Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso del 17 giugno 1999, la provincia autonoma di
Trento ha sollevato questione di legittimità costituzionale
dell'art. 1, commi 1, 2, lettere a) e c), 3, 4 e 9 della legge
17 maggio 1999, n. 144 (Misure in materia di investimenti, delega al
Governo per il riordino degli incentivi all'occupazione e della
normativa che disciplina l'INAIL, nonché disposizioni per il
riordino degli enti previdenziali), per contrasto con gli artt. 8,
numeri 1, 5, 9, 10, 17, 18, 20, 21, 23, 28 e 29; 9, numeri 3, 4, 5 e
8; 16 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato
con decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, e
con le relative norme di attuazione, in particolare con l'art. 3 del
decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266.
La provincia precisa che non intende disconoscere che la
disciplina statale censurata ponga principi fondamentali di riforma,
al cui rispetto essa si considera tenuta, ovvero il principio di
necessaria valutazione tecnica degli investimenti pubblici e quello
organizzativo di creazione di un sistema di monitoraggio su scala
nazionale. La ricorrente si duole, invece, del fatto che la
disposizione denunciata, nell'istituire i nuclei di valutazione e
verifica degli investimenti pubblici, leda la sua autonomia, a causa
della previsione, per "un insieme amplissimo e vitale di settori di
attività", di "modalità organizzative e di azione uniformi, comuni
a tutte le amministrazioni, sia statali che regionali".
Secondo il ricorso, anche se il comma 3 dell'articolo censurato
affida alle amministrazioni interessate le "attività volte alla
costituzione dei nuclei di valutazione e verifica", l'ambito
decisionale riservato alle medesime è, comunque, molto ridotto, a
causa della necessità di tener conto delle "strutture similari già
esistenti", di "evitare duplicazioni" e di provvedere ad elaborare un
"programma di attuazione".
La ricorrente, nel precisare che, proprio in ossequio al
principio del miglioramento del processo di programmazione delle
politiche di sviluppo, ha già da tempo istituito organi preposti a
valutare "la validità e sostenibilità economico-finanziaria" della
realizzazione, e in alcuni casi della gestione, degli investimenti
pubblici, ritiene che la lesione della sua autonomia discenda,
invece, dalla imposizione, al di là di ogni "possibile interesse
nazionale", di un modello organizzativo predeterminato, con
l'assoggettamento dei processi decisionali dell'ente ad una "continua
interferenza", da parte di un "organismo imposto e operante in
raccordo con una struttura centrale dello Stato".
2. - Oltre al già menzionato comma 3, la provincia censura,
perciò, anche la disposizione del comma 1 dell'art. 1 della legge
n. 144 del 1999, che affida ai nuclei il compito di supporto tecnico
"nelle fasi di programmazione, valutazione, attuazione e verifica di
piani, programmi e politiche di intervento", come pure quella del
comma 2 che ne prevede l'apporto nelle fasi di "programmazione,
formulazione e valutazione di documenti di programma, per le analisi
di opportunità e fattibilità degli investimenti" e di "valutazione
ex ante di progetti e interventi".
Nel rilevare che dalla disposizione risulta chiarissimo
l'inserimento, nel processo decisionale, di un organismo previsto e
disciplinato dalla legge statale e da altri atti statali attuativi,
il ricorso osserva che egualmente illegittima deve ritenersi
l'attribuzione, ai suddetti nuclei, del potere di compiere una
"valutazione di qualità ambientale e di sostenibilità dello
sviluppo, nonché della compatibilità ecologica degli investimenti
pubblici", in quanto attività interferente "con la normazione
provinciale in tema di valutazione di impatto ambientale", e in ogni
caso con l'autonomia organizzativa dell'ente, in materia di
determinazione degli organi e procedure idonee a verificare detto
impatto a fronte degli interventi economici pubblici.
