Titolo
Leggi costituzionali e di revisione costituzionale - Iniziativa regionale - Potere del consiglio regionale di presentare proposte di legge alle camere - Esclusione di limiti riferiti alla forza di legge dell'atto normativo proposto - Limiti sistematici.
Testo
Nei confronti del potere del Consiglio regionale di presentare proposte di legge alle Camere - potere gia' ammesso anche in materia di revisione costituzionale - l'art. 121, secondo comma, della Costituzione non ha introdotto limitazioni riferite alla forza, ordinaria o costituzionale, dell'atto normativo che la Regione intenda proporre; limitazioni che non sarebbe possibile d'altra parte desumere, sia pure indirettamente, dall'art. 71 Cost., ove non si opera alcun riferimento alla forza dell'atto che viene proposto. Ed e' da ritenere connaturata a questo potere la disciplina del procedimento, tutto interno all'ordinamento regionale, che conduce alla formalizzazione dell'atto di iniziativa, sempre tuttavia nel rispetto dei limiti sistematici, inerenti alla posizione costituzionale del popolo in relazione alla revisione. - Sul potere di proposta del Consiglio regionale, v. sentenze nn. 256/1989 e 470/1992. - Sull'interesse qualificato alla riforma costituzionale che riguardi l'assetto istituzionale della Regione ed i suoi rapporti con lo Stato centrale, sentenza n. 470/1992.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 121
co. 2
Costituzione
art. 71
Titolo
'Referendum' - Collocazione nel sistema costituzionale - Limiti sistematici - Limiti desumibili dalla sottrazione delle leggi costituzionali al 'referendum' abrogativo.
Testo
Nel nostro sistema le scelte fondamentali della comunita' nazionale, che ineriscono al patto costituzionale, sono riservate alla rappresentanza politica, sulle cui determinazioni il popolo non puo' intervenire se non nelle forme tipiche previste dall'art. 138 della Costituzione. Induce a tale conclusione la semplice considerazione della collocazione del 'referendum' abrogativo, che, ai sensi dell'art. 75 Cost., puo' avere ad oggetto leggi ed atti con valore di legge, ma non puo' incidere su fonti di grado costituzionale, a garanzia del principio di rigidita' e di tipicita' del procedimento di revisione di cui all'art. 138 Cost., come e' chiaramente desumibile anche dalla previsione di un apposito giudizio preventivo di ammissibilita' delle richieste referendarie (art. 2 della legge costituzionale n. 1 del 1953). - Sulla esclusione del 'referendum' abrogativo per le leggi ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato, sentenza n. 16/1978.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 75
Costituzione
art. 138
legge costituzionale
11/03/1953
n. 1
art. 2
Titolo
Leggi di revisione costituzionale - Procedimento di formazione - Iniziativa della regione veneto per l'introduzione, con legge costituzionale, di forme e condizioni particolari di autonomia alla stessa regione veneto - Legge regionale relativa al 'referendum' consultivo in merito alla proposta di legge costituzionale - Incompatibilità delle norme regionali con le regole procedimentali e organizzative della revisione costituzionale - Illegittimità costituzionale.
