Sentenza 214/2019 (ECLI:IT:COST:2019:214)
Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: LATTANZI - Redattore: ZANON
Udienza Pubblica del 02/07/2019;    Decisione  del 02/07/2019
Deposito del 25/09/2019;   Pubblicazione in G. U. 02/10/2019  n. 40
Norme impugnate: Legge della Regione Marche 23/06/2014, n. 15.
Massime:  40901  42841  42842  42843  42844 
Massime:  40901  42841  42842  42843  42844 
Atti decisi: ord. 145/2018

Massima n. 40901 Massima successiva
Titolo
Prospettazione della questione incidentale - Riferimento sintetico ma consapevole al parametro evocato - Ammissibilità della questione - Rigetto di eccezione preliminare.

Testo
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per assenza di motivazione sulla non manifesta infondatezza, della questione di legittimità costituzionale della legge reg. Marche n. 15 del 2014, sollevata dal giudice a quo in riferimento all'art. 3 Cost. Nell'ordinanza di rimessione - che contiene ampi ed espliciti argomenti relativi all'asserita lesione dell'art. 133, secondo comma, Cost. - anche il riferimento al parametro della ragionevolezza, e perciò all'art. 3 Cost., emerge in almeno due occasioni e viene sinteticamente ma consapevolmente utilizzato in funzione valutativa dei criteri utilizzati dalla delibera regionale per selezionare la popolazione interessata alla consultazione referendaria oggetto del giudizio principale.
Atti oggetto del giudizio
legge della Regione Marche  23/06/2014  n. 15

Parametri costituzionali
Costituzione  art. 3
Costituzione  art. 133  co. 2

Titolo
Prospettazione della questione incidentale - Motivazione sulla non manifesta infondatezza - Utilizzo di argomentazioni, seppure singolari, complessivamente adeguate - Ammissibilità della questione - Rigetto di eccezione preliminare.

Testo
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per mancato adempimento dell'obbligo di motivare sulla non manifesta infondatezza, della questione di legittimità costituzionale della legge reg. Marche n. 15 del 2014. Pur caratterizzandosi per alcune singolarità argomentative (nonché per alcune vere e proprie inesattezze, come, ad esempio, l'affermazione che la semplice prospettazione, ad opera della parte, di un'eccezione di legittimità costituzionale comporterebbe il sorgere, in capo al giudice, del dovere di sollevare la relativa questione), l'ordinanza di rimessione, complessivamente considerata, non manca di esporre le ragioni che inducono il rimettente a dubitare che il presupposto procedimentale della consultazione delle «popolazioni interessate» previsto dall'art. 133, secondo comma, Cost., sia stato correttamente rispettato, alla luce della giurisprudenza costituzionale sul punto e delle allegazioni del ricorrente nel giudizio principale, che vengono esplicitamente condivise.
Atti oggetto del giudizio
legge della Regione Marche  23/06/2014  n. 15

Parametri costituzionali
Costituzione  art. 133  co. 2

Titolo
Prospettazione della questione incidentale - Motivazione sulla non manifesta infondatezza - Condivisione delle censure proposte da una delle parti del giudizio principale, fatte proprie - Motivazione per relationem - Esclusione - Ammissibilità della questione - Rigetto di eccezione preliminare.

Testo
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per motivazione per relationem sulla non manifesta infondatezza, della questione di legittimità costituzionale della legge reg. Marche n. 15 del 2014. Pur non mancando nell'ordinanza passaggi contenenti rinvii alle argomentazioni di una delle parti, il giudice a quo mostra con chiarezza di condividere e far proprie le censure sollevate da quest'ultima. Per costante giurisprudenza costituzionale quando il rimettente rende espliciti, facendoli propri, i motivi della non manifesta infondatezza, l'ordinanza non può essere considerata motivata per relationem. (Precedenti citati: sentenze n. 121 del 2019, n. 88 del 2018 e n. 35 del 2017).
Atti oggetto del giudizio
legge della Regione Marche  23/06/2014  n. 15

Titolo
Thema decidendum - Agevole individuazione del petitum del rimettente - Ammissibilità della questione - Rigetto di eccezione preliminare.

