Titolo
SENT. 103/91 A. TRIBUTI IN GENERE - IMPOSTA COMUNALE PER L'ESERCIZIO DI ARTI E PROFESSIONI (I.C.I.A.P.) - QUESTIONE DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE SULLE NORME APPLICABILI NEL 1989 - ECCEZIONE DI INAMMISSIBILITA' PER IL TESTUALE RIFERIMENTO DELLA ORDINANZA DI RIMESSIONE ANCHE ALLE SUCCESSIVE NORME MIGLIORATIVE NON APPLICABILI NEL GIUDIZIO A QUO - REIEZIONE.
Testo
Poiche' il contesto dell'ordinanza con cui nel caso di specie e' stata sollevata la questione di legittimita' costituzionale dell'I.C.I.A.P., appare inequivocabilmente circoscritto alle disposizioni applicabili solo per l'anno 1989 (artt. 1 e 2 d.l. 1 marzo 1989, n. 66, e relativa legge di conversione) e' da escludere che per avere il giudice a quo denunciato tali disposizioni "cosi' come modificate dalla legge 27 novembre 1989, n. 344" (recte: "384"), l'incidente possa intendersi riferito anche alle successive norme migliorative dalla legge stessa introdotte.
Riferimenti normativi
decreto-legge
02/03/1989
n. 66
art. 0
co. 0
legge
24/04/1989
n. 144
art. 0
co. 0
decreto-legge
30/09/1989
n. 332
art. 0
co. 0
legge
27/11/1989
n. 384
art. 0
co. 0
Titolo
SENT. 103/91 B. GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE - PRETESO DIFETTO DI GIURISDIZIONE DELL'AUTORITA' RIMETTENTE - SINDACABILITA' DA PARTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE QUANDO LA GIURISDIZIONE SIA STATA AFFERMATA DALLO STESSO GIUDICE - ESCLUSIONE - FATTISPECIE: LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE DELL'I.C.I.A.P..
Testo
L'avere il collegio rimettente espressamente affermato in causa la propria giurisdizione e' bastevole, per la finalita' del processo costituzionale, a dare ingresso alla successiva disamina del merito. (Nella specie, la questione di legittimita' costituzionale, riguardante l'I.C.I.A.P., era stata sollevata dopo che il giudice rimettente (Tribunale di Napoli) aveva dichiarato con sentenza non definitiva la propria giurisdizione nel processo a quo). - Sulla giurisprudenza costante, secondo cui una questione di legittimita' costituzionale possa essere dichiarata inammissibile per carenza di potere del giudice a quo solo quando il difetto di giurisdizione sia evidente e incontestabile: S. n. 414/1989.
Titolo
SENT. 103/91 C. TRIBUTI IN GENERE - IMPOSTA COMUNALE PER L'ESERCIZIO DI IMPRESE, ARTI E PROFESSIONI (I.C.I.A.P.) - MISURA - POSSIBILITA' DI ISTITUZIONE DI ALIQUOTE DIVERSE FRA COMUNE E COMUNE - CONSEGUENTE DISOMOGENEITA' NEL SISTEMA IMPOSITIVO - IRRAZIONALITA' - ESCLUSIONE - NON FONDATEZZA DELLA QUESTIONE.
Testo
Poiche' gli enti locali impositori godono di autonomia e possono esercitarla, nelle loro scelte, con valutazioni diverse a seconda delle rispettive differenti situazioni ambientali, variabili da territorio a territorio, non puo' essere ritenuta irrazionale la possibilita' di fissazione di aliquote diverse fra comune a comune al fine di determinare la misura della imposta comunale per l'esercizio di arti, professioni e imprese (I.C.I.A.P.) - (Non fondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 d.l. 2 marzo 1989, n. 66, conv. in l. 24 aprile 1989, n. 144, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.). - S. n. 159/1985.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 53
Riferimenti normativi
decreto-legge
02/03/1989
n. 66
art. 2
co. 0
legge
24/04/1989
n. 144
art. 0
co. 0
Titolo
SENT. 103/91 D. TRIBUTI IN GENERE - IMPOSTA COMUNALE PER L'ESERCIZIO DI IMPRESE E DI ARTI E PROFESSIONI (I.C.I.A.P.) - CAPACITA' CONTRIBUTIVA DESUNTA UNICAMENTE DALLA SUPERFICIE UTILIZZATA PER L'ATTIVITA' - PRESUNZIONE TRIBUTARIA PREVISTA FUORI DEI CASI CONSENTITI - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE.
