Ritenuto in fatto:
Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei ministri in
data 24 marzo 1971, il Presidente della Regione Trentino-Alto Adige ha
impugnato in via principale la legge statale 11 febbraio 1971, n. 11,
avente per oggetto "nuova disciplina dell'affitto dei fondi rustici".
1. - La Regione propone, innanzi tutto, una impugnativa di ordine
generale contro l'intera legge - che, nel silenzio delle sue norme,
ritiene applicabile anche nel suo territorio - sostenendo che essa
sarebbe lesiva della sua sfera di attribuzioni, in quanto dà
disposizioni nella materia dell'agricoltura che l'art. 4, n. 9, dello
Statuto speciale riserva alla sua competenza legislativa esclusiva.
In riferimento a tale impugnativa, la Regione, che non ha emanato
alcuna norma sullo specifico tema degli affitti dei fondi rustici,
afferma tuttavia che essa non può dirsi carente di una propria
disciplina in materia, per tale dovendosi considerare quella da lei
ricevuta dallo Stato, all'atto del passaggio dei poteri, in forza
dell'art. 92 dello Statuto speciale; e sostiene che su questa
normativa, divenuta in tal modo regionale, lo Stato non potrebbe più
apportare modifiche valide nei suoi confronti.
2. - Deduce poi la Regione che la legge impugnata, nella sua
globalità, lederebbe la particolare disciplina dei masi chiusi, la cui
regolamentazione, per l'art. 11, n. 9, dello Statuto speciale, spetta
in esclusiva alla Provincia di Bolzano, mentre specifiche norme della
stessa legge statale, per essere in contrasto con quelle di altre norme
contenute in leggi regionali emanate in materie ad essa egualmente
riservate, invaderebbero parimenti la sua competenza.
Si avrebbe così che
- gli artt. 2, 11 e 14 della legge impugnata, che assegnano
funzioni e compiti agli uffici dell'Ispettorato agrario provinciale,
violerebbero le norme dei numeri 1 e 9 dell'art. 4 dello Statuto
speciale perché di quegli uffici, trasferiti alla Regione col relativo
personale, ed il tutto riorganizzato con leggi regionali, lo Stato non
potrebbe più disporre;
- l'art. 6 della legge impugnata, che attribuisce alla Commissione
centrale per l'equo canone nell'affitto dei fondi rustici il potere di
provvedere in ordine alla determinazione dei canoni, quando non sia
utilizzabile a tal fine il dato catastale, violerebbe gli artt. 4, n.
9, e 13 dello Statuto speciale, perché inciderebbe in attività
amministrativa in materia riservata alla Regione;
- l'art. 13 della legge impugnata, che dispone l'assegnazione
diretta all'affittuario, il quale abbia eseguito miglioramenti, degli
eventuali contributi non solo statali, ma anche di quelli regionali,
violerebbe l'art. 4, n. 9, dello Statuto speciale, perché inciderebbe
sull'attività legislativa della Regione in materia ad essa riservata;
- l'art. 23 della legge impugnata, che dichiara invalide, nel
quadro dell'art. 2113 del codice civile, le rinuncie e le transazioni
in ordine a diritti che all'affittuario possano essere riconosciuti da
leggi, non solo statali, ma anche regionali, violerebbe, e per gli
stessi motivi, la competenza regionale.
L'Avvocatura generale dello Stato, costituitasi in giudizio in
rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, ha sostenuto
la infondatezza di tutti i motivi proposti dalla Regione, eccependo
preliminarmente l'impossibilità stessa di un contrasto tra la legge
impugnata e le norme dello Statuto speciale perché quella legge non
verterebbe in materia di agricoltura, bensì in quella della
"disciplina di rapporti privati in agricoltura", sottratta alla
competenza regionale.
Sostiene poi l'Avvocatura che non esiste preclusione all'intervento
legislativo dello Stato su concreti e specifici interessi in materia
riservata alla Regione fin quando questa non abbia emesso proprie leggi
volte a dare una sua regolamentazione a quegli stessi interessi e, sul
tema delle dedotte invasioni di competenza, osserva che la legge
denunziata non interferisce sulla disciplina dei masi chiusi, perché
non la tocca, non dispone del personale divenuto regionale, perché
esercita in rapporto ad esso il suo potere di delega di funzioni
amministrative alla Regione, non lede la competenza regionale,
riservando compiti alla Commissione centrale, perché tutti i compiti
ad essa affidati hanno carattere unitario e super regionale, ed infine
non viola la detta competenza quando indica nell'affttuario che ha
eseguito miglioramenti la persona legittimata a ricevere i contributi
regionali o dichiara dall'affittuario non rinunciabili né transigibili
i diritti che possano a lui attribuire leggi della Regione, perché
lascia margine a una regolamentazione regionale in materia, o applica
principi generali non derogabili.