Testo
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per indeterminatezza del petitum, della questione di legittimità costituzionale della legge reg. Marche n. 15 del 2014. Il petitum delle sollevate questioni è agevolmente individuabile nella richiesta di verificare se la legge censurata sia costituzionalmente illegittima in quanto adottata all'esito di un procedimento nel corso del quale il referendum consultivo - che consente alle «popolazioni interessate» di esprimersi sulla proposta di variazione delle circoscrizioni comunali - è stato indetto chiamando al voto i soli residenti nella frazione oggetto della proposta di distacco e quelli residenti nelle zone ad essa immediatamente contigue, anziché tutti i residenti nei Comuni coinvolti nel procedimento di variazione circoscrizionale. (Precedente citato: sentenza n. 2 del 2018).
Atti oggetto del giudizio
legge della Regione Marche  23/06/2014  n. 15

Massima n. 42844 Massima precedente
Titolo
Comuni, Province e Città metropolitane - Norme della Regione Marche - Variazioni territoriali - Distacco della frazione di Marotta dal Comune di Fano e incorporazione nel Comune di Mondolfo - Approvazione con legge della variazione circoscrizionale all'esito del referendum consultivo delle popolazioni interessate ex art. 133, secondo comma, Cost. - Individuazione delle popolazioni interessate - Residenti nella frazione oggetto della proposta di distacco e nelle zone ad essa immediatamente contigue - Denunciata irragionevole esclusione dei residenti negli altri Comuni coinvolti, nonché conseguente violazione della procedura consultiva - Insussistenza - Variabilità del dato "popolazioni interessate" - Non fondatezza delle questioni.

Testo

Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Consiglio di Stato, sez. quinta, in riferimento agli artt. 3 e 133, secondo comma, Cost., della legge reg. Marche n. 15 del 2014, che dispone il distacco della frazione di Marotta dal Comune di Fano e la sua incorporazione nel Comune di Mondolfo, considerando quali «popolazioni interessate» cui sottoporre il relativo referendum consultivo i soli residenti nella frazione oggetto della proposta di distacco e quelli residenti nelle zone a questa immediatamente contigue. Il concetto di «popolazioni interessate» evoca un dato variabile, ricomprendendo anche gruppi di residenti interessati alla modifica non in modo diretto, ma in via mediata e indiretta; esso è caratterizzato da un certo «polimorfismo» e soggetto a interpretazioni diverse a seconda del procedimento di variazione territoriale che viene concretamente in considerazione negli artt. 132 e 133 Cost. Nel caso in esame la corretta determinazione del concetto di «popolazioni interessate» va specificamente rapportata a un caso di modifica delle circoscrizioni comunali (non già di istituzione di un nuovo Comune o di modifica della denominazione originaria). Va inoltre tenuto presente che la variazione è proposta in un ordinamento regionale che non stabilisce, in via generale e preventiva, criteri e direttive da applicare, nei casi concreti, per l'individuazione dei soggetti da chiamare alla consultazione in esame. Pertanto, la non adeguatezza dell'interpretazione del rimettente deriva, in primo luogo, dalla diseguale ampiezza dei due Comuni coinvolti e dal ben diverso numero di aventi diritto al voto in essi rispettivamente residenti; inoltre, dalla limitata estensione del territorio e della popolazione interessati direttamente dalla proposta di variazione; ancora, dalla particolare conformazione della frazione da trasferire, tutta costiera, molto più lontana dal centro di Fano che da quello di Mondolfo, e, per così dire, geograficamente collocata in modo evidente nella direzione di quest'ultimo Comune. Né è estranea a questa valutazione anche la necessità di considerare non immeritevole di protezione la peculiarità della situazione della "comunità" di Marotta, che induce a reputarla sociologicamente distinta. Né non può essere validamente utilizzato l'argomento fiscale; ogni variazione territoriale produce infatti un numero indeterminato di conseguenze, e queste non possono non estendersi allo stesso ambito tributario, eventualmente riguardando anche il bilancio dell'ente comunale che la variazione subisce, che ben può tradursi anche in un risparmio di spesa, connesso all'eventuale diminuzione dei residenti o dei servizi da erogare loro. (Precedenti citati: sentenze n. 123 del 2019, n. 278 del 2011, n. 334 del 2004, n. 94 del 2000, n. 433 del 1995 e n. 453 del 1989).

