Titolo
SENT. 403/97 A. ORDINAMENTO PENITENZIARIO - ISTANZA DI PERMESSO PREMIO - NON CONCEDIBILITA' A DETENUTO IMPUTATO PER DELITTO DOLOSO COMMESSO NEI DUE ANNI DI ESPIAZIONE DELLA PENA (O DI ALTRA MISURA RESTRITTIVA) PRECEDENTI LA COMMISSIONE DEL FATTO - LAMENTATA APPLICABILITA' DEL DIVIETO NEI CONFRONTI DEI MINORI DEGLI ANNI DICIOTTO SOTTOPOSTI A MISURE PENALI - PRETESA INGIUSTIFICATA PARITA' DI TRATTAMENTO TRA DETENUTI MINORI E ADULTI - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE PARZIALE.
Testo
E' costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 31, comma 2, Cost., l'art. 30-ter, comma 5, l. 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), introdotto dall'art. 9, l. 10 ottobre 1986, n. 663 (Modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), nella parte in cui si riferisce ai minorenni, in quanto - posto che e' stato piu' volte sottolineato come l'assoluta parificazione tra adulti e minori in materia di esecuzione delle pene nei confronti dei minori puo' confliggere con le esigenze di specifica individualizzazione e di flessibilita' del trattamento del detenuto minorenne - la disposizione impugnata compromette irrimediabilmente, in quanto applicata indifferenziatamente ai minori, le specifiche esigenze costituzionali che debbono informare il diritto penale minorile. - S. nn. 125/1992, 168/1994, 109 e 296/1997. red.: S. Di Palma
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 31
co. 2
Riferimenti normativi
legge
26/07/1975
n. 354
art. 30
ter
co. 5
legge
10/10/1986
n. 663
art. 9
co. 0
Titolo
SENT. 403/97 B. ORDINAMENTO PENITENZIARIO - ISTANZA DI PERMESSO PREMIO - NON CONCEDIBILITA' A DETENUTO IMPUTATO PER DELITTO DOLOSO COMMESSO NEI DUE ANNI DI ESPIAZIONE DELLA PENA (O DI ALTRA MISURA RESTRITTIVA) PRECEDENTI LA COMMISSIONE DEL FATTO - LAMENTATA APPLICABILITA' DEL DIVIETO NEI CONFRONTI DEI MINORI DEGLI ANNI DICIOTTO SOTTOPOSTI A MISURE PENALI - COMPRESSIONE DEL DIRITTO DI DIFESA E DELLA TUTELA DEI MINORI - INFONDATEZZA.
Testo
Non e' fondata, con riferimento all'art. 24 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 30-ter, comma 5, l. n. 354 del 1975 (divieto di concessione di permessi premio nei due anni che fanno seguito ad una condanna o ad una imputazione per un nuovo delitto doloso commesso durante l'espiazione della pena o l'esecuzione di una misura restrittiva della liberta' personale), in quanto la preclusione, per due anni, alla concessione di permessi premio non attiene all'accertamento del nuovo reato commesso durante l'esecuzione della pena o di una misura restrittiva della liberta', e dunque non compromette in alcun modo il diritto di difesa relativamente a tale nuovo fatto di reato (v. Massima A). - S. n. 296/97. red.: S. Di Palma
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 24
Riferimenti normativi
legge
26/07/1975
n. 354
art. 30
ter
co. 5
N. 403
SENTENZA 10-17 DICEMBRE 1997
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale
MARINI;
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 30-ter, comma
sesto, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento
penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative
della libertà), in relazione all'art. 79 della stessa legge,
promosso con ordinanza emessa il 20 gennaio 1997 dal tribunale per i
minorenni di Cagliari, iscritta al n. 121 del registro ordinanze 1997
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima
serie speciale dell'anno 1997;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 15 ottobre 1997 il giudice
relatore Valerio Onida.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un giudizio per l'impugnazione, promossa dal
pubblico ministero, del provvedimento di concessione di un permesso
premio ad un detenuto minorenne all'epoca del reato, il tribunale per
i minorenni di Cagliari ha sollevato d'ufficio, con ordinanza emessa
il 20 gennaio 1997, pervenuta a questa Corte il 3 marzo 1997,
iscritta al n. 121 del r.o. del 1997, questione di legittimità
costituzionale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 31, secondo
comma, e 24 della Costituzione, dell'art. 30-ter comma 6 (recte:
comma 5), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento
penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative
della libertà), articolo introdotto dall'art. 9 della legge 10
ottobre 1986, n. 663: si tratta della norma, in tema di permessi
premio, secondo cui "nei confronti dei soggetti che durante
l'espiazione della pena o delle misure restrittive hanno riportato
condanna o sono imputati per delitto doloso commesso durante
l'espiazione della pena o l'esecuzione di una misura restrittiva
della libertà personale, la concessione (del permesso premio) è
ammessa soltanto decorsi due anni dalla commissione del fatto".
