Titolo
Regioni in genere - Conferimento di funzioni alle regioni - Decorrenza - Fissazione con i provvedimenti attuativi, destinati a individuare beni e risorse - Ricorso della regione veneto - Lamentata incertezza dei conferimenti previsti, in contrasto con quanto disposto dalla legge delega - Contraddittorietà della prospettazione - Inammissibilita' della questione.
Testo
E' inammissibile la questione di legittimitàcostituzionale del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, censurato nella sua interezza e in singole disposizioni per aver subordinato la decorrenza dei previsti conferimenti di funzioni alle Regioni al momento determinato da decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, rendendo perciò tali conferimenti del tutto incerti in contrasto con le prescrizioni della legge delega, che imponeva un trasferimento, sia pure graduale, ma non incerto nel suo stesso avverarsi. In realtà la perplessità della domanda e la contraddittorietà della prospettazione della Regione Veneto ricorrente non consentono l'esame nel merito della questione; da una parte, infatti, il risultato, cui si tende, con i conferimenti di funzioni immediatamente operativi già con l'entrata in vigore del decreto legislativo, indipendentemente dai provvedimenti che individuano e trasferiscono le risorse, è chiaramente in contrasto con la legge delega, la quale postula invece la contemporaneità fra inizio delle nuove funzioni e disponibilità delle risorse relative (art. 3, comma 1, lettera b, della legge n. 59 del 1997) e, d'altra parte, la caduta delle stesse norme del decreto legislativo n. 112 del 1998 che tali conferimenti dispongono sarebbe un risultato contrario a quello della anticipazione dell'effettività dei conferimenti.
Atti oggetto del giudizio
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 3
co. 6
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 7
co. 1
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 7
co. 2
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 8
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 50
co. 2
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 50
co. 3
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 63
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 138
co. 2
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 76
Costituzione
art. 117
Costituzione
art. 118
Altri parametri e norme interposte
legge
15/03/1997
n. false
art. 1
co. 1
legge
15/03/1997
n. false
art. 3
co. 1
Titolo
Regioni in genere - Conferimento di funzioni alle regioni - Delega legislativa al governo - Attuazione - Emanazione di disposizioni correttive della disciplina legislativa delegata - Ricorso della regione veneto - Ritenuto scorretto esercizio del potere correttivo conferito, con la finalità di eludere il termine fissato nella delega principale - Non fondatezza della questione.
Testo
Contrariamente a quanto ritenuto dalla Regione Veneto ricorrente, il Governo non ha fatto un uso scorretto della delega di cui all'art. 10 della legge n. 59 del 1997 adottando il decreto legislativo n. 443 del 1999 che reca disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo n. 112 del 1998 in tema di conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni e agli enti locali. Nulla, infatti, induce a ritenere che il decreto correttivo n. 443 sia stato adottato per eludere il termine della delega principale o che la potestà delegata possa essere esercitata solo per "fatti sopravvenuti"; il decreto non si discosta anzi dai criteri di utilizzazione della delega "correttiva", quando la si intenda nel senso che esso debba intervenire in funzione di correzione o integrazione delle norme delegate già emanate, e non già in funzione di un esercizio tardivo, per la prima volta, della delega "principale"; e nel pieno rispetto dei medesimi principi e criteri direttivi già imposti per l'esercizio della medesima delega "principale". Pertanto non è fondata la questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 443 (intero testo), in riferimento all'art. 76 Cost. e in relazione all'art. 10 della legge 15 marzo 1997, n. 59.
Atti oggetto del giudizio
decreto legislativo
29/10/1999
n. 443
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 76
Altri parametri e norme interposte
legge
15/03/1997
n. false
art. 10
Titolo
Regioni in genere - Conferimento di funzioni alle regioni - Attuazione - Riserva allo stato di compiti e funzioni al di fuori dei compiti e delle materie esclusi dalla delega legislativa - Ricorso della regione veneto - Asserita violazione dei criteri della delega - Inammissibilità delle questioni.
Testo
Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112, censurate per aver riservato allo Stato, anziché conferirli alle Regioni, compiti di "interesse nazionale"; ritenendosi le riserve così disposte estranee alle esclusioni previste dalla delega legislativa al Governo (legge n. 59 del 1997) e, perciò, disposte in violazione dei criteri dettati dalla stessa legge. Difatti la censura non è articolata e motivata in relazione alle singole, numerose e disparate disposizioni che vengono impugnate, tenendo conto che molte di esse toccano indubbiamente anche materie ed aspetti astrattamente riconducibili proprio agli stessi criteri di esclusione adottati dalla legge di delega.
Atti oggetto del giudizio
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 13
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 44
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 54
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 59
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 69
co. 2
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 115
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 118
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 119
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 120
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 121
co. 1
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 124
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 129
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 142
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 76
Costituzione
art. 117
Costituzione
art. 118
Altri parametri e norme interposte
legge
15/03/1997
n. false
art. 1
co. 3
legge
15/03/1997
n. false
art. 1
co. 4
legge
15/03/1997
n. false
art. 3
co. 1
legge
15/03/1997
n. false
art. 4
co. 3
legge
15/03/1997
n. false
art. 4
co. 3
legge
15/03/1997
n. false
art. 4
co. 3
Titolo
Regioni in genere - Conferimento di funzioni alle regioni - Attuazione - Conservazione allo stato di compiti e funzioni - Mancata attribuzione alle regioni - Ricorso della regione veneto - Asserita violazione della delega legislativa - Non fondatezza della questione.
Testo
E' giustificata la conservazione in capo allo Stato delle funzioni e dei compiti rispettivamente in tema di metrologia legale e strumenti di misura, di consorzi tra piccole e medie imprese, e di esami per conducenti di unità di diporto nautico e di patenti nautiche, secondo quanto dispongono gli articoli 1, 8 e 11 del d.lgs. n. 443 del 1999; trattandosi di compiti del tutto omogenei a quelli già individuati dal decreto base ed evidentemente estranei a quelle funzioni e ai compiti destinati ad essere conferiti alle Regioni in base alla legge di delega ovvero di compiti preordinati ad assicurare l'esecuzione di obblighi comunitari e derivanti da accordi internazionali, o esclusi dall'area dei compiti rimessi agli enti territoriali in funzione della loro riconducibilità agli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità e alla loro localizzabilità nei rispettivi territori, ovvero incidenti sulla materia della "sicurezza pubblica" esclusa, a' termini di delega, dal conferimento di funzioni alle Regioni e agli enti locali. Non è, pertanto, fondata la questione di legittimità costituzionale dei predetti articoli del d.lgs. n. 443 per violazione degi artt. 76, 117 e 118 della Costituzione.
Atti oggetto del giudizio
decreto legislativo
29/10/1999
n. 443
art. 1
decreto legislativo
29/10/1999
n. 443
art. 8
decreto legislativo
29/10/1999
n. 443
art. 11
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 76
Costituzione
art. 117
Costituzione
art. 118
Altri parametri e norme interposte
legge
15/03/1997
n. false
art. 1
co. 3
legge
15/03/1997
n. false
art. 1
co. 4
legge
15/03/1997
n. false
art. 3
co. 1
legge
15/03/1997
n. false
art. 4
co. 3
legge
15/03/1997
n. false
art. 4
co. 3
legge
15/03/1997
n. false
art. 4
co. 3
Titolo
Regioni in genere - Conferimento di funzioni alle regioni - Compiti "di rilievo nazionale" riservati allo stato - Mancata previa intesa con la conferenza per i rapporti fra lo stato, le regioni e le province autonome ovvero mancata motivazione in ordine al provvedimento attuativo - Ricorso della regione veneto - Non fondatezza della questione.
Testo
Non è condivisibile la tesi che avanza la ricorrente Regione Veneto, nel prospettare questione di costituzionalità dei decreti legislativi n. 112 del 1998 e n. 443 del 1999, a tenor della quale, ai fini del raggiungimento dell'intesa sulla individuazione dei compiti di rilievo nazionale da riservare allo Stato, la procedura seguita non sia stata conforme alle prescrizioni della legge di delega; innanzitutto, perchè, anche se non sullo schema originariamente proposto dal Governo, l'intesa fu comunque richiesta e raggiunta nella Conferenza Stato-Regioni prima delle ulteriori tappe del procedimento; e dal momento che un'interpretazione congruente con il principio di leale collaborazione non può far ritenere che sia necessario l'assenso di tutte le Regioni e Province autonome componenti della Conferenza, sicché l'assenza di alcune Regioni, al limite anche di una sola, pur regolarmente convocate, alla riunione della Conferenza, non accompagnata da alcuna espressione di dissenso, eventualmente manifestata anche fuori della sede della conferenza, possa inficiare l'assenso delle Regioni e dunque impedire il perfezionamento dell'intesa, o che sia necessario l'assenso della maggioranza assoluta delle Regioni i cui presidenti sono membri della Conferenza; regola, quest'ultima, valevole solo nell'ipotesi in cui la Conferenza eserciti competenze decisorie come collegio deliberante e non già quando opera - come nel caso all'esame - quale sede di concertazione e di confronto anche politico fra Governo e Regioni.
- Sul principio di leale collaborazione, nel confronto tra Governo e Regioni, v. sentenza n. 379/1992.
Atti oggetto del giudizio
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 29
co. 1
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 52
co. 1
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 69
co. 1
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 77
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 80
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 83
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 88
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 107
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 156
decreto legislativo
29/10/1999
n. 443
art. 13
decreto legislativo
29/10/1999
n. 443
art. 14
decreto legislativo
29/10/1999
n. 443
art. 15
decreto legislativo
29/10/1999
n. 443
art. 16
decreto legislativo
29/10/1999
n. 443
art. 17
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 76
Costituzione
art. 117
Costituzione
art. 118
Altri parametri e norme interposte
legge
15/03/1997
n. false
art. 1
co. 4
decreto legislativo
28/08/1997
n. false
art. 3
Titolo
Regioni in genere - Conferimento di funzioni alle regioni - Modifiche introdotte in sede di correzione di un precedente decreto delegato - Funzioni e compiti conservati allo stato in materia di energia - Definizione difforme da quella concordata in sede di intesa - Ricorso della regione veneto - Violazione della delega legislativa - Illegittimità costituzionale.
Testo
E' costituzionalmente illegittimo l'art. 3, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 443, che, modificando l'art. 29, comma 2, lettera b) del decreto base n. 112 del 1998, perviene ad una definizione dell'area dei compiti di rilievo nazionale, conservati in capo allo Stato, diversa da quella concordata nella Conferenza Stato-Regioni, risultando, in particolare, ridotte le funzioni statali e più ampia la sfera delle funzioni conferite alle Regioni in materia di stoccaggio di energia. Poichè il Governo non ha motivato specificamente tale difformità dal testo dell'intesa, essa dà luogo a violazione dell'art. 1, comma 4, lettera c), della legge di delega n. 59 del 1997 e, dunque, indirettamente, a violazione dell'art. 76 della Costituzione. E dal momento che non è consentito, con la pronuncia di illegittimità, ripristinare la corrispondenza fra il testo su cui è intervenuta l'intesa e il testo legislativo emanato, l'accoglimento della censura conseguirà l'effetto del ripristino del testo originario del decreto n. 112 del 1998, che la disposizione censurata aveva inteso modificare.
Atti oggetto del giudizio
decreto legislativo
29/10/1999
n. 443
art. 3
co. 1
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 76
Altri parametri e norme interposte
legge
15/03/1997
n. false
art. 1
co. 4
Titolo
Regioni in genere - Conferimento di funzioni alle regioni - Attribuzione diretta, senza l'intermediazione regionale, di compiti e funzioni agli enti locali sub-regionali - Asserita violazione dei criteri della legge delega - Ricorso della regione veneto - Non fondatezza della questione.
Testo
Alla luce dell'ampia delega legislativa al Governo e dei principi espressi in particolare dagli artt. 3 e 4 della legge n. 59 del 1997 ai fini del conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle Regioni e agli enti locali, non può ritenersi che fosse precluso l'impiego, da parte del legislatore delegato, dello strumento della attribuzione diretta di compiti agli enti locali, nelle materie dell'art. 117 Cost., ai sensi dell'art. 118, primo comma, della Costituzione; godendo inoltre lo stesso legislatore delegato, nel procedere all'individuazione dei compiti ritenuti di "interesse esclusivamente locale" da attribuire agli enti locali, di ampia discrezionalità nell'osservanza dei criteri generali indicati dall'art. 4, comma 3, della legge di delega (sussidiarietà, completezza, efficienza ed economicità, responsabilità e unicità dell'amministrazione, omogeneità, adeguatezza, differenziazione). Pertanto non è fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 41, comma 3, 66, comma 1, lettere b) e c), 99, comma 3, secondo periodo, 131, comma 2, 132, del decreto legislativo n. 112 del 1998 in riferimento agli articoli 76, 117 e 118 della Costituzione e in relazione all'articolo 4, comma 1, della legge n. 59 del 1997, sollevata dalla Regione Veneto.
- Cfr. sentenza, richiamata, n. 408/1998.
Atti oggetto del giudizio
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 41
co. 3
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 66
co. 1
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 66
co. 1
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 99
co. 3
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 131
co. 2
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 132
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 76
Costituzione
art. 117
Costituzione
art. 118
Altri parametri e norme interposte
legge
15/03/1997
n. false
art. 4
co. 1
Titolo
Regioni in genere - Conferimento di funzioni alle regioni - Individuazione delle funzioni trasferite o delegate agli enti locali e di quelle mantenute in capo alla regione - Termine per l'adozione della prevista legge regionale - Ritenuta brevità - Asserita lesione dell'autonomia regionale - Inammissibilita' della questione.
Testo
E' inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1 e 132, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1998 impugnati per la asserita irragionevole brevità del termine assegnato alle Regioni per l'adozione della legge di "puntuale individuazione delle funzioni trasferite o delegate agli enti locali e di quelle mantenute in capo alla Regione stessa", poiché il termine in questione è espressamente stabilito dall'art. 4, comma 5, primo periodo, della legge di delega n. 59 del 1997 e il legislatore delegato non ha fatto altro, a tale proposito, che richiamare e ripetere la prescrizione della legge di delega.
Atti oggetto del giudizio
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 3
co. 1
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 132
co. 1
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 76
Costituzione
art. 117
Costituzione
art. 118
Titolo
Regioni in genere - Conferimento di funzioni alle regioni - Individuazione delle funzioni trasferite o delegate agli enti locali e di quelle mantenute in capo alla regione - Brevità del termine per l'adozione della prevista legge regionale - Ricorso della regione veneto - Questione di legittimità costituzionale, proposta in via subordinata, nei confronti della legge di delega - Inammissibilita'.
Testo
La questione di legittimità costituzionale che la Regione Veneto ha proposto in via subordinata, rispetto alla questione principale (v. massima H), nei confronti della disposizione della legge di delega n. 59 del 1997, che fissa il termine per l'adozione della legge regionale di puntuale individuazione delle funzioni trasferite o delegate agli enti locali e di quelle mantenute in capo alla Regione stessa, non può essere accolta poiché si farebbe luogo in tal modo ad una inammissibile elusione del termine assegnato alle Regioni dall'art. 2 della legge cost. n. 1 del 1948.
Atti oggetto del giudizio
legge
15/03/1997
n. 59
art. 4
co. 5
Parametri costituzionali
legge costituzionale
09/02/1948
n. 1
art. 2
Titolo
Regioni in genere - Conferimento di funzioni alle regioni - Beni e risorse finanziarie da trasferire alle regioni e agli enti locali - Quantificazione - Lamentata indeterminatezza dei criteri indicati, con lesione dell'autonomia finanziaria regionale - Ricorso della regione veneto - Non fondatezza della questione.
Testo
Nessuna lesione dell'autonomia finanziaria delle Regioni può discendere dai criteri di quantificazione di beni e risorse finanziarie da attribuire alle Regioni e agli enti locali per l'esercizio delle funzioni e dei compiti agli stessi conferiti, come stabiliti nel decreto legislativo n. 112 del 1998, poiché gli indici contemplati per la quantificazione delle risorse tendono a realizzare il principio di corrispondenza per ammontare di beni e risorse a quelli utilizzati dallo Stato per l'esercizio delle medesime funzioni e compiti prima del conferimento, in conformità al criterio fondamentale individuato dalla legge delega (art. 3, comma 1, lett. b). Non è pertanto fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 3, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, sollevata dalla Regione Veneto in riferimento all'art. 119 Cost.
Atti oggetto del giudizio
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 7
co. 3
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 119
Titolo
Regioni in genere - Conferimento di funzioni alle regioni - Attribuzione di risorse agli enti locali, in relazione ai compiti agli stessi enti trasferiti - Asserita lesione dell'autonomia finanziaria regionale - Ricorso della regione veneto - Non fondatezza della questione.
Testo
In base al criterio di fondo cui si ispirano sia la legge di delega n. 59 del 1997, sia il decreto delegato n. 112 del 1998, la ripartizione delle risorse trasferite dallo Stato fra Regione ed enti locali non può che seguire la ripartizione delle funzioni e dei compiti, e non già precederla, come paventa la ricorrente Regione Veneto nel prospettare la questione di costituzionalità della congruità delle risorse trasferite rispetto alle funzioni conferite. Pertanto non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 3, in rapporto all'art. 7, del d.lgs. n. 112 del 1998.
Atti oggetto del giudizio
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 3
co. 3
decreto legislativo
31/03/1998
art. 7
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 119
Titolo
Regioni in genere - Conferimento di funzioni alle regioni - Omessa soppressione o trasformazione delle strutture statali interessate nonché mancata individuazione delle procedure per il trasferimento del personale statale - Rinvio a successivi provvedimenti governativi - Asserito illegittimo esercizio della delega legislativa - Ricorso della regione veneto - Non fondatezza della questione.
Testo
In conformità della delega ricevuta con la legge n. 59 del 1997, il decreto legislativo n. 112 del 1998 non ha provveduto direttamente ma ha rimesso agli atti previsti in tale legge (regolamenti di organizzazione e decreti legislativi) quanto concerne il riordino delle strutture centrali statali che svolgevano le funzioni e i compiti conferiti alle Regioni e agli enti locali, così come ha rinviato ulteriormente a provvedimenti attuativi delle norme sostanziali in esso contenute quanto riguarda le modalità e le procedure di trasferimento del personale statale. Pertanto non è fondata la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni del decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998, sollevata dalla Regione Veneto con riferimento agli artt. 76, 117 e 118.
Atti oggetto del giudizio
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 7
co. 4
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 9
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 58
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 67
co. 1
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 75
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 92
co. 2
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 92
co. 3
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 106
co. 1
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 109
co. 2
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 146
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 76
Costituzione
art. 117
Costituzione
art. 118
Altri parametri e norme interposte
legge
15/03/1997
n. false
art. 3
co. 1
legge
15/03/1997
n. false
art. 3
co. 1
Titolo
Regioni in genere - Conferimento di funzioni alle regioni - Attuazione, su delega legislativa - Mancata individuazione di strumenti di raccordo e di cooperazione - Asserita violazione della legge di delega - Ricorso della regione veneto - Inammissibilità della questione.
Testo
E' inammissibile, anche per la sua genericità, la censura di legittimità costituzionale rivolta al decreto legislativo n. 112 del 1998 in tema di conferimento di funzioni e compiti alle Regioni, per quanto riguarda la omessa individuazione di procedure e strumenti di raccordo collaborativi, la previsione di ipotesi di avvalimento di uffici o la creazione di particolari strutture organizzative, considerato che la stessa delega consentiva il ricorso a tali strumenti o istituti, senza però imporne l'uso.
Atti oggetto del giudizio
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 76
Costituzione
art. 117
Costituzione
art. 118
Altri parametri e norme interposte
legge
15/03/1997
n. false
art. 3
co. 1
legge
15/03/1997
n. false
art. 3
co. 1
legge
15/03/1997
n. false
art. 3
co. 1
Titolo
Regioni in genere - Insediamento di attività produttive - Procedimento di autorizzazione - Variazione dello strumento urbanistico - Determinazione della conferenza di servizi costituente proposta di variante per la pronuncia definitiva del consiglio comunale, anche nell'ipotesi di dissenso della regione - Lesione della competenza regionale in materia di urbanistica - Illegittimità costituzionale 'in parte qua'.
Testo
E' costituzionalmente illegittimo l'art. 25, comma 2, lettera g) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, nella parte in cui prevede che, ove la conferenza di servizi registri un accordo sulla variazione dello strumento urbanistico, la determinazione costituisce proposta di variante sulla quale si pronuncia definitivamente il consiglio comunale, anche quando vi sia il dissenso della Regione; il che, infatti, equivale a consentire che lo strumento urbanistico sia modificato senza il consenso della Regione, con conseguente lesione della propria competenza in materia urbanistica; competenza che non può dirsi salvaguardata dal richiamo all'art. 14, comma 3-bis della legge n. 241 del 1990, in quanto tale disposto oggi non è più in vigore dopo la riformulazione delle norme operata dalla legge n. 340 del 2000.
Atti oggetto del giudizio
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 25
co. 2
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 117
Costituzione
art. 118
Titolo
Regioni in genere - Conferimento di funzioni alle regioni - Compiti conferiti alle regioni in materia di tutela della salute - Verifica di conformità alla normativa nazionale di strutture e attivita' sanitarie, di sostanze e di prodotti - Modalita' definite con accordo da approvare in sede di conferenza stato-regioni - Ricorso della regione veneto - Lamentato condizionamento dell'esercizio di funzioni regionali ad accordi con il governo - Non fondatezza della questione.
Testo
Il comma 3-ter (aggiunto all'art. 115 del decreto base n. 112 del 1998) con l'art. 16 del d.lgs. n. 443 del 1999 non può intendersi nel senso che esso subordini all'accordo con il Governo, da approvare nell'ambito della Conferenza Stato-Regioni, l'esercizio delle funzioni di verifica di conformità conferite alle Regioni (dall'art. 115 del decreto legislativo n. 112), poiché l'accordo fra Governo e Regioni dovrà concernere la individuazione degli "aspetti della salute di rilievo nazionale" che delimitano le funzioni di verifica di conformità attribuite allo Stato, e la determinazione delle modalità di esercizio di tali funzioni statali in quanto interferenti con le funzioni di verifica che, nella stessa materia, sono attribuite alle Regioni. Non è, quindi, fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 1, lettera c, del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 443, sollevata dalla Regione Veneto, con riferimento agli artt. 117 e 118 Cost..
Atti oggetto del giudizio
decreto legislativo
29/10/1999
n. 443
art. 16
co. 1
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 117
Costituzione
art. 118
Titolo
Regioni in genere - Conferimento di funzioni alle regioni - Compiti in materia di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande e commercio dei pubblici esercizi - Riserva allo stato di attività regolamentare da esercitarsi d'intesa con le regioni - Contrasto con i principi della legge delega - Illegittimità costituzionale.
