agli Stati Membri  indicazioni  sufficientemente  chiare  per
«disegnare» tributi che devono incidere  soltanto  sull'extraprofitto
delle imprese energetiche  e  che  non  devono  alterare  il  normale
funzionamento concorrenziale del mercato, in coerenza con i  generali
principi dell'ordinamento dell'Unione europea. Tuttavia,  nessuna  di
tali indicazioni sarebbe stata  recepita  dal  legislatore  italiano,
atteso che il contributo in argomento, per come concepito,  non  solo
non definirebbe in maniera «oggettiva e verificabile» i sovraprofitti
tassabili, ma escluderebbe anche dalla base imponibile tutti i  costi
«di investimento». 
        2.3.3. - Un  terzo  modello,  puramente  «domestico»,  emerge
dalla sentenza n.  10/2015  della  Corte  Costituzionale  sulla  nota
«Robin Hood Tax». 
    Secondo  la  Corte  costituzionale,  la   congiuntura   economica
caratterizzata da  un  eccezionale  rialzo  dei  prezzi  di  prodotti
energetici al contempo insostenibile per gli utenti puo' incrementare
sensibilmente i margini  di  profitto  degli  operatori  dei  settori
interessati e quindi costituire «un elemento idoneo a giustificare un
prelievo differenziato che colpisca  gli  eventuali  "sovra-profitti"
congiunturali». Tuttavia, «affinche' il sacrificio recato ai principi
di eguaglianza e di capacita' contributiva non sia  sproporzionato  e
la  differenziazione   dell'imposta   non   degradi   in   arbitraria
discriminazione, la sua struttura deve coerentemente raccordarsi  con
la relativa ratio giustificatrice». Cio' non avveniva nel caso  della
maggiorazione  dell'aliquota  IRES  prevista  dal  decreto-legge   n.
112/2008, in quanto il tributo» si applica[va] all'intero reddito  di
impresa, anziche' ai soli «sovra-profitti». 
    Il precedente fornisce pero' preziose indicazioni al  legislatore
per disegnare un'imposta equa. Si legge infatti nella pronuncia che: 
        «sebbene  una  pluralita'  di  indizi  contenuti  nel   testo
normativo impugnato e nei relativi  lavori  preparatori  suggeriscano
che  l'intento  del   legislatore   fosse   quello   di   colpire   i
"sovra-profitti" conseguiti da detti soggetti in una data congiuntura
economica, in realta' la struttura della nuova  imposta  non  sarebbe
poi coerente con tale ratio giustificatrice»; 
        «la possibilita' di imposizioni differenziate deve pur sempre
ancorarsi a una adeguata giustificazione  obiettiva,  la  quale  deve
essere coerentemente, proporzionalmente  e  ragionevolmente  tradotta
nella struttura dell'imposta»; 
        «se, come nel caso in esame, il presupposto economico che  il
legislatore  intende   colpire   e'   la   eccezionale   redditivita'
dell'attivita' svolta in  un  settore  che  presenta  caratteristiche
privilegiate in  un  dato  momento  congiunturale,  tale  circostanza
dovrebbe     necessariamente     riflettersi     sulla      struttura
dell'imposizione»; 
        «il  vizio   di   irragionevolezza   e'   evidenziato   dalla
configurazione del tributo in esame come  maggiorazione  di  aliquota
che si applica  all'intero  reddito  di  impresa,  anziche'  ai  soli
"sovra-profitti"». 
    A  contrario,  dalla  sentenza  si  evince  che  un'imposta   sui
sovraprofitti e', in linea di  principio,  equa  e  costituzionale  a
condizione che sia idonea ad incidere sui «profitti» in  un'accezione
«incrementale» in relazione alla «particolare congiuntura economica». 
    La  ricorrente  ha  dunque  evidenziato  che  nessuna  di  queste
indicazioni sarebbe stata recepita nel contributo in esame,  che  non
solo - e a monte - non sarebbe idoneo ad incidere sui «profitti»,  ma
men che meno riuscirebbe ad isolare un loro incremento,  e  cioe'  un
«sovraprofitto». 
    Le conclusioni, allora, non potrebbero  che  essere  identiche  a
quelle tratte nella citata  sentenza:  anche  il  contributo  di  cui
all'art 37 decreto-legge n. 21/2022, al pari del suo «precedente», e'
incompatibile con le norme costituzionali sopra indicate,  in  quanto
il   suo   presupposto   non    si    «riflette    sulla    struttura
dell'imposizione». 