Testo
E' costituzionalmente illegittima la legge della Regione Veneto, riapprovata l'8 ottobre 1998, recante <<'Referendum' consultivo in merito alla presentazione di proposta di legge costituzionale per l'attribuzione alla Regione Veneto di forme e condizioni particolari di autonomia>>, in quanto tale legge pretende d'assegnare alla popolazione regionale - in un procedimento che ha come suo oggetto e come fine politico immanente il mutamento dell'ordinamento costituzionale - un ruolo che incrina le linee portanti del disegno costituzionale proprio in relazione ai rapporti tra l'istituto del 'referendum' e la Costituzione. Infatti dal momento che la decisione di revisione e' dall'art. 138 rimessa primariamente alla rappresentanza politico-parlamentare, che il popolo in sede referendaria non e' disegnato dalla Costituzione come il propulsore della innovazione costituzionale e che il suo intervento non e' a schema libero ma deve avvenire secondo forme tipiche e all'interno di un procedimento che, grazie ai tempi, alle modalita' e alle fasi in cui e' articolato, carica la scelta politica del massimo di razionalita' di cui, per parte sua, e' capace, e tende a ridurre il rischio che tale scelta sia legata a situazioni contingenti, non e' consentito - come pretende la legge impugnata - che si evochi il popolo in sede di revisione nella sua parzialita' autonoma e che si solleciti il corpo elettorale regionale a farsi portatore di modificazioni costituzionali, giacche' le regole procedimentali e organizzative della revisione, che sono legate al concetto di unita' e indivisibilita' della Repubblica (art. 5 Cost.), non lasciano alcuno spazio a consultazioni popolari regionali che si pretendano manifestazione di autonomia. - Sulla forma di democrazia in senso pluralista prevista in Costituzione, sentenza n. 453/1989.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 5
Costituzione
art. 138
Riferimenti normativi
legge della Regione Veneto
08/10/1998
n. 0
art. 0
co. 0
N. 496
SENTENZA 27 OTTOBRE-14 NOVEMBRE 2000
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Cesare MIRABELLI;
Giudici: Francesco GUIZZI, Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI,
Cesare RUPERTO, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA,
Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione
Veneto, riapprovata l'8 ottobre 1998, recante "Referendum consultivo
in merito alla presentazione di proposta di legge costituzionale per
l'attribuzione alla Regione Veneto di forme e condizioni particolari
di autonomia", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei
Ministri, notificato il 28 ottobre 1998, depositato in cancelleria il
5 novembre 1998 ed iscritto al n. 42 del registro ricorsi 1998.
Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto;
Udito nell'udienza pubblica del 9 maggio 2000 il giudice relatore
Carlo Mezzanotte;
Uditi l'avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente
del Consiglio dei Ministri e gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi
Manzi per la Regione Veneto.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso in data 26 ottobre 1998, regolarmente notificato
e depositato, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha sollevato
questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli
articoli 1, 3, 5, 70, 71, 121, 123 e 138 della Costituzione e
all'articolo 47 dello statuto della Regione Veneto, della legge della
Regione Veneto, recante "Referendum consultivo in merito alla
presentazione di proposta di legge costituzionale per l'attribuzione
alla Regione Veneto di forme e condizioni particolari di autonomia",
approvata dal Consiglio regionale nella seduta del 23 aprile 1998 e
riapprovata a maggioranza assoluta, a seguito del rinvio governativo,
l'8 ottobre 1998.
2. - La legge di cui è questione promuove, ai sensi dell'art. 47
dello statuto della Regione Veneto, un referendum consultivo della
popolazione residente in merito alla presentazione da parte del
Consiglio regionale, nell'esercizio della potestà ad esso conferita
dall'art. 121 della Costituzione, di una proposta di legge
costituzionale che attribuisca forme e condizioni particolari di
autonomia alla Regione Veneto, a mezzo di uno specifico statuto
speciale, che preveda in particolare:
a) il conferimento generale della potestà legislativa alla
Regione e la enumerazione tassativa delle materie di potestà
legislativa e amministrativa statale (politica estera, difesa,
moneta, giustizia, organi costituzionali dello Stato, livelli
inderogabili delle prestazioni relative ai diritti sociali tutelati
in Costituzione);
b) l'esercizio a livello locale delle funzioni amministrative e
l'attribuzione alla Regione delle funzioni di programmazione e di
controllo;
c) il riconoscimento alla Regione del potere di stipulare
accordi con Stati o enti territoriali di altri Stati e di partecipare
alla formazione degli atti dell'Unione europea, provvedendo in via
autonoma all'attuazione degli atti comunitari;
d) la determinazione da parte della Regione della propria forma
di governo, inclusa la possibilità di prevedere l'elezione diretta
del Presidente della Regione e la disciplina del sistema elettorale
regionale;
e) il conferimento alla Regione del potere di istituzione,
accertamento e riscossione dei tributi, con devoluzione allo Stato di
una quota non superiore ad un terzo delle entrate tributarie riscosse
dalla Regione.
Secondo il ricorrente la legge regionale si porrebbe in contrasto
con gli indicati parametri per ragioni analoghe a quelle poste da
questa Corte a base della sentenza n. 470 del 1992, con la quale è
stata dichiarata l'illegittimità costituzionale di una legge della
Regione Veneto diretta a proporre un referendum consultivo in merito
alla presentazione di una iniziativa legislativa volta a modificare
disposizioni costituzionali concernenti l'ordinamento delle Regioni.