Testo
E' costituzionalmente illegittimo - per contrasto con i principi della delega legislativa e, quindi, con l'art. 76 della Costituzione - l'art. 40, comma 1, lettera f) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, lettera, questa, aggiunta dall'art. 6 del decreto legislativo n. 443 del 1999. Infatti la generica riserva allo Stato della "potestà regolamentare" (benché da esercitarsi "d'intesa con le Regioni") in una singola materia o submateria - quella dei pubblici esercizi di vendita e consumo di alimenti e bevande - che forma oggetto, in base alla legge di delega, del conferimento di funzioni amministrative alle Regioni, contrasta con la generale previsione di attribuzione alle Regioni di una potestà normativa di attuazione della legislazione statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione.
- Sulla materia del commercio, nel cui ambito sono espressamente comprese, fra l'altro, "l'attività di somministrazione al pubblico di bevande e alimenti" e "l'attività di commercio dei pubblici esercizi", cfr. sentenza n. 205/2001 (richiamata).
- Sulla potestà attuativa destinata a esplicarsi in ordine ad aspetti della materia rimasti alla competenza dello Stato, v. sentenza (richiamata) n. 159/2001.
- Sulle norme regolamentari statali efficaci fino a quando la Regione non adotti, nella stessa materia, proprie norme di attuazione, v. sentenza (richiamata) n. 165/1989.
Atti oggetto del giudizio
decreto legislativo
31/03/1998
n. 112
art. 40
co. 1
decreto legislativo
29/10/1999
n. 443
art. 6
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 76
Altri parametri e norme interposte
legge
15/03/1997
n. false
art. 2
N. 206
SENTENZA 6 - 26 giugno 2001.
Pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale» n. 26 del 4 luglio 2001
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK;
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nei giudizi di legittimità costituzionale:
a) del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni
e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali,
in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59);
b) degli articoli 1, 3, 6, 8, 11, 13, 14, 15, 16 e 17 del
d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 443 (Disposizioni correttive ed
integrative del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, recante
conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle
regioni e agli enti locali), promossi con due ricorsi della Regione
Veneto, notificati il 19 maggio 1998 e il 28 dicembre 1999,
depositati in cancelleria il 27 maggio 1998 e il 5 gennaio 2000 ed
iscritti ai nn. 25 del registro ricorsi 1998 e 1 del registro ricorsi
2000.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 16 gennaio 2001 il giudice
relatore Valerio Onida;
Uditi gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione
Veneto e l'avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso notificato il 19 maggio 1998 e depositato il
27 maggio 1998 (r. ric. n. 25 del 1998) la Regione Veneto ha
sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento
agli articoli 76, 117, 118 e 119 della Costituzione, degli articoli
3, commi 1, 3 e 6; 7, commi 1, 2, lettera a), 3 e 8 lettera a); 9,
13, 18, 25, comma 2; 29 commi 1 e 2; 33, 41, comma 3; 44, 50, commi 2
e 3; 52, comma 1; 54, 58, 59, 63, 65, 66, comma 1, lettere b) e c);
67, comma 1; 69, commi 1 e 2; 75, 77, 80, 83, 85, 88, 92, commi 2 e
3; 93, 98, 99, comma 3, secondo periodo; 104, 106, comma 1; 107, 109,
comma 2; 115, 118, 119, 120, 121, comma 1; 124, 129, 131, comma 2;
132, 137, 138, comma 2; 142, 146 e 156 del decreto legislativo
31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in
attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), nonché
dello stesso decreto legislativo nella sua interezza. La regione
ricorrente, premesso che numerose disposizioni del decreto impugnato
presentano vizi di illegittimità costituzionale, ciò che, data la
stretta connessione tra di esse, implicherebbe l'invalidità dello
stesso decreto nella sua interezza, espone undici motivi di censura.
La prima questione, sollevata in relazione agli articoli 76, 117
e 118 della Costituzione, ha ad oggetto gli articoli 3, comma 6; 7,
commi 1, 2, lettera a) e 8, lettera a), limitatamente alle parole
"l'individuazione del termine eventualmente differenziato, da cui
decorre l'esercizio delle funzioni trasferite", 50, commi 2 e 3
(commi peraltro ora abrogati dalla legge n. 50 del 1999); 63 e 138,
comma 2, del decreto legislativo: disposizioni tutte che subordinano
la decorrenza dei conferimenti, e dunque l'esercizio delle funzioni
regionali, a provvedimenti amministrativi di cui non vi sarebbe
certezza alcuna.
La regione, in particolare, osserva che, a parte talune
decorrenze puntualmente definite (come "ad esempio" quelle previste
dagli artt. 115, comma 3; 130, commi 2 e 3; 144, comma 3), l'art. 7
del decreto legislativo prevede, con norma di carattere generale, che
le regioni potranno esercitare le funzioni conferite solo a partire
dal momento che il Presidente del Consiglio dei ministri indicherà
con uno dei provvedimenti fondati sull'art. 7 della legge di delega,
i quali dovrebbero intervenire entro il 31 dicembre 1999 (art. 3,
comma 6, del decreto legislativo impugnato), e dovrebbero fissare
l'inizio dell'esercizio delle funzioni per un giorno non successivo
al 31 dicembre 2000 (art. 7, comma 2, lettera a), dello stesso
decreto). Secondo la ricorrente, la fissazione della data di
trasferimento potrebbe in concreto mancare, senza che sia previsto
alcun meccanismo che consenta di realizzare una forma di conferimento
automatico. Non gioverebbero, a tale scopo, né il comma 10
dell'art. 7 del decreto impugnato, il quale stabilisce che, se lo
Stato non adotta i provvedimenti di attuazione, la Conferenza
unificata può predisporre gli schemi degli atti ed inviarli al
Presidente del Consiglio, poiché all'iniziativa della Conferenza non
segue necessariamente alcuna concreta fissazione di date; né
l'ultimo comma dello stesso art. 7, a termini del quale il Presidente
del Consiglio può nominare un commissario ad acta, poiché tale
disposizione comunque non garantisce una data certa di inizio
dell'esercizio delle funzioni.
La regione ricorrente sostiene dunque che, stando alle norme del
decreto legislativo impugnato, la generalità delle funzioni non
sarebbe stata affatto conferita, e che anche per il futuro non vi
sarebbe alcuna certezza di conferimento, in violazione della legge di
delega n. 59 del 1997 che, agli articoli 1, comma 1, e 3, comma 1,
lettera a), imponeva un trasferimento, sia pure graduale, di funzioni
e compiti; e aggiunge che l'eventuale dichiarazione di
incostituzionalità non impedirebbe al legislatore statale di fissare
altri termini per l'esercizio delle funzioni conferite, con le forme
e nel rispetto dei limiti stabiliti dalla Costituzione.
La seconda questione, sollevata in riferimento agli articoli 76,
117 e 118 della Costituzione e in relazione agli articoli 3 e 4 della
legge di delega (articoli che porrebbero criteri direttivi a diretta
tutela della posizione costituzionale e di autonomia delle regioni),
concerne numerose disposizioni che riservano allo Stato compiti e
funzioni nelle materie di cui all'art. 117 della Costituzione e che,
secondo la ricorrente, la legge di delega avrebbe voluto che fossero
conferiti alle regioni: l'art. 13 (artigianato); l'art. 44 (turismo
ed industria alberghiera); l'art. 54 (urbanistica e lavori pubblici);
l'art. 59 (edilizia residenziale pubblica); l'art. 69, comma 2
(protezione della natura e dell'ambiente); gli articoli 115, 118,
119, 120, 121, comma 1, 124 (in materia di assistenza sanitaria ed
ospedaliera, e relativi personale e strutture); 129 (nelle parti in
cui concerne i servizi sociali a favore della generalità dei
soggetti, con esclusione, cioè, delle particolari categorie di
persone indicate dall'art. 1, comma 3, della legge di delega); 142
(formazione professionale).
Pur riconoscendo che l'art. 3, comma 1, lettera a), della legge
di delega ha demandato ai decreti legislativi il compito di
individuare "tassativamente le funzioni e i compiti da mantenere in
capo alle amministrazioni statali", la regione sottolinea che la
stessa legge ha stabilito che questa individuazione dovesse avvenire
"ai sensi e nei limiti di cui all'art. 1". Tale articolo non
introdurrebbe una clausola generale di riserva allo Stato di compiti
di "interesse nazionale", ma prevederebbe singole - per quanto
numerose - ipotesi, ora con l'esclusione dai conferimenti di intere
materie (comma 3), ora con la esclusione di compiti astrattamente
ricadenti nelle materie da conferire (comma 4). Ad avviso della
Regione Veneto, sarebbe questa l'unica interpretazione dell'art. 1
della legge di delega che consente di attribuire un qualche
significato al suo comma 4, dal momento che, se la riserva di compiti
di "interesse nazionale" fosse implicita nel sistema ricavabile
dall'art. 1, comma 2, le minuziose ipotesi disciplinate dal comma 4
risulterebbero prive di significato. Questo risultato interpretativo
troverebbe poi conferma nei principi direttivi indicati dall'art. 4,
comma 3, della stessa legge di delega, cioè nei principi di
completezza (lettera b), di unicità e responsabilità
dell'amministrazione (lettera e), e di omogeneità (lettera f). Le
riserve statali censurate sarebbero dunque in contrasto anche con
questi ultimi principi direttivi, mantenendo la separazione di
funzioni omogenee, accanto alla pluralità delle amministrazioni
competenti, con conseguente "annacquamento" delle responsabilità.
Con il terzo motivo del ricorso, analogamente, la Regione Veneto
impugna, in riferimento agli articoli 76, 117, secondo comma, e 118
della Costituzione, le disposizioni del decreto legislativo che
riservano allo Stato funzioni in materie non comprese nell'elenco di
cui all'art. 117 della Costituzione. In tal senso, sono censurati gli
articoli 18 e 29, comma 2 (per le parti in cui si riferiscono a
funzioni concernenti le industrie e l'energia, diverse da quelle
comprese nell'art. 1, comma 3, della legge di delega); 33, 65, 85,
93, 98 e 104 (questi ultimi tre per le parti in cui si riferiscono
alle materie relative alle opere pubbliche, alla viabilità e ai
trasporti di interesse "non regionale" ai sensi dell'art. 117 della
Costituzione); 137 (per la parte in cui non riguarda gli ambiti
indicati dall'art. 1, comma 3, lettera q) della legge di delega). La
ricorrente sostiene che, pur in assenza di un puntuale fondamento
costituzionale, l'attribuzione integrale dei compiti alle regioni era
imposta dall'art. 1 della legge di delega e dal principio di
completezza di cui all'art. 4, comma 3, lettera b) della medesima
legge.
La quarta questione, sollevata in riferimento agli articoli 76,
117 e 118 della Costituzione, ha ad oggetto, "tra gli altri", gli
articoli 29, comma 1; 52, comma 1; 69, comma 1; 77, 80, 83, 88, 107,
156 del decreto legislativo, che avrebbero riservato allo Stato
"compiti di rilievo nazionale" senza osservare il procedimento di cui
all'art. 1, comma 4, lettera c) della legge di delega, a norma del
quale, al fine dell'individuazione dei predetti compiti, lo schema
del decreto legislativo avrebbe dovuto essere predisposto previa
intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome e, in mancanza dell'intesa, il
Consiglio dei ministri avrebbe dovuto deliberare motivatamente in via
definitiva su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri.
Secondo la ricorrente, nonostante che il preambolo del decreto
legislativo dia atto della raggiunta intesa, il procedimento seguito
ai fini dell'emanazione non avrebbe rispettato la legge di delega. In
primo luogo, non vi sarebbe stata alcuna "intesa" preliminare alla
adozione dello schema da parte del Governo, in quanto i compiti di
rilievo nazionale sarebbero stati inseriti direttamente nel testo
approvato in Consiglio dei ministri, e sull'intero testo sarebbe
stato chiesto soltanto il parere della Conferenza, secondo il
disposto dell'art. 6 della legge di delega: parere che sarebbe cosa
diversa dall'intesa di cui all'art. 1, comma 4, della medesima legge,
sia per oggetto, sia per contenuto, sia per successione temporale. In
secondo luogo, nemmeno successivamente alla predisposizione
governativa dello schema sarebbe stata raggiunta la necessaria
"intesa" sui compiti di rilievo nazionale, come si ricaverebbe da
più passi del verbale della riunione della Conferenza Stato-regioni
del 5 marzo 1998. In conseguenza dell'iter erroneamente seguito, il
Consiglio dei ministri non avrebbe nemmeno "deliberato motivatamente
in via definitiva" sui punti di mancata intesa, come invece richiesto
dalla legge di delega a tutela della posizione delle regioni, che
devono essere poste in grado di conoscere sulla base di quali
elementi determinati compiti debbano essere di rilievo nazionale.
Con il quinto motivo del ricorso la regione impugna, in
riferimento agli articoli 76, 117 e 118 della Costituzione, le
disposizioni del decreto legislativo che attribuiscono direttamente
funzioni e compiti agli enti locali nelle materie comprese
nell'elenco dell'art. 117 della Costituzione, e "specificatamente"
gli articoli 41, comma 3, in materia di fiere e mercati; 66, comma 1,
lettere b) - lettera peraltro in seguito soppressa dall'art. 9 del
decreto legislativo n. 443 del 1999 - e c), in materia di
agricoltura; 99, comma 3, secondo periodo, che attribuisce alle
province "le funzioni di progettazione, costruzione e manutenzione
della rete stradale"; 131, comma 2, e 132, nelle materie della
beneficenza pubblica e della sanità. Tali disposizioni
sottrarrebbero alla regione funzioni ad essa spettanti in base agli
articoli 117 e 118 della Costituzione, non trattandosi di compiti "di
interesse esclusivamente locale" (come invece può essere in taluni,
limitati, casi, quali quello dell'art. 117, comma 1, primo periodo,
dello stesso decreto legislativo) e, comunque, violerebbero l'art. 4,
comma 1, della legge di delega, che stabilisce che nelle materie di
cui all'art. 117 della Costituzione l'attribuzione delle funzioni e
dei compiti deve essere operata a favore delle regioni, cui sarebbe
riservata la valutazione circa la necessità che gli stessi siano
svolti a livello regionale o meno.
Con il sesto motivo del ricorso la regione denuncia la violazione
degli articoli 76, 117 e 118 della Costituzione da parte degli
articoli 3, comma 1, e 132, comma 1, primo periodo, del decreto
legislativo, i quali prevedono che le regioni provvedano, entro il
termine di sei mesi dall'emanazione dello stesso decreto,
all'individuazione delle funzioni che richiedono l'esercizio unitario
a livello regionale e di quelle da conferire agli enti locali. Il
termine sarebbe irragionevolmente breve, e tale da ledere nel suo
complesso l'autonomia organizzativa, legislativa ed amministrativa
regionale, e da rendere pressoché inevitabile l'intervento
sostitutivo dello Stato. L'irragionevolezza del termine sarebbe
provata da vari elementi. Innanzitutto dalla vastità ed
eterogeneità delle materie interessate dal decreto legislativo, per
l'emanazione del quale lo stesso Governo ha ottenuto la proroga del
termine inizialmente previsto dalla legge di delega. Inoltre, dalla
circostanza che, poiché il termine di sei mesi decorre dalla
emanazione del decreto impugnato, avvenuta il 31 marzo 1998, una
parte di esso era già trascorsa al momento in cui la regione ha
avuto conoscenza ufficiale del testo a seguito della pubblicazione in
Gazzetta Ufficiale in data 21 aprile. Ancora, dal fatto che esso non
terrebbe alcun conto degli adempimenti richiesti ai fini del
completamento del procedimento legislativo regionale (in particolare,
per la Regione Veneto, degli adempimenti richiesti dall'art. 55 dello
statuto regionale, che prevede la consultazione degli enti
interessati alla delega di funzioni, consultazione che si aggiunge a
quella imposta dall'art. 4, comma 1, della legge di delega).
Per il caso in cui si ritenesse che la fissazione del termine sia
imposta dall'art. 4, comma 5, della legge di delega, la ricorrente
chiede che la Corte sollevi dinanzi a sé la questione di
legittimità costituzionale della medesima disposizione in
riferimento agli stessi parametri e motivi indicati in relazione alle
norme delegate.
Con il settimo motivo del ricorso la regione denuncia la
violazione dell'art. 119 della Costituzione da parte dell'art. 7,
comma 3, del decreto legislativo, a termini del quale alle regioni e
agli enti locali sono "attribuiti beni e risorse corrispondenti per
ammontare a quelli utilizzati dallo Stato per l'esercizio delle
medesime funzioni e compiti prima del conferimento", tenendosi conto,
tra l'altro, "dei beni e delle risorse utilizzati dallo Stato in un
arco temporale pluriennale, da un minimo di tre ad un massimo di
cinque anni" (lettera a). Tale disposizione è ritenuta lesiva
dell'autonomia finanziaria regionale, anche per effetto dell'assoluta
indeterminatezza dei "criteri" indicati alle lettere b) e c) dello
stesso comma 3 censurato, che non consentirebbero di determinare con
sufficiente certezza di quali risorse sarà possibile disporre,
essendo rimessa al Governo la scelta sia dell'arco temporale, sia
dell'anno-base per il calcolo. La lesione dell'art. 119 della
Costituzione, precisa la regione, non potrebbe essere esclusa
dall'orientamento della Corte costituzionale per il quale spese di
modesta entità che lo Stato faccia gravare senza copertura sulla
finanza regionale non potrebbero compromettere l'autonomia dell'ente,
in quanto nel caso di specie le dimensioni dei conferimenti sarebbero
comunque tali da importare l'impiego di risorse molto ingenti.
Con l'ottavo motivo del ricorso la regione denuncia nuovamente la
violazione dell'art. 119 della Costituzione, ma questa volta da parte
dell'art. 3, comma 3, del decreto legislativo, in rapporto all'art. 7
dello stesso decreto, ai sensi del quale la regione, entro il
30 settembre 1998, dovrebbe attribuire agli enti locali i mezzi
necessari a coprire gli oneri derivanti dall'esercizio delle funzioni
trasferite, "nel rispetto dell'autonomia organizzativa e
regolamentare" degli stessi enti. L'autonomia finanziaria regionale
sarebbe lesa in quanto non si vedrebbe da quali fonti la regione
potrebbe trarre le necessarie risorse, posto che alla Regione beni e
mezzi saranno attribuiti solo da provvedimenti governativi da
adottarsi ai sensi dell'art. 7 dello stesso decreto legislativo e
dell'art. 7 della legge di delega.
La nona censura concerne il mancato riordinamento delle strutture
e la mancata individuazione delle modalità di trasferimento del
personale, aspetti che sarebbero sostanzialmente rimessi ai
provvedimenti amministrativi di cui all'art. 7 della legge di delega.
Ricorda la regione che con l'art. 3, comma 1, lettere d) ed e) della
legge di delega, il Parlamento aveva imposto al Governo di provvedere
alla soppressione, trasformazione o accorpamento delle strutture
centrali e periferiche interessate dal conferimento, oltre che di
individuare le modalità e le procedure per il trasferimento del
personale statale; e che la norma di delega conteneva un rinvio ai
provvedimenti amministrativi di cui all'art. 7 della legge di delega,
ma soltanto per quanto attiene alle modalità della soppressione
delle strutture. Fatte salve alcune eccezioni ("ad esempio", quelle
di cui agli artt. 50, comma 1; 92, comma 4; 96, comma 2; 106, comma
2; 134), il legislatore delegato avrebbe, secondo la regione,
sostanzialmente omesso di provvedere.
La regione rileva che il testo del decreto contiene varie norme
con le quali il Governo pretende, in violazione gli articoli 76, 117
e 118 della Costituzione, di autodelegarsi il potere legislativo
quali gli articoli 7, comma 4, e 9 (disposizioni, queste, che
dispongono "rinvii generali": per il personale ai provvedimenti di
cui all'art. 7 della legge di delega, per le strutture anche, con
richiamo ritenuto "fuori luogo", ai decreti previsti dagli articoli
10 e 11 della medesima legge); nonché - a titolo di esempio di
disposizioni di "rinvio al futuro" - gli articoli 58; 67, comma 1;
75; 92, commi 2 e 3; 106, comma 1; 109, comma 2, e 146. In
particolare, nell'art. 67, comma 1, il riferimento alle parole "un
apposito organismo tecnico" legittimerebbe il Governo ad istituire
quell'organismo con decreti correttivi ed integrativi entro il
31 marzo 1999, sulla base dell'art. 10 della legge di delega, e il
contenuto della "autodelega", per la parte in cui vorrebbe escludere
la regione dall'organismo, sarebbe incostituzionale, posto che di
esso la regione dovrebbe servirsi nello svolgimento delle proprie
funzioni.
La ricorrente ritiene che le omissioni legislative rilevate non
implicano tanto che il decreto legislativo impugnato sia solo una
attuazione parziale della delega, ma concretano piuttosto un
illegittimo esercizio del potere delegato, in considerazione della
strettissima connessione esistente tra le "parti" qui considerate
della delega. L'indicazione delle strutture oggetto del
riordinamento, come pure quella del personale da trasferire,
sarebbero da ritenere essenziali, nell'impianto della legge n. 59 del
1997, per dare concretezza ai "conferimenti", e la loro mancanza
renderebbe viziato l'intero esercizio della delega.
La decima censura, sempre riferita agli articoli 76, 117 e 118
della Costituzione, riguarda la mancata individuazione nel decreto
legislativo delegato di strumenti di raccordo e cooperazione. La
regione osserva che l'art. 3, comma 1, della legge di delega
obbligava il Governo a prevedere procedure e strumenti di raccordo
che consentano la collaborazione e l'azione coordinata tra enti
locali, tra regioni e tra i diversi livelli di governo e di
amministrazione (lettera c); le modalità per l'avvalimento da parte
dello Stato di uffici regionali e locali (lettera f); il conferimento
a particolari strutture organizzative di funzioni che non richiedono
l'esercizio esclusivo da parte delle regioni e degli enti locali
(lettera g). Tali principi, con alcune limitate eccezioni (v. ad
esempio l'art. 111, comma 1, del decreto legislativo), non sarebbero
stati attuati dal decreto impugnato, mentre l'individuazione di tali
strumenti di raccordo avrebbe indotto, secondo la regione, a non
operare quei ritagli di materia a favore dello Stato di cui alle
precedenti censure.
