Ritenuto in fatto:
1. - In un procedimento civile, vertente tra Nazzareno Properzi e
l'INAIL ed avente ad oggetto la misura della rendita vitalizia
spettante al primo in dipendenza da pregresso infortunio subito sul
lavoro, il tribunale di Macerata, con ordinanza 9 ottobre 1970-dopo
aver escluso che l'attore, la cui domanda era risultata infondata,
potesse fruire del beneficio di cui all'art. 57 della legge n. 153 del
1969 (esonero dal pagamento delle spese di lite, in caso di soccombenza
in giudizi promossi dal lavoratore per ottenere prestazioni
previdenziali od assistenziali), inquantoché la norma cennata,
introdotta come "comma aggiunto" dell'art. 128 della c.d. legge
istitutiva dell'INPS (r.d.l. 1935 n. 1827), non era, conseguentemente,
suscettibile di applicazione in controversie promosse contro l'INAIL -
ha, di ufficio, sollevato questione di legittimità costituzionale del
medesimo art. 57, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
2. - Nella motivazione del provvedimento indicato, il primo dei due
denunziati profili di incostituzionalità è fatto discendere dalla
constatazione della disparità di trattamento che, in materia di
regolamento delle spese di lite, si trova ingiustificatamente ad essere
operato tra lavoratori assicurati presso l'INPS e lavoratori assicurati
presso l'INAIL; mentre la violazione dell'art. 24 della Costituzione
dipende, poi, da una non meglio specificata vulnerazione del diritto di
difesa dei lavoratori (assicurati INAIL), in quanto esclusi dal detto
beneficio di cui all'art. 57.
3. - Ritualmente notificata, comunicata e pubblicata l'ordinanza de
qua ed apertosi il giudizio innanzi a questa Corte, si sono in esso
costituiti il Properzi e l'INAIL e vi ha, inoltre, spiegato intervento
il Presidente del Consiglio dei ministri.
4. - Nelle proprie deduzioni e nelle successive memorie
illustrative, il Properzi, sul punto (logicamente preliminare)
dell'interpretazione dell'art. 57, ha svolto la tesi (opposta a quella
da cui ha preso le mosse il tribunale) della portata generale dell'art.
57 e della sua naturale estensione alle controversie nei confronti di
qualsiasi istituto di previdenza od assistenza (compreso, quindi,
l'INAIL), adducendo un triplice ordine di argomentazioni, incentrate:
a) sull'uso - fatto dal legislatore, nell'art. 57 appunto - delle
espressioni "istituti di previdenza od assistenza" e "prestazioni
previdenziali od assistenziali", al plurale e senza alcuna
specificazione o discriminazione;
b) sull'esistenza, d'altra parte, nella legge 1969 n. 153, anche
di altre disposizioni (quali, ad esempio, gli artt. 12, 35, 65, 66)
travalicanti il settore dell'assicurazione INPS e riferite agli
istituti di assicurazione obbligatoria in generale;
c) sulla tendenza della stessa legge nel suo complesso ad
interessare l'intero sistema della sicurezza sociale, come desumibile
dal titolo della medesima: "Revisione degli ordinamenti pensionistici e
norme in materia di sicurezza sociale".
Onde ha concluso, in via principale, escludendo che la norma
denunziata, rettamente intesa nella sua portata estensiva, realizzi
alcuna disparità di trattamento tra lavoratori assicurati presso
questo o quello istituto previdenziale (a tutti avendo, senza
distinzione, garantito il medesimo beneficio di esonero dalle spese);
ed instando, solo in via subordinata - in ipotesi di adesione della
Corte ad altra opposta interpretazione della norma in discussione -,
per la declaratoria di fondatezza della questione di legittimità
costituzionale come dal tribunale sollevata.
5. - L'INAIL, da parte sua - premessa la propria adesione alla tesi
restrittiva espressa dal tribunale di Macerata (a sostegno della quale
ha svolto ulteriori argomentazioni desunte, per un verso, dal carattere
eccezionale dell'art. 57 legge 1969 n. 153, rispetto al principio
racchiuso nell'art. 91 c.p.c., ed al conseguente divieto di sua
applicazione analogica; e, per altro verso, dal fatto che la materia
del regolamento delle spese, nei giudizi interessanti esso INAIL,
trovava autonoma e non innovata disciplina negli artt. 45 r.d. 1935 n.
1827 e 110 d.P.R. 1965 n. 1124) - ha contestato, poi, la fondatezza
delle dedotte censure all'ipotizzato contrasto della norma in parola
con l'art. 3 della Costituzione, osservando che la lamentata diversità
di trattamento giuridico tra assicurati INPS ed assicurati INAIL trova
radice e logica giustificazione nelle differenze ontologicamente
ravvisabili tra l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le
varie forme previdenziali, con riferimento sia alla funzione della
particolare assicurazione (che, nel primo caso, più che di assistenza
o previdenza, avrebbe carattere risarcitorio), sia al modo di
finanziamento dello Stato ecc.