        2.4.  Sulla  base  delle  considerazioni  sopra  esposte,  la
ricorrente, con riferimento alla violazione degli articoli 23, 3 e 53
Cost., ha prospettato una duplice conclusione. 
    O l'intenzione del legislatore in realta' non sarebbe  quella  di
indirizzare  il  contributo   sui   «sovraprofitti»   delle   imprese
energetiche,  ed  allora  risulterebbe  confermata  la  piu'   totale
mancanza di ragioni  giustificative  del  contributo,  in  violazione
delle norme costituzionali di cui sopra. 
    Oppure  -  e  in  subordine  logico  -  il   contributo   sarebbe
ipoteticamente inteso a colpire proprio i sovraprofitti, ma  in  tale
caso esso si dimostrerebbe di  fatto  completamente  inadeguato  allo
scopo,  perche'  articolato  in  previsioni  del  tutto  inidonee  ad
incidere selettivamente su tali grandezze economiche e su chi  ne  e'
eventualmente titolare,  con  l'inevitabile  conseguenza  della  piu'
totale   discriminatorieta'   ed   irragionevolezza   dell'intervento
normativo, ancora in violazione delle norme costituzionali indicate. 
        2.5. Per quanto riguarda, in particolare, i profili rilevanti
ex  art.  3  Cost.,  la  ricorrente   ha   evidenziato   la   portata
discriminatoria  del  contributo,  interna  o  esterna   al   mercato
energetico. 
    In primo luogo, esso determinerebbe  una  chiara  discriminazione
tra le imprese del  settore  energetico  e  la  restante  platea  dei
contribuenti operanti in altri settori merceologici  che  pure  hanno
realizzato  consistenti  extraprofitti  durante  e  dopo   la   crisi
pandemica, senza tuttavia essere in alcun modo  colpiti  dall'imposta
(ad. es. i settori bancario-finanziario o farmaceutico). 
    In secondo luogo,  esso  determinerebbe  discriminazioni  interne
allo stesso mercato energetico, gravando il contributo solo su alcune
delle imprese che operano nel settore energetico e risolvendosi in un
vantaggio degli operatori operanti nel settore energetico che  -  per
ragioni del tutto «casuali» - non sono assoggettati al medesimo,  non
essendo in grado di  isolare  soggetti  che  abbiano  realizzato  una
maggiore capacita' contributiva effettiva rispetto ai concorrenti. 
    In  terzo  luogo,  il  contributo,  mandando  esenti  da  imposta
operatori che hanno realizzato extraprofitti per importi inferiori  a
5 milioni di euro o in una percentuale inferiore  al  10  per  cento,
introdurrebbe  un  regime  fiscale  differenziato  pur  a  fronte  di
situazioni del tutto comparabili. 
    Infine, poiche'  il  contributo  non  puo'  essere  traslato  sui
clienti quando questi ultimi sono consumatori finali, di talche'  chi
opera  a  valle  della  catena  produttiva  (e  dunque  solo  con   i
consumatori)   resta   necessariamente   e   definitivamente   inciso
dell'onere impositivo, l'imposta si risolverebbe in un aiuto di Stato
nei  confronti  dei  soggetti  che  operano  a  monte  della   catena
produttiva, che non sono assoggettati a tale divieto. 
    La ricorrente ha quindi concluso evidenziando che  il  contributo
in commento non sarebbe conforme a Costituzione anche per le evidenti
discriminazioni interne al settore energetico,  non  giustificate  da
alcuna  differenziazione  in  relazione  ad  una  diversa   capacita'
contributiva, in manifesta violazione dell'art. 3 Cost. 
        3. Violazione degli articoli 53 e 42 della Costituzione. 
        3.1. La ricorrente ha evidenziato che l'art. 37 decreto-legge
n. 21/2022, nella misura in cui accetta che il contributo possa avere
effetti  ablativi  anche  integrali  della  capacita'  economica  del
soggetto inciso, sarebbe in palese contrasto anche con  gli  articoli
53 e 42 Cost. 
    Invero, il contributo in concreto dovuto dalla ricorrente ammonta
a complessivi euro 836.106.071,78 ed ha  un  impatto  dirompente  sui
conti della Societa', come documentato dai bilanci prodotti in  atti,
erodendo integralmente il risultato  operativo  dell'ultimo  bilancio
approvato. 