Il giudice a quo premette in fatto che nella specie l'impugnazione,
da parte del pubblico ministero, del provvedimento che aveva concesso
il permesso premio, nonostante che il detenuto, minorenne all'epoca
del reato per cui fu condannato, risultasse indagato per il reato di
oltraggio, era fondata sulla circostanza che l'interessato era stato
rinviato a giudizio per detto reato di oltraggio, e dunque aveva
assunto qualità di imputato ai sensi dell'art. 60 del codice di
procedura penale; e osserva che la questione è rilevante, in quanto
la dichiarazione di incostituzionalità della disposizione impugnata
rimuoverebbe la causa ostativa della concessione del beneficio
richiesto.
In punto di non manifesta infondatezza, il remittente richiama
anzitutto la giurisprudenza di questa Corte (in particolare, sentenza
n. 125 del 1992) che ha sottolineato l'essenziale finalizzazione al
recupero che deve caratterizzare tutte le fasi del trattamento penale
del minore, ivi compresa quella di esecuzione della pena, ed ha
rilevato come la pura e semplice estensione ai detenuti minorenni
della disciplina generale dell'ordinamento penitenziario (disposta in
via provvisoria dall'art. 79 dell'ordinamento medesimo) contrasti con
le esigenze - discendenti dalla considerazione unitaria degli artt.
3, 27, terzo comma, 30 e 31 della Costituzione - del recupero e della
risocializzazione dei minori devianti, esigenze che comportano la
necessità di differenziare il trattamento dei minorenni rispetto ai
detenuti adulti.
Rileva poi che il rigido e indifferenziato divieto di concedere
permessi premio ad un minore che abbia commesso un reato durante
l'espiazione della pena urta contro i principi richiamati, e in
particolare viola l'art. 3 della Costituzione, in quanto si
disciplina in maniera identica la condizione penitenziaria di
soggetti tra loro profondamente diversi, nonché l'art. 31, primo
comma, della Costituzione, sulla protezione della gioventù, poiché
non si tiene conto della particolare finalità di reinserimento
sociale che deve avere la pena per i minori, nel cui programma di
trattamento è fondamentale la concessione dei permessi premio,
finalizzata alla cura degli interessi affettivi e dei contatti con il
mondo del lavoro e della scuola, allo scopo di permettere di
sviluppare la loro personalità in formazione.
Nell'ordinanza si osserva che la privazione automatica e non
discrezionale della possibilità di avere contatti con l'esterno per
tutta la durata della detenzione - posto che le pene inflitte ai
minorenni hanno normalmente una durata inferiore ai due anni - si
traduce in un ingiustificato arresto dei processi educativi attivati
ed in una immotivata esclusione della possibilità per il giudice
minorile di valutare caso per caso se la commissione del nuovo reato
sia significativa di una vera personalità deviante, o piuttosto un
fatto episodico. Ad avviso del giudice a quo, in sostanza, per i
minorenni le esigenze educative e di risocializzazione dovrebbero
necessariamente prevalere su quelle meramente custodialistiche,
afflittive e di tutela della collettività.
Infine, secondo il remittente, la norma in questione apparirebbe in
contrasto con la garanzia giurisdizionale di cui all'art. 24 della
Costituzione, in quanto lascerebbe unicamente al pubblico ministero
il potere di escludere dai permessi premio i detenuti rinviati a
giudizio per un nuovo reato, senza alcun controllo da parte del
giudice.
Il giudice a quo chiede pertanto che la norma impugnata sia
dichiarata in toto incostituzionale, "salvo che la Corte si voglia
limitare a dichiarare incostituzionale detto comma per la parte in
cui non prevede la sua inapplicabilità a coloro che espiano una pena
per reati commessi da minorenni".
2. - È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata in parte
inammissibile e in parte infondata.
L'Avvocatura osserva che questa Corte, nel ribadire che il fine del
recupero e del reinserimento deve caratterizzare l'esecuzione della
pena nei confronti dei minori, ha affermato che la scelta degli
adattamenti e dei correttivi alla disciplina ordinaria, richiesti
dalla specifica condizione minorile, spetta alla discrezionalità del
legislatore. Anche volendo ammettere che la parificazione fra adulti
e minori non sia conforme alle accennate esigenze di trattamento
differenziato, resterebbe il fatto che la differenziazione potrebbe
essere realizzata secondo diverse modalità, e non necessariamente
facendo cadere in toto il divieto di concessione dei permessi premio,
ma per esempio riducendo, per i minori, il periodo di durata del
divieto medesimo.