Aggiunge l'INAIL che, proprio in materia di spese giudiziali, il
legislatore, già in precedenza aveva - in dipendenza delle illustrate
diversità ravvisabili tra le due gestioni assicurative - adottato
norme differenziate e particolari rispettivamente per l'assicurazione
INPS e per l'assicurazione contro gli infortuni: introducendo, ad
esempio, l'art. 125 r.d. 1924 n. 1422, che, in deroga all'art. 90
c.p.c., per i soli giudizi proposti contro l'INPS, pone in ogni caso a
carico dell'istituto l'onere di anticipazione delle spese di consulenza
tecnica.
Quanto al secondo prospettato profilo di illegittimità, per
contrasto con l'art. 24 della Costituzione, l'infondatezza della
questione sarebbe, poi, secondo l'Istituto, ancor più trasparente, non
vedendosi come possa dirsi violato il diritto dell'assicurato di agire
in giudizio, per il riconoscimento delle prestazioni in suo favore
previste in caso di infortunio professionale, per il solo fatto che non
gli sia concesso il privilegio di non rimborsare, in caso di
soccombenza, le spese all'istituto assicuratore ingiustamente
convenuto.
Infine - ha concluso l'INAIL - ove la Corte, disattendendo tutte le
sin'ora offerte argomentazioni, ritenesse di attribuire portata
generale all'art. 57, riferendone la sfera di operatività anche ad
esso INAIL, non potrebbe esimersi dall'esaminare la rispondenza della
norma in questione ai principi contenuti proprio negli artt. 24 e 3
della Costituzione: sotto il diverso profilo, però, della violazione
del diritto alla tutela giurisdizionale dell'ente gestore
dell'assicurazione e dell'alterazione della par condicio processuale
delle parti, per l'esonero delle spese garantito a priori al
lavoratore.
6. - Deduzioni sostanzialmente analoghe a quelle svolte, in via
principale, dal Properzi, ha, infine, presentato, per la Presidenza del
Consiglio dei ministri, l'Avvocatura di Stato.
Considerato in diritto:
1. - Recita testualmente l'art. 57 della legge 30 aprile 1969, n.
153, che "il lavoratore soccombente nei giudizi promossi per ottenere
prestazioni previdenziali, non è assoggettato al pagamento delle
spese, competenze ed onorari a favore degli istituti di assistenza e
previdenza, a meno che il giudizio intentato verso gli stessi non sia
manifestamente infondato e temerario".
La legittimità costituzionale di tale norma è stata posta in
dubbio dal tribunale di Macerata che, sul presupposto che la
collocazione della norma, quale comma aggiunto dell'art. 128 r.d. 1935
n. 1827, implichi limitazione della relativa sfera di operatività alle
sole controversie in cui sia interessato l'INPS, prospetta il contrasto
di tale disposizione con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Ritiene
violato il primo, per la disparità di trattamento tra lavoratori
assicurati presso l'INPS e lavoratori assicurati presso altro istituto
previdenziale; e violato, altresì, il secondo, in quanto i lavoratori
non fruenti del menzionato esonero delle spese di lite rimarrebbero,
per ciò, vulnerati nel loro diritto alla tutela giurisdizionale.
2. - La fondatezza della sollevata questione di legittimità
costituzionale è contestata dal Properzi e dall'Avvocatura di Stato,
che - con convergente ordine di argomentazioni - sostengono la
erroneità dell'interpretazione della norma denunciata. Questa invece
andrebbe interpretata nel senso della sua naturale estensione ad ogni
giudizio che abbia per oggetto prestazioni previdenziali a qualunque
istituto richieste. Onde il dubbio di legittimità costituzionale non
avrebbe ragion d'essere.
3. - Il rilevato dissenso sulla interpretazione dell'art. 57 - nel
quale del resto si coglie il riflesso del contrasto, sul punto, tuttora
esistente in dottrina e giurisprudenza - va, a giudizio di questa
Corte, risolto nel senso della esattezza della interpretazione posta a
base della ordinanza di rimessione.
Le argomentazioni in contrario addotte non sono, invero,
sufficienti a contrastarla.