    Pertanto, la ricorrente ha  osservato  che  la  predetta  imposta
sortirebbe effetti tipicamente espropriativi e, anche per  tale  via,
si rivelerebbe incostituzionale. 
    Con riferimento all'art. 42 Cost., norma posta dai costituenti  a
garanzia della proprieta' privata, un livello di imposizione tale  da
superare  la   ricchezza   disponibile   del   contribuente   conduce
inevitabilmente  all'ablazione  graduale  del  patrimonio.   Inoltre,
l'art. 42 Cost., quando  al  secondo  comma  dispone  che  «la  legge
determina i modi di acquisto della  proprieta'  privata»,  garantisce
l'esistenza del mercato, ossia di un luogo in cui i privati scambiano
i  propri  beni.  Perche'  vi  sia  un  mercato  e'   necessaria   la
circolazione dei capitali, impossibile se i singoli sono privati, per
effetto di un «supposto» tributo, del complesso  dei  beni  economici
necessario al soddisfacimento delle primarie necessita'. 
    In sintesi, il legittimo sacrificio che puo'  essere  imposto  in
nome dell'interesse pubblico non  puo'  giungere  sino  alla  pratica
vanificazione  dell'oggetto  del  diritto  di  proprieta',  pena   la
violazione della norma citata (Corte cost., sentenza n. 348/2007). 
    L'art. 53 Cost. opera,  inoltre,  da  ulteriore  baluardo  contro
prelievi il cui presupposto, pur essendo economicamente  apprezzabile
o  sintomatico,  sia  configurato  in  modo  da  generare  l'erosione
progressiva dell'oggetto cui e'  riferita  l'imposta,  oppure  contro
prelievi che sottraggono integralmente la stessa ricchezza tassata  o
in una misura che possa fondatamente minacciare  l'equilibrio  tra  i
bisogni finanziari del settore pubblico e l'interesse dei singoli. 
    Peraltro, l'art. 53  Cost.,  e  in  particolare  il  concetto  di
«capacita' contributiva», reca  in  se'  il  divieto  di  imposizione
espropriativa. 
    Non e' infatti consentito al legislatore soddisfare  «l'interesse
fiscale» in ogni modo, ma tale bisogno deve essere bilanciato con gli
altri valori costituzionali, in quanto l'art.  53  Cost.  non  indica
alcuna prevalenza dell'interesse fiscale rispetto agli altri  diritti
costituzionalmente tutelati. 
        4.  Violazione  dell'art.  117  Cost.  e,  in  via   mediata,
dell'art. 1 del Primo protocollo Cedu. 
    La ricorrente  ha  evidenziato  che  il  contributo  ex  art.  37
decreto-legge  n.  21/2022  si  porrebbe  in   manifesta   violazione
dell'art.  1  del  Primo  Protocollo  Convenzione  europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  e,
per esso, dell'art. 117 Cost., che impone al legislatore  di  operare
nel rispetto degli obblighi internazionali. 
    L'art.  1  del  Primo  protocollo  convenzione  europea  per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  e'
posto a presidio  della  tutela  proprietaria,  prevedendo  al  primo
comma, primo periodo, la regola secondo cui «ogni  persona  fisica  o
giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni» e cosi' vietando,  in
via generale, ogni compressione al libero godimento dei beni  stessi.
I periodi successivi del  testo  della  disposizione  autorizzano,  a
certe condizioni,  la  limitazione  del  diritto  di  proprieta':  il
secondo periodo del primo comma prevede, infatti, che  «nessuno  puo'
essere privato della sua proprieta' se  non  per  causa  di  pubblica
utilita' e nelle condizioni  previste  dalla  legge  e  dai  principi
generali del diritto internazionale». 
    Il  secondo  comma  dispone  a  sua  volta  che «le  disposizioni
precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in
vigore le leggi da essi ritenute necessarie  per  disciplinare  l'uso
dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare  il
pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende». 
    Tanto premesso, la ricorrente ha osservato che il  contributo  in
esame determinerebbe una limitazione della  tutela  proprietaria  nel
godimento dei beni della medesima, risolvendosi in una  contribuzione
in denaro che determina l'erosione di tutto  il  risultato  operativo
dell'ultimo bilancio approvato. 