In quella circostanza, la Corte aveva affermato che il referendum
consultivo, per quanto sprovvisto di efficacia vincolante, esercita
comunque la sua influenza, di indirizzo e di orientamento, nei
confronti delle successive fasi del procedimento di formazione della
legge statale e dunque può condizionare scelte discrezionali
affidate alla esclusiva competenza di organi centrali dello Stato,
facendo sorgere "il rischio di influire negativamente sull'ordine
costituzionale e politico dello Stato". Inoltre, rammenta
l'Avvocatura dello Stato, nella medesima sentenza n. 470 questa Corte
aveva affermato che l'aggravamento, mediante forme di consultazione
popolare variabili da Regione a Regione, del procedimento di
formazione delle leggi costituzionali contrasta con la disciplina
della revisione posta nell'art. 138 Cost.
Muovendo da simili premesse, e particolarmente insistendo sul
tenore della relazione illustrativa della delibera impugnata, nella
quale si fa esplicito riferimento alla necessità, nell'ambito di un
"nuovo patto costituzionale", di rinegoziare con lo Stato il ruolo
istituzionale, l'organizzazione, le funzioni della Regione, e dunque
la propria originale soggettività, il ricorrente conclude che un
referendum consultivo della popolazione veneta in materia
fondamentale di revisione costituzionale, oltre a comportare un
illegittimo aggravamento del procedimento previsto nell'art. 138
Cost., verrebbe in fatto ad assumere il significato politico di una
"autodeterminazione" della Regione Veneto sulla forma e l'unità
della Nazione, con ciò violando il principio della assolutezza della
competenza parlamentare in materia, che opera come limite
costituzionale all'ammissibilità di referendum consultivi regionali.
3. - Si è costituita la Regione Veneto, chiedendo che il ricorso
sia rigettato. Preliminarmente rileva la Regione che, in questa fase
di profonda evoluzione del sistema costituzionale delle autonomie e
di potenziamento dei poteri locali, si renderebbe necessaria una
globale riconsiderazione della materia, rispetto alle due pronunce
costituzionali - la sentenza n. 470 del 1992 e la sentenza n. 256 del
1989 - che si pongono come immediati precedenti rispetto alla
questione in esame. La difesa regionale nega comunque che la vicenda
conclusa con la sentenza n. 470 del 1992 - alla quale l'Avvocatura
esplicitamente si richiama - e quella oggetto del presente giudizio
siano equiparabili, sostenendo che nella fattispecie odierna non
verrebbe in rilievo un interesse diretto alla revisione degli
ordinamenti regionali e dunque della stessa forma dell'unità
politica, ma quello, più circoscritto, a definire un peculiare e
differenziato statuto autonomistico per la sola Regione Veneto. Il
referendum consultivo - assume la difesa regionale - per la sua
funzione propedeutica rispetto all'esercizio della iniziativa
legislativa regionale, non coinvolgerebbe dunque il corpo elettorale
nazionale nella sua unità, ma esclusivamente la collettività
territoriale veneta. Quanto alla lamentata lesione dell'art. 138
Cost., la difesa della Regione contesta che dalla tipicità del
procedimento di formazione degli atti legislativi possa desumersi
l'impossibilità di inserire, nella fase dell'iniziativa, "elementi
aggiuntivi non previsti nel testo costituzionale". Si osserva in
proposito che l'atto di iniziativa legislativa costituisce il
prodotto di un procedimento che rimane del tutto estraneo a quello di
revisione costituzionale disciplinato dall'art. 138 Cost., sicché
l'inserimento nell'iter procedimentale di un elemento ulteriore come
il referendum consultivo non avrebbe alcuna rilevanza esterna,
esaurendo comunque i suoi effetti entro l'ordinamento regionale.
Pure da respingere sarebbe, ad avviso della resistente,
l'argomento secondo il quale la determinazione referendaria, quale
atto di indirizzo politico, eserciterebbe un condizionamento su
scelte discrezionali affidate all'esclusiva competenza di organi
centrali dello Stato, con conseguente violazione dei limiti
costituzionalmente posti al referendum consultivo regionale.