Secondo la provincia "non meno illegittimo" sarebbe l'affidamento
ai nuclei della competenza a svolgere "attività volta alla graduale
estensione delle tecniche proprie dei fondi strutturali all'insieme
dei programmi e dei progetti attuati a livello territoriale, con
riferimento alle fasi di programmazione, valutazione, monitoraggio e
verifica", competendo, invece, al legislatore provinciale di
stabilire "se ed in che misura" tali tecniche, oltretutto indicate in
modo generico, debbano essere estese all'insieme dei detti programmi
e progetti.
3. - La violazione dell'autonomia organizzativa e funzionale
della provincia sarebbe ulteriormente aggravata dal comma 4
dell'art. 1, il quale attribuisce allo Stato, e per esso al
Presidente del Consiglio dei ministri, "poteri di integrazione
normativa", relativamente alla determinazione delle "caratteristiche
organizzative comuni dei nuclei" e, in genere, alle modalità e
criteri per l'attuazione della disciplina legislativa.
Ad avviso della ricorrente, il previsto decreto del Presidente
del Consiglio dei ministri sarebbe atto estraneo al sistema dei
rapporti tra fonti statali e provinciali, come delineato anche dal
decreto legislativo n. 266 del 1992. Esso avrebbe un contenuto solo
in parte accostabile all'atto di indirizzo e coordinamento, senza
peraltro possederne i requisiti di forma e di procedura, tra i quali,
con specifico riferimento alla provincia di Trento, la ricorrente
individua il previo parere di compatibilità con lo statuto.
4. - Nell'escludere l'esistenza di un interesse nazionale che
possa giustificare l'imposizione del descritto modello organizzativo,
il ricorso afferma che, in ogni caso, anche in virtù dei principi di
proporzionalità e sussidiarietà, l'impatto sulla autonomia
costituzionale dell'ente dovrebbe essere limitato "alla sola
fissazione dei principi fondamentali riconoscibili nella normativa,
cioè il principio di valutazione tecnico-economica degli
investimenti pubblici e il principio del loro monitoraggio
nazionale".
5. - Per quanto riguarda, infine, il comma 9 dell'art. 1, la
provincia osserva che tale disposizione - nell'attribuire al CIPE il
potere di indicare i criteri ai quali dovranno attenersi le regioni e
le province autonome, al fine di suddividere il rispettivo territorio
in Sistemi locali del lavoro - si risolve nella previsione di un atto
anomalo, "estraneo al sistema dei rapporti tra Stato e province
autonome". Oltretutto, la disposizione censurata avrebbe posto a
carico delle province un onere di individuazione non chiaro, in
quanto non si comprende che cosa siano e quale valore abbiano i
sistemi locali del lavoro, né se la "zonizzazione" sia vincolante
nell'elaborazione degli interventi e degli investimenti provinciali.
Del tutto incerta risulterebbe, altresì, la clausola di salvaguardia
delle competenze delle province autonome in materia.
6. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha concluso per l'inammissibilità e, comunque, per la manifesta
infondatezza della questione.
La difesa erariale osserva, in particolare, che lo Stato è
"abilitato all'uso di tutti gli strumenti consentitigli per far
valere gli interessi unitari di cui è portatore", come risulta dalla
giurisprudenza costituzionale, secondo la quale la fissazione di
criteri generali per il coordinamento di servizi non lede in alcun
modo la competenza delle province autonome.
7. - In prossimità della udienza pubblica, hanno depositato
memorie sia la provincia autonoma di Trento sia l'Avvocatura generale
dello Stato.
7.1. - La provincia autonoma, nell'insistere per la dichiarazione
di illegittimità costituzionale delle norme denunciate, fa presente
che l'art. 10, comma 3, della sopravvenuta legge provinciale 22 marzo
2001, n. 3, ha previsto che la giunta provinciale definisca, anche in
attuazione della legge n. 144 del 1999, i criteri, le modalità e gli
strumenti organizzativi per assicurare la valutazione e la verifica
degli investimenti pubblici. La circostanza che il Governo non abbia
avanzato alcun rilievo nei confronti della suddetta legge
dimostrerebbe, ad avviso della ricorrente, che l'attività demandata
alla giunta rientra nell'autonomia provinciale e, inoltre, che la
legge impugnata non pone rigidi vincoli di adeguamento in ordine alle
modalità attuative.