Testo
Le presunzioni tributarie intanto possono legittimamente operare quali rivelatrici di ricchezza in quanto restino collegate in qualche modo a elementi concreti di redditivita' ancorche' di non semplice accertamento. L'applicazione del tributo che ne deriva non puo' infatti riposare su basi del tutto incontrollabili per i fini che si ripropongono, quando non addirittura fittizie. Nel caso di specie, invece, il riferimento, quale indice per l'assoggettamento all'imposta comunale per l'esercizio di arti e professioni e di imprese, unicamente alla superficie dei locali adibiti a tali attivita', risulta privo di qualsivoglia collegamento o riscontro rispetto al volume d'affari conseguito. Deve pertanto essere dichiarata la illegittimita' costituzionale dell'art. 1 d.l. 2 marzo 1989, n. 66, conv. in legge 24 aprile 1989, n. 144, nella parte in cui - relativamente all'applicazione per l'anno 1989 dell'imposta suddetta, non consente ai soggetti d'imposta di fornire alcuna prova contraria in ordine alla propria effettiva redditivita'. - Sulle presunzioni tributarie: S. nn. 42/1980 e 283/1987.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 53
Riferimenti normativi
decreto-legge
02/03/1989
n. 66
art. 1
co. 0
legge
24/04/1989
n. 144
art. 0
co. 0
N. 103
SENTENZA 27 FEBBRAIO-11 MARZO 1991
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: prof. Ettore GALLO;
Giudici: dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott.
Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI,
dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 del
decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66 (Disposizioni urgenti in materia di
autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale)
convertito in legge 24 aprile 1989, n. 144, promossi con ordinanze
emesse il 22 dicembre 1989 dal Tribunale di Napoli, il 17 gennaio
1990 (con tre ordinanze), dal Tribunale amministrativo regionale per
l'Umbria, iscritte rispettivamente ai nn. 671, 717, 726 e 739 del
registro ordinanze 1990 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 44, 49 e 50, prima serie speciale dell'anno 1990;
Visto l'atto di costituzione di Guerrieri Luigi ed altri nonché
gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 12 febbraio 1991 il Giudice
relatore Giuseppe Borzellino;
Udito l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.1 - Nel corso di un procedimento civile promosso da
professionisti per l'accertamento negativo dell'obbligo tributario in
relazione alla I.C.I.A.P. (imposta comunale per l'esercizio di
imprese e di arti e professioni), il Tribunale di Napoli (ord. n. 671
del 22 dicembre 1989), dichiarata con sentenza non definitiva la
giurisdizione del giudice ordinario, ha sollevato questione di
legittimità costituzionale "degli artt. da 1 a 2 della legge 24
aprile 1989, n. 144" (recte decreto-legge 11 marzo 1989, n. 66,
convertito in legge con modificazioni, 24 aprile 1989, n. 144,
istitutivo della imposta comunale per l'esercizio di arti e
professioni e di imprese), nella parte in cui, quale parametro e indice di rilevazione della capacità contributiva, si assume la
superficie dei locali utilizzati per l'esercizio di una professione,
di un'arte e di un'impresa, senza consentire prova contraria, in
riferimento all'art. 53 Cost., nonché nella parte in cui è
attribuita all'ente impositore (Comune) la facoltà di aumentare o
ridurre discrezionalmente la misura base dell'importo consentendo di
colpire con aliquote non omogenee attività identiche, esercitate in
Comuni diversi, in riferimento all'art. 3 Cost.