L'art. 133, secondo comma, Cost., non si riferisce né ai Comuni quali enti esponenziali di tutti i residenti, né alla totalità dei residenti stessi nei Comuni coinvolti dalla variazione, ma alle «popolazioni interessate», affidando, perciò al legislatore regionale, attraverso una legge che detti criteri generali, oppure al competente organo regionale, caso per caso, la delimitazione del perimetro delle popolazioni da consultare nel singolo procedimento di variazione. Risulta pertanto maggiormente aderente al suo significato la rinuncia a una definizione predefinita e "fissa", necessariamente coincidente con la totalità dei residenti nei Comuni coinvolti dalla variazione. La identificazione di tali popolazioni resta pur sempre affidata alla valutazione discrezionale dell'organo regionale competente, più o meno ampia a seconda dei casi, e sempre soggetta a verifica del giudice amministrativo o della Corte costituzionale, ad evitare il rischio che, attraverso un'artata perimetrazione dell'ambito delle popolazioni chiamate a esprimersi, il risultato del referendum venga significativamente orientato in partenza (c.d. gerrymandering). (Precedente citato: sentenza n. 47 del 2003).

Atti oggetto del giudizio
legge della Regione Marche  23/06/2014  n. 15

Parametri costituzionali
Costituzione  art. 3
Costituzione  art. 133  co. 2


Pronuncia

SENTENZA N. 214

ANNO 2019


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Luca ANTONINI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Marche 23 giugno 2014, n. 15 (Distacco della frazione di Marotta dal Comune di Fano e incorporazione nel Comune di Mondolfo. Mutamento delle rispettive circoscrizioni comunali), promosso dal Consiglio di Stato, sezione quinta, nel procedimento vertente tra il Comune di Fano e altri e la Regione Marche e altri, con ordinanza dell’11 giugno 2018, iscritta al n. 145 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visti gli atti di costituzione dei Comuni di Fano e di Mondolfo, della Regione Marche e di Vitali Gabriele, in proprio e nella qualità di legale rappresentante pro tempore del Comitato Pro Marotta Unita;

udito nell’udienza pubblica del 2 luglio 2019 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

uditi gli avvocati Maria Alessandra Sandulli e Antonio D’Atena per il Comune di Fano, Stefano Grassi per la Regione Marche, Massimo Luciani per il Comune di Mondolfo e Francesca Santorelli per Vitali Gabriele, in proprio e nella qualità di legale rappresentante pro tempore del Comitato Pro Marotta Unita.


Ritenuto in fatto

1.– Il Consiglio di Stato, sezione quinta, con ordinanza dell’11 giugno 2018 (r. o. n. 145 del 2018) ha sollevato questioni di legittimità costituzionale della legge della Regione Marche 23 giugno 2014, n. 15 (Distacco della frazione di Marotta dal Comune di Fano e incorporazione nel Comune di Mondolfo. Mutamento delle rispettive circoscrizioni comunali) in riferimento agli artt. 3 e 133, secondo comma, della Costituzione.

Ricorda il rimettente che – nell’ambito del procedimento legislativo scaturito dalla proposta di legge regionale n. 77 del 2011, recante «Distacco della frazione di Marotta dal Comune di Fano e incorporazione nel Comune di Mondolfo. Mutamento delle rispettive circoscrizioni comunali» – il Consiglio regionale della Regione Marche aveva adottato una delibera di indizione di referendum consultivo individuando le popolazioni interessate nei soli residenti della frazione di Marotta di Fano (delibera consiliare n. 61 del 15 gennaio 2013).

Il Comune di Fano aveva impugnato tale delibera innanzi al Tribunale amministrativo regionale per le Marche, il quale, con ordinanza 19 aprile 2013, n. 160, aveva accolto l’istanza cautelare e sospeso l’esecuzione degli atti del procedimento referendario.

A seguito di tale pronuncia, il Consiglio regionale della Regione Marche, previa revoca dell’originaria delibera, aveva rinnovato – con la delibera consiliare n. 87 del 22 ottobre 2013 – l’indizione del referendum, estendendo questa volta la consultazione alle popolazioni di Fano e Mondolfo residenti nelle zone immediatamente contigue alla frazione di Marotta di Fano. Anche tale provvedimento veniva impugnato dal Comune di Fano dinnanzi al TAR Marche. Quest’ultimo, tuttavia, respingeva l’istanza cautelare con ordinanza 10 gennaio 2014, n. 6, ritenendo che questa seconda delibera del Consiglio regionale rispondesse a quanto disposto dalla propria precedente ordinanza n. 160 del 2013.

Nelle more del giudizio amministrativo, il procedimento di variazione territoriale proseguiva: il referendum si svolgeva il 9 marzo 2014 e vedeva esprimersi a favore del distacco il 67,3 per cento dei votanti. Alla luce dell’esito del referendum, il Consiglio regionale approvava la legge reg. Marche n. 15 del 2014, deliberando così il distacco della frazione di Marotta di Fano dal Comune di Fano e la sua incorporazione nel Comune di Mondolfo.