Quanto all'argomento che si fonda sull'uso, fatto dal legislatore
nell'art. 57, delle espressioni, al plurale, "istituti di assistenza e
previdenza" e "prestazioni previdenziali", senza alcuna specificazione
degli enti considerati, basta rilevare che l'uso del plurale si spiega
con l'intento di comprendere, oltre le controversie con l'INPS, anche
quelle promosse nei confronti di enti gestori di forme di previdenza
sostitutive dell'assicurazione generale obbligatoria per la
invalidità, la vecchiaia e i superstiti, e specialmente dell'Ente
nazionale di previdenza e assistenza per i lavoratori dello spettacolo
(ENPALS), ai quali aveva già riguardo la legge 21 luglio 1965, n. 903,
di avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione
della previdenza sociale, col chiamare gli enti predetti a contribuire,
in vario modo, per il finanziamento del "Fondo" istituito per la
erogazione della pensione sociale (art. 3, lett. h; art. 25, comma
terzo, e segg.), e nella delega concessa al Governo con l'art. 39
prevedeva anche (lett. h, n. 4) il coordinamento della disciplina
concernente l'attività dell'ENPALS con quella dell'Istituto nazionale
di previdenza sociale.
Né vale, poi, richiamarsi alla generica intitolazione della legge
n. 153 del 1969 "Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in
materia di sicurezza sociale", la quale dimostrerebbe la tendenza ad
investire l'intero sistema della sicurezza sociale, e addurre che
alcune disposizioni della legge (quali gli artt. 12, 35, 65 e 66)
riguardano anche istituti che gestiscono forme di tutela previdenziale
e assistenziale diverse da quella per la invalidità, la vecchiaia e i
superstiti, e devono intendersi applicabili all'INAIL.
In contrario va osservato che la istituzione dell'assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni ha una genesi storica del tutto
distinta da quella dell'assicurazione generale obbligatoria in materia
di previdenza sociale e che le rispettive discipline normative, le
quali trovarono nel 1935 il loro assetto con r.d. 17 agosto 1935, n.
1765, per la prima, e col r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827, per la
seconda, hanno avuto una successiva evoluzione con distinti
provvedimenti legislativi, contenenti trattamenti in più punti
differenziati. E alle due distinte serie di provvedimenti fanno capo,
da un lato, la legge 19 gennaio 1963, n. 15, per l'assicurazione contro
gli infortuni e le malattie professionali, contenente anche delega al
Governo, in virtù della quale è stato emanato il t.u. 30 giugno 1965,
n. 1124, e dall'altro, oltre alla predetta legge n. 903 del 1965 di
avviamento alla riforma della previdenza sociale con altra delega al
Governo, la legge integrativa del 18 marzo 1968, n. 238, con nuova
delega fino al 31 dicembre 1970, il d.P.R. n. 488 del 1968, e infine la
legge in questione n. 153 del 1969.
Il collegamento di questa ai predetti precedenti legislativi, i
fini anticongiunturali di essa che sono espressi nei lavori preparatori
e il rapporto con la tendenza alla fiscalizzazione degli oneri sociali
in questo settore, escludono che la legge mirasse anche ad incidere
sulla materia concernente l'assicurazione contro gli infortuni sul
lavoro. Le su richiamate disposizioni degli artt. 12, 35, 65 e 66, che
hanno riguardo anche alle gestioni di forme di tutela previdenziale
diverse da quella considerata in generale dalla legge, si spiegano per
la esigenza di coordinamento, in punti particolari, con norme aventi
una necessaria interdipendenza.
Per quanto attiene, invece, alla denunciata disposizione dell'art.
57 della legge, non solo manca qualsiasi appiglio letterale per una
interpretazione in senso estensivo, ma questa contrasta con la
formulazione della norma quale comma aggiunto dell'art. 128 del r.d.l.
1935 n. 1827. Tale collocazione non è meramente accidentale, bensì
risponde ad un preciso intento del legislatore di limitare l'ambito di
applicazione della norma entro i limiti di operatività della sentenza
n. 22 del 1969 di questa Corte costituzionale, la quale aveva
dichiarato la illegittimità costituzionale del comma secondo del
predetto art. 128, che dava all'Istituto nazionale della previdenza
sociale il diritto di trattenere sulle pensioni, gli assegni e le
indennità spettanti all'assicurato, l'ammontare delle somme dovute al
primo in forza di provvedimenti dell'autorità giudiziaria. Nella
seduta del 28 marzo 1969 della Camera dei deputati, nella quale fu
presentato l'articolo aggiuntivo 28 bis, poi divenuto l'attuale art.
57, si richiamò appunto la predetta pronuncia n. 22 di questa Corte e
si rilevò che essa, se da un lato aveva un grande significato in
quanto ribadiva la intangibilità del trattamento pensionistico,
provocava però gravi conseguenze sul piano pratico perché, mentre fin
allora i lavoratori, nei casi di ingiusto trattamento ricevuto da parte
dell'INPS, potevano essere indotti ad adire le vie legali, sapendo che
comunque il danno che avrebbero subito in caso di soccombenza sarebbe
stato rateizzato mediante parziali trattenute sulla pensione, come
l'istituto soleva praticare, ciò non avrebbe più potuto verificarsi,
per cui l'INPS si sarebbe soddisfatto mediante ricorso alla esecuzione
forzata sui pochi beni del lavoratore: onde la esigenza di sollevare il
lavoratore dalla preoccupazione di dover sopportare, nel caso di
soccombenza, l'onere delle spese del giudizio dovute all'istituto
predetto.