    Tale limitazione non sarebbe giustificata sulla base di una delle
eccezioni ammesse dal secondo paragrafo dell'art. 1, con  particolare
riferimento alla seconda eccezione, che legittima le privazioni della
tutela proprietaria volte ad «assicurare il pagamento delle imposte o
di altri contributi o delle ammende» (art. 1, par. 2). 
    Secondo  la  costante  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo, una restrizione della tutela  proprietaria,  anche
se basata su ragioni di ordine fiscale, deve comunque: 
        essere legittima, nella consapevolezza  che  «l'esistenza  di
una base giuridica nel diritto interno non e' di per se'  sufficiente
a soddisfare il principio di liceita'» in quanto detta base giuridica
«deve avere una certa qualita', ovvero deve essere compatibile con lo
stato di diritto e  deve  fornire  garanzie  contro  l'arbitrarieta'»
(CEDU, N.K.M. vs. Hungary, sentenza del 14 maggio 2013); 
        rispondere  ad  un  «giusto  equilibrio»  tra   le   esigenze
pubbliche e quelle di tutela dei diritti fondamentali dell'individuo.
Nell'ambito di tale equilibrio, il potere impositivo trova un  chiaro
limite proprio nel divieto di introdurre «imposte confiscatorie»,  le
quali incidono sui beni del contribuente in maniera cosi'  dirompente
da alterare  in  maniera  illegittima  e  radicale  l'equilibrio  tra
interesse fiscale e diritto alla tutela proprietaria. 
    La Corte europea dei diritti dell'uomo ha avuto modo di esaminare
la  questione  in  tre  recenti   sentenze   emesse   nei   confronti
dell'Ungheria (CEDU, N.K.M. vs. Hungary, sentenza del 14 maggio 2013;
CEDU, Gall vs. Hungary, sentenza del 25 giugno 2013 e CEDU, R.Sz. vs.
Hungary, sentenza del 2 luglio 2013.), nelle quali e' stata accertato
una violazione dell'art. 1 del  Protocollo  n.  1  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali posta in essere  dal  legislatore  ungherese,  dato  che
quest'ultimo  aveva  introdotto  retroattivamente  un'imposta   molto
gravosa sulle somme corrisposte ai lavoratori del pubblico impiego in
occasione della conclusione del rapporto di lavoro. 
    Nelle pronunce, la Corte ha avuto modo definire quando un'imposta
puo' essere considerata confiscatoria, chiarendo  che:  «un'ingerenza
nel diritto al pacifico godimento dei beni, anche  se  avvenuta  alle
condizioni  previste  dalla  legge  -  che   implica   l'assenza   di
arbitrarieta' - e nell'interesse pubblico,  deve  sempre  trovare  un
«giusto equilibrio» tra le  esigenze  dell'interesse  generale  della
collettivita' e le esigenze della  tutela  dei  diritti  fondamentali
della  persona.  In  particolare,  deve  sussistere  un   ragionevole
rapporto di proporzionalita' tra i mezzi  impiegati  e  la  finalita'
perseguita dal provvedimento impugnato». 
    Alla  luce  di  tali   premesse,   l'imposta   ungherese   doveva
considerarsi  contraria  al  citato  art.  1  in  quanto  la   misura
contestata: 
        1) comportava un onere «eccessivo e individuale da parte  del
ricorrente»; 
        2) riguardava «solo un determinato gruppo di soggetti»; 
        3) era da considerarsi  «retroattiva»  nell'accezione  intesa
dalla stessa Corte europea dei diritti dell'uomo. 
    La ricorrente ha quindi evidenziato  che  il  contributo  di  cui
all'art. 37 decreto-legge n. 21/2022 presenta tutte e tre  le  citate
caratteristiche,  erodendo  da  solo  tutto  il  risultato  operativo
dell'ultimo bilancio approvato, con effetto  espropriativo  evidente,
avendo  natura  intrinsecamente  discriminatoria,  come  gia'   sopra
argomentato,  ed  essendo  un   prelievo   con   caratteristiche   di
retroattivita', gravando su  una  ricchezza  comunque  formatasi  ben
prima della sua entrata in vigore, nonche' privo del requisito  della
prevedibilita',   determinando   retroattivamente   una    situazione
sfavorevole in capo ai contribuenti che  non  avrebbe  potuto  essere
ragionevolmente prevista. 