Considerato in diritto
1. - Il giudice remittente solleva in realtà due questioni,
logicamente subordinate l'una all'altra. La prima, più ampia,
riguarda il dubbio di illegittimità costituzionale dell'art. 30-ter,
comma 5 (erroneamente indicato come comma 6), della legge di
ordinamento penitenziario, sul divieto di concessione di permessi
premio nei due anni che fanno seguito ad una condanna o ad una
imputazione per un nuovo delitto doloso commesso durante l'espiazione
della pena o l'esecuzione di una misura restrittiva della libertà
personale: e tale dubbio, riferito all'intera portata normativa della
disposizione impugnata, si fonda sulla asserita violazione dell'art.
24 della Costituzione, in relazione alla circostanza che il divieto
in parola opera a seguito della sola richiesta di rinvio a giudizio
per il nuovo reato, senza controllo da parte del giudice. La seconda
questione, più ristretta, riguarda la censura mossa alla stessa
norma, ma nella sola parte in cui si applica ai detenuti per reati
commessi durante la minore età: e i parametri indicati a questo
proposito sono gli artt. 3, primo comma, e 31, secondo comma, della
Costituzione, in quanto verrebbe contraddetta la preminente finalità
di risocializzazione che deve caratterizzare l'esecuzione della pena
nei confronti del minore.
2. - La prima questione è infondata.
Questa Corte ha già esaminato una analoga questione, in cui si
denunciava l'automatismo dell'esclusione in esame sotto i profili
della asserita violazione del principio di eguaglianza, di quello di
presunzione di non colpevolezza, del principio di rieducatività
della pena e di quello di soggezione del giudice soltanto alla legge,
e l'ha dichiarata non fondata, con la sentenza n. 296 del 1997.
In particolare, la Corte ha osservato che "la presunzione di non
colpevolezza è (...) coessenzialmente legata al fatto di reato per
cui è stata elevata la nuova imputazione e non può essere estesa ad
aspetti che nel caso di specie concernono il trattamento
penitenziario conseguente al delitto per cui è in corso l'esecuzione
della pena", non potendosi ritenere vulnerato l'art. 27, secondo
comma, "tutte le volte in cui vi sia un effetto collegato, non
irragionevolmente, o all'esercizio dell'azione penale o alla
pronuncia di sentenza di condanna non ancora passata in giudicato"
(n. 5 del Considerato in diritto); che non ogni automatismo, quando
non determini una esclusione assoluta o definitiva da un beneficio,
compromette l'osservanza dell'art. 27, terzo comma, della
Costituzione, onde può giustificarsi una preclusione di questa
fatta, purché "ci si trovi di fronte, ovviamente, ad un procedimento
penale che, per quanto non ancora pervenuto alla pronuncia giudiziale
definitiva, implichi la presa di contatto del pubblico ministero con
il giudice"; e che la funzione rieducativa della pena non risulta
compromessa "quando la preclusione sia inquadrata nel presupposto di
quella regolare condotta del condannato che è essenziale per la
concedibilità di permessi premio" (n. 7 del Considerato in diritto):
pur concludendo poi con un invito al legislatore a rivedere
l'automatismo in questione, in relazione alle tipologie di delitti
"la cui commissione effettivamente comprometta il giudizio sulla
regolarità della condotta e, conseguentemente, faccia presumere la
pericolosità del condannato", nonché in relazione "alla
indifferenziata durata del periodo di esclusione dal beneficio"
(ibidem).
In quella occasione la norma era stata denunciata anche sotto il
profilo della violazione dell'art. 24 della Costituzione, ma senza
alcuna argomentazione sul punto, così che questa Corte non dovette
occuparsene espressamente. Tuttavia le richiamate motivazioni,
impiegate per negare la fondatezza degli altri profili indicati,
valgono in sostanza anche ad escludere la violazione dell'art. 24.
Infatti la preclusione, per due anni, alla concessione di permessi
premio non attiene all'accertamento del nuovo reato commesso durante
l'esecuzione della pena o di una misura restrittiva della libertà, e
dunque non compromette in alcun modo il diritto di difesa
relativamente a tale nuovo fatto di reato. Essa piuttosto rappresenta
il frutto di una sorta di presunzione legale di assenza del requisito
della regolarità della condotta, richiesto per la concessione dei
permessi premio, ai sensi dell'art. 30-ter, comma 1, dell'ordinamento
penitenziario, presunzione legata, non irragionevolmente, alla
circostanza di fatto della avvenuta imputazione di un nuovo delitto
doloso commesso durante l'esecuzione della pena o della misura
restrittiva di libertà; né è vietato, in generale, al legislatore
far discendere dalla pendenza di un nuovo procedimento penale
conseguenze, non irragionevoli, in ordine alla concessione di
benefici penitenziari.