Nel ribadire che, in ogni caso, i singoli profili della
disciplina impugnata non possono giustificarsi sulla base di
"presunte esigenze di interesse nazionale", la provincia di Trento
rileva che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
previsto dall'art. 1, comma 4, della legge n. 144 del 1999 si è
tradotto in una direttiva emanata in data 10 settembre 1999. Al
riguardo, osservato che, nei confronti delle province autonome, il
potere di direttiva concerne solo le funzioni amministrative
delegate, come risulta dall'art. 5 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 526 del 1987 e, altresì, che l'atto emanato ha più
contenuto normativo che non di direttiva, la ricorrente sostiene,
comunque, che le direttive stesse non rientrano fra gli atti che
possono, ai sensi del decreto legislativo n. 266 del 1992, incidere
sulle funzioni legislative ed amministrative della provincia autonoma
di Trento.
7.2. - L'Avvocatura generale dello Stato, nel concludere per
l'inammissibilità e, comunque, per l'infondatezza del ricorso,
osserva che la legge n. 144 del 1999 disciplina un settore di
importanza nazionale, tale da richiedere l'emanazione di principi
uniformi in tutto il Paese, attraverso norme fondamentali di riforma
economico-sociale connesse ad un interesse unitario dello Stato.
La disciplina censurata, mentre non esclude uno spazio normativo
di adeguamento dei principi al contesto locale, assicura, altresì,
attraverso la conferenza per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome, l'intesa prevista dall'art. 8 della legge n. 59
del 1997.
La difesa erariale, nel ribadire le conclusioni già formulate,
osserva, infine, che i nuclei di valutazione svolgono una funzione
consultiva, inidonea, in quanto tale, ad interferire con l'esercizio
delle competenze amministrative spettanti alla provincia autonoma di
Trento.
Considerato in diritto
1. - Con il ricorso in epigrafe la provincia autonoma di Trento
ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1,
commi 1, 2, lettere a) e c), 3, 4 e 9 della legge 17 maggio 1999,
n. 144 (Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il
riordino degli incentivi all'occupazione e della normativa che
disciplina l'INAIL, nonché disposizioni per il riordino degli enti
previdenziali), nella parte in cui "prevede che vengano
obbligatoriamente istituiti in ogni amministrazione statale e
regionale nuclei di valutazione e verifica degli investimenti
pubblici, con le caratteristiche e le funzioni" indicate nel medesimo
articolo.
La ricorrente - nel denunciare violazione degli artt. 8, numeri
1, 5, 9, 10, 17, 18, 20, 21, 23, 28 e 29; 9, numeri 3, 4, 5 e 8; 16
dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato con
decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, e
delle relative norme di attuazione, in particolare dell'art. 3 del
decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 - lamenta che:
a) i commi 1 e 2, lettere a) e c), del menzionato art. 1
della legge 17 maggio 1999, n. 144, "anziché limitarsi a fissare il
principio della necessaria valutazione tecnico-economica delle
decisioni", impongano alla provincia di "provvedere alla valutazione
delle decisioni relative agli investimenti pubblici secondo un unico
modello organizzativo predeterminato dalla legge statale e attraverso
un organismo operante in raccordo con l'amministrazione statale" e,
al tempo stesso, interferente nei processi decisionali dell'ente;
b) il comma 3, pur disponendo che le attività relative alla
costituzione dei nuclei di valutazione e verifica degli investimenti
pubblici sono attuate, autonomamente, dalle singole amministrazioni,
sotto il profilo amministrativo, organizzativo e funzionale, imponga,
a queste ultime, di tener conto delle strutture similari già
esistenti, di evitare duplicazioni, nonché di provvedere alla
elaborazione di un programma di attuazione che, a sua volta, deve
essere comprensivo delle connesse attività di formazione e
aggiornamento necessarie alla costituzione e all'avvio dei nuclei;
c) il comma 4 assoggetti "la stessa istituzione dei nuclei di
valutazione e verifica degli investimenti pubblici ad ulteriori
ingerenze ad opera di atti amministrativi statali, al di fuori delle
regole e dei contenuti propri della funzione di indirizzo e
coordinamento ed al di fuori dei presupposti sostanziali di essa";
d) il comma 9, nel prevedere che il CIPE indichi i criteri
per la determinazione, da parte della provincia, di Sistemi locali
del lavoro di cui non è definito il significato, sottoponga la
ricorrente ad "un atto anomalo, estraneo al sistema dei rapporti tra
Stato e province autonome quale delineato dallo Statuto e dalle norme
di attuazione".