Il Collegio a quo deduce che il dato obiettivo della superficie
dei locali utilizzati è "illogico" indice rivelatore della capacità
contributiva, desumibile viceversa "dalla qualità e quantità della
clientela, dall'abitualità della stessa, dalla competenza
professionale del titolare e dei suoi collaboratori,
dall'organizzazione dell'attività e del servizio".
1.2 - È intervenuta in giudizio, per il Presidente del Consiglio
dei ministri, l'Avvocatura generale dello Stato che ha in primo luogo
eccepito l'inammissibilità della questione. Si osserva infatti che
il Tribunale ha sollevato la questione sulla normativa "così come
mod. dal decreto-legge 30 settembre 1989 n. 332": ma tale
provvedimento si applicherebbe "dall'anno 1990", mentre la
fattispecie oggetto del giudizio a quo concerne la denuncia
I.C.I.A.P. 1989.
L'inammissibilità della questione deriverebbe anche dal difetto
di giurisdizione dell'A.G.O. ex art. 20 del d.P.R. 26 ottobre 1972
n. 638 (richiamato dall'art. 4, ottavo comma, decreto-legge 2 marzo
1989 n. 66).
Nel merito la questione sarebbe infondata. In primo luogo perché
il legislatore avrebbe attribuito circoscritte potestà impositive
agli enti locali proprio per accrescerne l'autonomia. E poi nell'area
tributaria molti sarebbero gli elementi, gli indicatori di capacità
contributiva tenuti presenti dal legislatore al quale la Costituzione
lascia in merito ampia discrezionalità. L'esercizio di un'impresa o
di una professione sarebbe "di per sé indice rivelatore di
ricchezza", e il dato relativo alla "superficie utilizzata"
renderebbe ancora più concreto detto indice, rivelando la dimensione
dell'attività esercitata.
In definitiva, sarebbe stata scelta la soluzione di un tributo
(I.C.I.A.P.) "ipersemplificato e un po' rozzo", in considerazione
della modesta entità media del tributo; della sua attribuzione alla
finanza locale non dotata di uffici attrezzati; dell'esigenza di non
caricare il "presupposto-reddito" di ulteriori compiti di rivelatore
di ricchezza.
Infatti, "affidare solo all'IRPEF il compito di attuare l'art. 53
comma secondo Cost." comporterebbe "inevitabilmente una riduzione
dell'effettività del sistema".
2.1 - Con tre ordinanze di pari data (717, 726, 739 del 17 gennaio
1990), il T.a.r. per l'Umbria ha sollevato questione incidentale di
legittimità costituzionale degli stessi artt. 1 e 2 decreto-legge 2
marzo 1989, n. 66 conv. in legge 24 aprile 1989 n. 144, nella parte
in cui, identicamente, fanno irrazionale riferimento, per determinare
la misura del tributo, alla superficie dell'immobile utilizzato e
affidano all'Ente impositore la determinazione della misura
dell'imposta tra il minimo ed il massimo stabilito nella tabella
allegata alla legge, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.
Le ordinanze, che ripetono gli argomenti indicati sub 1.1,
risultano emesse nel corso di giudizi promossi avverso la delibera
(27 febbraio 1989 n. 733) della Giunta del Comune di Perugia (ord. n.
717 e 739), nonché (ord. n. 726) avverso la delibera consiliare del
Comune di Pietralunga (31 marzo 1989, n. 14), con le quali, in
applicazione di quanto disposto dalla normativa sull'I.C.I.A.P., è
stata fissata nel massimo la misura del tributo dovuto.