Considerato in diritto:
1. - La Regione Trentino-Alto Adige propone ricorso principale
contro la legge statale 11 febbraio 1971, n. 11, recante "Nuova
disciplina dell'affitto dei fondi rustici", sostenendo che essa
violerebbe la sua competenza in materie riservate alla sua legislazione
esclusiva.
Sostiene la ricorrente che tale violazione si sarebbe verificata
per ragioni che possono raggrupparsi sotto tre motivi principali: il
primo, in quanto la legge impugnata avrebbe modificato anteriori norme
statali, che sarebbero però "divenute regionali" per "recezione
implicita"; il secondo, in quanto la stessa legge contrasterebbe con
norme contenute in leggi regionali; il terzo, infine, in quanto essa
avrebbe omesso di assegnare alla Regione compiti da ritenersi propri
della stessa.
2. - Il primo motivo comprende l'unica censura, secondo la quale la
nuova legge non avrebbe potuto modificare norme contenute in anteriori
leggi statali perché queste, essendo divenute applicabili nella
Regione in forza dell'art. 92 dello Statuto speciale (legge cost. 26
febbraio 1948, n. 5), sarebbero "divenute regionali" e come tali,
modificabili solo con leggi della Regione.
La censura non è fondata.
Stabilisce il già citato art. 92 che, nelle materie attribuite
alla competenza della Regione o della Provincia, fino a quando non
siasi disposto con leggi regionali o provinciali, si applicano le leggi
dello Stato.
Ora, poiché è pacifico che la Regione non ha emanato alcuna legge
volta a regolare le affittanze agricole, nel suo territorio le leggi
dello Stato in materia si applicano per forza propria e non in virtù
di una ipotizzata "recezione implicita", la cui supposta esistenza è
resistita dalla lettera e dallo spirito del richiamato art. 92,
oltreché dai principi del sistema, che non conosce limiti di efficacia
alle leggi statali che non siano quelli nascenti dalla esistenza di
norme emanate, nella loro competenza costituzionale garantita, dagli
enti regionali.
Ne deriva quindi che, fin quando queste non abbiano emanate proprie
norme, devono applicarsi nel loro territorio quelle dello Stato e non
soltanto, come vorrebbe la ricorrente, le norme esistenti al momento
del trasferimento dei poteri, ma anche quelle emanate in prosieguo.
Deve aggiungersi che, risultando, per i motivi suesposti,
applicabili alla Regione ricorrente le nuove norme statali sulle
affittanze agricole, senza che possa rilevarsi nessuna violazione delle
sue competenze, la Corte non ha motivo di esaminare la questione
proposta dalla difesa dello Stato, e secondo la quale la legge statale
sarebbe applicabile alla Regione anche sotto il profilo che essa
verterebbe non in materia di "agricoltura", ma in quella della
"disciplina di diritto privato in agricoltura" che non rientrerebbe
nella competenza legislativa regionale.
3. - Passando ad esaminare il secondo motivo, relativo al contrasto
fra le norme della legge impugnata con quelle di norme contenute in
leggi regionali, devesi innanzi tutto rilevare come, sotto questo
motivo, si comprendano più censure, ciascuna ovviamente relativa alla
norma regionale rispetto alla quale si denunzia il contrasto.
Si afferma al riguardo dalla ricorrente che la legge impugnata, nel
suo complesso, contrasterebbe con la disciplina dei "masi chiusi"
contenuta nel testo unico 7 febbraio 1962, n. 8 (decreto Presidente
Giunta provinciale di Bolzano), materia che, per l'art. 11, n. 9, dello
Statuto speciale, è riservata alla competenza legislativa esclusiva
delle Provincie della Regione.
La censura è fondata.
Il maso chiuso, istituto che può definirsi di diritto singolare,
proprio di un dato territorio, ha per oggetto un'azienda agraria, di
cui è garantita la indivisibilità anche in sede ereditaria, mediante
l'assegnazione ad un unico assuntore, tenuto a condurla personalmente
(arg. art. 18 a, comma primo, legge citata).
L'obbligo della conduzione personale da parte dell'assuntore
sembrerebbe dover escludere ogni potenziale contrasto fra la disciplina
del maso e quella sulle affittanze agricole.
Tuttavia, poiché la stessa legge sui masi chiusi, (t.u. 1962, n.
8) in vari articoli (specialmente art. 33, comma terzo), prevede il
differimento della emissione del decreto pretorile di assunzione, né
può essere esclusa l'esistenza di altri casi, per i quali la regola
della conduzione diretta da parte dell'assuntore possa subire
eccezioni; è ovvio come debba ammettersi che, nel quadro della
autonomia negoziale, che pur residua dalla disciplina, sostanzialmente
pubblicistica, del maso, il fondo possa essere concesso anche in
affitto, e che quindi le norme della legge impugnata possano venire ad
incidere sulla speciale normativa dell'istituto.