        5. Violazione degli articoli  3,  53,  41  e  117,  comma  2,
lettera e) della Costituzione. 
    Con particolare riferimento all'art. 37, comma  8,  decreto-legge
n. 21/2022, la ricorrente ha evidenziato  che  la  norma  sembrerebbe
irrazionale per inidoneita' a conseguire il suo scopo,  tenuto  conto
che il divieto di traslazione degli  oneri  sui  prezzi  al  consumo,
eventualmente posto dalla predetta disposizione, non sarebbe comunque
in grado di evitare che l'imposta sia, in definitiva, sopportata  dai
consumatori sotto forma di maggiorazione dei prezzi.  Il  prezzo  dei
prodotti energetici e', infatti, di  per  se'  altamente  dinamico  e
basato su una molteplicita'  di  elementi  di  costo  (a  loro  volta
variabili), nonche' dipendente dall'imprevedibile andamento del tasso
di cambio tra euro e dollaro statunitense (non si dimentichi  che  le
transazioni su greggio sono sempre denominate in  dollari).  Imputare
un aumento  di  prezzo  al  recupero  «occulto»  del  contributo  sul
consumatore e' quindi praticamente impossibile. 
    A tale proposito,  gia'  nella  sentenza  n.  10/2015,  la  Corte
costituzionale aveva precisato, con riferimento alla c.d. Robin  Hood
Tax, che «Un ulteriore profilo di inadeguatezza e irragionevolezza e'
connesso alla inidoneita' della  manovra  tributaria  in  giudizio  a
conseguire le finalita'  solidaristiche  che  intende  esplicitamente
perseguire», poiche' «il  divieto  di  traslazione  degli  oneri  sui
prezzi al consumo, cosi' come delineato nel comma 18, non e' in grado
di evitare  che  l'"addizionale"  sia  scaricata  a  valle,  dall'uno
all'altro dei contribuenti che compongono la filiera petrolifera  per
poi essere, in definitiva, sopportata dai consumatori sotto forma  di
maggiorazione dei prezzi», con la conseguenza  che  «la  disposizione
appare irrazionale per inidoneita' a conseguire il suo scopo». 
    Inoltre,  la  ricorrente  ha  evidenziato  che  divieto   attiene
peraltro ai soli «prezzi al consumo» e, pertanto, l'ambito soggettivo
di applicazione peculiare dello stesso e' quello  delle  imprese  del
settore energetico che operano nei diretti confronti dei  consumatori
e, per cio' stesso, al termine del ciclo  produttivo  e  distributivo
visto nel suo complesso.  Sembrerebbero  invece  restare  esenti  dal
divieto di traslazione le imprese collocate a  monte  di  tale  ciclo
produttivo ed  aventi  per  clienti  altre  imprese  (e  non  gia'  i
consumatori).  Cio'  con  palese  violazione  (anche)   delle   norme
costituzionali poste a tutela della  concorrenza,  rinvenibili  negli
articoli 41 e 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione. 
    6. La Corte concorda con le  suddette  considerazioni  e  ritiene
rilevante, posto  che  la  presenza  dell'art.  37  decreto-legge  n.
21/2022 nell'ordinamento giuridico, osta al richiesto rimborso, e non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
della predetta norma secondo i profili dedotti dalla ricorrente. 

 
                               P.Q.M. 
 
    La Corte di giustizia tributaria di primo grado  di  Roma,  nella
Camera di consiglio del 3 maggio 2023, a scioglimento  della  riserva
ex art. 35, decreto legislativo n. 546/1992 assunta all'udienza del 5
aprile 2023; 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 37  decreto-legge  n.  21/2022,
convertito  in  legge  n.  51/2022,  come  modificato  dall'art.   55
decreto-legge  n.  50/2022,  convertito  in  legge  n.  91/2022,  per
violazione degli articoli 3, 23, 42, 53, 117 della Costituzione e, in
via mediata, dell'art. 1 del Primo protocollo Cedu. 
    Sospende il giudizio. 
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
    Ordina alla Segreteria che la presente ordinanza  sia  notificata
alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri  e  comunicata
al Presidente del Senato della  Repubblica  ed  al  Presidente  della
Camera dei deputati. 
      Roma, 3 maggio 2023 
 
                       Il Presidente: Proietti 
 
 
                                       Il Giudice estensore: Salassa