2.2 - Si sono costituiti taluni ricorrenti osservando che le
modifiche migliorative apportate dal decreto-legge 30 settembre 1989
n. 332, conv. nella legge 27 novembre 1989 n. 384, ma a decorrere dal
1990, dimostrerebbero l'indubbia incostituzionalità della normativa
precedente, corretta nel senso di consentire prova in adverso,
nonché spettare ai Comuni solo la facoltà di ridurre o elevare,
entro certi limiti, i livelli di reddito per determinate riduzioni o
aumenti della misura dell'imposta.
In particolare, si insiste per l'incostituzionalità dell'art. 1,
sesto comma, decreto-legge n. 66 in quanto riferisce il prelievo ad
una (pretesa) manifestazione di capacità contributiva non effettiva,
in contrasto con l'art. 53 Cost. e con la relativa giurisprudenza
costituzionale.
2.3 - L'Avvocatura dello Stato, intervenuta nei tre giudizi, ha
dedotto l'inammissibilità della questione sotto il profilo che
"l'eventuale accoglimento del ricorso (annullamento della delibera
con cui si stabilisce la misura massima del tributo) condurrebbe
soltanto alla applicazione dell'I.C.I.A.P. nella misura minima, non
alla totale esclusione della debenza del tributo (argomento
quest'ultimo sul quale ha giurisdizione, dopo fase amministrativa, il
Giudice ordinario)".
In ordine all'infondatezza vengono richiamati gli argomenti
dedotti sub 1.2.
Considerato in diritto
1. - Le ordinanze concernono una identica questione: i relativi
giudizi vanno riuniti, in conseguenza, per formare oggetto di
un'unica pronuncia.
2.1 - Il Tribunale di Napoli, chiamato a pronunciarsi per
l'accertamento negativo di obbligo tributario da parte di soggetti
colpiti dall'imposta comunale per l'esercizio di arti e professioni e
di imprese, dubita della legittimità costituzionale degli artt. 1 e
2 della legge 24 aprile 1989, n. 144 (recte decreto-legge 1° marzo
1989, n. 66 convertito in legge, con modificazioni, 24 aprile 1989,
n. 144) recante disposizioni urgenti in materia di autonomia
impositiva degli enti locali e di finanza locale, per contrasto con
gli articoli 3 e 53 della Costituzione.
Con le riferite norme si è istituita, e a decorrere dall'anno
1989, l'imposta di cui trattasi: la relativa misura è rimessa
all'ente locale interessato, con possibilità di fissazione di
aliquote diverse tra Comune e Comune per attività identiche e
conseguente asserita irrazionale disomogeneità del sistema
impositivo. Sistema poi che fa derivare il prelievo unicamente dal
dato oggettivo della superficie dei locali usufruiti con
disarticolazione da qualsivoglia indice reddituale, rivelatore,
cioè, di capacità contributiva. Né resta in tal modo consentito ai
soggetti della obbligazione tributaria di fornire prova contraria.
2.2 - Analoghe argomentazioni sono svolte dal Tribunale
amministrativo dell'Umbria su ricorsi avverso le deliberazioni
comunali di fissazione, nel massimo, dell'aliquota di prelievo
dell'imposta.
3. - L'inammissibilità della questione proposta dal Tribunale di
Napoli (supra 2.1) è sostenuta dall'Avvocatura generale dello Stato
sotto un duplice profilo:
a) ancorché si verta in causa sui criteri di applicabilità
delle norme per l'anno 1989, l'incidente avrebbe riferimento anche a
norme migliorative successive in vigore dal 1990, avendo il giudice a
quo denunciato le precedenti disposizioni "così come modificate
dalla legge 27 novembre 1989, n. 344" (recte decreto-legge 30
settembre 1989, n. 332 - Misure fiscali urgenti - convertito in
legge, con modificazioni, 27 novembre 1989, n. 384);
b) nei termini della dedotta pretesa, così come
processualmente introdotta, il giudice ordinario difetterebbe di
giurisdizione.