2. - Le censure sono da reputare solo in parte fondate, secondo
quanto appresso si dirà.
Prima di affrontarne il merito giova richiamare, sia pure in
breve sintesi, scopi e contenuto della disciplina censurata,
ricordando che le menzionate disposizioni si collocano nel più ampio
contesto normativo originato, per un verso, dalle riforme
amministrativa e di bilancio intervenute da qualche tempo, e, per
l'altro, dall'adeguamento ai principi dell'ordinamento comunitario,
orientati a potenziare azioni di sviluppo armonioso della comunità,
attraverso la realizzazione della coesione economica e sociale.
Con riferimento ai processi di modernizzazione delle pubbliche
amministrazioni, va considerato il trasferimento dal centro al
territorio delle politiche di sviluppo e delle relative risorse, che
ha comportato un ulteriore potenziamento del ruolo delle regioni e
delle province autonome, cui già competeva - secondo quanto rilevato
dalla Corte - "di somministrare la maggior parte delle utilità
individuali e collettive destinate a soddisfare i bisogni sociali"
(sentenza n. 29 del 1995).
A ciò ha fatto riscontro l'esigenza non solo dell'introduzione,
in forma generalizzata, di tipologie di controllo
dell'economicita/efficienza dell'azione amministrativa e
dell'efficacia dei servizi erogati, ma anche di qualificate
competenze tecniche per la definizione dei programmi, come pure per
le analisi di opportunità e fattibilità.
Inoltre, in relazione al processo di integrazione comunitaria, va
tenuto conto dell'impulso dato alla politica regionale dal trattato
sull'Unione europea, come, da ultimo, modificato dal trattato di
Amsterdam del 2 ottobre 1997 (ratificato ed eseguito con legge
16 giugno 1998, n. 209). A tale materia, il trattato stesso dedica,
nell'ambito della parte III (Politiche della comunita), l'apposito
titolo XVII relativo, per l'appunto, alla "coesione economica e
sociale", contenente cinque articoli (158-162), i quali prevedono una
specifica azione comunitaria mirata "a ridurre il divario tra le
diverse regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite o
insulari".
A loro volta, i regolamenti, sulla base di tali previsioni,
disciplinano il cofinanziamento europeo attraverso i fondi
strutturali (da ultimo regolamento CE 1260/1999 del Consiglio, punti
43-59 dei consideranda e artt. 34-44), conferendo particolare
rilevanza alle azioni di sorveglianza, controllo finanziario e
valutazione degli investimenti pubblici, rimesse agli Stati membri,
per assicurare la realizzazione effettiva degli impegni presi nel
quadro degli obiettivi come sopra definiti.