Con l'undicesima ed ultima censura la regione impugna, per
violazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione, l'art. 25,
comma 2, lettera g) del decreto legislativo n. 112 del 1998, il quale
stabilisce che il procedimento amministrativo in materia di
autorizzazione all'insediamento di attività produttive dovrà essere
disciplinato con uno o più regolamenti, i quali devono prevedere
che, ove il progetto contrasti con le previsioni di uno strumento
urbanistico, si possa ricorrere alla conferenza di servizi, la cui
determinazione (se vi è accordo sulla variazione dello strumento)
costituisce proposta di variante, sulla quale si pronuncia
definitivamente il consiglio comunale. Tale previsione è censurata
in quanto lesiva della competenza regionale in materia di
urbanistica, poiché esproprierebbe la regione del potere di
concorrere alla definizione dell'assetto urbanistico.
2. - Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, chiedendo che le questioni sollevate dalla Regione Veneto
siano dichiarate inammissibili o comunque infondate, e osservando
quanto segue in relazione a ciascuna di esse.
La prima questione sarebbe innanzitutto inammissibile per difetto
di interesse al ricorso, dovendosi escludere che le disposizioni
censurate abbiano oggi (al momento della loro impugnazione da parte
della regione) una portata lesiva. Al riguardo sarebbe sufficiente
rilevare che tali disposizioni sono poste proprio a salvaguardia
dell'esito dei conferimenti con l'ulteriore disposizione di chiusura
(art. 3, comma 6, del decreto legislativo impugnato), secondo la
quale "i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui
all'art. 7 della legge 15 marzo 1997, n. 59, sono comunque emanati
entro il 31 dicembre 1999": l'interesse al ricorso potrebbe se mai
divenire concreto solo successivamente a quella data.
La questione sarebbe comunque infondata nel merito, in quanto i
procedimenti previsti dalle disposizioni censurate sarebbero
finalizzati proprio ad assicurare la certezza della emanazione dei
decreti del Presidente del Consiglio per rendere operativi i
conferimenti; e ciò in piena conformità con l'art. 7 della legge di
delega, che demanda al decreto del Presidente del Consiglio il
compito di attuare i decreti legislativi sui conferimenti con le
scadenze temporali e le modalità dagli stessi previsti mediante
puntuale individuazione e conseguente trasferimento dei beni e delle
risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative ai diversi
enti territoriali. La ratio della norma delegante sarebbe evidente: i
decreti legislativi devono provvedere unicamente al conferimento
delle funzioni, mentre con l'ulteriore fase demandata all'atto del
Presidente del Consiglio si deve dare attuazione e rendere operative
competenze di cui già sono titolari gli enti territoriali in virtù
dei decreti legislativi di conferimento. L'atto del Presidente del
Consiglio, in altri termini, sarebbe consequenziale all'avvenuto
trasferimento di funzioni, e concreterebbe un'attività essenziale ma
puramente esecutiva. Pertanto, risulterebbe infondata la censura
concernente l'incertezza circa l'effettivo conferimento, come si
evince anche dalla previsione del termine del 31 dicembre 1999 per
l'emanazione dei decreti del Presidente del Consiglio. In ipotesi,
certo, tale termine potrebbe scadere inutilmente; ma soltanto allora
il provvedimento delegato diverrebbe oggetto di censura, e non già
perché il legislatore delegato abbia ora reso incerti i
conferimenti, bensì ed unicamente perché non attuerebbe la delega
entro il termine previsto.
La seconda questione sarebbe infondata. L'Avvocatura premette, in
proposito, che la legge di delega ha rimesso alla competenza statale
da un lato i "compiti di rilievo nazionale" in alcune materie
(art. 1, comma 4, lettera c), dall'altro la cura della promozione
dello sviluppo economico, la valorizzazione dei sistemi produttivi e
la promozione della ricerca applicata, definiti interessi pubblici
primari, che lo Stato e gli altri enti locali assicurano nell'ambito
delle rispettive competenze (art. 1, comma 6): le due fattispecie
normative, pur avendo una struttura differenziata, convergerebbero
per le finalità, da rinvenire nella tutela dei valori che esigono
interventi diretti dello Stato. I "compiti di rilievo nazionale" si
riferirebbero infatti a materie astrattamente suscettibili di
regolamentazione anche da parte delle autonomie territoriali, e
proprio per evitare problemi interpretativi su materie di competenza
potenzialmente interferente, il legislatore delegante avrebbe
demandato ai decreti legislativi la individuazione dei compiti
suddetti, da predisporre previa intesa con la Conferenza
Stato-regioni, quale organo di concertazione e composizione dei
rispettivi interessi, ma anche di tutela nei confronti dello
Stato-apparato, in quanto espressivo degli interessi appartenenti
allo Stato-comunità. Ai sensi dell'art. 1, comma 6, della legge di
delega, d'altra parte, lo Stato sarebbe chiamato a tutelare interessi
pubblici primari, ma nell'ambito della propria competenza: ed anche
in questo caso, e per le stesse ragioni di certezza giuridica, la
legge di delega avrebbe demandato ai decreti legislativi
l'individuazione tassativa delle funzioni e dei compiti da mantenere
in capo alle amministrazioni statali (art. 3, comma 1, lettera a). Le
censure della regione risulterebbero infondate, dal momento che tutte
le disposizioni impugnate sarebbero conformi alle due fattispecie
normative descritte dalla legge di delega, e il richiamo agli
ulteriori criteri direttivi, stabiliti dall'art. 4, comma 3, della
legge di delega, sarebbe inconferente, in quanto tali ultimi criteri
sarebbero indirizzati al legislatore delegato ai fini del
conferimento delle funzioni alle autonomie territoriali e non già
per quanto residua alla competenza dello Stato.
In relazione alla terza questione, ritenuta parimenti infondata
anche sulla base delle medesime osservazioni svolte in relazione alla
precedente questione, l'Avvocatura erariale preliminarmente osserva
che è privo di fondamento lo stesso presupposto dal quale muove la
Regione Veneto, secondo cui la legge di delega avrebbe imposto i
conferimenti alle regioni pur in assenza di un puntuale fondamento
costituzionale, dal momento che, vigendo una Costituzione rigida, le
competenze assegnate allo Stato e alle regioni non sarebbero
"disponibili" se non nei limiti e con le modalità previsti dalla
Costituzione. Ed infatti la nuova disciplina sui conferimenti si
fonderebbe su ben individuati parametri costituzionali, puntualmente
richiamati dall'art. 1, comma 1, della legge di delega (artt. 5, 118
e 128 della Costituzione) e dall'art. 4, comma 1, della stessa legge
(art. 117 della Costituzione).
Inoltre, l'esame specifico delle disposizioni impugnate
dimostrerebbe che esse sono tutte avvalorate dalle relative norme
costituzionali. Per quanto riguarda l'art. 18 del decreto
legislativo, in materia di industria, il legislatore delegato avrebbe
operato in coerenza con l'art. 118, secondo comma, della
Costituzione, mantenendo la competenza allo Stato per gli aspetti
della materia non localizzabili in ambito regionale (essendo
preminente dare attuazione al principio di completezza di cui
all'art. 4, comma 3, lettera b) della legge delega) e conferendo, con
lo strumento della delega, tutte le altre funzioni alle regioni. Le
stesse considerazioni varrebbero per l'art. 29, comma 2, del decreto,
in materia di ricerca, produzione, trasporto e distribuzione di
energia, e per l'art. 33, in materia di miniere e risorse
geotermiche; mentre in riferimento all'art. 65, in materia di
catasto, servizi geotopocartografici e conservazione dei registri
immobiliari, accanto alle funzioni mantenute allo Stato si sarebbe
provveduto, nel quadro dell'art. 128 della Costituzione, ad un
conferimento diretto ai comuni per le funzioni immediatamente
localizzabili a livello locale. Per quanto riguarda l'art. 85, in
materia di gestione dei rifiuti, la disposizione terrebbe ferme le
competenze già disciplinate con il d.lgs. n. 22 del 1997 e dal
precedente art. 29 in materia di energia. Infine, in riferimento alle
altre disposizioni impugnate (art. 93, in materia di opere pubbliche;
art. 98, in materia di viabilità; art. 104, in materia di trasporti;
art. 137, in materia di scuola), esse troverebbero fondamento negli
articoli 117, 118 e 128 della Costituzione.
Il quarto motivo del ricorso sarebbe inammissibile, poiché i
rilievi della regione assumerebbero la natura di doglianze di mero
fatto. Il decreto legislativo risulterebbe infatti emanato sulla base
di un procedimento conforme ai requisiti di forma prescritti dalla
Costituzione e in osservanza dei limiti ulteriori posti per
l'esercizio della delega: l'intesa con la Conferenza Stato-regioni in
ordine all'individuazione dei compiti di rilievo nazionale sarebbe
stata acquisita, come descritto nel preambolo, in quanto l'atto
legislativo produrrebbe effetti unicamente per tutto ciò che in esso
è affermato.
La quinta censura sarebbe invece infondata, in quanto sarebbe
errata l'interpretazione dell'art. 4, comma 1, della legge di delega
sulla quale si fonda il ricorso regionale: in osservanza del
principio di sussidiarietà cui l'intera riforma si ispira (art. 1
della legge di delega), infatti, si imporrebbe al legislatore
delegato di utilizzare tutte le potenzialità insite nel sistema
costituzionale delle autonomie, secondo cui le funzioni
amministrative connesse a materie regionali debbono essere esercitate
"normalmente in via di delega da comuni e province", nell'intento di
assicurare maggiore avvicinamento di queste funzioni alle realtà
locali. L'art. 4, comma 2, della legge di delega stabilisce bensì
che nelle materie di cui all'art. 117 della Costituzione le regioni
conferiscono alle province, ai comuni e agli altri enti locali tutte
le funzioni che non richiedono l'unitario esercizio a livello
regionale, ma nella connessione organica e funzionale degli articoli
117 e 118 della Costituzione, secondo la difesa statale, tale
disposizione non vieterebbe al legislatore delegato l'utilizzazione
del primo comma dell'art. 118, e dunque la diretta attribuzione agli
enti territoriali di alcune funzioni in materie proprie delle
regioni. Questa interpretazione sarebbe confermata dal criterio
dell'art. 3, comma 1, lettera b) della stessa legge di delega, che
prevede che siano indicati, tra gli altri, i compiti da conferire
agli enti locali, territoriali o funzionali ai sensi degli articoli
128 e 118, primo comma, della Costituzione.
La sesta censura sarebbe inammissibile o comunque infondata.
Inammissibile, perché le doglianze sulla eccessiva brevità del
termine assegnato alle regioni per il conferimento agli enti locali
involgerebbero questioni di fatto, attenendo ad eventuali difficoltà
materiali per lo svolgimento di compiti prescritti dalla legge, e si
risolverebbero in affermazioni apodittiche e comunque tardive.
Infatti, il termine di sei mesi, già prescritto dalla legge di
delega (art. 4, comma 5), sarebbe stato meramente riprodotto dal
decreto legislativo attraverso il richiamo della norma delegante. La
richiesta regionale che la Corte sollevi di fronte a se stessa
questione di legittimità costituzionale della legge di delega,
dunque, sarebbe un mero espediente per eludere i termini del ricorso
in via principale.
La censura sarebbe in ogni caso infondata nel merito, in quanto
la ratio sottesa alle disposizioni dettate dal legislatore delegante
presupporrebbe la "contestualità logica" dei conferimenti dallo
Stato alle regioni e da queste agli enti locali minori, che si
evincerebbe dai criteri dettati dall'art. 3, comma 1, della legge di
delega, ed in particolare dal principio di sussidiarietà. Tale
contestualità logica sarebbe sancita proprio dall'art. 3 del decreto
legislativo, là dove esige che il procedimento di conferimento agli
enti locali avvenga secondo i principi stabiliti dall'art. 4, comma
3, della legge di delega. In quest'ottica di salvaguardia della
effettività e completezza dei conferimenti delineati dalla legge di
delega si giustificherebbe anche l'intervento sostitutivo del
Governo, con effetti provvisori, nell'ipotesi in cui le regioni non
provvedano nel termine prescritto.
La settima questione, sollevata in relazione all'art. 119 della
Costituzione, sarebbe infondata. Secondo la difesa erariale, infatti,
a causa dell'andamento fluttuante dei cicli finanziari di entrata e
di spesa, il legislatore delegato ha dovuto, per i beni e le risorse
utilizzate dallo Stato, fissare un arco temporale pluriennale, da un
minimo di tre anni ad un massimo di cinque, precedente la data
dell'attribuzione alle regioni e agli enti locali: ciò al fine di
calcolare le risorse disponibili in un periodo di tempo
sufficientemente attendibile per un utilizzo a regime ed idoneo a
dare la massima certezza possibile alla quantità di beni e risorse
da trasferire. La certezza delle risorse da trasferire, inoltre,
sarebbe provata dalle disposizioni di cui all'art. 7, comma 3,
lettere d) (recte: b) e c), che impongono di tenere conto
dell'andamento complessivo delle spese finali iscritte nel bilancio
dello Stato e dei contenuti dei documenti di programmazione
economico-finanziaria approvati dalle Camere.
Anche l'ottava questione, sollevata sempre in relazione
all'art. 119 della Costituzione, sarebbe infondata, dal momento che
nell'attuazione della disposizione impugnata si dovrebbe
necessariamente tenere conto dell'intero sistema delineato dal
legislatore delegante e delegato. La previsione in base alla quale la
legge regionale di cui all'art. 3, comma 1, del decreto legislativo,
debba essere adottata da ciascuna regione, ai sensi dell'art. 4,
commi 1 e 5, della legge di delega, entro sei mesi dalla emanazione
del decreto legislativo, e debba determinare in conformità al
proprio ordinamento le funzioni amministrative che richiedono
l'unitario esercizio a livello regionale, provvedendo contestualmente
a conferire tutte le altre agli enti locali, discenderebbe
direttamente dai principi di cui alla legge n. 142 del 1990 e, in
particolare, dal principio di sussidiarietà. Il richiamo ai commi 1
e 5 dell'art. 4 della legge di delega, infatti, non lascerebbe dubbi
sul fatto che oggetto della norma impugnata sono i compiti e le
funzioni già di competenza regionale nelle materie di cui
all'art. 117 della Costituzione, che non richiedono un unitario
esercizio a livello regionale: in ordine a tali compiti e funzioni le
regioni sarebbero già titolari di beni e risorse, e sarebbe quindi
possibile dare contestuale operatività ai conferimenti, come
previsto appunto dalla disposizione impugnata. Una conferma a
contrario si evincerebbe dall'art. 7, comma 1, lettera d) del decreto
impugnato, che espressamente prevede che "in caso di delega regionale
agli enti locali, la legge regionale attribuisce ai medesimi risorse
finanziarie tali da garantire la congrua copertura degli oneri
derivanti dall'esercizio delle funzioni delegate, nell'ambito delle
risorse a tale scopo effettivamente trasferite dallo Stato alle
regioni".
Infondato sarebbe anche il nono motivo di censura, in quanto la
questione si baserebbe su una errata interpretazione sia della legge
di delega che del decreto legislativo. L'Avvocatura premette che
l'art. 3, comma 1, lettera d), della legge n. 59 del 1997 demanda ai
decreti legislativi previsti dal precedente art. 1 di procedere al
riordino delle strutture centrali e periferiche interessate dal
conferimento "con le modalità e nei termini di cui all'art. 7,
comma 3", che a sua volta dispone che al riordino si provvede, con
regolamento, entro novanta giorni dalla adozione di ciascun decreto
di attuazione di cui al comma 1 dello stesso articolo 7 (ovvero dei
decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di puntuale
individuazione dei beni e delle risorse da trasferire alle regioni ed
agli enti locali). In ottemperanza a quanto dispone la legge di
delega, il legislatore delegato ha stabilito (art. 9) che al riordino
delle strutture centrali e periferiche si provvede "con i decreti
previsti dagli articoli 7, 10 e 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59".
Pertanto, risulterebbe evidente la consequenzialità della procedura
di riordino delle strutture centrali e periferiche, da attuarsi solo
dopo avere proceduto alla individuazione dei beni e delle risorse da
trasferire alle autonomie territoriali. Solo successivamente a questa
operazione, che rende concreti e certi nella misura i conferimenti,
sarebbe possibile - secondo l'Avvocatura - procedere con altrettanta
certezza al riordino con i diversi strumenti previsti dagli artt. 7,
10 e 11 della legge di delega.
Analoga argomentazione viene richiamata per l'individuazione
delle modalità e delle procedure per il personale da trasferire di
cui all'art. 3, comma 1, lettera d) della legge di delega.
Infine, per quanto riguarda le disposizioni del decreto
legislativo con le quali la ricorrente regione asserisce che il
legislatore delegato avrebbe proceduto ad una indebita autodelega,
l'Avvocatura rileva che per casi specifici il decreto delegato ha
anticipato il riordino con norme singolari, compiendo una scelta
consentita nell'ambito della discrezionalità spettante al Governo.
La difesa statale ritiene anche infondata la decima questione,
relativa alla mancata individuazione degli strumenti di raccordo e
cooperazione. La lettura sistematica delle disposizioni del decreto
legislativo impugnato confermerebbe che il principio di leale
collaborazione, in diversa guisa e con molteplici strumenti, è stato
assunto come base essenziale per i conferimenti, divenendo principio
informatore del nuovo assetto dei rapporti fra i soggetti coinvolti,
come dimostrerebbe il ruolo attribuito alla Conferenza Stato-regioni
ed alla Conferenza Stato-città. Quanto al principio di avvalimento,
esso costituirebbe, per disposto della legge di delega, criterio
sussidiario per l'esercizio del potere delegato, occorrente solo
nelle ipotesi in cui vi siano difficoltà giuridiche ad attuare
compiutamente il principio di sussidiarietà; e, poiché il principio
di sussidiarietà ha guidato l'intera stesura normativa del decreto
delegato, gli spazi disciplinati mediante il principio di avvalimento
risulterebbero residuali.
Anche l'ultima questione sarebbe infondata, in quanto proposta in
termini perentori ed "assolutistici", proprio in un campo, quello
dell'autorizzazione all'insediamento di attività produttive, in cui
l'articolazione degli interessi e delle competenze è particolarmente
complessa. Secondo l'Avvocatura il procedimento previsto non
risulterebbe lesivo della competenza regionale, in quanto la regione
partecipa alla conferenza di servizi di cui all'art. 25, comma 2,
lettera g), del decreto legislativo e solo se vi è il suo accordo la
determinazione costituisce proposta di variante allo strumento
urbanistico.
3. - Nell'imminenza dell'udienza pubblica, fissata per il
4 aprile 2000, ha depositato memoria la sola regione ricorrente,
insistendo per l'accoglimento del ricorso.
Quanto al primo motivo di ricorso, concernente la mancanza di
certezza nei conferimenti di funzioni, in violazione della legge di
delega, la regione, nel ribadire che il decreto impugnato, violando
la legge di delega, non avrebbe operato alcun concreto trasferimento
di funzioni, ad eccezione di quelli previsti dalle poche norme
richiamate nel ricorso, afferma che tale conclusione è confermata
dal disposto dell'art. 2, lettera b), del decreto legislativo
correttivo n. 443 del 1999, di modifica dell'art. 19, comma 12, del
decreto legislativo impugnato. Quest'ultima disposizione, concernente
le incentivazioni alle imprese, disponeva che le regioni
subentrassero alle amministrazioni statali nelle convenzioni dalle
medesime stipulate "ed in vigore alla data di emanazione del presente
decreto legislativo e stipulando, ove occorra, atti integrativi alle
convenzioni stesse per i necessari adeguamenti", con ciò
singolarmente presupponendo una competenza regionale a partire dalla
emanazione del decreto n. 112. La regione rileva che il decreto
correttivo ha invece disposto che le regioni subentreranno nelle
convenzioni "in vigore alla data di effettivo trasferimento e delega
delle funzioni disposte dal presente decreto legislativo": con la
conseguenza che fino a quella data rimangono competenti le
amministrazioni statali.
Inoltre, la regione osserva che in base all'art. 7 della legge di
delega i previsti decreti del Presidente del Consiglio dei ministri
dovevano servire unicamente "alla puntuale individuazione" dei beni e
delle risorse da trasferire, e dunque i mezzi economici in questione
avrebbero dovuto essere complessivamente già indicati dai decreti
legislativi di trasferimento, e cita, quale esempio di un modo
corretto di operare, il decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463,
recante norme di attuazione dello statuto speciale del Trentino-Alto
Adige, con il quale si è provveduto a conferire contestualmente
funzioni, mezzi e personale. Al contrario il Governo, adottando le
norme impugnate, avrebbe rinviato ai successivi decreti del
Presidente del Consiglio dei ministri il compito di attuare
direttamente la delega legislativa.
In relazione al secondo motivo di ricorso, la memoria regionale,
riprendendo l'impostazione del ricorso introduttivo, ribadisce che la
legge di delega avrebbe indicato un criterio di lettura delle materie
regionali assolutamente ampio e favorevole alle regioni, secondo il
quale nelle materie di cui all'art. 117 della Costituzione il Governo
avrebbe dovuto trattenere in capo allo Stato solo i compiti previsti
dalla legge stessa. Tale interpretazione della legge di delega
avrebbe trovato, secondo la memoria regionale, significativa conferma
nella previsione dell'art. 1, comma 2, della legge 16 giugno 1998,
n. 191, che, integrando l'art. 1, comma 3, della legge n. 59 del
1997, ha escluso dai conferimenti anche le funzioni relative ai
"trasporti aerei, marittimi e ferroviari di interesse nazionale": il
legislatore del 1998 sarebbe infatti intervenuto sul presupposto che
gli aspetti ed i profili di interesse nazionale di tutte le materie
conferite non potessero essere sottratti agli enti locali sulla base
di una clausola generale già implicita nella legge di delega. Né,
in contrario, potrebbe valere il richiamo all'art. 1, comma 2, della
legge di delega, a norma del quale sono conferiti alle regioni le
funzioni e i compiti "relativi alla cura degli interessi e alla
promozione dello sviluppo delle rispettive comunità", nonché quelli
"localizzabili nei rispettivi territori": tale comma non potrebbe
essere inteso come riconoscimento di un generalizzato potere
governativo di riserva di funzioni allo Stato, poiché altrimenti si
dovrebbe ammettere, ad esempio, l'inutilità di tutto il comma 3
dello stesso articolo 1.