3. - È viceversa fondata la questione concernente il contrasto con
gli artt. 3 e 31, secondo comma, della Costituzione, della norma
denunciata nella parte in cui si applica ai detenuti di età minore.
Tale applicabilità consegue, come si sa, al fatto che il
legislatore non ha ancora provveduto a dettare una specifica
disciplina per quanto concerne l'esecuzione delle pene nei confronti
dei minori, onde continua a valere l'estensione ai minorenni -
considerata dallo stesso legislatore provvisoria - della disciplina
stabilita dall'ordinamento penitenziario generale (art. 79 della
legge n. 354 del 1975).
Questa Corte ha più volte sottolineato come l'assoluta
parificazione tra adulti e minori in questa materia possa confliggere
con le esigenze di specifica individualizzazione e di flessibilità
del trattamento del detenuto minorenne (sentenze nn. 125 del 1992,
109 del 1997). Ora, nel caso dell'art. 30-ter, comma 5, proprio tale
contrasto si verifica.
Il rigido automatismo dell'esclusione, legata alla imputazione di
qualsiasi delitto doloso commesso durante l'espiazione della pena o
l'esecuzione della misura restrittiva, e che impedisce qualsiasi
valutazione, da parte del giudice, della condotta del minore, e
qualsiasi prognosi individualizzata circa la idoneità e la efficacia
risocializzante, in concreto, della misura; la durata indifferenziata
dell'esclusione, tale da comportare in effetti, nella più parte dei
casi - data la durata più breve generalmente propria delle pene
inflitte ai minori - l'impossibilità di concedere permessi premio
lungo l'intero arco dell'esecuzione della pena; la conseguente
impossibilità di utilizzare nei riguardi del condannato minore uno
strumento (il permesso premio) spesso insostituibile per evitare che
la detenzione impedisca del tutto di coltivare interessi affettivi,
culturali o di lavoro (art. 30-ter, comma 1) - tanto che, non a
caso, lo stesso legislatore ha ampliato, nei riguardi dei condannati
minorenni, sia la durata massima dei singoli permessi, portata a
venti giorni, sia la durata complessiva consentita nell'anno, portata
a sessanta giorni (art. 30-ter comma 2) -, e dunque impedisca di
perseguire efficacemente quel progressivo reinserimento armonico
della persona nella società, che costituisce l'essenza della
finalità rieducativa, assolutamente preminente nell'esecuzione
penale minorile (sentenze n. 168 del 1994, n. 109 del 1997): tutto
ciò conduce a ritenere irrimediabilmente compromesse, dalla norma in
questione in quanto applicata indifferenziatamente ai minori, le
specifiche esigenze costituzionali che debbono informare il diritto
penale minorile.
Il venir meno dell'esclusione automatica, prevista da tale norma,
non esclude, ovviamente, che la condanna o l'imputazione per il nuovo
delitto sia valutata dal giudice sotto il profilo della regolarità
della condotta, presupposto di carattere generale per la concessione
del permesso premio, ai sensi dell'art. 30-ter, comma 1,
dell'ordinamento penitenziario.
4. - La norma denunciata deve dunque essere dichiarata
costituzionalmente illegittima nella parte in cui è applicabile nei
confronti dei minori. Conseguentemente, ai sensi dell'art. 24, commi
1 e 2, del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 272, recante le norme di
attuazione del processo penale a carico di imputati minorenni, essa
sarà inapplicabile anche nei confronti di coloro per i quali il
citato art. 24 stabilisce che le pene e le misure cautelari si
eseguano "secondo le norme e con le modalità prescritte per i
minorenni".
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 30-ter, comma 5, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme
sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure
privative e limitative della libertà), introdotto dall'art. 9 della
legge 10 ottobre 1986, n. 663 (Modifiche alla legge sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative
della libertà), sollevata, in riferimento all'art. 24 della
Costituzione, dal tribunale per i minorenni di Cagliari, con
l'ordinanza indicata in epigrafe;
Dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 30-ter, comma
5, della legge 26 luglio 1975, n. 354, introdotto dall'art. 9 della
legge 10 ottobre 1986, n. 663, nella parte in cui si riferisce ai
minorenni.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1997.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Onida
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1997.
Il direttore della cancelleria: Di Paola