Anche in ragione della testé ricordata disciplina comunitaria,
le disposizioni denunciate contemplano l'apprestamento di una rete di
risorse metodologiche e informative, preordinata alla valutazione (ex
ante in itinere ed ex post) dell'affidabilità delle politiche
pubbliche di investimento e del razionale impiego delle risorse
progettuali e finanziarie, onde pervenire, mercé anche le azioni di
monitoraggio svolte in sede locale, all'unitaria ricomposizione del
quadro generale degli interventi pubblici.
Più in particolare, il comma 1 dell'art. 1 della legge n. 144
del 1999 prevede che le amministrazioni centrali e regionali, previa
intesa con la conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, istituiscano
propri nuclei, ai quali viene attribuita - in raccordo fra di loro e
con il nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici
del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica - la funzione di supporto tecnico, nelle fasi di
programmazione, valutazione, attuazione e verifica degli interventi
di ogni singola amministrazione; e ciò al fine di
realizzare maggiore qualità ed efficienza dei processi concernenti
le politiche di sviluppo.
I predetti nuclei, integrandosi con il sistema statistico
nazionale e operando in collegamento con gli uffici di statistica
costituiti presso le varie amministrazioni (comma 1), svolgono, ai
sensi del comma 2, "funzioni tecniche a forte contenuto di
specializzazione", relative all'attività di assistenza e di supporto
tecnico per le fasi di programmazione, formulazione e valutazione di
documenti di programma, per le analisi di opportunità e
fattibilità, di valutazione ex ante dei progetti, con particolare
riferimento al profilo della qualità ambientale e della
sostenibilità dello sviluppo (lettera a), nonché all'attività
"volta alla graduale estensione delle tecniche proprie dei fondi
strutturali all'insieme dei programmi e dei progetti attuati a
livello territoriale, con riferimento alle fasi di programmazione,
valutazione, monitoraggio e verifica" (lettera c).
In base a quanto previsto dal comma 3, l'attività di
costituzione dei nuclei di valutazione è riservata, sotto il profilo
amministrativo, organizzativo e funzionale, alle singole
amministrazioni, le quali debbono tener conto delle strutture
similari già esistenti, evitando duplicazioni ed elaborando un
programma di attuazione comprensivo delle connesse attività di
formazione e aggiornamento.
È rimesso, poi, ad un decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri, sentita la conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano
(comma 4), il compito di indicare le caratteristiche organizzative
comuni dei nuclei di valutazione, ivi comprese la spettanza di
compensi agli eventuali componenti estranei alla pubblica
amministrazione, nonché le modalità e i criteri per la formulazione
e la realizzazione dei programmi di attuazione.
Sempre allo scopo di realizzare maggiore qualità ed efficienza
del processo di programmazione delle politiche di sviluppo, è
affidato, infine, alle regioni e alle province autonome, alla luce di
criteri indicati dal CIPE, sentita la conferenza permanente, il
compito "di suddividere il rispettivo territorio in Sistemi locali
del lavoro, individuando tra questi i distretti economico-produttivi,
sulla base di una metodologia e di indicatori elaborati dall'Istituto
nazionale di statistica" (comma 9).
3. - Tanto premesso sulle finalità generali e sul contenuto
della disciplina in esame, non fondata è, anzitutto, la censura che
investe, nel loro insieme, i commi 1 e 2, lettere a) e c), del
predetto art. 1.
Le denunciate disposizioni sono, infatti, rivolte - più che a
conformare strutture e procedimenti, secondo modelli uniformi che
possano reputarsi vincolanti per la provincia ricorrente - ad
enunciare principi di organizzazione, riconducibili alle esigenze
della necessaria valutazione tecnico-economica delle decisioni
concernenti gli investimenti e del monitoraggio su scala nazionale
degli stessi, in vista della creazione di un quadro coordinato ed
unitario, in raccordo anche con la disciplina dei fondi comunitari e
con le relative tecniche di programmazione, valutazione, monitoraggio
e verifica.