Anche in relazione al terzo motivo del ricorso la difesa
regionale insiste sull'illegittimità delle disposizioni impugnate,
nelle parti in cui pongono riserve di funzioni a favore dello Stato
non riconducibili a puntuali titoli giustificativi posti dalla legge
di delega. In materia di energia rimarrebbero prive di fondamento in
particolare le riserve di cui all'art. 18 del decreto legislativo
impugnato, lettere a), b), d), e), i), m), n), o); molte di esse,
inoltre, sarebbero riserve "in bianco", e vanificherebbero così
l'obbligo di tassatività, in quanto non definirebbero esattamente la
funzione trattenuta, ma farebbero riferimento ad aspetti non
ulteriormente qualificati di "interesse nazionale". Anche in materia
di energia molte delle riserve puntuali a favore dello Stato
sarebbero di ardua giustificazione, quali quelle dell'art. 29,
lettere f), g), l), n), o). La stessa formulazione dell'art. 85
attesterebbe poi che in materia di rifiuti niente sia stato delegato
dallo Stato. Quanto all'art. 93 del decreto legislativo, la regione
ammette che le funzioni di cui al comma 1, lettera c), possono
trovare corrispondenza nell'art. 1, comma 4, lettera b) della legge
di delega, ma esclude che altrettanto possa dirsi per le riserve di
cui alle lettere f) e g), o per quelle previste dall'art. 98, in
particolare lettere a), d), f), g), h). Quanto alla materia dei
trasporti, molti sarebbero i casi in cui, tradendo il disegno della
legge di delega (che voleva riservare solo le funzioni di cui
all'art. 1, comma 3, lettera r-bis e comma 4, lettera b), il decreto
legislativo impugnato avrebbe trattenuto in capo allo Stato funzioni
il cui esercizio sarebbe facilmente localizzabile sul territorio.
Infine, quanto all'art. 137, esso sarebbe chiaramente illegittimo per
la parte in cui non riguarda gli oggetti considerati dall'art. 1,
comma 3, lettera q), della legge di delega.
Sul quarto motivo di ricorso, la regione afferma che spetta alla
Corte costituzionale appurare "il fatto" della mancata intesa in
Conferenza Stato-regioni sui compiti di rilievo nazionale,
eventualmente facendo uso dei poteri istruttori; e che, comunque, il
motivo del ricorso sarebbe ammissibile, contrariamente a quanto
sostenuto dalla difesa erariale, in quanto la Corte costituzionale
avrebbe già in passato sindacato il procedimento di formazione dei
decreti legislativi, anche per ciò che attiene alla avvenuta
acquisizione di pareri o altri atti endoprocedimentali, imposti da
norme costituzionali o dalle leggi di delega.
Sulla quinta censura, la difesa regionale afferma che, in base
alla legge di delega, nelle materie regionali il Governo non era
abilitato ad attuare direttamente l'ultima parte del primo comma
dell'art. 118 della Costituzione. Ciò risulterebbe sia dall'art. 4,
commi 1 e 2, della legge di delega, sia dal successivo comma 5, che
rinvia all'art. 3 della legge n. 142 del 1990, il quale, attraverso
il richiamo all'art. 118, primo comma, della Costituzione, prevede
che spetta alla regione individuare i compiti di interesse
esclusivamente locale da attribuire a province e comuni; sia, anche,
dall'interpretazione dell'art. 3 della legge n. 142 del 1990 e della
stessa legge di delega fornita dalla Corte costituzionale.
Quanto alla sesta censura, la regione, replicando alle due
eccezioni di inammissibilità proposte dalla difesa erariale,
ricorda, quanto alla prima, che già in passato la Corte
costituzionale ha valutato nel merito la congruità di un termine
assegnato alle regioni per esprimere un parere; e, quanto alla
seconda, che la questione non sarebbe stata sollevata tardivamente,
poiché l'art. 3 del decreto legislativo avrebbe novato la fonte
precedente (l'art. 4, comma 5, della legge di delega), ponendo esso
direttamente la norma impugnata.
Con riguardo alla settima questione, la ricorrente insiste per il
suo accoglimento, affermando, fra l'altro, che la legge di delega
(artt. 4, comma 3, lettera i), e 7, comma 1, ultimo periodo),
conformemente all'art. 119 della Costituzione, avrebbe posto come
principio non il trasferimento di quanto speso dallo Stato, ma di
quanto è congruo rispetto alle competenze che alle regioni sono
conferite; e ribadisce che l'art. 7, comma 3, del decreto legislativo
comunque non consentirebbe di stabilire di quali risorse le regioni
potranno disporre per svolgere le funzioni conferite.
Quanto all'ottava questione, la difesa regionale precisa che essa
è logicamente subordinata al mancato accoglimento della settima
censura, in quanto se non fosse incostituzionale che lo Stato non
abbia operato i trasferimenti economici necessari, allora sarebbe
illegittimo che il medesimo Stato li imponga alle regioni a favore
degli enti locali. Osserva poi che se fosse vera l'interpretazione
dell'art. 3, comma 3, del decreto legislativo fornita dall'Avvocatura
dello Stato, secondo cui oggetto di conferimento da parte delle
regioni nei confronti degli enti locali sarebbero solo i compiti e le
funzioni dell'art. 117 della Costituzione di cui le regioni sono già
titolari, allora si dovrebbe dire che esclusivamente quei compiti e
funzioni siano oggetto del potere sostitutivo dello Stato, e ciò
rileverebbe in sede di giudizio nei confronti del decreto legislativo
n. 96 del 1999, pure impugnato dalla Regione Veneto, con cui lo Stato
ha esercitato il potere sostitutivo.
Con riferimento al nono motivo di ricorso, in primo luogo la
regione ribadisce la propria legittimazione a far valere la
violazione del principio della legge di delega che imponeva di
provvedere al riordino delle strutture statali, in quanto tale
violazione, essendo una delle cause dei ritardi nell'adozione dei
provvedimenti di cui all'art. 7 della legge di delega, si sarebbe
tradotta nella violazione dei connessi criteri concernenti il
trasferimento delle funzioni alle regioni; e, in secondo luogo,
ricorda che la sua contestazione riguarda la circostanza che il
Governo non abbia provveduto, con lo stesso decreto legislativo
impugnato, a riordinare nella sostanza le strutture statali, come
sarebbe stato invece necessario per individuare funzioni, beni e
personale da trasferire.
Quanto al decimo motivo di ricorso, la regione precisa che gli
"strumenti di collaborazione", che il decreto legislativo non avrebbe
individuato, in violazione della legge di delega, sono quelli che,
senza disconoscere la spettanza delle competenze, e lasciando
inalterata la distinzione delle responsabilità, consentono ai
diversi enti di coordinare la loro azione.
La regione insiste anche per l'accoglimento dell'ultimo motivo
del ricorso e, ricordando che l'art. 25, comma 2, del decreto
legislativo la esproprierebbe delle competenze che le spettano in
materia urbanistica, aggiunge che tale disposizione la vincolerebbe,
tra l'altro, al rispetto di una fonte governativa regolamentare, alla
quale non potrebbe essere tenuta in assenza di puntuali titoli
giustificativi.
Nel concludere la memoria, la regione ribadisce che l'eventuale
declaratoria di illegittimità costituzionale di alcune disposizioni
del decreto legislativo impugnato, a causa della loro centralità nel
sistema delineato dal Governo, non potrebbe non travolgere l'intero
decreto; e insiste nelle sue richieste, pur dichiarandosi consapevole
del rischio che tale declaratoria rallenti il processo di attuazione
e sviluppo del disegno costituzionale delle autonomie.
4. - Con ricorso notificato il 28 dicembre 1999 e depositato il
5 gennaio 2000 (r. ric. n. 1 del 2000) la Regione Veneto ha sollevato
questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli
articoli 76, 117 e 118 della Costituzione, degli articoli 1, 3, 6, 8,
11, 13, 14, 15, 16 e 17 del decreto legislativo 29 ottobre 1999,
n. 443 (Disposizioni correttive ed integrative del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112, recante conferimento di funzioni e
compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali).
Il decreto legislativo n. 443 sarebbe affetto, secondo la regione, in
parte dai medesimi vizi evidenziati nei confronti del decreto
legislativo n. 112 del 1998 dalla stessa Regione Veneto con il
ricorso iscritto al r. ric. n. 25 del 1998, di cui sopra, in parte da
vizi diversi. Le censure sono suddivise in cinque motivi.
La prima censura investe l'intero decreto legislativo, nei
riguardi del quale la regione denuncia la violazione dell'art. 76
della Costituzione, per avere il Governo adottato disposizioni
"correttive" in assenza del relativo presupposto giustificativo.
La regione ricorda che il decreto legislativo impugnato è stato
emanato sulla base dell'art. 10 della legge di delega n. 59 del 1997,
come risultante dalle modifiche di cui all'art. 1, comma 11, della
legge 16 giugno 1998, n. 191, all'art 9, comma 6, della legge 8 marzo
1999, n. 50, e all'art. 1 della legge 29 luglio 1999, n. 241. Secondo
la difesa regionale, la disposizione di delega conterrebbe, oltre a
quelli puntualmente indicati, anche un ulteriore limite, implicito ma
necessitato, secondo il quale le "correzioni" e le "integrazioni",
che il Governo intende apportare ai decreti base, devono trovare
fondamento e giustificazione in esigenze e fatti obiettivi insorti e
verificatisi dopo l'esercizio del potere attribuito in via
principale. Solo in tal modo si riuscirebbe a dare un senso alla
distinta previsione, nella legge di delega, di un termine per
l'emanazione di uno o più decreti legislativi di disciplina della
materia, e di un ulteriore termine per le norme correttive: e se
così non fosse, a parere della ricorrente, le norme correttive altro
non sarebbero che il frutto di una delega esercitata fuori termine,
la quale porterebbe con sé l'effetto di rendere "precario" il
decreto base. La regione afferma che nel caso di specie non sarebbe
rinvenibile né nel decreto né aliunde una qualche esigenza
obbiettiva per l'adozione del decreto correttivo, e le correzioni non
sarebbero comunque state imposte dalla pratica applicazione del
decreto n. 112 del 1998, posto che esso sarebbe tuttora "carta
straccia" per la perdurante mancanza dei trasferimenti, da parte
dello Stato, delle risorse finanziarie necessarie. L'elusione del
termine della delega sarebbe dunque l'unica giustificazione delle
norme del decreto legislativo n. 443 del 1999 impugnate dalla
regione.
La seconda censura investe alcune disposizioni del decreto
legislativo che riservano allo Stato compiti e funzioni, e
precisamente: l'art. 1, che modifica l'art. 18 del decreto
legislativo n. 112 del 1998, mantenendo alla competenza statale "la
definizione di norme in materia di metrologia legale" e "la
omologazione di modelli e strumenti di misura"; l'art. 8, che
modifica l'art. 48 del decreto legislativo n. 112 del 1998,
mantenendo alla competenza statale le funzioni concernenti la
promozione e il sostegno alla costituzione di consorzi tra piccole e
medie imprese industriali, commerciali e artigiane, qualora tali
consorzi abbiano carattere multiregionale; e l'art. 11, di modifica
dell'art. 104 del decreto legislativo n. 112 del 1998, nella parte in
cui mantiene alla competenza statale le funzioni relative agli esami
per i conducenti di unità da diporto nautico e al rilascio di
patenti, di certificati di abilitazione professionale, patenti
nautiche e di loro duplicati e aggiornamenti. Nei riguardi di queste
disposizioni, la regione denuncia la violazione degli articoli 76,
117 e 118 della Costituzione.
La difesa regionale ricorda che l'art. 3, comma 1, lettera a)
della legge n. 59 del 1997 ha demandato ai decreti legislativi di
individuare "tassativamente le funzioni e i compiti da mantenere in
capo alle amministrazioni statali", e che ciò sarebbe dovuto
avvenire "ai sensi e nei limiti di cui all'art. 1". L'art. 1,
tuttavia, non prevederebbe affatto una clausola generale di riserva
allo Stato di compiti di "interesse nazionale", bensì prevederebbe
singole - per quanto numerose - ipotesi, ora con la esclusione dai
conferimenti di intere materie (comma 3), ora con la esclusione di
compiti che astrattamente sarebbero ricaduti nelle materie da
conferire (comma 4). Secondo la ricorrente, questa sarebbe l'unica
interpretazione dell'art. 1 della legge di delega che consente di
attribuire un qualche significato alla disposizione del suo comma 4:
infatti, se la riserva di compiti di interesse nazionale fosse già
stata implicita nel sistema e ricavabile dall'art. 1, comma 2, le
minuziose ipotesi del comma 4 risulterebbero del tutto prive di
senso. E nemmeno sarebbe stata necessaria l'integrazione dell'art. 1,
comma 3, della legge di delega operata dall'art. 1, comma 2, della
legge n. 191 del 1998, che ha escluso dai conferimenti (anche) i
"trasporti aerei, marittimi e ferroviari di interesse nazionale":
sarebbe evidente, infatti, secondo la difesa regionale, che il
legislatore del 1998 sia intervenuto sul presupposto che gli aspetti
e i profili di "interesse nazionale" di tutte le materie conferite
non potessero essere sottratti agli enti locali sulla base di una
clausola generale già implicita nella legge di delega. Le nuove
riserve di competenza allo Stato disposte dal decreto correttivo,
inoltre, sarebbero in contrasto con i criteri direttivi di cui
all'art. 4, comma 3, della legge di delega, ed in particolare con i
principi di completezza (lettera b), di unicità e responsabilità
dell'amministrazione (lettera e), e di omogeneità (lettera f).
La regione insiste in particolare sulla censura relativa
all'art. 11, che modifica l'art. 104 del decreto legislativo n. 112
del 1998: il ri-trasferimento allo Stato della funzione non si
spiegherebbe, in quanto alle province rimangono varie funzioni che
implicano controlli tecnici su autoscuole e scuole nautiche, oltre
che esami per il riconoscimento dell'idoneità dei relativi
istruttori (art. 105, lettere a) e c) del decreto legislativo
n. 112); inoltre, proprio la modifica della legge di delega di cui
alla legge n. 191 del 1998 confermerebbe che tutte le funzioni
ricadenti nella materia dei trasporti avrebbero dovuto essere
trasferite, con la sola eccezione dei "trasporti aerei, marittimi e
ferroviari di interesse nazionale".
La terza censura investe le disposizioni del decreto legislativo
impugnato che secondo la regione avrebbero riservato allo Stato
"compiti di rilievo nazionale" senza osservare il procedimento
stabilito dalla legge di delega, violando così gli articoli 76, 117
e 118 della Costituzione. Si tratta dell'art. 3, in materia di
energia, che opera una duplice modifica dell'art. 29 del decreto
legislativo n. 112 del 1998; degli articoli 13 e 14, in materia di
protezione civile, che modificano gli articoli 107 e 108 dello stesso
decreto; degli articoli 15, 16, e 17, in materia di salute umana e
sanità veterinaria, che modificano gli articoli 112, 115 e 119 del
decreto n. 112. Per tali disposizioni, afferma la ricorrente, il
Governo avrebbe dovuto seguire la procedura imposta dall'art. 1,
comma 4, lettera c), della legge di delega, e cioè avrebbe dovuto
predisporre lo schema del decreto legislativo "previa intesa con la
Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, le regioni e le
province autonome". A nulla varrebbe, secondo la ricorrente, la
circostanza che il preambolo del decreto legislativo dia atto
dell'acquisizione dell'intesa: l'intesa sarebbe infatti mancata, e il
vizio procedimentale emergerebbe chiaramente dall'esame dei lavori
della Conferenza (sedute del 25 giugno 1999 e del 1° luglio 1999),
per i motivi che seguono.
In primo luogo, dall'art. 3 del decreto legislativo n. 281 del
1997 si evincerebbe che per il raggiungimento dell'intesa è
necessario l'assenso di tutti i presidenti delle regioni, e la
circostanza sarebbe confermata dall'art. 2, comma 2, dello stesso
decreto, il quale consente che solo per alcune deliberazioni, diverse
da quella relativa all'intesa, l'assenso sia espresso
dalla maggioranza dei presidenti "componenti la Conferenza
Stato-regioni, o da assessori da essi delegati a rappresentarli nella
singola seduta". Nelle due sedute di cui si discute, al contrario,
non erano affatto presenti tutti i presidenti delle regioni, e dunque
non sarebbe stata sancita una valida intesa.
In secondo luogo, nella seduta del 25 giugno (e dunque nella
seduta in cui sono state esaminate tutte le disposizioni impugnate
con il presente motivo di ricorso, ad eccezione dell'art. 16, lettera
c) del decreto correttivo, che introduce il comma 3-ter dell'art. 115
del decreto base), essendo presenti solo 7 presidenti e 4 assessori,
la deliberazione non avrebbe potuto neanche essere assunta
a maggioranza dei componenti, che sono 22.
In terzo luogo, il testo dell'art. 3 del decreto legislativo
correttivo, che modifica l'art. 29, comma 2, lettera b) del decreto
base, sarebbe diverso da quello sul quale si sarebbe formata l'intesa
(la modifica dell'art. 29 riserva allo Stato le funzioni relative
alle determinazioni inerenti l'importazione, l'esportazione e lo
stoccaggio di energia "limitatamente allo stoccaggio di metano in
giacimento", mentre il testo dell'intesa prevedeva che tali funzioni
fossero riservate "limitatamente allo stoccaggio di metano in
giacimento, allo stoccaggio di oli minerali di capacità superiore a
mc. 80.000 e di gas di petrolio liquefatti di capacità superiore a
mc. 400").
Infine, non varrebbe ad escludere i vizi procedimentali appena
esposti la considerazione che richiedendo, ai fini dell'intesa,
l'unanimità o la maggioranza assoluta delle regioni, si impedirebbe
al Governo di esercitare il potere delegato: sia l'art. 2, comma 4,
lettera c), della legge n. 59 del 1997, sia l'art. 3, comma 3, del
decreto legislativo n. 281 del 1997, infatti, prevedono e consentono
che, in mancanza dell'intesa, il Consiglio dei ministri deliberi
motivatamente in via definitiva. Nel caso di specie, tuttavia, tale
circostanza non si sarebbe verificata.
La quarta censura ha ad oggetto l'art. 16 del decreto legislativo
correttivo, nella parte in cui, aggiungendo il comma 3-ter
all'art. 115 del decreto legislativo n. 112 del 1998, stabilisce che
l'esercizio delle funzioni - statali e regionali - di cui ai commi 3
e 3-bis dello stesso articolo, in materia di tutela della salute, "è
regolato sulla base di modalità definite con apposito accordo da
approvare in Conferenza Stato-regioni, ai sensi dell'art. 4 del
decreto legislativo 29 agosto 1997, n. 281". Tale disposizione,
secondo la regione, violerebbe gli articoli 117 e 118 della
Costituzione, in quanto condizionerebbe l'esercizio di funzioni
regionali ad accordi tra Governo e regioni, ed in particolare
subordinerebbe all'accordo in sede di Conferenza non solo le funzioni
amministrative regionali, ma anche la stessa attività legislativa
delle regioni; e violerebbe anche l'art. 76 della Costituzione, in
quanto l'art. 2, comma 2, della legge n. 59 del 1997 fa espressamente
salva la potestà normativa delle regioni e degli enti locali per
quanto attiene alla "disciplina della organizzazione e dello
svolgimento delle funzioni e dei compiti amministrativi conferiti".
La quinta ed ultima censura riguarda l'art. 6 del decreto
legislativo correttivo, che modifica l'art. 40, comma 1, del decreto
legislativo n. 112 del 1998, conservando allo Stato anche
"l'attività regolamentare in materia di somministrazione al pubblico
di alimenti e bevande e di commercio dei pubblici esercizi, d'intesa
con le regioni". La disposizione, nel riservare allo Stato
l'"attività regolamentare", e cioè la funzione complessiva di
disciplina normativa nella materia, sarebbe incostituzionale sia per
violazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione, sia per
eccesso di delega, in relazione all'art. 2, comma 1, della legge
n. 59 del 1997.
E infatti, se si ritiene che la materia del commercio sia propria
delle regioni in quanto ricompresa nella locuzione "fiere e mercati"
di cui all'art. 117 della Costituzione (come lascerebbe intendere il
legislatore delegato all'art. 41, comma 2, lettera d laddove dispone
che siano trasferite alle Regioni le funzioni amministrative
concernenti le competenze già delegate ai sensi dell'art. 52, comma
1, del d.P.R. n. 616 del 1977, e cioè anche le funzioni relative "ai
pubblici esercizi di vendita e consumo di alimenti e bevande"), il
legislatore non avrebbe potuto prevedere che l'attività normativa ed
amministrativa delle regioni fosse vincolata a fonti regolamentari
statali. Ma se anche si ritenesse che tali compiti siano delegati, il
divieto di condizionarli a fonti subprimarie dello Stato deriverebbe
quanto meno dal secondo periodo dell'art. 2, comma 1, della legge di
delega, il quale demanda direttamente alle regioni "il potere di
emanare norme attuative ai sensi dell'art. 117, secondo comma, della
Costituzione": potere che sarebbe invece negato dal legislatore
delegato con la disposizione censurata.
5. - Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, chiedendo che il ricorso della Regione Veneto sia
dichiarato inammissibile e comunque infondato, e producendo alcuni
documenti.
Quanto al primo motivo del ricorso introduttivo, l'Avvocatura
dello Stato afferma che le disposizioni correttive, costituendo
esercizio della funzione legislativa delegata al Governo, non hanno
bisogno di un ulteriore presupposto giustificativo, e si
caratterizzano rispetto a quelle inizialmente emanate con il decreto
base solo perché presuppongono queste ultime e si pongono rispetto
ad esse in funzione integrativa o correttiva, secondo le valutazioni
del Governo delegato; né si potrebbe dire violato l'art. 76 della
Costituzione, in quanto anche le disposizioni correttive, come
espressamente previsto dall'art. 10 della legge n. 59 del 1997,
devono essere poste nel rispetto dei medesimi criteri e principi, e
adottate con le stesse procedure previste per gli originari decreti
legislativi, ed entro il tempo limitato prefissato a tal fine dalla
legge.
Con riferimento al secondo motivo, l'Avvocatura erariale afferma
che dalle disposizioni della legge di delega invocate dalla regione,
lette in correlazione con l'art. 2 della stessa legge, si desume che
il criterio per determinare la spettanza delle funzioni è proprio
quello del rilievo nazionale dell'interesse investito dalla funzione.
Ma anche a volere ritenere che il principio posto dal legislatore
delegante sia piuttosto quello della dimensione delle funzioni, e
quindi della loro estensione nell'ambito territoriale della
collettività interessata, non sarebbe ravvisabile il vizio di
eccesso di delega. Infatti: l'aggiunta all'art. 18 del decreto
legislativo n. 112 del 1998 mirerebbe a garantire uniformemente - in
un'ottica non localizzabile nel territorio regionale e per la tutela
dell'interesse dell'intera collettività - la fede pubblica in ogni
tipo di rapporto economico; anche la modifica all'art. 48
risponderebbe alla finalità di riservare allo Stato le funzioni
dirette alla promozione e al sostegno di consorzi tra piccole e medie
imprese industriali, aventi carattere multiregionale e quindi non
localizzabili nel territorio di una singola regione; la modifica
all'art. 104, infine, sarebbe conforme ai principi della legge di
delega e coerente con la previsione di cui alla lettera t) del
medesimo art. 104, secondo cui sono mantenute allo Stato le funzioni
attinenti alla disciplina e alla sicurezza della navigazione da
diporto e alla sicurezza della navigazione interna.