Sviluppando coerentemente un simile ragionamento, secondo la Regione,
dovrebbero infatti considerarsi condizionanti anche ipotetiche
espressioni di volontà favorevoli ad una proposta di iniziativa
legislativa formulate da Consigli comunali, gruppi di cittadini e
forze sociali, secondo le normali modalità di libera manifestazione
della dialettica politica. Inoltre, anche ad ammettere che il
referendum consultivo possa assumere un valore di indirizzo, esso
eserciterebbe comunque una forma di condizionamento nei confronti
della Regione che presenta il progetto, non certo del Parlamento che
lo riceve.
Con riguardo, infine, alla denunciata violazione, da parte della
legge impugnata, dell'art. 47 dello statuto veneto, la difesa
regionale sostiene che l'espressione "referendum su leggi e su
provvedimenti determinati" contenuta in tale articolo non potrebbe
essere riferita esclusivamente al referendum abrogativo di atti già
perfetti, ma consentirebbe forme di consultazione popolare
formalizzata anche su iniziative legislative ed amministrative
adottate o adottabili dalla Regione, ancorché esse siano relative ad
atti di contenuto e portata territorialmente non circoscritta
all'ambito regionale.
4. - Con memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica
la Regione Veneto, oltre a rinnovare le argomentazioni contenute
nell'atto di costituzione, ha svolto una più ampia riflessione sui
concetti di unità e indivisibilità della Repubblica, nella loro
relazione con il principio autonomistico, denunciando la persistenza
di una visione che concepisce forme di dialogo solo tra i supremi
organi dello Stato e trascura la possibilità di porre in rapporto
dialettico le diverse soggettività dell'ordinamento, siano o meno
titolari di potestà pubbliche. La previsione del referendum
consultivo regionale in discorso costituirebbe espressione di questa
vivifica tensione tra istanze dell'unità e istanze del pluralismo e
varrebbe a rendere più credibili, in quanto più legittimate,
iniziative legislative regionali di revisione costituzionale.
Conclusivamente la difesa regionale chiede alla Corte di rivedere
l'orientamento manifestato con la sentenza n. 470 del 1992 e di
respingere il ricorso governativo.
Ha depositato altresì memoria l'Avvocatura dello Stato, fuori
del termine previsto nell'art. 10 delle norme integrative per i
giudizi davanti a questa Corte, illustrandone tuttavia il contenuto
nella pubblica udienza.
Considerato in diritto
1. - Il giudizio in via principale promosso, con il ricorso in
epigrafe, dal Presidente del Consiglio dei Ministri, ha ad oggetto la
legge della Regione Veneto recante "Referendum consultivo in merito
alla presentazione di proposta di legge costituzionale per
l'attribuzione alla Regione Veneto di forme e condizioni particolari
di autonomia", approvata dal Consiglio regionale nella seduta del
23 aprile 1998 e riapprovata a maggioranza assoluta, a seguito del
rinvio governativo, l'8 ottobre 1998. A giudizio del ricorrente la
delibera legislativa impugnata, diretta ad indire un referendum
consultivo della popolazione veneta in "materia fondamentale di
revisione costituzionale", supererebbe i limiti costituzionali del
referendum consultivo regionale, ponendosi in contrasto con i
principi espressi negli articoli 1, 3, 5, 70, 71, 121, 123 e 138
della Costituzione, nonché con l'articolo 47 dello statuto della
Regione Veneto.
Richiamate le argomentazioni svolte da questa Corte nella
sentenza n. 470 del 1992, il ricorrente lamenta che la consultazione
popolare indetta dalla Regione con la legge impugnata, pur non
essendo produttiva di vincoli giuridici per l'organo al quale si
indirizza, verrebbe comunque ad assumere una indubbia valenza
politica, tale da orientare le successive fasi del procedimento di
formazione della legge statale e da condizionare scelte discrezionali
di spettanza di organi centrali. Inoltre, l'inserimento di un
referendum consultivo nella fase della iniziativa legislativa della
Regione in materia costituzionale darebbe luogo ad un aggravamento
procedurale, con ciò contrastando con la disciplina della revisione
posta nell'art. 138 Cost.