In tale previsione è anche ovvio che le norme che regolano
quell'istituto, di natura singolare e costituzionalmente garantite
quanto alla materia e alla fonte, debbano avere la preminenza, e il
contrasto di esse con le norme dell'anzidetta legge, per ciò che
questa impedisce o ostacola le finalità perseguite dalla legge
speciale, sono illegittime sul piano costituzionale.
Nell'ambito dello stesso motivo, relativo al contrasto fra le norme
della legge impugnata con quelle di leggi emanate dalla Regione,
rientra anche la censura che denunzia come illegittima la disposizione
dell'art. 13, comma primo, di quella legge, e secondo la quale, per
l'esecuzione dei miglioramenti, possono essere concessi direttamente
agli affittuari i contributi e le altre agevolazioni statali "o
regionali" di cui alle leggi in vigore, purché risulti in qualsiasi
modo il rapporto di affittanza.
La Regione, che in materia ha numerose volte legiferato, concedendo
contributi anche ad affittuari (legge regionale 10 novembre 1950, n.
20, sino a quella 1 febbraio 1971, n. 2), lamenta che la legge statale
ha inteso di dettarle disposizioni circa il destinatario dei contributi
che essa, in materia riservata, con i propri fondi, e nella pienezza
perciò della sua autonomia, ha inteso di concedere.
La censura è da ritenersi fondata, non potendosi disconoscere la
logicità e l'aderenza ai principi del rilievo esposto dalla Regione.
Nel quadro ancora del contrasto tra le norme della legge impugnata
e quelle di leggi della Regione, rientra anche la censura che investe
l'art. 23 di quella legge, secondo il quale le rinunce e le transazioni
che hanno per oggetto diritti dell'affittuario derivanti dalla stessa
legge e da ogni altra legge, nazionale "o regionale", non sono valide.
Le osservazioni che la Regione qui prospetta sono analoghe a quelle
dedotte in merito alla censura precedente.
Poiché però non è dubbio che le leggi regionali da cui sorgono
diritti che la legge statale vuole porre al riparo di rinunzie o
transazioni, sono le leggi già in vigore e risulta che, in materia che
tocchi comunque il tema dell'affttanza, la Regione non ha emanato che
le norme sui masi chiusi e quelle sulle concessioni di contributi, le
questioni proposte sull'articolo 23 della legge statale vanno
dichiarate assorbite.
4. - Col terzo ed ultimo ordine di censure, la Regione lamenta che
la legge impugnata avrebbe omesso di riservarle compiti da ritenersi di
sua spettanza.
Ciò sarebbe avvenuto sia a mezzo degli artt. 2, 11 e 14, mediante
i quali la legge conferisce funzioni agli Ispettorati agrari
provinciali, che, nel Trentino-Alto Adige, sono organi di esclusiva
dipendenza della Regione, e sia mediante l'art. 6, che affida alla
Commissione tecnica centrale per l'equo canone il compito di regolare
le situazioni nelle quali, per mancanza di tariffe di redditi
dominicali, la legge risultasse inapplicabile.
La Regione ricorrente ritiene che, avendo le decisioni relative
incidenza sulle provincie del suo territorio, la competenza a
determinare le tariffe localmente applicabili, debba spettare agli
organi regionali.
Le censure sono entrambe infondate.
Quanto ai compiti che la legge impugnata assegna direttamente agli
organi, e quindi al personale dipendente, della Regione, senza
utilizzare l'istituto della delega all'Ente, di cui all'art. 118,
secondo comma, della Costituzione, non può ritenersi la illegittimità
di una normativa che lo disponga. Deve al contrario ammettersi che,
nello spirito di una necessaria collaborazione fra tutti gli organi
centrali e periferici che, pur nella varia differenziazione di
appartenenza, sostengono la struttura unitaria dello Stato, questo
possa utilizzare direttamente, per funzioni minori, specie esecutive,
gli uffici ed il personale di tutti gli enti autonomi, compresi quelli
delle Regioni.
Il principio, rilevabile dal sistema, trova autorevole conferma
nell'art. 118, comma terzo, della Costituzione, laddove si dispone che
la Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative
delegandole alle Provincie, ai Comuni o ad altri enti locali o anche
(ed è quello che qui importa) avvalendosi dei loro uffici.
E sarebbe assurdo ritenere che quanto può la Regione disporre nei
confronti di enti pur forniti di autonomia, come le Provincie e i
Comuni, non possa lo Stato nei confronti di essa.
Quanto, infine, all'ultima censura, che assegna quel certo compito
in tema di tariffe di cui si è già detto, alla Commissione centrale
anziché agli organi regionali, dopo aver rilevato che, almeno sul
piano costituzionale la censura è scarsamente apprezzabile, può
concludersi che la competenza dell'organo centrale, e perciò unitario,
trova razionale giustificazione nella unitarietà dell'indirizzo che un
problema di valutazioni e di tariffe presuppone perché queste possano
risultare uniformi e quindi eque.