In ordine alla terza questione sollevata dalla Regione Veneto, la
difesa statale afferma che sulle disposizioni denunciate si sarebbe
formata l'intesa con la Conferenza Stato-regioni nelle sedute del
25 giugno e del 1° luglio 1999, e in quest'ultima data sarebbe stato
acquisito anche il parere favorevole della Conferenza unificata, come
risulterebbe dai verbali di quelle sedute, prodotti nel giudizio
costituzionale. Osserva inoltre che la censura relativa ai vizi
dell'esperito procedimento di intesa sarebbe inammissibile, in quanto
la violazione delle norme del decreto legislativo n. 281 del 1997 non
ridonderebbe comunque in una lesione dell'autonomia regionale; e
questo tanto più che la legge di delega prevede che, in mancanza di
intesa, spetti comunque al Consiglio dei ministri, su proposta dal
suo Presidente, deliberare i decreti legislativi di conferimento
delle funzioni.
Quanto al quarto motivo del ricorso introduttivo, l'Avvocatura
erariale afferma che l'esercizio delle funzioni di verifica di
conformità di cui ai commi 3 e 3-bis dell'art. 115 del decreto
legislativo n. 112 del 1998, così come modificato dal decreto
correttivo, è regolato sulla base di modalità definite in apposito
accordo da approvare in Conferenza Stato-regioni: il così previsto
strumento di raccordo per l'esercizio di tali funzioni, quindi, non
limiterebbe in alcun modo l'autonomia regionale, fermo restando che
anch'essa deve essere esplicata nel rispetto della normativa
nazionale e comunitaria del settore (art. 115, comma 2, lettera c,
del decreto n. 112).
Quanto al quinto motivo del ricorso introduttivo, avente ad
oggetto l'integrazione all'art. 40, comma 1, del decreto legislativo
n. 112 del 1998, disposta dal decreto correttivo in accoglimento di
puntuale richiesta espressa nel documento elaborato congiuntamente da
regioni, ANCI, UPI e UNCEM allegato al parere della Conferenza
unificata del 1° luglio del 1999, l'Avvocatura dello Stato sostiene
che tale integrazione, lungi dal configurare una compressione della
competenza regionale, costituirebbe un limite all'attività
regolamentare dello Stato in materia di attività di somministrazione
al pubblico di alimenti e bevande e di commercio in pubblici
esercizi, disponendo che essa venga svolta d'intesa con le regioni.
6. - In prossimità dell'udienza pubblica, fissata anch'essa in
data 4 aprile 2000, hanno depositato memoria sia la Regione Veneto,
sia il Presidente del Consiglio dei ministri, ed entrambe le parti
hanno prodotto alcuni documenti.
La memoria regionale insiste, con le medesime argomentazioni,
sulle censure già svolte nel ricorso introduttivo, aggiungendo solo
alcune notazioni.
Quanto al terzo motivo del ricorso introduttivo, la regione
ricorda come la Corte costituzionale abbia in passato già svolto il
controllo di costituzionalità sugli elementi dell'iter di formazione
dei decreti legislativi, in relazione sia a norme costituzionali sia
alla legge di delega. Secondo la regione, il controllo da parte della
Corte sulla esistenza degli elementi del procedimento deve poi
estendersi alla loro validità e dunque, nel caso di specie, alla
validità dell'intesa, secondo le norme che la regolano.
Quanto all'ultimo motivo del ricorso introduttivo, invece, la
difesa regionale, richiamandosi integralmente all'atto introduttivo,
ricorda che questa Corte avrebbe recentemente ribadito che vincoli
all'esercizio delle funzioni regionali possono essere disposti solo
con atto legislativo o - ricorrendone tutti i presupposti -
attraverso l'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento:
ipotesi che non ricorrerebbero in ordine all'art. 6 del decreto
legislativo correttivo denunciato.
7. - Anche la memoria del Presidente del Consiglio si richiama a
quanto già esposto nell'atto di costituzione e ribadisce le
conclusioni già assunte.
In riferimento al secondo motivo del ricorso, l'Avvocatura
osserva che il comma 2 dell'art. 1 della legge di delega - nel
delimitare in positivo l'oggetto della delega - sancisce che il
conferimento alle regioni ed enti locali, nel rispetto del principio
di sussidiarietà di cui all'art. 4, comma 3, lettera a), della
stessa legge, concerne tutte le funzioni ed i compiti amministrativi
relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo
delle rispettive comunità nonché tutte le funzioni ed i compiti
amministrativi localizzabili nei rispettivi territori in atto
esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato. Sarebbe
pertanto indubitabile che, anche al di fuori delle materie
espressamente escluse dal conferimento ai sensi dell'art. 1, comma 3,
della legge di delega ed in coerenza con il principio dell'unità
della Repubblica di cui all'art. 5 della Costituzione,
l'individuazione delle funzioni mantenute allo Stato rispetto a
quelle conferibili alle regioni ed agli enti locali sia determinata
in base al criterio della dimensione delle funzioni stesse in
correlazione alla dimensione delle rispettive collettività. Da ciò
conseguirebbe che vadano comunque riservate allo Stato le funzioni
intrinsecamente unitarie e infrazionabili, siccome riferibili
all'intera collettività nazionale e come tali in sé insuscettibili
di localizzazione territoriale particolare: quali sarebbero quelle
mantenute allo Stato dagli articoli del decreto correttivo impugnati,
che si connotano chiaramente per la loro dimensione ultraregionale.
Con riguardo al terzo motivo del ricorso introduttivo,
l'Avvocatura erariale, ribadendo l'inammissibilità della questione,
argomenta ulteriormente sulla sua infondatezza. Se pure dai verbali
della Conferenza relativi alle sedute del 25 giugno 1999 e del
1° luglio 1999 risulta che, nonostante la regolare convocazione,
erano alle stesse riunioni presenti solo alcuni presidenti (e
assessori) delle regioni, dal primo dei due verbali, tuttavia,
emergerebbe che in quelle sedi venne esaminato e discusso il
"documento delle regioni sugli articoli dello schema di decreto
legislativo" consegnato dal Presidente Mori (allegato al verbale del
25 giugno), nel quale i presidenti delle regioni e delle province
autonome, riuniti nella relativa conferenza, manifestavano la loro
intesa su alcuni degli articoli qui in discussione, con richiesta di
modifiche o integrazioni per altri articoli. Sul contenuto di tale
"documento delle regioni" si sarebbe del tutto validamente formata
l'intesa espressa nella riunione del 25 giugno, integrata dalla
intesa raggiunta su un'ulteriore disposizione sollecitata dalle
stesse regioni e formalizzata nella successiva riunione della
Conferenza Stato-regioni in data 1° luglio 1999. Pertanto, nonostante
la mancata partecipazione di alcuni presidenti delle regioni alle
riunioni della Conferenza, pur regolarmente convocata, gli stessi
avrebbero espresso in tal modo il loro assenso sugli articoli dello
schema del decreto ora contestati dalla ricorrente.
Infine, l'Avvocatura dello Stato osserva che nella riunione della
Conferenza unificata del 1° luglio 1999 - in relazione alla quale la
regione ricorrente non prospetta alcuna censura - sugli articoli in
discussione fu espresso il parere favorevole, richiesto dall'art. 6
della legge di delega, sulla base di un documento elaborato
congiuntamente dalle regioni, dall'ANCI, dall'UPI e dall'UNCEM
(verbale del 1° luglio 1999 e relativo allegato): documento nel quale
viene fatto inequivoco e ripetuto riferimento alla già raggiunta
intesa nella Conferenza Stato-regioni.
8. - All'esito dell'udienza pubblica del 4 aprile 2000, la Corte
costituzionale ha pronunciato l'ordinanza 11 - 15 maggio 2000, con
cui, riuniti i giudizi instaurati dai due ricorsi della Regione
Veneto di cui si è riferito (r. ric. nn. 25 del 1998 e 1 del 2000),
ha considerato che il quarto motivo del primo ricorso e il terzo
motivo del secondo ricorso sono fondati su censure riguardanti
l'affermata mancanza o l'invalidità dell'intesa nella Conferenza
Stato-regioni, e ha conseguentemente ritenuto opportuno acquisire in
via istruttoria gli elementi di fatto relativi alle modalità con le
quali si è proceduto, da parte del Governo e dei presidenti delle
regioni, nell'ambito della Conferenza Stato-regioni, alla
elaborazione e all'esame dei decreti legislativi impugnati, con
particolare riguardo all'intesa prevista per la identificazione dei
compiti di interesse nazionale di cui all'art. 1, comma 4, lettera
c), della legge n. 59 del 1997.
9. - In ottemperanza all'ordinanza della Corte sia la Regione
Veneto che il Presidente del Consiglio dei ministri hanno depositato
abbondante documentazione, e la regione ha depositato anche una
relazione illustrativa del materiale istruttorio.
Secondo la regione, dai verbali della Conferenza Stato-regioni e
della conferenza dei presidenti, e dagli altri atti depositati, si
ricaverebbe quanto segue.
In primo luogo, tanto il Governo quanto le regioni avrebbero
costantemente presupposto che - secondo quanto previsto dall'art. 1,
comma 4, lettera c), della legge n. 59 del 1997 e dall'art. 3 del
decreto legislativo n. 281 del 1997 - l'organo competente ad
esaminare l'intesa fosse esclusivamente la Conferenza Stato-regioni,
e che l'intesa dovesse essere puntualmente formalizzata in uno
specifico provvedimento.
In secondo luogo, l'intesa relativa al decreto legislativo n. 112
del 1998 sarebbe stata raggiunta nel corso della seduta del 25 marzo
1998, benché l'art. 89, comma 1, lettera b, e l'art. 109 del decreto
coincidano solo in parte con i corrispondenti articoli 86 e 105
dell'intesa. Tuttavia, tale intesa sarebbe inesistente, in quanto
nella seduta non sarebbero state rappresentate né direttamente né
indirettamente tutte le regioni, ed in ogni caso sarebbe mancata
anche la possibilità di deliberare a maggioranza, in quanto alla
Conferenza partecipavano, su 22 componenti, solo 10 regioni o
province autonome.
In terzo luogo, l'intesa relativa al decreto legislativo n. 443
del 1999 sarebbe stata raggiunta, come già detto nel ricorso
introduttivo, in parte nel corso della seduta del 25 giugno 1999 -
benché essa non possa ritenersi raggiunta sull'art. 3, nella parte
in cui modifica l'art. 29, comma 2, lettera b), del decreto
legislativo n. 112, in quanto il testo di tale articolo sarebbe
diverso da quello concordato nella seduta - e in parte in quella del
1° luglio 1999. Tuttavia, tale intesa sarebbe inesistente, in quanto
alla seduta del 25 giugno non sarebbero state rappresentate né
direttamente né indirettamente tutte le regioni, ed in ogni caso
sarebbe mancata anche la possibilità di deliberare a maggioranza,
partecipando solo 11 regioni; mentre nella riunione del 1° luglio,
assente il Veneto, l'intesa non sarebbe stata neppure all'ordine del
giorno.
Ancora, la regione precisa che gli incontri di carattere tecnico
(i c.d. tavoli tecnici) che hanno preceduto alcune sedute della
Conferenza Stato-regioni, a cui hanno partecipato rappresentanti di
livello politico delle regioni e delle amministrazioni statali
interessate, sono state riunioni del tutto informali, senza la
verbalizzazione dei relativi lavori, aventi carattere assolutamente
preparatorio rispetto ai lavori della conferenza.
Quanto poi ai verbali della conferenza dei presidenti, la regione
rileva che fin dalla prima riunione numerosi presidenti avrebbero
rilevato il mancato rispetto della procedura relativa alla previa
intesa sullo schema di decreto legislativo; che tale conferenza si
sarebbe sempre limitata a formulare propri pareri complessivi e
proposte di modifica, e che mai si sarebbe espressa su un articolato
normativo compiuto, da sottoporre all'intesa della Conferenza
Stato-regioni.
Quanto infine alla posizione della Regione Veneto, la difesa
regionale rileva che essa non era rappresentata nelle sedute della
Conferenza Stato-regioni del 5 e 19 marzo 1998, del 25 giugno e del
1° luglio 1999, mentre il Presidente della regione era presente alla
seduta del 25 marzo 1998, pur assentandosi anticipatamente.
10. - Nell'imminenza della nuova udienza fissata per il
16 gennaio 2001, la Regione Veneto ha depositato una memoria con la
quale, richiamati integralmente i motivi e le argomentazioni esposti
nei ricorsi introduttivi, nelle memorie e nella relazione di
accompagnamento al materiale istruttorio depositato, si sofferma
esclusivamente su due temi.
Con riferimento al primo, secondo, terzo e quinto motivo del
ricorso n. 25 del 1998 e al secondo motivo del ricorso n. 1 del 2000,
la regione analizza la più recente giurisprudenza costituzionale sul
sindacato di costituzionalità in relazione all'art. 76 della
Costituzione, da cui si evincerebbe che la Corte può dichiarare
incostituzionali le disposizioni di un decreto legislativo
indipendentemente da ogni considerazione sulla legittimità
costituzionale dello stesso, sotto il profilo dei contenuti; e che la
legge di delega va interpretata sistematicamente e in modo da rendere
minimo lo spazio della discrezionalità governativa, pena la sua
incostituzionalità.
Con riferimento al settimo e all'ottavo motivo del ricorso n. 25
del 1998, la regione richiama le disposizioni dell'art. 52 della
legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001), affermando
che a nessuna di esse potrebbe essere attribuita una qualche portata
di "sanatoria" dei vizi del decreto legislativo n. 112 del 1998:
tutte anzi presupporrebbero il sistema dei conferimenti delineato
dalla legge di delega e dal decreto legislativo. Piuttosto, nota la
difesa regionale, il comma 1 di tale articolo, laddove certifica che
alla data del 31 dicembre 2000 non sarebbe stata ancora completata la
procedura di mobilità del personale, costituirebbe la riprova, a
posteriori che il Governo non avrebbe attuato la delega nei termini
previsti, ed inoltre deporrebbe in favore della fondatezza della
censura avanzata in via subordinata con l'ottavo motivo del primo
ricorso.
11. - In vista della medesima udienza ha depositato una memoria
anche il Presidente del Consiglio dei ministri il quale, richiamato
quanto già esposto negli atti di costituzione e nella memoria, si
sofferma esclusivamente su due questioni.
In relazione al primo motivo del primo ricorso, l'Avvocatura
erariale insiste sulla piena corrispondenza alla legge di delega, che
prevede la gradualità dei conferimenti e impone l'effettività
dell'esercizio delle funzioni e dei compiti trasferiti, del sistema,
previsto dal decreto legislativo n. 112 del 1998, dei decreti del
Presidente del Consiglio dei ministri di individuazione e
trasferimento delle risorse.
In relazione al quarto motivo del primo ricorso e al terzo motivo
del secondo ricorso, la difesa statale ribadisce che nel corso delle
riunioni della Conferenza Stato-regioni sarebbe stata raggiunta
l'intesa su tutti i "compiti di rilievo nazionale" da trattenere in
capo allo Stato. La soluzione del problema, secondo l'Avvocatura
dello Stato, va impostata in termini sostanziali, in coerenza con la
natura e le attribuzioni della Conferenza Stato-regioni, quale
organismo collettivo di rappresentanza delle regioni nell'ambito di
procedimenti di concertazione con lo Stato: verificando quindi se, a
prescindere dall'osservanza di puntuali adempimenti formali, peraltro
non prescritti da nessuna disposizione di legge, vi sia stata
comunque l'espressione di un assenso riferibile ai presidenti delle
regioni e delle province autonome componenti di tale organismo,
rimanendo ininfluente il mero fatto, ricorrente nella prassi, che
alcuni dei componenti della conferenza, pur ritualmente convocati,
abbiano ritenuto di non partecipare di persona a tali riunioni. La
difesa statale analizza poi i verbali delle riunioni, dai quali si
evincerebbe l'avvenuto perfezionamento dell'intesa, e conclude che da
tali verbali risulterebbe chiaramente che i presidenti e gli
assessori regionali abbiano sempre parlato non quali rappresentanti
del proprio ente, ma unitariamente per conto e in nome della
totalità delle regioni, agendo sempre come portatori delle istanze
collettive e della volontà di tutti i componenti della Conferenza,
anche al di là di ogni irrilevante formale delega o procura da parte
dei presidenti non partecipanti alla seduta. Aggiunge, ancora, che
dalla documentazione depositata dalla regione emergerebbe che le
posizioni assunte nella Conferenza Stato-regioni dai presidenti e
dagli assessori regionali trovano il loro puntuale e corrispondente
riferimento nelle previe relative delibere della conferenza dei
presidenti delle regioni e delle province autonome, tutte approvate
all'unanimità. La difesa erariale termina la sua memoria ricordando
che gli schemi di entrambi i decreti legislativi impugnati sono stati
sottoposti all'esame della conferenza unificata, che ha reso pareri
positivi ai sensi dell'art. 6 della legge di delega: e tali pareri
positivi si configurerebbero come conferma o ratifica della volontà
di intesa con lo Stato ai sensi dell'art. 1, comma 4, lettera c),
della legge di delega.
Considerato in diritto
1. - La Regione Veneto ha sollevato due serie di questioni di
legittimità costituzionale: il primo ricorso (r. ric. n. 25 del
1998) investe molte disposizioni del decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello
Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I
della legge 15 marzo 1997, n. 59), nonché lo stesso decreto
legislativo nella sua interezza; il secondo ricorso (r. ric. n. 1 del
2000) investe varie disposizioni del decreto legislativo 29 ottobre
1999, n. 443 (Disposizioni correttive ed integrative del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112, recante conferimento di funzioni e
compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali),
nonché lo stesso decreto nella sua interezza.
I due giudizi, concernendo l'uno il decreto legislativo che
disciplina il conferimento di funzioni e compiti alle regioni e agli
enti locali, in attuazione del capo I della legge n. 59 del 1997,
l'altro il decreto legislativo contenente disposizioni correttive e
integrative del primo, in attuazione della delega di cui all'art. 10
della stessa legge n. 59 del 1997, possono essere riuniti per
connessione oggettiva, per essere decisi con unica pronunzia.
2. - Con il primo degli undici motivi cui è affidato il ricorso
avverso il d.lgs. n. 112 del 1998 la regione ricorrente lamenta che
il decreto impugnato contenga disposizioni le quali renderebbero
"incerti i conferimenti" di funzioni, in quanto stabiliscono che le
funzioni conferite potranno essere esercitate solo a partire dal
momento che sarà indicato con i decreti del Presidente del Consiglio
dei ministri previsti dall'art. 7 della legge n. 59 del 1997, e
destinati ad individuare i beni e le risorse finanziarie, umane,
strumentali e organizzative da trasferire, a ripartirle tra le
regioni e tra regioni ed enti locali, e ad operare i conseguenti
trasferimenti. Da tali disposizioni deriverebbe che la generalità
delle funzioni non sarebbe stata affatto conferita, e anche per il
futuro non vi sarebbe alcuna certezza di conferimento: onde sarebbe
rimasta non attuata la delega che imponeva un trasferimento, sia pure
graduale, ma non incerto nel suo stesso avverarsi. Sarebbero perciò
illegittime, per violazione degli articoli 76, 117 e 118 della
Costituzione, le disposizioni che subordinano la decorrenza dei
conferimenti ai provvedimenti amministrativi di cui all'art. 7 della
legge n. 59 del 1997, e cioè gli articoli 3, comma 6, e 7, commi 1,
2, lettera a), e 8, lettera a) (quest'ultima limitatamente alle
parole "l'individuazione del termine, eventualmente differenziato, da
cui decorre l'esercizio delle funzioni conferite");
l'incostituzionalità si estenderebbe poi agli articoli 50, commi 2 e
3 (peraltro oggi abrogati dall'art. 9 della legge n. 50 del 1999), 63
e 138, comma 2. Tuttavia la ricorrente impugna altresì l'intero
decreto, sostenendo che le disposizioni ora richiamate sono così
"centrali" nell'economia del medesimo, che la loro caduta non
potrebbe non implicare quella dell'intero provvedimento legislativo.
3. - La questione così sollevata è inammissibile.
Con essa, infatti, da un lato sembrerebbe chiedersi di eliminare,
mediante la pronuncia di questa Corte, i condizionamenti temporali
imposti ai conferimenti di funzioni, conseguendo così l'effetto di
rendere questi ultimi operativi già con l'entrata in vigore del
decreto legislativo, indipendentemente dai provvedimenti che
individuano e trasferiscono le risorse (data la evidente
impossibilità di conseguire con una pronuncia di illegittimità
costituzionale l'effetto di trasferire risorse alla regione):
risultato peraltro paradossale, e chiaramente in contrasto con la
legge di delega, che postula - correttamente - la contemporaneità
fra inizio dell'esercizio delle nuove funzioni e disponibilità delle
risorse relative (cfr. art. 3, comma 1, lettera b, della legge n. 59
del 1997, ove si prevedono i conferimenti di funzioni e la
"conseguente e contestuale attribuzione e ripartizione" delle
risorse, nonché la gradualità del conferimento entro un periodo di
tre anni, "assicurando l'effettivo esercizio delle funzioni
conferite").
Dall'altro lato la stessa regione ricorrente, evidentemente
consapevole della necessaria contestualità dell'operatività dei
conferimenti e del passaggio delle risorse, impugna il decreto nella
sua interezza, e sostiene che le disposizioni richiamate - che
demandano l'attuazione dei conferimenti a decreti del Presidente del
Consiglio - sarebbero così "centrali" nell'economia del
provvedimento che la loro caduta non potrebbe non implicare quella
dell'intero atto: con ciò postulando un risultato contrario a quello
della anticipazione dell'effettività dei conferimenti, e cioè la
caduta delle stesse norme che tali conferimenti dispongono.
La perplessità della domanda e la contraddittorietà della
prospettazione della ricorrente rendono pertanto inammissibile la
censura proposta.
4. - Procedendo nell'esame delle censure di carattere più
generale, mosse con i due atti introduttivi, conviene esaminare il
primo motivo del ricorso avverso il decreto legislativo n. 443 del
1999. Con esso la ricorrente lamenta un uso scorretto della delega,
di cui all'art. 10 della legge n. 59 del 1997, per la adozione di
disposizioni correttive ed integrative dei decreti legislativi di
conferimento di funzioni, adottati ai sensi dell'art. 1 della stessa
legge; e impugna pertanto, sotto questo profilo, l'intero decreto
n. 443.