2. - La sopravvenuta modifica dell'articolo 123 della
Costituzione ad opera della legge costituzionale 22 novembre 1999,
n. 1 (Disposizioni concernenti l'elezione diretta del Presidente
della Giunta regionale e l'autonomia statutaria delle Regioni) non
altera i termini della questione, che è fondata in relazione a tutti
i parametri indicati, i quali, nel loro insieme e letti
sistematicamente, concorrono a definire la posizione costituzionale
del referendum in tutte le sue possibili varianti, come istituto di
democrazia diretta, nonché le forme e i limiti dell'intervento del
popolo nei procedimenti di produzione normativa di livello
costituzionale.
La partecipazione delle popolazioni locali a fondamentali
decisioni che le riguardano costituisce un principio di portata
generale che è connaturale alla forma di democrazia pluralista
accolta nella Costituzione repubblicana ed alla posizione di
autonomia riconosciuta agli enti territoriali nel Titolo V, Parte II,
della Costituzione (sentenza n. 453 del 1989). La possibilità di
concorrere alla determinazione delle scelte delle quali si è
destinatari, infatti, vivifica gli istituti della rappresentanza
offrendo agli organi politici e amministrativi l'opportunità di un
più stretto raccordo con le popolazioni amministrate.
Tra le forme giuridiche della partecipazione popolare si colloca
il referendum consultivo. Accanto alle ipotesi di cui agli artt. 132
e 133 della Costituzione di referendum consultivo obbligatorio per la
modificazione di enti territoriali, forme di consultazione popolare
facoltative, finalizzate alla espressione di pareri su questioni di
interesse sia regionale che locale o a conoscere l'orientamento delle
popolazioni interessate a determinati provvedimenti, sono previste in
numerose disposizioni statutarie e di legislazione regionale. Ad una
simile forma di partecipazione popolare intenderebbe riferirsi la
consultazione indetta dalla Regione Veneto con la legge impugnata.
3. - Questa Corte ha già riconosciuto il potere del Consiglio
regionale di presentare proposte di legge alle Camere anche in
materia di revisione costituzionale (sentenze nn. 256 del 1989 e 470
del 1992), osservando che l'art. 121, secondo comma, della
Costituzione non ha introdotto nei confronti di tale potere
limitazioni riferite alla forza, ordinaria o costituzionale,
dell'atto normativo che la Regione intenda proporre. Né sarebbe
possibile d'altra parte desumere limitazioni del genere, sia pure
indirettamente, dalla disciplina generale che l'art. 71 della
Costituzione ha posto in tema di soggetti legittimati all'esercizio
dell'iniziativa delle leggi dello Stato, ove non si opera alcun
riferimento alla forza dell'atto che viene proposto.
Inoltre, in relazione alla soggettività politica e
costituzionale della quale, nella nostra forma di Stato, sono
titolari le Regioni, è stato riconosciuto ad esse un interesse
qualificato ai contenuti di una riforma, come quella oggetto della
delibera legislativa oggi scrutinata, che riguarda l'assetto
istituzionale della Regione ed i suoi rapporti con lo Stato centrale
(sentenza n. 470 del 1992).
4. - Con la questione oggi all'esame di questa Corte non può
venire dunque nuovamente in considerazione il problema dei limiti
formali alla iniziativa legislativa attribuita ai Consigli regionali
dall'art. 121 Cost., poiché non v'è motivo di discostarsi
dall'univoco orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo
il quale tale iniziativa riguarda indubbiamente anche le leggi di
revisione. Ed è da ritenere connaturata a questo potere la
disciplina del procedimento, tutto interno all'ordinamento regionale,
che conduce alla formalizzazione dell'atto di iniziativa. La
questione è però se il potere di regolare il sub-procedimento
ricadente nella competenza regionale incontri limiti sistematici,
inerenti alla posizione costituzionale del popolo in relazione alla
revisione; se cioè il popolo stesso, sia pure nella sua più
limitata dimensione di corpo elettorale regionale e nella forma
partecipativa apparentemente più tenue, quale ricorre nei referendum
consultivi, possa essere chiamato a pronunciarsi su provvedimenti
intesi ad innovare all'ordinamento a livello costituzionale. Sotto
questo profilo, la finalità della legge impugnata non può essere
condivisa e si espone alle fondate censure dello Stato, per rendere
ragione delle quali non può prescindersi dalla definizione del ruolo
del referendum in genere e dalla sua collocazione nel sistema
costituzionale.