Entrambe le censure non hanno pregio: non la prima perché il
contesto dell'ordinanza di rimessione appare inequivocamente
circoscritto alle disposizioni applicabili solo per l'anno 1989
(artt. 1 e 2 d.-l. 1° marzo 1989, n. 66 e relativa legge di
conversione). Quanto poi alla seconda eccezione, il Collegio
remittente ha espressamente affermato in causa la propria
giurisdizione, il che è bastevole, per le finalità del processo
costituzionale, a dare ingresso alla successiva disamina del merito
(cfr. sentenza n. 414 del 1989).
Tali conclusioni consentono di affrontare nel merito le questioni
anche nella prospettiva degli incidenti sollevati dal Tribunale
amministrativo dell'Umbria (supra 2.2), restando ininfluente la
relativa eccezione posta dall'Avvocatura.
4. - Viene dapprima all'esame l'assunta disomogeneità di
deliberazione, da Comune a Comune, per situazioni identiche. La
questione non è fondata.
La Corte ha già avuto modo di considerare che si è di fronte, in
casi del genere, alle inevitabili conseguenze del fatto che gli enti
locali impositori godono di autonomia e possono esercitarla, nelle
loro scelte, con valutazioni diverse a seconda delle rispettive
differenti situazioni ambientali che sono variabili da territorio a
territorio, senza che tanto abbia, e per ciò solo, a comportare
censura (cfr. sentenza n. 159 del 1985).
5. - Fondata è la questione attinente al riferimento, quale indice per l'assoggettamento all'imposta, unicamente alla superficie
dei locali adibiti all'esercizio di attività.
Giova ricordare all'uopo che le presunzioni tributarie, e di ciò
in effetti si tratta, intanto possono legittimamente operare quali
rivelatrici di ricchezza in quanto restino collegate in qualche modo
a elementi concreti di redditività ancorché di non semplice
accertamento. In altri termini, l'applicazione del tributo che ne
deriva non può riposare su basi del tutto incontrollabili per i fini
che si ripropongono, quando non addirittura fittizie (sentenze n. 42
del 1980 e n. 283 del 1987).
E infatti, per ciò che attiene all'odierno esame, il parametro è
stato inteso come rapporto unico - in assoluto - di causa ed effetto
rispetto al volume d'affari conseguito, essendo in ordine a questo
privo di qualsivoglia collegamento o riscontro.
Né vale obiettare, come fa l'Avvocatura, che si tratterebbe di un
sistema originato da necessità di ipersemplificazione, essendo
contraddetta l'asserzione stessa dalla immediata introduzione di
correttivi, a valere tuttavia dal successivo anno 1990.
Conclusivamente la presunzione di cui trattasi, in quanto preclusiva
di prova
in adverso, è insuscettibile, per la irrazionalità che ne deriva,
di porsi come fonte rivelatrice di una concreta capacità
contributiva.
Al che consegue l'accoglimento.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 del
decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66 (Disposizioni urgenti in materia di
autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale)
convertito in legge, con modificazioni, 24 aprile 1989, n. 144, nella
parte in cui - relativamente all'applicazione per l'anno 1989
dell'imposta comunale per l'esercizio, nel territorio del Comune, di
arti e professioni e di imprese - non consente ai soggetti d'imposta
di fornire alcuna prova contraria in ordine alla propria effettiva
redditività;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 2 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66 (Disposizioni
urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di
finanza locale) convertito in legge, con modificazioni, 24 aprile
1989, n. 144, per la parte in cui è attribuito ai Comuni, nei
confronti dell'imposta comunale per l'esercizio di arti e professioni
e di imprese, il potere di determinarne la misura, sollevata dal
Tribunale di Napoli nonché dal Tribunale amministrativo regionale
dell'Umbria, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, con
le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 febbraio 1991.
Il Presidente: GALLO
Il redattore: BORZELLINO
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria l'11 marzo 1991.
Il direttore della cancelleria: MINELLI