Secondo la ricorrente, la delega in questione potrebbe essere
utilizzata solo per far fronte a esigenze e fatti sopravvenuti, e non
per eludere il termine della delega principale, come invece si
sarebbe fatto con il decreto impugnato.
5. - La questione è infondata.
L'art. 10 della legge n. 59 del 1997, come varie altre leggi di
delega, conferisce al Governo la possibilità di esercitare
nuovamente la potestà delegata, entro un ulteriore termine
decorrente dalla entrata in vigore dei decreti legislativi con i
quali si è esercitata la delega "principale", ai fini di correggere
- cioè di modificare in qualche sua parte - o di integrare la
disciplina legislativa delegata, ma pur sempre nell'ambito dello
stesso oggetto, nell'osservanza dei medesimi criteri e principi
direttivi operanti per detta delega "principale", e con le stesse
garanzie procedurali (pareri, intese). Siffatta procedura si presta
ad essere utilizzata soprattutto in occasione di deleghe complesse,
il cui esercizio può postulare un periodo di verifica, dopo la prima
attuazione, e dunque la possibilità di apportare modifiche di
dettaglio al corpo delle norme delegate, sulla base anche
dell'esperienza o di rilievi ed esigenze avanzate dopo la loro
emanazione, senza la necessità di far ricorso ad un nuovo
procedimento legislativo parlamentare, quale si renderebbe necessario
se la delega fosse ormai completamente esaurita e il relativo termine
scaduto. Nulla induce a far ritenere che siffatta potestà delegata
possa essere esercitata solo per "fatti sopravvenuti": ciò che
conta, invece, è che si intervenga solo in funzione di correzione o
integrazione delle norme delegate già emanate, e non già in
funzione di un esercizio tardivo, per la prima volta, della delega
"principale"; e che si rispettino pienamente i medesimi principi e
criteri direttivi già imposti per l'esercizio della medesima delega
"principale".
Nel suo insieme, il decreto legislativo n. 443 del 1999 non si
discosta da questi criteri di utilizzo della delega "correttiva".
6. - Con il secondo e con il terzo motivo del ricorso avverso il
decreto legislativo n. 112, la regione censura le disposizioni che, a
suo avviso, riserverebbero allo Stato compiti e funzioni che la legge
di delega avrebbe invece imposto di conferire alle regioni. Il
secondo motivo riguarda materie che la ricorrente asserisce di
competenza propria delle regioni, ai sensi dell'art. 117 della
Costituzione, e investe gli articoli 13 (artigianato), 44 (turismo e
industria alberghiera), 54 (urbanistica e lavori pubblici di
interesse regionale), 59 (edilizia residenziale pubblica), 69, comma
2 (protezione della natura e dell'ambiente), 115, 118, 119, 120, 121,
comma 1, 124 (assistenza sanitaria e ospedaliera), 129 (servizi
sociali, nelle parti concernenti i servizi sociali a favore della
generalità dei soggetti), 142 (formazione professionale). Il terzo
motivo a sua volta riguarda altre materie, ed investe gli articoli 18
e 29, comma 2 (industria ed energia, per le parti diverse da quelle
contemplate dall'art. 1, comma 3, della legge di delega), 33 (miniere
e risorse geotermiche), 65 (catasto, servizi geotopografici e
conservazione dei registri immobiliari), 85 (gestione dei rifiuti),
93, 98 e 104 (rispettivamente in materia di opere pubbliche,
viabilità e trasporti diversi da quelli di interesse regionale), 137
(istruzione scolastica, per la parte non contemplata dall'art. 1,
comma 3, lettera q, della legge di delega).
Secondo la ricorrente, il decreto legislativo avrebbe preteso di
riservare allo Stato compiti ritenuti di "interesse nazionale", anche
al di fuori delle materie escluse dal conferimento ai sensi
dell'art. 1, comma 3, della legge di delega, e dei compiti esclusi ai
sensi dell'art. 1, comma 4, della stessa legge. Le riserve in esame
sarebbero estranee alle esclusioni previste dalla delega, e sarebbero
in contrasto con i principi di completezza, di responsabilità e di
unicità dell'amministrazione, e di omogeneità, sanciti dall'art. 4,
comma 3, della legge n. 59 del 1997: onde esse violerebbero i criteri
della delega.
7. - Le censure sono inammissibili.
La ricorrente afferma genericamente che le disposizioni che
riservano compiti e funzioni allo Stato avrebbero per presupposto una
lettura erronea della delega, la quale non autorizzerebbe a
trattenere in capo allo Stato compiti e funzioni in nome di un non
specificato "interesse nazionale", ma solo le funzioni espressamente
escluse ai sensi dei commi 3 e 4 dell'art. 1 della legge n. 59 del
1997. Tuttavia la censura non è poi articolata e motivata in
relazione alle singole, numerose e disparate disposizioni che vengono
impugnate, per argomentare che esse riserverebbero allo Stato compiti
e funzioni le quali, secondo i criteri della delega, avrebbero invece
dovuto, a giudizio della ricorrente, essere conferiti alle regioni e
agli enti locali. In tal modo risulta impossibile valutare la
fondatezza della censura in relazione alle singole funzioni riservate
allo Stato, specie tenendo conto che molte delle disposizioni
impugnate toccano indubbiamente anche materie ed aspetti
astrattamente riconducibili proprio agli stessi criteri di esclusione
che, come la stessa ricorrente ricorda, sono stati adottati dalla
legge di delega: così, ad esempio, ai compiti di rilievo nazionale
per la tutela dell'ambiente (art. 1, comma 4, lettera c), della legge
n. 59 del 1997), per ciò che riguarda le censurate riserve di
funzioni in materia di urbanistica e di protezione della natura e
dell'ambiente o di gestione dei rifiuti (artt. 54, 69, comma 2, 85
del decreto); per la tutela della salute (art. 1, comma 4, lettera
c), cit.), per quanto riguarda le riserve in materia di assistenza
sanitaria ed ospedaliera (artt. 115, 118, 119, 120, 121, comma 1, 124
del decreto); in tema di energia (art. 1, comma 4, lettera c, cit.),
per quanto riguarda le riserve di funzioni in materia di energia
(artt. 29, comma 2, 33 del decreto); o ancora ai compiti relativi
alle grandi reti infrastrutturali di interesse nazionale (art. 1,
comma 4, lettera b, della legge n. 59 del 1997), per quanto riguarda
le riserve in materia di opere pubbliche e viabilità (artt. 93, 98
del decreto).
Le domande così sottoposte alla Corte non danno luogo a
specifiche questioni sulla conformità delle disposizioni del decreto
alla legge di delega: come tali, esse non sono ammissibili.
8. - Le questioni sollevate con il secondo motivo del secondo
ricorso investono gli articoli 1, 8 e 11 del d.lgs. n. 443 del 1999,
che avrebbero trattenuto in capo allo Stato funzioni e compiti -
rispettivamente in tema di metrologia legale e strumenti di misura,
di consorzi tra piccole e medie imprese, e di esami per conducenti di
unità di diporto nautico e di patenti nautiche - che invece, secondo
la legge di delega, avrebbero dovuto essere conferiti alle regioni,
con ciò violando gli articoli 76, 117 e 118 della Costituzione.
9. - Le questioni non sono fondate.
L'art. 1 del decreto impugnato modifica l'art. 18 del d.lgs.
n. 112, aggiungendo ai compiti conservati allo Stato dal comma 1,
lettera c), del decreto base (determinazione dei campioni nazionali
di unità di misura e conservazione dei prototipi nazionali del
chilogrammo e del metro) gli ulteriori compiti di "definizione di
norme in materia di metrologia legale" e di "omologazione di modelli
di strumenti di misura".
Si tratta di compiti del tutto omogenei a quelli già individuati
dal decreto base, ed evidentemente estranei, da un lato, "alla cura
degli interessi e alla promozione dello sviluppo" delle comunità
territoriali, nonché alle funzioni e compiti amministrativi
"localizzabili nei rispettivi territori", cioè a quelle funzioni e
compiti che, in base all'art. 1, comma 2, della legge di delega,
erano destinati ad essere conferiti alle regioni e agli enti locali,
"nell'osservanza del principio di sussidiarietà"; dall'altro lato,
riconducibili ai compiti "preordinati ad assicurare l'esecuzione a
livello nazionale degli obblighi derivanti dal Trattato sull'Unione
europea e dagli accordi internazionali" in materia di strumenti di
misura e controllo metrologico (cfr., ad esempio, il d.P.R. n. 798
del 1982, di attuazione della direttiva CEE n. 71/316, e il d.lgs.
n. 517 del 1992, di attuazione della direttiva CEE n. 90/384), a loro
volta esclusi dal conferimento ai sensi dell'art. 1, comma 4, lettera
e), della legge di delega.
L'art. 8 del d.lgs. n. 443 del 1999 esclude dalle funzioni
conferite alle regioni dall'art. 48, comma 1, lettera b), del decreto
base, relative alla "promozione e al sostegno alla costituzione di
consorzi tra piccole e medie imprese industriali, commerciali e
artigiane", quelle relative ai consorzi "a carattere multiregionale".
Le funzioni di promozione e di sostegno dei consorzi in questione
sono riconducibili ai compiti comuni in tema di "promozione dello
sviluppo economico" e di "valorizzazione dei sistemi produttivi", che
l'art. 1, comma 6, della legge di delega individua come "interessi
pubblici primari che lo Stato, le regioni, le province, i comuni e
gli altri enti locali assicurano nell'ambito delle rispettive
competenze": il carattere multiregionale dei consorzi può
giustificare, in base all'apprezzamento del legislatore delegato, la
loro esclusione dall'area dei compiti rimessi in esclusiva agli enti
territoriali in funzione della loro riconducibilità agli interessi e
alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità e alla loro
localizzabilità nei rispettivi territori (art. 1, comma 2, della
legge di delega).
L'art. 11, comma 1, lettere a) e b), del d.lgs. n. 443 modifica
l'art. 104, comma 1, del decreto base, che elenca le funzioni
mantenute in capo allo Stato in materia di trasporti, estendendo i
compiti statali in tema di esami per conducenti di veicoli a motore e
loro rimorchi a quelli "per unità di diporto nautico"; e parimenti
aggiungendo, ai compiti statali in tema di rilascio di patenti e di
certificati di abilitazione professionale e loro duplicati e
aggiornamenti, i compiti concernenti il rilascio di patenti nautiche
e relativi duplicati e aggiornamenti.
La conservazione in capo allo Stato dei compiti predetti,
evidentemente omogenei a quelli già riservati allo Stato dal testo
originario dell'art. 104 del decreto base, si giustifica in quanto
essi incidono sulla materia della "sicurezza pubblica", esclusa, a
norma dell'art. 1, comma 3, lettera l), della legge di delega, dal
conferimento di funzioni e compiti alle regioni e agli enti locali.
10. - Con il quarto motivo del primo ricorso e con il terzo
motivo del secondo ricorso la ricorrente censura le disposizioni dei
decreti impugnati che stabiliscono i compiti "di rilievo nazionale"
riservati allo Stato ai sensi dell'art. 1, comma 4, lettera c), della
legge n. 59 del 1997, in quanto non sarebbe stata seguita la
procedura prevista da tale norma: sarebbe cioè mancata la previa
intesa con la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le
regioni e le province autonome, che avrebbe dovuto precedere la
predisposizione del decreto legislativo; e anche dopo tale
predisposizione non sarebbe stata raggiunta l'intesa sui compiti di
rilievo nazionale, né il Governo avrebbe motivatamente deliberato in
mancanza dell'intesa, come previsto dalla norma predetta della legge
di delega. Sarebbero perciò violati gli articoli 76, 117 e 118 della
Costituzione. Nel ricorso contro il decreto n. 443 del 1999 si
specifica la censura rilevando che alle sedute della Conferenza
Stato-regioni nelle quali si è sancita l'intesa (25 giugno e
1° luglio 1999) non erano presenti tutti i presidenti delle regioni e
delle province autonome, il cui assenso unanime sarebbe invece
necessario a tale fine, e, nella seduta del 25 giugno, non era
presente neanche la maggioranza dei presidenti, onde l'intesa non
avrebbe potuto essere sancita nemmeno a maggioranza dei componenti.
Si rileva infine, in relazione all'art. 3 del decreto legislativo
n. 443, modificativo dell'art. 29, comma 2, lettera b), del d.lgs.
n. 112, che il testo del decreto impugnato è diverso da quello
sancito nell'intesa.
Il profilo di censura relativo al mancato assenso all'intesa di
tutti i presidenti delle regioni, e comunque all'assenza, nella
seduta della Conferenza in cui l'intesa venne sancita,
della maggioranza dei presidenti, è avanzato dalla ricorrente anche
riguardo al d.lgs. n. 112 del 1998, ma solo nella memoria depositata
in vista dell'udienza del 16 gennaio 2001, quindi tardivamente. Tale
profilo è stato invece tempestivamente prospettato, nel secondo
ricorso, a proposito del d.lgs. n. 443 del 1999.
11. - Le questioni, nei loro termini generali, e salvo quanto si
dirà a proposito dell'art. 3 del d.lgs. n. 443 del 1999, non sono
fondate.
L'art. 1, comma 4, lettera c), della legge di delega dispone che
restino esclusi dal conferimento alle regioni e agli enti locali "i
compiti di rilievo nazionale del sistema di protezione civile, per la
difesa del suolo, per la tutela dell'ambiente e della salute, per gli
indirizzi, le funzioni e i programmi nel settore dello spettacolo,
per la ricerca, la produzione, il trasporto e la distribuzione di
energia". Ai fini dell'individuazione dei compiti di rilievo
nazionale, gli schemi di decreti legislativi dovevano essere
"predisposti previa intesa con la Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e
Bolzano"; in mancanza dell'intesa, il Consiglio dei ministri avrebbe
dovuto deliberare motivatamente in via definitiva su proposta del
Presidente del Consiglio.
L'istruttoria disposta da questa Corte con l'ordinanza
11-15 maggio 2000 ha consentito di accertare che:
a) per quanto riguarda il d.lgs. n. 112 del 1998, lo schema
originario del decreto fu predisposto dal Governo e sottoposto alla
Conferenza Stato-regioni ai fini del raggiungimento dell'intesa sulla
individuazione dei compiti di rilievo nazionale da riservare allo
Stato; le regioni, pur rilevando che l'intesa avrebbe dovuto
precedere e non seguire la predisposizione dello schema, affrontarono
il merito della disciplina in esame, elaborando tra l'altro un
proprio documento e chiedendo e ottenendo che il decreto contenesse
anche le disposizioni in materia di spettacolo, assenti
nell'originario schema governativo; le posizioni delle regioni
vennero concordate, all'unanimità dei presenti, nell'ambito della
conferenza dei presidenti delle regioni, che si riuniva, con la
presenza maggioritaria dei suoi membri, in vista delle sedute della
Conferenza Stato-regioni; la discussione avvenne su tutte le materie
cui si riferiscono i compiti di rilievo nazionale individuati nel
decreto, e sfociò nell'intesa definitivamente sancita, sul testo dei
relativi articoli dello schema di decreto legislativo, nella seduta
della Conferenza del 25 marzo 1998, alla quale tutti i presidenti
delle regioni e delle province autonome risultavano regolarmente
invitati, mentre risultavano presenti i rappresentanti di 10 regioni
e province autonome; nessuna posizione di dissenso rispetto al testo
definitivo dell'intesa risulta essere stata espressa da
rappresentanti regionali, in particolare della regione ricorrente,
nell'ambito della Conferenza, né, peraltro, al di fuori di essa nei
rapporti fra le regioni ed il Governo;
b) per quanto riguarda il d.lgs. n. 443 del 1999, le
modifiche al decreto base furono tutte sottoposte alla Conferenza
Stato-regioni, che sancì formalmente l'intesa - sempre sulle
formulazioni testuali delle disposizioni del decreto legislativo poi
approvato - nella seduta del 25 giugno 1999 (con la presenza dei
rappresentanti di 11 regioni e province autonome) in relazione agli
articoli 3, 13, 14, 15 e 17, nonché all'art. 16, limitatamente alle
lettere a e b del comma 1, e nella seduta del 1° luglio 1999 (con la
presenza dei rappresentanti di 12 regioni e province autonome) in
relazione alla lettera c), del comma 1, dell'art. 16, introdotta su
richiesta delle regioni, ad integrazione - proposta nel corso della
seduta - dell'intesa già raggiunta nella precedente seduta, come
ulteriore modificazione dell'art. 115 del decreto base, nel quale
tale lettera introduce il comma 3-ter; anche in questo caso l'intesa
fu preceduta da deliberazioni, prese all'unanimità dei presenti,
della conferenza dei presidenti delle regioni, e nessun dissenso
risulta essere stato manifestato da alcuna delle regioni, e in
particolare dalla ricorrente, sui testi definitivi dell'intesa in
sede di Conferenza Stato-regioni, né, peraltro, al di fuori di essa
nei rapporti fra regioni e Governo. Risulta parzialmente difforme dal
testo dell'intesa raggiunta l'art. 3 del decreto legislativo.
12. - Ciò premesso in punto di fatto, non può, in primo luogo,
essere condivisa la tesi della ricorrente, secondo cui la procedura
seguita sarebbe in contrasto con l'art. 1, comma 4, lettera c), della
legge di delega, in quanto il Governo predispose lo schema originario
del decreto n. 112 senza previamente raggiungere l'intesa sulla
individuazione dei compiti di rilievo nazionale da trattenere in capo
allo Stato. Vero è, infatti, che sullo schema originariamente
proposto dal Governo non era stata sollecitata e raggiunta l'intesa,
ma ciò che conta è che tale intesa sia stata richiesta e raggiunta,
nella Conferenza Stato-regioni, prima che si intraprendessero le
ulteriori tappe del procedimento prescritto (pareri della Conferenza
Stato, regioni, città e autonomie locali, e delle commissioni
parlamentari, deliberazione definitiva del Governo), così che le
regioni abbiano avuto modo di esprimere le proprie posizioni e di
pervenire o meno all'intesa, sulla base di un effettivo confronto con
le posizioni del Governo, nella sede della Conferenza Stato-regioni:
ciò che, come si è visto, è in fatto accaduto.
Nemmeno può consentirsi con la ricorrente circa la necessità
che l'assenso sia espresso, in sede di formalizzazione dell'intesa,
dai presidenti di tutte le regioni e province autonome componenti
della Conferenza Stato-regioni. L'art. 3, comma 2, del d.lgs.
28 agosto 1997, n. 281 - unica disposizione che regola il
procedimento per le intese sancite nella Conferenza Stato-regioni -
stabilisce che "le intese si perfezionano con l'espressione
dell'assenso del Governo e dei presidenti delle regioni e delle
province autonome di Trento e di Bolzano". Esso non può intendersi,
conformemente alla sua ratio e ad una interpretazione congruente con
il principio di leale collaborazione, nel senso che l'assenza di
alcune regioni, al limite anche di una sola, pur regolarmente
convocate, alla riunione della Conferenza, non accompagnata da alcuna
espressione di dissenso, eventualmente manifestata anche fuori della
sede della conferenza, possa inficiare l'assenso delle regioni e
dunque impedire il perfezionamento dell'intesa.
Ma non può neanche accogliersi la tesi sostenuta in via
subordinata dalla ricorrente, secondo cui sarebbe quanto meno
necessario l'assenso della maggioranza assoluta delle regioni i cui
presidenti sono membri della Conferenza. La regola dell'assenso
espresso dalla unanimità o almeno dalla maggioranza assoluta della
componente regionale della Conferenza è stabilita, dall'art. 2,
comma 2, del d.lgs. n. 281 del 1997, limitatamente all'adozione degli
atti di cui alle lettere f), g) e i), del comma 1 dello stesso
articolo, vale a dire per la determinazione dei criteri di riparto
fra le regioni di risorse finanziarie, per l'adozione dei
provvedimenti attribuiti dalla legge alla Conferenza, e per la
nomina, nei casi previsti dalla legge, dei responsabili di enti od
organismi strumentali all'esercizio di funzioni concorrenti tra
Governo e regioni; nonché - ai sensi del successivo comma 8 del
citato art. 2 - per la deliberazione degli indirizzi per l'uniforme
applicazione dei "percorsi diagnostici e terapeutici" di cui
all'art. 1, comma 28, della legge n. 662 del 1996, dei protocolli di
intesa dei progetti di sperimentazione gestionale del servizio
sanitario, di cui all'art. 9-bis del d.lgs. n. 502 del 1992, e degli
atti già di competenza dei soppressi organismi a composizione mista
Stato-regioni. Si tratta, come si vede, di ipotesi in cui la
Conferenza esercita competenze decisorie come collegio deliberante.
Diverso è il caso delle intese, previste dall'art. 2, comma 1,
lettera a), e regolate dall'art. 3 del d.lgs. n. 281 del 1997. La
Conferenza non opera qui come collegio deliberante, ma come sede di
concertazione e di confronto, anzitutto politico, fra Governo e
regioni - queste ultime considerate quale componente complessiva e
unitaria, ancorché rappresentativa di interessi e di opinioni
eventualmente, in partenza, differenziate -, confronto volto a
raggiungere, ove possibile, una posizione comune. Decisivo, a questo
riguardo, è che esso si svolga, in conformità al principio di leale
collaborazione, con modalità idonee a consentire a ciascuna delle
due componenti di esprimere le proprie posizioni, di valutare le
posizioni dell'altra parte e di elaborare e proporre soluzioni su cui
concordare (cfr. sentenza n. 379 del 1992).
Nell'assenza - giustificabile d'altra parte alla luce dei sopra
descritti caratteri dell'intesa - di ulteriori regole formali che
disciplinino il modus procedendi della Conferenza e pongano requisiti
di numero legale e di maggioranza, l'intesa non può dirsi mancata
una volta che (come in effetti, secondo quanto si è detto, nella
specie è accaduto) tutte le regioni siano state messe in grado di
partecipare effettivamente alla ricerca e alla definizione
dell'accordo e di concorrere al raggiungimento del medesimo, o invece
di impedirlo, e non siano stati manifestati dissensi sulla posizione
comune raggiunta, come formalmente sancita nella Conferenza.
13. - In relazione al decreto legislativo n. 112 del 1998, la
ricorrente, nella relazione di accompagnamento dei documenti prodotti
a seguito dell'istruttoria disposta da questa Corte, afferma che
l'art. 89, comma 1, lettera b) (concernente le funzioni trasferite in
materia di dighe) e l'art. 109, comma 2 (concernente le strutture
statali soggette a riordino) sono difformi dal testo dell'intesa
sancita nella Conferenza Stato-regioni nella seduta del 25 marzo
1998. Tuttavia - a parte il rilievo che detti articoli non sono stati
specificamente impugnati nel ricorso, ma al più potrebbero ritenersi
oggetto della generica censura di assenza della previa intesa sui
compiti di rilievo nazionale, mossa con il quarto motivo del ricorso
- non si tratta di divergenze tali da inficiare la conformità del
decreto all'intesa prescritta in tema di individuazione dei compiti
di rilievo nazionale da conservare alla competenza statale.