4.1. - È pacifico che il referendum abrogativo di cui
all'articolo 75 della Costituzione può avere ad oggetto leggi ed
atti con valore di legge, ma non può incidere su fonti di grado
costituzionale, poiché diversamente verrebbero compromessi il
principio di rigidità e la tipicità del procedimento di revisione
di cui all'art. 138. L'istanza protettiva delle fonti superiori è
così intensa, e così cogente è l'esigenza che l'abrogazione
popolare di leggi non raggiunga mai quel livello, che l'art. 2 della
legge costituzionale 11 marzo 1953 n. 1, ha istituito un apposito
giudizio preventivo di ammissibilità delle richieste di referendum
inteso a verificare non solo che esse non siano comprese nelle
materie esplicitamente sottratte dall'art. 75, secondo comma, della
Costituzione alla consultazione popolare, ma anche a controllare che
il referendum stesso si attenga ad un livello subordinato alla
Costituzione e alle altre fonti di rango costituzionale. Basti qui
richiamare la copiosa giurisprudenza di questa Corte, a partire dalla
sentenza n. 16 del 1978, sulle leggi ordinarie a contenuto
costituzionalmente vincolato che sono escluse dal referendum
abrogativo proprio ad impedire che la decisione popolare, dietro lo
schermo formale della legge ordinaria fatta oggetto di richiesta
referendaria, si diriga contro le corrispondenti norme
costituzionali, delle quali quelle leggi sono la sola possibile
attuazione.
Già quindi la semplice considerazione della collocazione del
referendum abrogativo, che pure, diversamente dai referendum
consultivi, interviene su un atto legislativo in vigore e dal
contenuto interamente determinato, in ordine al quale è più agevole
per l'elettore maturare un consapevole convincimento che non trasmodi
in manifestazione plebiscitaria, depone nel senso che nel nostro
sistema le scelte fondamentali della comunità nazionale, che
ineriscono al patto costituzionale, sono riservate alla
rappresentanza politica, sulle cui determinazioni il popolo non può
intervenire se non nelle forme tipiche previste dall'art. 138 della
Costituzione.
4.2. - La decisione politica di revisione è opzione rimessa in
primo luogo alla rappresentanza politico-parlamentare. L'art. 138,
secondo comma, della Costituzione non solo prevede un referendum
popolare sulla legge costituzionale come ipotesi meramente eventuale,
rimessa alla iniziativa di cinquecentomila elettori, cinque Consigli
regionali o un quinto dei membri di una Camera, ma, ad impedire che
l'intervento popolare sia svincolato dal procedimento parlamentare al
quale soltanto può conseguire, circoscrive entro limiti temporali
rigorosi l'esercizio del potere di iniziativa: tre mesi dalla
pubblicazione della legge di revisione sulla Gazzetta Ufficiale. Al
terzo comma, lo stesso articolo 138 preclude del tutto la
possibilità di un intervento popolare quando stabilisce che "non si
fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda
votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei
suoi componenti", con ciò confermando che la revisione
costituzionale è appunto, in primo luogo, potere delle Camere.
Non vuole dirsi con ciò che il dibattito relativo alla
modificazione delle norme più importanti per la vita della comunità
nazionale debba restare confinato nei luoghi istituzionali della
politica. Al contrario è opportuno che esso si diffonda nella
opinione pubblica e che fornisca alla discussione parlamentare
l'habitat culturale necessario ad affrontare un procedimento di
revisione. È però indubitabile che la decisione è dall'art. 138
rimessa primariamente alla rappresentanza politico-parlamentare.
All'interno del procedimento di formazione delle leggi costituzionali
il popolo interviene infatti solo come istanza di freno, di
conservazione e di garanzia, ovvero di conferma successiva, rispetto
ad una volontà parlamentare di revisione già perfetta, che, in
assenza di un pronunciamento popolare, consolida comunque i propri
effetti giuridici.
Se ne possono desumere due fondamentali proposizioni: la prima di
esse è che il popolo in sede referendaria non è disegnato dalla
Costituzione come il propulsore della innovazione costituzionale. La
seconda è che l'intervento del popolo non è a schema libero,
poiché l'espressione della sua volontà deve avvenire secondo forme
tipiche e all'interno di un procedimento, che, grazie ai tempi, alle
modalità e alle fasi in cui è articolato, carica la scelta politica
del massimo di razionalità di cui, per parte sua, è capace, e tende
a ridurre il rischio che tale scelta sia legata a situazioni
contingenti.