Come la stessa ricorrente non manca di riconoscere, si tratta,
pertanto, di norme fondamentali delle riforme economico-sociali che,
essendo volte a realizzare una complessiva e profonda innovazione
normativa in un settore che assume importanza nazionale, sono
suscettibili, come tali, di condizionare, per pacifica giurisprudenza
di questa Corte, anche la legislazione esclusiva delle regioni e
province autonome (sentenza n. 4 del 2000).
Quanto, poi, al rilievo della ricorrente provincia secondo la
quale le disposizioni in parola sarebbero illegittime, in quanto
consentirebbero ai nuclei di intervenire nel processo decisionale,
influenzandolo, si deve osservare che, anche quando questi sono
chiamati a fornire il supporto tecnico per le analisi di opportunità
e fattibilità e per l'apprezzamento ex ante di progetti ed
interventi, il loro contributo rimane pur sempre contenuto nei limiti
di un'attività di ausilio tecnico-valutativo alle decisioni che
competono alle singole amministrazioni. E, questo non senza rilevare
che si tratta comunque di previsioni ascrivibili alla categoria di
norme sopra accennata, in un ambito che richiede l'applicazione di
principi uniformi su tutto il territorio nazionale.
A salvaguardia delle competenze della ricorrente resta, peraltro,
riservata alla provincia ogni ulteriore determinazione in ordine al
modo di essere di questi nuovi organismi, secondo quanto dispone il
comma 3, anch'esso denunciato, il quale prevede, come già detto, che
le attività volte alla costituzione dei nuclei di valutazione e
verifica sono esercitate autonomamente, sotto il profilo
amministrativo, organizzativo e funzionale, dalle singole
amministrazioni.
Né quest'ultima disposizione può ritenersi incostituzionale per
il fatto che essa impone di tener conto di strutture similari già
esistenti, di evitare duplicazioni, come pure di provvedere ad
elaborare, anche sulla base di un'adeguata analisi organizzativa, un
programma di attuazione comprensivo delle connesse attività di
formazione e di aggiornamento occorrenti alla costituzione e
all'avvio dei nuclei.
È evidente, infatti, che si tratta di norme sostanzialmente
corrispondenti a regole di buona amministrazione e funzionalmente
legate da un rapporto di necessaria integrazione con quelle contenute
nei commi 1 e 2 dell'art. 1 della legge n. 144 del 1999, concorrendo
a realizzarne gli obiettivi riformatori, sì che le stesse, secondo
l'orientamento più volte espresso dalla Corte, partecipano della
medesima natura di quelle che valgono ad integrare, beneficiando,
perciò, della identica protezione costituzionale (sentenze n. 170
del 2001 e n. 477 del 2000).
4. - Del pari non fondata è la censura concernente il comma 9,
disposizione che, come risulta dagli atti preparatori della legge,
persegue la finalità di una "mappatura" del territorio nazionale,
attraverso la sua ripartizione in "sistemi locali del lavoro", e
cioè in comprensori territoriali con specifiche caratteristiche
funzionali riferite alle attività lavorative, tra i quali vanno,
poi, individuati i "distretti economico-produttivi", da intendere
come agglomerazioni di attività organizzate ad impresa. L'esigenza
che si intende in tal modo soddisfare è quella di nuovi modelli
concettuali ed operativi che, prendendo a riferimento le attività
lavorative e produttive, consentano di rappresentare, in modo più
adeguato, rispetto alle tradizionali ripartizioni amministrative, le
differenze di sviluppo delle diverse zone territoriali in cui si
articolano regioni e province. E ciò anche in vista dell'erogazione
di quote dei fondi strutturali destinate alle zone a cui si applica
l'"Obiettivo 2" (art. 4 del regolamento CE n. 1260/1999), ovvero
degli aiuti in deroga, di cui all'art. 87.3.c del trattato di Roma,
in funzione del sostegno, anche comunitario, delle aree territoriali
in condizioni di particolare bisogno.