Invero:
a) la difformità relativa all'art. 89, comma 1, lettera b),
è puramente formale e non incide sulla sostanziale individuazione
dei compiti di rilievo nazionale. Infatti il testo del decreto
include, fra le funzioni trasferite, quelle relative "alle dighe non
comprese in quelle indicate all'articolo 91, comma 1" (cioè diverse
da quelle aventi le caratteristiche tecniche di cui all'art. 1, comma
1, del d.l. n. 507 del 1994, che detto art. 91, comma 1, del decreto,
in conformità dell'intesa, conserva alla competenza dello Stato),
anziché "alla vigilanza sulla realizzazione e l'esercizio delle
dighe di ritenuta di cui al decreto del Presidente della Repubblica
1° novembre 1959, n. 1363" (come risultava nel testo oggetto di
intesa): la variazione appare determinata dalle esigenze di
coordinamento con il testo - conforme all'intesa - dell'art. 91,
comma 1, e non modifica la portata rispettiva delle funzioni
conferite e di quelle conservate in capo allo Stato;
b) la difformità relativa all'art. 109, comma 2, riguarda la
mancata inclusione - nel testo finale - del dipartimento dei servizi
tecnici nazionali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri fra
le strutture per le quali si prevede il riordino ai sensi degli
articoli 11 e 12 della legge n. 59 del 1997, cioè in base alla
delega specifica per la riorganizzazione delle strutture
amministrative nazionali. Ma, com'è evidente, si tratta di tema
estraneo alla individuazione - unico oggetto dell'intesa prevista
dalla legge di delega - dei compiti di rilievo nazionale da
trattenere in capo allo Stato, in deroga al principio del
conferimento alle regioni e agli enti locali, secondo quanto previsto
dall'art. 1, comma 4, lettera c), della legge di delega.
14. - In relazione al d.lgs. n. 443 del 1999, sulla base delle
considerazioni sopra svolte (al n. 12), potrebbe porsi uno specifico
interrogativo circa la validità dell'intesa sancita dalla
Conferenza, nella seduta del 1° luglio 1999, concernente
l'introduzione, nel testo dell'art. 115 del d.lgs. n. 112 del 1998,
del nuovo comma 3-ter, ad integrazione delle modifiche allo stesso
art. 115 su cui era stata sancita l'intesa nella seduta del 25 giugno
1999, in relazione alla circostanza che la nuova intesa integrativa
fu il frutto di una proposta avanzata, al di fuori dell'ordine del
giorno della seduta, dalle regioni e dalle province autonome di
Trento e di Bolzano (come risulta dal verbale n. 19/1999, punto A
degli "argomenti proposti nel corso della seduta"). Tuttavia la Corte
non ha ragione di affrontare, in questa sede, tale interrogativo, sia
perché si tratta di un profilo non dedotto nel ricorso, nel quale la
regione si limita a impugnare, fra gli altri, nel suo complesso,
l'art. 16 del d.lgs. n. 443 del 1999, modificativo dell'art. 115 del
d.lgs. n. 112 del 1998, contestando la mancanza, anche relativamente
all'intesa sancita nella seduta del 1° luglio 1999, dell'assenso di
tutti i presidenti delle regioni (mentre in altro motivo del ricorso
- esaminato più avanti nel corso della presente pronuncia - è
censurato il comma 3-ter aggiunto all'art. 115 del decreto base, ma
sotto il profilo del suo contenuto); sia perché, comunque, la
modifica in questione - richiesta, come si è detto, dalle regioni ad
integrazione della precedente intesa, e accettata dal Governo - non
riguarda la individuazione di compiti di rilievo nazionale, bensì la
disciplina, sulla base di accordi da approvare in Conferenza
Stato-regioni, dell'esercizio delle funzioni (statali, come si dira)
previste dai commi 3 e 3-bis dello stesso art. 115, concernenti le
verifiche di conformità alle normative di strutture, attività e
prodotti in materia sanitaria.
15. - Deve invece essere esaminato, sempre riguardo al d.lgs.
n. 443 del 1999, il profilo di censura prospettato dalla ricorrente
là dove essa rileva che l'art. 3 del d.lgs. n. 443 del 1999,
modificativo dell'art. 29, comma 2, lettera b), del d.lgs. n. 112 del
1998, è stato approvato dal Governo in un testo parzialmente diverso
da quello risultante dall'intesa sancita nella Conferenza
Stato-regioni.
L'art. 29 del decreto base determina le funzioni e i compiti
conservati allo Stato in materia di ricerca, produzione, trasporto e
distribuzione di energia. In particolare, la lettera b), del comma 2,
nel testo originario, conservava in capo allo Stato le funzioni
amministrative concernenti "le determinazioni inerenti
l'importazione, l'esportazione e lo stoccaggio di energia". Il testo
dell'art. 3 dello schema di decreto modificativo e integrativo, sul
quale intervenne l'intesa nella seduta della Conferenza del 25 giugno
1999, prevedeva (oltre ad una modifica della lettera l) del comma 2
dello stesso art. 29, trasfusa integralmente nel testo del d.lgs.
n. 443 del 1999, e che qui non viene in considerazione), l'aggiunta,
nel citato testo della lettera b), dopo le parole "stoccaggio di
energia", delle seguenti parole: "limitatamente allo stoccaggio di
metano in giacimento, allo stoccaggio di oli minerali di capacità
superiore a mc. 80.000 e di gas di petrolio liquefatti di capacità
superiore a mc. 400". Nel testo finale del decreto legislativo,
invece, l'aggiunta è limitata alle parole "limitatamente allo
stoccaggio di metano in giacimento". In sostanza, mentre il decreto
base conservava allo Stato per intero le determinazioni inerenti allo
stoccaggio di energia, la modifica recata dal decreto correttivo
prevede una limitazione di tali competenze rimaste in capo allo
Stato: secondo l'intesa dette competenze avrebbero comunque dovuto
essere più ampie di quelle poi effettivamente rimaste allo Stato in
base al decreto n. 443, concernendo, oltre allo stoccaggio di metano
in giacimento, altresì lo stoccaggio, in quantità superiori a date
soglie, degli oli minerali e dei gas di petrolio liquefatti. Queste
ultime funzioni sono state invece escluse, nel testo definitivo,
dalla competenza statale, risultando dunque, in definitiva, più
ampia la sfera delle funzioni conferite alle regioni ai sensi
dell'art. 30, comma 1, dello stesso d.lgs. n. 112, secondo cui "sono
delegate alle regioni le funzioni amministrative in tema di energia
(...) che non siano riservate allo Stato ai sensi dell'articolo 29 o
che non siano attribuite agli enti locali ai sensi dell'articolo 31".
16. - La questione, sotto questo specifico profilo, è fondata.
La modifica introdotta nel decreto base dall'art. 3, comma 1,
lettera a), del d.lgs. n. 443 è infatti difforme dall'intesa
raggiunta, e dunque perviene ad una definizione dell'area dei compiti
di rilievo nazionale, conservati in capo allo Stato, diversa da
quella concordata. Poiché il Governo non ha motivato specificamente
tale difformità dal testo dell'intesa, essa dà luogo a violazione
dell'art. 1, comma 4, lettera c), della legge n. 59 del 1997, e
dunque, indirettamente, a violazione dell'art. 76 della Costituzione.
Né si potrebbe obiettare che la modifica introdotta dal Governo
è ampliativa, e non restrittiva, delle funzioni conferite alle
regioni, rispetto al testo su cui si raggiunse l'intesa: infatti la
garanzia dell'intesa riguarda non solo l'ampiezza minima dei
conferimenti convenuti, ma più in generale il riparto delle funzioni
risultante dalla individuazione dei compiti di rilievo nazionale
trattenuti in capo allo Stato, anche tenendo conto del fatto che,
nella specie, le funzioni delegate alle regioni ai sensi dell'art. 30
del d.lgs. n. 112 possono comportare oneri finanziari, come risulta
implicitamente dallo stesso art. 30, comma 2, che vincola le regioni
a statuto ordinario a destinare, "per far fronte alle esigenze di
spesa relative alle attività di cui al comma 1", cioè alle
attività delegate, una percentuale minima dell'1 per cento delle
disponibilità conseguite annualmente ai sensi dell'art. 3, comma 12,
della legge n. 549 del 1995 (vale a dire del gettito della quota
dell'accisa sulla benzina attribuita alle regioni stesse).
Poiché la pronuncia di questa Corte non può, all'evidenza,
conseguire l'effetto di ripristinare la corrispondenza fra il testo
su cui è intervenuta l'intesa e il testo legislativo emanato,
inserendo in quest'ultimo ulteriori ipotesi di compiti riservati allo
Stato nel campo dello stoccaggio di energia, l'accoglimento della
censura deve condurre alla dichiarazione di illegittimità
costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera a, del d.lgs. n. 443 del
1999, ripristinando così, per questa parte, il testo originario del
d.lgs. n. 112 del 1998, che la disposizione censurata aveva inteso
modificare.
17. - Con il quinto motivo del primo ricorso la ricorrente
lamenta la violazione degli articoli 76, 117 e 118 della Costituzione
ad opera delle disposizioni del d.lgs. n. 112 del 1998 che
attribuiscono direttamente funzioni e compiti agli enti locali
sub-regionali nelle materie di cui all'art. 117 della Costituzione, e
specificamente degli articoli 41, comma 3; 66, comma 1, lettere b),
(peraltro poi soppressa dall'art. 9 del d.lgs. n. 443 del 1999) e c),
99, comma 3, secondo periodo; 131, comma 2; 132: non si tratterebbe,
infatti, di compiti di interesse esclusivamente locale, e sarebbe
comunque violato il criterio di cui all'art. 4, comma 1, della legge
di delega, secondo cui nelle materie dell'art. 117 della Costituzione
l'attribuzione delle funzioni avrebbe dovuto essere operata a favore
delle regioni, alle quali sarebbe poi spettato valutare la necessità
di conferimento delle stesse a livello locale.
18. - La questione non è fondata.
La legge di delega attribuiva al Governo, in termini assai ampi,
il compito di procedere a conferire "alle regioni e agli enti locali,
ai sensi degli articoli 5, 118 e 128 della Costituzione, funzioni e
compiti amministrativi". Il legislatore delegato era dunque
autorizzato ad impiegare tutti gli strumenti di decentramento
funzionale contemplati dalla Costituzione, dal trasferimento e dalla
delega a favore delle regioni, all'attribuzione diretta a favore
degli enti locali; e infatti l'art. 3, comma 1, lettera b), della
stessa legge prevedeva che con i decreti legislativi delegati
fossero, fra l'altro, "indicati, nell'ambito di ciascuna materia, le
funzioni e i compiti da conferire alle Regioni (...) o da conferire
agli enti locali territoriali o funzionali ai sensi degli articoli
128 e 118, primo comma, della Costituzione": dove il richiamo
all'art. 118, primo comma, non può che riferirsi alle funzioni "di
interesse esclusivamente locale" che la legge della Repubblica può
attribuire direttamente agli enti locali proprio nelle materie di cui
all'art. 117 della Costituzione (cfr. sentenza n. 408 del 1998, n. 3
del considerato in diritto).
L'ulteriore principio sancito dall'art. 4, comma 1, della legge
di delega, secondo cui "nelle materie di cui all'articolo 117 della
Costituzione, le regioni, in conformità ai singoli ordinamenti
regionali, conferiscono alle province, ai comuni e agli altri enti
locali tutte le funzioni che non richiedono l'unitario esercizio a
livello regionale" (mentre gli altri compiti e funzioni decentrati
vengono conferiti a regioni, comuni e altri enti locali con i decreti
legislativi delegati: art. 4, comma 2, della stessa legge), ha per un
verso una portata più ampia, concernendo tutte le funzioni comunque
facenti capo alle regioni nelle materie di loro competenza propria,
comprese quelle già ad esse intestate; per altro verso ha una
portata direttiva di massima, nel senso della spettanza alle regioni
del compito di procedere, nelle materie medesime, alla ripartizione
di funzioni fra di esse e gli enti locali, ma non può intendersi
come preclusivo dell'impiego, da parte del legislatore delegato,
dello strumento della attribuzione diretta di compiti agli enti
locali ai sensi dell'art. 118, primo comma, della Costituzione.
Nel procedere alla individuazione dei compiti ritenuti di
"interesse esclusivamente locale" da attribuire agli enti locali il
medesimo legislatore delegato godeva di ampia discrezionalità,
nell'osservanza dei criteri generali indicati dall'art. 4, comma 3,
della legge di delega (sussidiarietà, completezza, efficienza ed
economicità, responsabilità e unicità dell'amministrazione,
omogeneità, adeguatezza, differenziazione): né la ricorrente adduce
una specifica dimostrazione del fatto che i compiti, o taluni dei
compiti, attribuiti agli enti locali dal decreto legislativo non
rivestano carattere di interesse esclusivamente locale, o che la loro
attribuzione agli enti locali sia in contrasto con i predetti criteri
generali.
19. - La ricorrente censura, con il sesto motivo del primo
ricorso, gli articoli 3, comma 1, e 132, comma 1, primo periodo, del
d.lgs. n. 112, secondo i quali, entro sei mesi dall'emanazione del
decreto, ciascuna regione doveva determinare le funzioni richiedenti
l'unitario esercizio a livello regionale e conferire tutte le altre
agli enti locali, adottando la legge regionale di "puntuale
individuazione delle funzioni trasferite o delegate ai comuni ed agli
enti locali e di quelle mantenute in capo alle regioni stesse".
Sarebbero violati gli articoli 76, 117 e 118 della Costituzione per
la irragionevole brevità del termine imposto alle regioni, tale da
lederne l'autonomia e da rendere pressoché inevitabile l'intervento
sostitutivo dello Stato previsto dall'art. 4, comma 5, secondo
periodo, della legge n. 59 del 1997.
20. - La questione è inammissibile.
Il termine di sei mesi dalla emanazione del decreto legislativo,
assegnato alle regioni per l'adozione della legge di "puntuale
individuazione delle funzioni trasferite o delegate agli enti locali
e di quelle mantenute in capo alla regione stessa", è espressamente
stabilito dall'art. 4, comma 5, primo periodo, della legge di delega.
Il legislatore delegato non ha fatto altro, a tale proposito, che
richiamare e ripetere la prescrizione della legge di delega.
La censura non può dunque utilmente appuntarsi sul decreto
delegato. Né può accogliersi la richiesta subordinata della
ricorrente, di sollevare questione di legittimità costituzionale
dell'art. 4, comma 5, della legge di delega, per violazione degli
indicati medesimi parametri costituzionali, poiché si farebbe luogo
in tal modo ad una inammissibile elusione del termine assegnato alle
regioni dall'art. 2 della legge costituzionale n. 1 del 1948 per la
impugnazione delle leggi statali.
21. - Il settimo motivo del primo ricorso solleva questione di
legittimità costituzionale, per violazione dell'art. 119 della
Costituzione, dell'art. 7, comma 3, del d.lgs. n. 112, ove si
prevedono i criteri di attribuzione alle regioni e agli enti locali
di beni e risorse finanziarie "corrispondenti per ammontare a quelli
utilizzati dallo Stato per l'esercizio delle medesime funzioni e
compiti prima del conferimento", stabilendo che, ai fini della
relativa quantificazione, si tenga conto "dei beni e delle risorse
utilizzati dallo Stato in un arco temporale pluriennale, da un minimo
di tre ad un massimo di cinque anni" (lettera a), "dell'andamento
complessivo delle spese finali iscritte nel bilancio statale nel
medesimo periodo di riferimento" (lettera b), e "dei vincoli, degli
obiettivi e delle regole di variazione delle entrate e delle spese
pubbliche stabiliti nei documenti di programmazione
economico-finanziaria, approvati dalle Camere, con riferimento sia
agli anni che precedono la data del conferimento, sia agli esercizi
considerati nel bilancio pluriennale in vigore alla data del
conferimento medesimo" (lettera c). La lesione lamentata
discenderebbe dalla indeterminatezza dei criteri indicati, essendo
rimessa al Governo la scelta dell'arco temporale e dell'anno da
assumere come base per il calcolo, e potendo esso utilizzare i
criteri a loro volta indeterminati di cui alle citate lettere b), e
c).
22. - La questione non è fondata.
Il criterio fondamentale individuato per la determinazione delle
risorse da trasferire è, in conformità all'art. 3, comma 1, lettera
b), della legge di delega (che prevede, insieme al conferimento delle
funzioni, la "conseguente e contestuale attribuzione e ripartizione"
dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e
organizzative), quello della attribuzione di beni e risorse
"corrispondenti per ammontare a quelli utilizzati dallo Stato per
l'esercizio delle medesime funzioni e compiti prima del
conferimento": criterio logico ed obiettivo, volto ad evitare
squilibri fra compiti e risorse, o un aggravio della finanza pubblica
per effetto del decentramento delle funzioni. Gli indici contemplati
per la quantificazione delle risorse da attribuire tendono a
realizzare tale principio di corrispondenza, attraverso un
riferimento meno meccanico di quello (utilizzato in occasione di
precedenti trasferimenti di funzioni) alle sole cifre stanziate nei
capitoli pertinenti dell'ultimo bilancio dello Stato, e tenendo conto
della dinamica della spesa nel tempo in rapporto anche agli altri
indici dell'economia, utilizzati al fine della programmazione
finanziaria dello Stato.
Nessuna lesione dell'autonomia finanziaria delle regioni può
perciò discendere da tale definizione di criteri di quantificazione:
mentre eventuali lesioni che discendessero da una cattiva
applicazione degli stessi potrebbero, se del caso, essere fatte
valere in sede di sindacato sui decreti del Presidente del Consiglio,
cui l'art. 7, comma 1, della legge di delega e lo stesso art. 7,
comma 3, del decreto legislativo impugnato affidano la puntuale
individuazione delle risorse da trasferire.
23. - Anche con l'ottavo motivo del primo ricorso la ricorrente
lamenta la lesione dell'art. 119 della Costituzione, ad opera
dell'art. 3, comma 3, in rapporto all'art. 7, del d.lgs. n. 112.
L'art. 3, comma 3, infatti, impone alla regione di attribuire agli
enti locali le risorse, "in misura tale da garantire la congrua
copertura degli oneri derivanti dall'esercizio delle funzioni e dei
compiti trasferiti", con la legge regionale che definisce la
ripartizione delle funzioni e dei compiti medesimi fra regione ed
enti locali: ma la regione non saprebbe donde trarre le risorse da
trasferire, posto che a sua volta riceverebbe dallo Stato beni e
mezzi solo successivamente, con i provvedimenti attuativi di cui
all'art. 7 del decreto legislativo.
24. - La questione non è fondata, in quanto le norme impugnate
non possono intendersi nel senso, paventato dalla ricorrente, di
imporre un trasferimento di risorse da parte della regione, a favore
degli enti locali, anticipato rispetto alla attribuzione delle stesse
da parte dello Stato alla regione medesima.
In realtà la ripartizione delle risorse trasferite dallo Stato
fra regione ed enti locali non può che seguire la ripartizione delle
funzioni e dei compiti: questo è il criterio di fondo cui si
ispirano sia la legge di delega, sia il decreto delegato. È dunque
evidente che la individuazione delle risorse spettanti agli enti
locali deve conseguire, da un lato, alla ripartizione delle funzioni,
parzialmente rimessa alla legge regionale, dall'altro lato alla
individuazione da parte dello Stato dell'insieme delle risorse
trasferite in conseguenza dei conferimenti di funzioni e di compiti.
Ed infatti l'art. 7, comma 8, del d.lgs. n. 112 prevede che siano i
decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, di cui all'art. 7
della legge n. 59 del 1997, a contenere, fra l'altro,
"l'individuazione dei beni e delle strutture da trasferire, in
relazione alla ripartizione delle funzioni, alle regioni e agli enti
locali" (art. 7, comma 8, lettera b), e che a tal fine gli schemi di
decreti siano elaborati sulla base di accordi tra Governo, regioni ed
enti locali promossi dalla Conferenza unificata Stato, regioni,
città e autonomie locali, salvo, in caso di mancato accordo, il
dovere del Presidente del Consiglio di provvedere, acquisito il
parere della Conferenza unificata (art. 7, comma 8, cit., prima e
ultima proposizione).
Il principio di congruità delle risorse trasferite rispetto alle
funzioni conferite a ciascun livello vale sia per la ripartizione di
risorse effettuata da parte dello Stato sulla base degli accordi fra
Governo, regioni ed enti locali, sia per le ulteriori risorse
trasferite agli enti locali dalle Regioni in relazione ad ulteriori
conferimenti di funzioni.
25. - Con il nono motivo del primo ricorso la regione Veneto
lamenta che il decreto legislativo impugnato abbia omesso quasi del
tutto di provvedere alla soppressione, trasformazione o accorpamento
delle strutture statali interessate dal conferimento di funzioni e
compiti, come previsto dall'art. 3, comma 1, lettera d), della legge
di delega, nonché alla individuazione delle modalità e delle
procedure per il trasferimento del personale statale, come previsto
dall'art. 3, comma 1, lettera e), della stessa legge, rinviando
invece a successivi provvedimenti del Governo. La omissione di tali
adempimenti comporterebbe non già un parziale esercizio della
delega, ma un illegittimo esercizio della stessa, posto che
l'indicazione delle strutture oggetto del riordino e del personale da
trasferire sarebbe essenziale per dare concretezza ai conferimenti di
funzioni. Sarebbero dunque violati gli articoli 76, 117 e 118 della
Costituzione.
26. - La questione non è fondata.
Al riordino delle strutture statali interessate dal conferimento
di funzioni e compiti alle regioni e agli enti locali è previsto che
si debba provvedere, ai sensi dell'art. 7, comma 3, della legge di
delega, "con le modalità e i criteri di cui al comma 4-bis
dell'art. 17 della legge 31 agosto 1988, n. 400", introdotto
dall'art. 13, comma 1, della stessa legge n. 59 del 1997: cioè con
regolamenti di organizzazione, sulla base dei principi fissati con
atto legislativo. Specifici interventi di riordino di strutture
centrali, da attuare con decreti legislativi, sono poi previsti come
oggetto di una autonoma delega dall'art. 11 della stessa legge n. 59
del 1997.
Non contrasta perciò con la legge di delega il disposto
dell'art. 9 del d.lgs. n. 112 del 1998, secondo cui al riordino delle
strutture che svolgevano le funzioni e i compiti oggetto del decreto
medesimo, ed eventualmente alla loro soppressione o al loro
accorpamento, "si provvede con i decreti previsti dagli articoli 7,
10 e 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59".