5. - Se, muovendo da questo quadro sistematico, si passa allo
scrutinio della legge impugnata, non è difficile rendersi conto che
essa, per il ruolo che pretende di assegnare alla popolazione
regionale in un procedimento che ha come suo oggetto e come suo fine
politico immanente il mutamento dell'ordinamento costituzionale,
incrina le linee portanti del disegno costituzionale proprio in
relazione ai rapporti tra l'istituto del referendum e la
Costituzione. È innanzitutto evidente che laddove il popolo, in sede
di revisione, può intervenire come istanza ultima di decisione e
nella sua totalità, esso è evocato dalla legge regionale nella sua
parzialità di frazione autonoma insediata in una porzione del
territorio nazionale, quasi che nella nostra Costituzione, ai fini
della revisione, non esistesse un solo popolo, che dà forma
all'unità politica della Nazione e vi fossero invece più popoli; e
quasi che, in particolare, al corpo elettorale regionale potesse
darsi l'opportunità di una doppia pronuncia sul medesimo quesito di
revisione: una prima volta, preventivamente, come parte scorporata
dal tutto, in fase consultiva, ed una seconda volta, eventuale e
successiva, come componente dell'unitario corpo elettorale nazionale,
in fase di decisione costituzionale. Né varrebbe affermare che nel
referendum consultivo in questione il corpo elettorale agirebbe come
espressione di autonomia politica e non come istanza di innovazione
costituzionale. Anche intesa nella sua accezione più lata,
l'autonomia non può infatti essere invocata per dare sostegno e
forma giuridica a domande referendarie che investono scelte
fondamentali di livello costituzionale. Non è quindi consentito
sollecitare il corpo elettorale regionale a farsi portatore di
modificazioni costituzionali, giacché le regole procedimentali e
organizzative della revisione, che sono legate al concetto di unità
e indivisibilità della Repubblica (art. 5 Cost.), non lasciano
alcuno spazio a consultazioni popolari regionali che si pretendano
manifestazione di autonomia.
6. - Per negare che la legge impugnata incida sui fondamenti del
sistema costituzionale e sulla posizione che in questo è attribuita
al referendum popolare, non varrebbe neanche l'obiezione che nel caso
presente si tratti soltanto di un referendum consultivo, privo di
effetti giuridici vincolanti. Sarebbe invero riduttivo esaminare la
vicenda della legge regionale in questione soltanto nell'ottica
dell'efficacia formale del referendum consultivo e limitarsi ad
osservare che da esso non scaturirebbe alcun imperativo cogente o
dovere giuridico inderogabile a carico del Consiglio regionale o
degli organi della revisione costituzionale. Non può essere
trascurato, poiché è materia di apprezzamento costituzionale, che
la rappresentanza regionale verrebbe comunque astretta ad un vincolo
politico la cui forza appare in grado di offuscare la prospettiva
puramente formale dell'ordine delle competenze interne alla Regione.
In questo caso, l'utilizzazione impropria di un istituto preordinato
a rinsaldare i legami tra rappresentanti e rappresentati e che
giammai potrebbe risolversi nella semplice manifestazione di opinioni
di cui si arricchisce la dialettica democratica, fa sì che
l'iniziativa revisionale della Regione, pur formalmente ascrivibile
al Consiglio regionale, appaia nella sostanza poco più che un
involucro nel quale la volontà del corpo elettorale viene raccolta e
orientata contro la Costituzione vigente, ponendone in discussione le
stesse basi di consenso. Ed è appunto ciò che non può essere
permesso al corpo elettorale regionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della
Regione Veneto, riapprovata l'8 ottobre 1998, recante "referendum
consultivo in merito alla presentazione di proposta di legge
costituzionale per l'attribuzione alla Regione Veneto di forme e
condizioni particolari di autonomia".
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 ottobre 2000.
Il Presidente: Mirabelli
Il redattore: Mezzanotte
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 14 novembre 2000.
Il direttore della cancelleria: Di Paola