Secondo quanto risulta dalla deliberazione CIPE n. 65 del
3 maggio 2001, nel frattempo intervenuta, la delimitazione dei
sistemi locali del lavoro, come pure la individuazione dei distretti
economico-produttivi, è operata previa istruttoria tecnica
realizzata in ambito CIPE, e dunque con il coinvolgimento di tutti i
soggetti istituzionali interessati direttamente da parte di ciascuna
regione o provincia autonoma.
Ciò posto, è da escludere che la disposizione censurata sia
lesiva delle attribuzioni della ricorrente, segnatamente nella parte
in cui - nel richiedere l'apporto di regioni e province autonome alla
costruzione di un quadro di conoscenze sulle caratteristiche
economico-sociali delle singole zone - stabilisce che le stesse
operino sulla base dei criteri tecnici elaborati, secondo l'accennata
procedura, in seno al CIPE.
Non lede l'autonomia provinciale la previsione, da parte del
legislatore nazionale, di un'attività di rilevazione di dati e di
attivazione di sistemi informativi, alla luce, tra l'altro, di
indirizzi tecnici forniti dal CIPE, organo dotato delle conoscenze
necessarie in rapporto ai compiti previsti, tanto più trattandosi di
esigenze che postulano un'azione unitaria e interventi destinati ad
inserirsi nel più ampio quadro dei programmi comunitari.
5. - Fondata è, invece, la censura concernente il comma 4, il
quale affida ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
l'indicazione delle "caratteristiche organizzative comuni dei
nuclei", anche per quel che attiene alla "spettanza di compensi agli
eventuali componenti estranei alla pubblica amministrazione", come
pure a modalità e criteri "per la formulazione e la realizzazione
dei programmi di attuazione", previsti al precedente comma 3.
Quale che sia il carattere della norma testé ricordata, nella
sua connessione con i principi di riforma economico sociale contenuti
nella legge, lo Stato, come la Corte ha più volte affermato, non è
legittimato ad intervenire, nei rapporti con le regioni e le province
autonome, sulla base di presupposti e secondo modalità che non siano
quelli stabiliti dall'ordinamento (sentenza n. 169 del 1999). Ed è
proprio alla luce dei principi che lo Stato è tenuto ad osservare
che la disposizione va dichiarata illegittima, vuoi a considerare di
natura regolamentare l'atto in essa prefigurato, vuoi a reputarlo un
atto di indirizzo e coordinamento.
Nel primo caso, occorre rammentare l'orientamento della
giurisprudenza costituzionale secondo il quale i regolamenti statali
non possono, di norma, disciplinare, in ragione della distribuzione
delle competenze normative fra Stato, regioni e province autonome, le
materie spettanti a queste ultime (sentenza n. 169 del 1999, già
citata).
Non diverse appaiono le conclusioni se si riconduce l'atto alla
funzione di indirizzo e coordinamento, posto che in tanto possono
configurarsi in capo ad organi statali poteri riconducibili a tale
funzione, in quanto siano rispettate le condizioni di ordine
procedurale e sostanziale indicate dalla giurisprudenza di questa
Corte: e cioè, essenzialmente, l'esercizio della funzione stessa
attraverso atti collegiali del Governo, nel rispetto del principio di
legalità sostanziale (sentenza n. 63 del 2000).
Avuto riguardo alla censura come prospettata in ricorso e, in
particolare, al parametro invocato a suo sostegno, di tali condizioni
difetta, per quel che concerne l'atto prefigurato nella denunciata
disposizione, quantomeno quella relativa alla particolare procedura
richiesta dall'art. 3 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266,
il quale prevede, per l'efficacia degli atti di indirizzo e
coordinamento nel territorio della regione Trentino-Alto Adige e
delle province autonome, la consultazione dei predetti enti, secondo
le rispettive competenze, per quanto attiene alla compatibilità
degli atti stessi con lo statuto speciale e le relative norme di
attuazione.