Queste considerazioni confermano che la retta interpretazione
dell'art. 57 non può essere altra che quella della sua limitazione
alle controversie con l'INPS o con enti che gestiscono forme
obbligatorie di previdenza e assistenza sostitutive.
4. - Ciò posto, appare fondata la questione di legittimità
costituzionale della norma, così come sollevata dall'ordinanza del
tribunale di Macerata, con riferimento all'art. 3 della Costituzione.
La disparità di trattamento, quanto all'esonero dal pagamento
delle spese di lite, tra assicurato presso l'INPS e istituti che
gestiscono forme obbligatorie di previdenza e assistenza sostitutive ed
assicurati dell'INAIL non è sorretta da alcuna giustificazione
apprezzabile sotto l'aspetto della ragionevolezza.
È ben vero che questa Corte, con riguardo all'art. 38, comma
secondo, della Costituzione, il quale riconosce ai lavoratori il
diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro
esigenze di vita, oltre che in caso di invalidità, vecchiaia o
disoccupazione involontaria, anche in quello di infortunio o di
malattia, ha avuto occasione di precisare che "il citato articolo pone
un principio generale riguardante tutte le situazioni bisognevoli di
prestazioni previdenziali e pertanto non esclude che la legge
disciplini variamente gli ordinamenti che meglio si adeguino in
concreto alle particolarità delle singole situazioni, predisponendo i
mezzi finanziari all'uopo necessari" (sentenza n. 22 del 1967). Se
però si giustifica una disciplina differenziata del regime delle
prestazioni (per quanto attiene ai presupposti, alla entità, ecc.) in
correlazione alla varietà delle situazioni di bisogno, non eguale
giustificazione può trovare la diversità di trattamento in ordine ad
una situazione - quella psicologica del lavoratore che dalla previsione
delle conseguenze economiche della soccombenza sia distolto dal far
valere in giudizio sue fondate pretese previdenziali - la quale rimane
identica nonostante le diverse connotazioni delle situazioni di
bisogno.
Per la comprovata violazione dell'art. 3 della Costituzione (che
esime dall'esaminare la ulteriore dedotta violazione dell'art. 24, la
quale resta assorbita), deve quindi dichiararsi la illegittimità
costituzionale della norma de qua per la parte in cui esclude il
beneficio di esonero delle spese nel caso di controversie del
lavoratore contro l'INAIL.
5. - È invece manifestamente infondata la questione di
illegittimità costituzionale dell'art. 57 in toto, quale in via
subordinata prospettata dall'INAIL con riferimento agli stessi artt. 3
e 24 della Costituzione.
Sotto il profilo dell'art. 3, l'argomento dell'INAIL che il normale
esonero dalle spese, a priori garentito al lavoratore che convenga in
giudizio l'istituto di previdenza, altera, nel processo, la par
condicio delle parti e, quindi, viola il principio di uguaglianza, non
regge alla considerazione che il detto esonero dalle spese stabilito in
favore dell'assicurato - lungi dal determinare una disparità di
posizione tra le parti (che è solo apparente) - realizza, invece,
attraverso un meccanismo di neutralizzazione della notoria minor
resistenza del lavoratore di fronte al rischio processuale, una
situazione di sostanziale parità.
Onde, non fonte di disuguaglianza - esso esonero, in definitiva,
costituisce - bensì mezzo di ripristino di una uguaglianza che, se pur
esistente sul piano formale, è suscettibile, comunque, di cadere, ove
il rischio del processo - apparendo troppo gravoso - distolga il
lavoratore dal far valere sue fondate pretese.
Tali considerazioni racchiudono l'implicita confutazione anche
della violazione dell'art. 24, quale dall'INAIL prospettata: atteso che
la rilevata posizione di sostanziale e formale parità tra l'assicurato
e l'istituto assicuratore, evidentemente, contraddice l'affermata
deminutio di tutela del secondo nei confronti del primo.
Il che, in altre parole, equivale a dire che la mancata
ripetibilità delle spese di lite, pur in caso di vittoria, certamente
non rappresenta, nei confronti dell'istituto assicuratore (attesa la
sua peculiare struttura e connotazione, anche sotto il profilo
finanziario), una remora alla difesa avverso pretese di prestazione del
lavoratore, che si ritengano infondate e, quindi, una violazione del
diritto dell'istituto medesimo alla tutela giurisdizionale.