Quanto poi al trasferimento del personale statale, la legge di
delega prevede che i decreti legislativi individuino modalità e
procedure per detto trasferimento (art. 3, comma 1, lettera e), e
demanda ai provvedimenti attuativi di cui all'art. 7 della stessa
legge il compito di individuare puntualmente, fra l'altro, il
personale da trasferire e di ripartirlo tra le regioni e fra queste e
gli enti locali (art. 7, comma 1). Apposite norme statuenti regole
sostanziali in materia, in particolare per quanto riguarda
l'inquadramento e il trattamento giuridico ed economico del personale
trasferito, sono contenute nell'art. 7, commi 4, secondo periodo, 5 e
6, del decreto impugnato. A sua volta lo stesso art. 7, al comma 8,
specifica le procedure da seguire per la elaborazione dei decreti
attuativi a cui è affidata, fra l'altro, "la definizione dei
contingenti complessivi, per qualifica e profilo professionale, del
personale necessario per l'esercizio delle funzioni amministrative
conferite e del personale da trasferire" (lettera c). Il pur largo
rinvio ai provvedimenti attuativi di cui all'art. 7 della legge di
delega per la (ulteriore) "individuazione delle modalità e delle
procedure di trasferimento", nonché "dei criteri di ripartizione del
personale" (art. 7, comma 4, dello stesso decreto legislativo), non
contrasta dunque con i criteri della delega e non inficia l'efficacia
del previsto meccanismo di conferimento di funzioni e compiti e di
conseguente trasferimento delle risorse, comprese quelle di
personale.
27. - Con il decimo motivo del primo ricorso la ricorrente
lamenta che il decreto impugnato abbia omesso di attuare le
prescrizioni della legge di delega relative alla individuazione di
procedure e strumenti di raccordo per la collaborazione e l'azione
coordinata fra diversi livelli di governo (art. 3, comma 1, lettera
c, della legge n. 59 del 1997), alla previsione di modalità e
condizioni per l'avvalimento da parte dello Stato di uffici regionali
e locali (art. 3, comma 1, lettera f), e per il conferimento a
particolari strutture organizzative di funzioni che non richiedano
l'esercizio esclusivo da parte delle regioni e degli enti locali
(art. 3, comma 1, lettera g). La mancanza, nel decreto legislativo,
salve limitate eccezioni, di tali previsioni violerebbe ancora una
volta gli articoli 76, 117 e 118 della Costituzione.
28. - La questione è inammissibile.
Le norme della legge di delega invocate come parametro interposto
hanno carattere solo facoltizzante, nel senso che esse consentivano
al legislatore delegato di prevedere, là dove fosse ritenuto
necessario od opportuno, strumenti di raccordo, ipotesi di
avvalimento di uffici, o la creazione di particolari strutture
organizzative, senza però imporre l'uso di tali strumenti o istituti
a proposito di oggetti o materie determinate. La stessa ricorrente
ammette che in taluni casi, che sarebbero limitati, il legislatore
delegato ha utilizzato siffatte previsioni, ma il fatto che esso non
abbia ritenuto opportuno di farvi ricorso più largamente, od in
altre ipotesi, non può dar luogo a censure di legittimità
costituzionale. Per altro verso, la ricorrente non specifica quali
sarebbero le disposizioni del decreto legislativo viziate sotto
questo profilo, onde la censura si palesa inammissibile anche per la
sua genericità.
29. - Con l'ultimo motivo del primo ricorso la regione ricorrente
censura, per violazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione,
l'art. 25, comma 2, lettera g), del d.lgs. n. 112 del 1998. La
disposizione demanda ad uno o più regolamenti la disciplina del
procedimento in materia di autorizzazione all'insediamento di
attività produttive, stabilendo che essi debbono prevedere che, nel
caso in cui il progetto sia in contrasto con uno strumento
urbanistico, si possa ricorrere alla conferenza di servizi, la cui
determinazione, se vi è accordo sulla variante, costituisce proposta
di variante, sulla quale si pronuncia definitivamente il consiglio
comunale.
Secondo la ricorrente tale previsione lede la competenza
regionale in materia urbanistica, espropriando la regione del potere
di concorrere a definire l'assetto urbanistico.
30. - La questione è fondata.
Secondo le regole generali oggi risultanti dall'art. 14-quater
della legge 7 agosto 1990, n. 241, come sostituito dalla legge n. 340
del 2000, e già prima dall'art. 14, comma 3-bis della stessa legge
nel testo modificato dalla legge n. 127 del 1997, la conferenza di
servizi può adottare una determinazione positiva sul progetto, non
conforme allo strumento urbanistico generale, anche quando vi sia
dissenso di taluna delle amministrazioni partecipanti, e dunque
anche, in particolare, della regione. In tale ipotesi, la previsione
secondo cui la proposta di variante può essere approvata
definitivamente dal consiglio comunale, senza l'ulteriore
approvazione regionale, equivale a consentire che lo strumento
urbanistico sia modificato senza il consenso della regione, con
conseguente lesione della competenza regionale in materia
urbanistica.
Né può valere, a far ritenere salvaguardata tale competenza, il
richiamo al disposto dell'articolo 14, comma 3-bis della legge n. 241
del 1990, introdotto dall'art. 17 della legge n. 127 del 1997, che
attribuiva fra l'altro al Presidente della regione, previa delibera
del consiglio regionale, il potere di disporre la sospensione della
determinazione di conclusione positiva del procedimento, adottata
dall'amministrazione procedente a seguito della conferenza di
servizi. A parte ogni altra considerazione, infatti, detta
disposizione non è più in vigore, a seguito della riformulazione
degli articoli da 14 a 14-quater della legge n. 241 del 1990, operata
dalla legge n. 340 del 2000: oggi l'art. 14-quater si limita a
prevedere che se una o più amministrazioni hanno espresso
nell'ambito della conferenza il proprio dissenso sulla proposta
dell'amministrazione procedente, quest'ultima assuma comunque la
determinazione di conclusione del procedimento sulla base
della maggioranza delle posizioni espresse, e che solo qualora il
motivato dissenso sia espresso da un'amministrazione "preposta alla
tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio
storico-artistico o alla tutela della salute", la decisione sia
rimessa al Consiglio dei ministri (con l'intervento del presidente
della regione quando il dissenso è espresso da una regione) ove
l'amministrazione dissenziente o quella procedente sia
un'amministrazione statale, ovvero "ai competenti organi collegiali
esecutivi degli enti territoriali" nelle altre ipotesi
(art. 14-quater commi 3 e 4). Non è dunque appropriata
l'integrazione apportata di recente al regolamento in materia di
sportelli unici per gli impianti produttivi dall'art. 1 del
regolamento approvato con d.P.R. 7 dicembre 2000, n. 440, là dove
dispone, per l'ipotesi di pronuncia definitiva del consiglio comunale
sulla proposta di variante dello strumento urbanistico, che "non è
richiesta l'approvazione della regione, le cui attribuzioni sono
fatte salve dall'art. 14, comma 3-bis della legge 7 agosto 1990,
n. 241".
Deve pertanto essere dichiarata l'illegittimità costituzionale
della disposizione censurata, nella parte in cui prevede che, ove il
progetto di insediamento contrasti con le previsioni di uno strumento
urbanistico, la determinazione della conferenza di servizi
costituisce, anche nell'ipotesi di dissenso della regione, proposta
di variante sulla quale si pronuncia definitivamente il consiglio
comunale.
31. - L'art. 16 del d.lgs. n. 443 del 1999 è impugnato, con il
quarto motivo del secondo ricorso, nella parte in cui introduce
nell'art. 115 del decreto base (concernente la ripartizione delle
competenze in materia di tutela della salute) il comma 3-ter ove si
dispone che "l'esercizio delle funzioni di cui ai commi 3 e 3-bis
[concernenti la verifica di conformità alla normativa di strutture e
attività sanitarie, di sostanze e prodotti] è regolato sulla base
di modalità definite con apposito accordo da approvare in Conferenza
Stato-regioni, ai sensi dell'art. 4 del decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281". Esso violerebbe gli articoli 117 e 118 della
Costituzione, in quanto condizionerebbe l'esercizio di funzioni
regionali, e la stessa attività legislativa delle regioni, ad
accordi con il Governo.
32. - La questione non è fondata, non avendo la norma impugnata
la portata ad essa attribuita dalla ricorrente.
L'art. 115, comma 2, del d.lgs. n. 112, elencando le funzioni e i
compiti amministrativi conferiti alle regioni in materia di tutela
della salute, contempla fra questi "la verifica della conformità
rispetto alla normativa nazionale e comunitaria di attività,
strutture, impianti, laboratori, officine di produzione, apparecchi,
modalità di lavorazione, sostanze e prodotti, ai fini del controllo
preventivo, salvo quanto previsto al comma 3 del presente articolo,
nonché la vigilanza successiva, ivi compresa la verifica
dell'applicazione della buona pratica di laboratorio".
A sua volta il comma 3 dello stesso articolo stabiliva che il
conferimento delle funzioni di verifica della conformità di cui al
comma 2 ha effetto dopo un anno dalla entrata in vigore del decreto
legislativo; e che entro tale termine, con decreto legislativo da
emanarsi ai sensi dell'articolo 10 della legge n. 59 del 1997 - cioè
con decreto integrativo e correttivo dei decreti legislativi di
conferimento - sarebbero stati individuati, fra l'altro, gli
adempimenti "che, per caratteristiche tecniche e finalità, devono
restare di competenza degli organi centrali".
In attuazione di tale previsione, l'art. 16 del d.lgs. n. 443 del
1999 ha anzitutto introdotto nel citato art. 115 un comma 3-bis,
secondo il quale, "ai sensi del comma 3 del presente articolo,
restano riservate allo Stato le funzioni di verifica, ai fini del
controllo preventivo, della conformità rispetto alla normativa
nazionale e comunitaria, limitatamente agli aspetti di tutela della
salute di rilievo nazionale:
a) degli stabilimenti di produzione dei prodotti destinati ad
alimentazione particolare e dei prodotti fitosanitari;
b) dei macelli, dei mercati ittici e stabilimenti dove si
allevano animali o pesci, nonché dei laboratori di trasformazione e
delle altre strutture di interesse veterinario che fabbricano o
trattano prodotti destinati all'esportazione;
c) dei laboratori".
Ha poi inserito un comma 3-ter - la disposizione qui impugnata -
ai sensi del quale "l'esercizio delle funzioni di cui ai commi 3 e
3-bis è regolato sulla base di modalità definite con apposito
accordo da approvare in Conferenza Stato-regioni, ai sensi
dell'articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281".
Tale ultimo comma fu aggiunto, come si è prima ricordato (sopra,
n. 11), al testo già oggetto di intesa nella Conferenza
Stato-regioni, che conteneva solo il comma 3-bis a seguito
dell'intesa integrativa raggiunta nella seduta della Conferenza del
1° luglio 1999, su specifica richiesta delle regioni.
Esso non può intendersi nel senso che subordini all'accordo con
il Governo in Conferenza Stato-regioni l'esercizio delle funzioni di
verifica di conformità conferite alle Regioni dall'art. 115, comma
2, lettera c), del d.lgs. n. 112: comma, quest'ultimo, che non è
infatti richiamato dal comma 3-ter. Piuttosto deve intendersi,
nonostante la formulazione non perspicua, nel senso che sulla base
dell'accordo, e quindi con la partecipazione decisionale delle
regioni nella Conferenza, sono disciplinate le modalità di esercizio
delle funzioni di verifica di conformità attribuite alla competenza
degli organi centrali dal comma 3-bis, mentre il richiamo anche al
comma 3 si spiega per il fatto che è in tale comma, già presente
nel testo originario del decreto, che si rinviava espressamente ad un
decreto integrativo la individuazione dei compiti da conservare allo
Stato in questa materia. L'accordo fra Governo e regioni dovrà
dunque concernere la individuazione degli "aspetti della salute di
rilievo nazionale" che delimitano le funzioni di verifica di
conformità attribuite allo Stato, e la determinazione delle
modalità di esercizio di tali funzioni statali in quanto
interferenti con le funzioni di verifica che, nella stessa materia,
sono attribuite alle regioni: ferma restando, evidentemente, la
possibilità per lo Stato di intervenire anche in quest'ultimo
ambito, con gli strumenti a sua disposizione, quale l'eventuale
esercizio, ove previsto, della funzione di indirizzo e coordinamento
a tutela di interessi unitari.
33. - L'ultimo motivo del secondo ricorso investe l'art. 6 del
d.lgs. n. 443 del 1999, che aggiunge all'art. 40, comma 1, del
decreto base - ove si individuano le funzioni e i compiti conservati
allo Stato in materia di fiere e mercati e di commercio - la lettera
f), concernente "l'attività regolamentare in materia di
somministrazione al pubblico di alimenti e bevande e di commercio dei
pubblici esercizi, d'intesa con le regioni".
La ricorrente lamenta la violazione degli articoli 76, 117 e 118
della Costituzione, in quanto si vincolerebbe l'attività normativa e
amministrativa delle regioni all'osservanza di norme regolamentari
statali, il che sarebbe precluso sia che si consideri la materia in
questione oggetto di competenza propria delle regioni, sia che la si
consideri materia delegata.
34. - La questione è fondata.
La materia di cui si discute - somministrazione al pubblico di
alimenti e bevande e commercio dei pubblici esercizi - non rientra
nell'ambito delle competenze costituzionalmente proprie delle
regioni.
Ancorché, infatti, l'art. 41 del medesimo d.lgs. n. 112 del
1998, al comma 1, lettera d), disponga il trasferimento alle regioni
delle "competenze già delegate ai sensi dell'articolo 52, primo
comma, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977
n. 616", e fra queste rientrino quelle relative "ai pubblici esercizi
di vendita e consumo di alimenti e bevande" (lettera a di detto
art. 52, primo comma), sta di fatto che l'art. 39 dello stesso
decreto legislativo n. 112 tiene distinte le funzioni amministrative
relative alla materia "fiere e mercati", rientrante nell'elenco
dell'art. 117 della Costituzione, da quelle relative alla materia -
estranea invece a detto elenco - del "commercio", nel cui ambito sono
espressamente comprese, fra l'altro, "l'attività di somministrazione
al pubblico di bevande e alimenti" e "l'attività di commercio dei
pubblici esercizi" (cfr. sentenza n. 205 del 2001).
Non trattandosi di materia di competenza propria delle regioni,
non sarebbe di per sé costituzionalmente illegittima la previsione
di un esercizio da parte dello Stato della potestà di emanare
regolamenti di esecuzione della legge statale (cfr. legge 25 agosto
1991, n. 287, il cui art. 12 prevede l'emanazione di un regolamento
interministeriale di esecuzione, che non risulta ancora emanato).
Tuttavia, nella specie, occorre tener conto che la legge di
delega (art. 2 della legge di delega n. 59 del 1997, richiamato
espressamente dall'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 112 del 1998) -
riprendendo una clausola generale già presente nell'art. 7, primo
comma, del d.P.R. n. 616 del 1977 - stabilisce in via generale che
nelle materie diverse da quelle di competenza propria delle regioni,
ma oggetto di conferimenti di funzioni amministrative alle stesse,
"spetta alle regioni il potere di emanare norme attuative ai sensi
dell'articolo 117, secondo comma, della Costituzione" (comma 1,
seconda parte); e che "in ogni caso, la disciplina della
organizzazione e dello svolgimento delle funzioni e dei compiti
amministrativi conferiti (...) è disposta, secondo le rispettive
competenze e nell'ambito della rispettiva potestà normativa, dalle
regioni e dagli enti locali" (comma 2).
Con tale previsione generale di attribuzione alle regioni di una
potestà normativa di attuazione della legislazione statale contrasta
la riserva allo Stato, non già di singoli compiti esclusi dal
conferimento, bensì, genericamente, della "potestà regolamentare"
(benché da esercitarsi "d'intesa con le regioni"), in una singola
materia o submateria - quella dei pubblici esercizi di vendita e
consumo di alimenti e bevande - compresa fra quelle in cui vi è
conferimento di funzioni amministrative alle regioni (art. 41, comma
2, lettera a, del d.lgs. n. 112 del 1998), ancorché non rientrante
fra quelle elencate nell'art. 117 della Costituzione. Non si
tratterebbe infatti di una potestà destinata ad esplicarsi in ordine
ad aspetti della materia rimasti alla competenza dello Stato (cfr.
sentenza n. 159 del 2001), ma di una generale potestà normativa
diretta a integrare e specificare la disciplina della legislazione
statale - cioè a darvi attuazione - proprio nella materia oggetto di
conferimento alle regioni: dunque di una funzione normativa di
attuazione coincidente con quella che, in base alla legge di delega,
è attribuita a queste ultime.
Né potrebbe ritenersi che la potestà attribuita allo Stato sia
di carattere suppletivo, riguardi cioè l'emanazione di norme
regolamentari destinate ad avere efficacia solo fino a quando la
regione non adotti, nella stessa materia, proprie norme di attuazione
(come ritenuto in altra occasione, rispetto ad un regolamento statale
in materia analoga, dalla sentenza n. 165 del 1989). Infatti il
contesto in cui è inserita la norma in esame, volta ad integrare
l'elenco delle funzioni "conservate allo Stato", e quindi escluse dal
conferimento alle regioni e agli enti locali (art. 3, comma 1,
lettera a, della legge n. 59 del 1997), in materia di commercio, e la
stessa previsione di una attività regolamentare statale da
esercitarsi "d'intesa con le regioni", impediscono di riconoscere
alla norma stessa la portata riduttiva che sarebbe propria di una
attribuzione di potestà normativa solo suppletiva.
La disposizione impugnata deve pertanto essere dichiarata
costituzionalmente illegittima per contrasto con i principi della
delega, e quindi con l'art. 76 della Costituzione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi,
a) Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 25, comma
2, lettera g), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112
(Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle
regioni e agli enti locali, in attuazione del Capo I della legge
15 marzo 1997, n. 59), nella parte in cui prevede che, ove la
conferenza di servizi registri un accordo sulla variazione dello
strumento urbanistico, la determinazione costituisce proposta di
variante sulla quale si pronuncia definitivamente il consiglio
comunale, anche quando vi sia il dissenso della regione;
b) Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1,
lettera a), del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 443
(Disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo
31 marzo 1998, n. 112, recante conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali);
c) Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 40, comma
1, lettera f), del decreto legislativo n. 112 del 1998, aggiunta
dall'art. 6 del decreto legislativo n. 443 del 1999;
d) Dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale degli articoli 3, comma 6; 5, commi 2 e 3; 7, commi 1,
2, lettera a) e 8, lettera a), 50, commi 2 e 3; 63; 138, comma 2, del
decreto legislativo n. 112 del 1998, nonché dello stesso decreto
legislativo nella sua interezza, sollevata, in riferimento agli
articoli 76, 117 e 118 della Costituzione, nonché in relazione agli
articoli 1, comma 1, e 3, comma 1, lettera a), della legge 15 marzo
1997, n. 59, dalla Regione Veneto con il ricorso in epigrafe (r. ric.
n. 25 del 1998);
e) Dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale del decreto legislativo n. 112 del 1998 sollevata, in
riferimento agli articoli 76, 117 e 118 della Costituzione, nonché
in relazione agli articoli 3, comma 1, lettere c), f), g), della
legge n. 59 del 1997, dalla Regione Veneto con il ricorso in epigrafe
(r. ric. n. 25 del 1998);
f) Dichiara inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale delle seguenti disposizioni del predetto decreto
legislativo n. 112 del 1998, sollevate, in riferimento alle norme
sotto indicate, dalla Regione Veneto con il ricorso in epigrafe (r.
ric. n. 25 del 1998): articoli 13, 44, 54, 59, 69, comma 2, 115, 118,
119, 120, 121, comma 1, 124, 129, 142, in riferimento agli articoli
76, 117 e 118 della Costituzione, nonché in relazione agli articoli
1, commi 3 e 4; 3, commi 1, lettera a) e 4, comma 3, lettere b), e),
f), della legge n. 59 del 1997; articoli 18; 29, comma 2, 33, 65, 85,
93, 98, 104, 137, in riferimento agli articoli 76, 117, secondo
comma, e 118 della Costituzione, nonché in relazione agli articoli 1
e 4, comma 3, lettera b), della legge n. 59 del 1997; articoli 3,
comma 1, e 132, comma 1, primo periodo, in riferimento agli articoli
76, 117 e 118 della Costituzione;
g) Dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale delle seguenti disposizioni del decreto legislativo
n. 112 del 1998, sollevate, in riferimento alle norme sotto indicate,
dalla Regione Veneto con il ricorso in epigrafe (r. ric. n. 25 del
1998): articoli 29, comma 1; 52, comma 1; 69, comma 1; 77, 80, 83,
88, 107, 156, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione ed in
relazione all'art. 1, comma 4, lettera c), della legge n. 59 del
1997; articoli 41, comma 3; 66, comma 1, lettere b) e c); 99, comma
3, secondo periodo; 131, comma 2; 132, in riferimento agli articoli
76, 117 e 118 della Costituzione e in relazione all'articolo 4, comma
1, della legge n. 59 del 1997; articolo 7, comma 3, in riferimento
all'art. 119 della Costituzione; articolo 3, comma 3, in rapporto
all'articolo 7, in riferimento all'art. 119 della Costituzione;
articoli 7, comma 4; 9, 58, 67, comma 1; 75; 92, commi 2 e 3; 106,
comma 1; 109, comma 2; 146, in riferimento agli articoli 76, 117 e
118 della Costituzione e in relazione all'art. 3, comma 1, lettere d),
ed e), della legge n. 59 del 1997;
h) Dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale del decreto legislativo n. 443 del 1999 - intero testo
- sollevata, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, dalla
Regione Veneto con il ricorso in epigrafe (r. ric. n. 1 del 2000);
i) Dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale delle seguenti disposizioni del decreto legislativo
n. 443 del 1999, sollevate, in riferimento alle norme sotto indicate,
dalla Regione Veneto con il ricorso in epigrafe (r. ric. n. 1 del
2000): articoli 1, 8, 11, in riferimento agli articoli 76, 117 e 118
della Costituzione e in relazione agli articoli 1, commi 3 e 4; 3,
comma 1, lettera a); 4, comma 3, lettere b), c), f), della legge
n. 59 del 1997; articoli 13, 14, 15, 16, 17, in riferimento
all'articolo 76 della Costituzione e in relazione all'art. 1, comma
4, lettera c), della legge n. 59 del 1997 e all'art. 3 del decreto
legislativo n. 281 del 1997; art. 16, comma 1, lettera c), in
riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2001.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Onida
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 26 giugno 2001.
Il direttore della cancelleria: Di Paola