Successivamente, il TAR Marche, sezione prima, con sentenza 18 settembre 2015, n. 660, respingeva il ricorso e i motivi aggiunti proposti dal Comune di Fano nei confronti degli atti del procedimento di variazione, ritenendo altresì manifestamente infondate le censure di illegittimità costituzionale eccepite dal Comune di Fano in riferimento alla legge reg. Marche n. 15 del 2014.

Il Comune di Fano adiva allora il Consiglio di Stato che, con sentenza non definitiva 23 agosto 2016, n. 3678, annullava la delibera consiliare n. 87 del 2013 per violazione dell’art. 133, secondo comma, Cost., poiché non erano stati chiamati ad esprimere il voto consultivo tutti i cittadini residenti nei due Comuni interessati dalla modifica circoscrizionale. Contro tale sentenza non definitiva la Regione Marche promuoveva conflitto di attribuzione.

Con la coeva ordinanza del 23 agosto 2016, n. 3679, il Consiglio di Stato sollevava altresì questioni di legittimità costituzionale nei confronti della legge reg. Marche n. 15 del 2014, per ritenuta violazione degli art. 3, 113, primo e secondo comma e 133, secondo comma, Cost.

Riuniti i giudizi relativi al conflitto di attribuzione e alle questioni di legittimità costituzionale, con la sentenza n. 2 del 2018 la Corte costituzionale accoglieva il primo e dichiarava inammissibili le seconde.

In base a tale pronuncia, a seguito dell’entrata in vigore della legge di variazione circoscrizionale, eventuali vizi relativi alla delibera di indizione del referendum consultivo si traducono infatti in un vizio formale della legge e sono dunque conoscibili in via esclusiva dalla Corte costituzionale. Di conseguenza, la questione di legittimità costituzionale è risultata inammissibile poiché fondata sull’«errato presupposto che il referendum consultivo costituisse “oggetto e contenuto della legge di variazione”, anziché un suo mero “presupposto procedimentale”».

Il conflitto di attribuzione veniva invece accolto perché, secondo la Corte costituzionale, non spettava al giudice amministrativo procedere all’annullamento del referendum consultivo, atto che si colloca, costituendone fase indispensabile, nell’ambito del procedimento legislativo. Il giudice amministrativo avrebbe invece dovuto sollevare questione di legittimità costituzionale dell’intervenuta legge regionale, per violazione dell’art. 133, comma secondo, Cost.

A seguito della sentenza della Corte costituzionale, il Comune di Fano ha riassunto il giudizio chiedendo al Consiglio di Stato di sollevare questione di legittimità costituzionale.

2.– Tutto ciò premesso, il giudice rimettente richiama le ragioni che hanno portato il Consiglio regionale delle Marche, con la delibera n. 87 del 2013, a individuare, come «popolazioni interessate», oltre ai residenti nella frazione di Marotta, i residenti «nelle zone immediatamente contigue».

L’«interesse qualificato» di tali soggetti avrebbe trovato fondamento nella fruizione, da parte di costoro, di alcune infrastrutture (un istituto scolastico e una farmacia comunale) site nella frazione di Marotta; nella condivisione con i residenti del Comune di Mondolfo di servizi pubblici ivi esistenti; nell’interesse ad avere un’unica amministrazione della zona, costituita da una fascia costiera «attualmente divisa tra i due comuni». L’interesse ad essere consultati non sarebbe invece riscontrabile negli abitanti delle altre zone dei Comuni di Fano e Mondolfo, posto che costoro «fruiscono di analoghi servizi più prossimi alle rispettive zone di residenza» e non appaiono direttamente incisi dalla divisione amministrativa in questione.

La delibera consiliare rilevava inoltre come l’abitato di Marotta fosse amministrativamente ripartito tra i Comuni di Fano e Mondolfo e che il centro della frazione di Marotta fosse esattamente diviso a metà tra i due citati Comuni. Prima del distacco, l’80 per cento del territorio di Marotta ricadeva infatti nel territorio di Mondolfo (da esso distante 6 chilometri) e ne costituiva la parte territorialmente più rilevante. Marotta rappresentava invece «una parte trascurabile del ben più esteso Comune di Fano» (distante dalla stessa frazione 14 chilometri). Il litorale di Marotta rappresentava poi l’unico sbocco al mare per Mondolfo, mentre invece costituiva una piccola parte della ben più ampia zona costiera del Comune di Fano. Da un punto di vista demografico, il distacco dei circa 3.000 residenti di Marotta dal Comune di Fano non avrebbe avuto impatto significativo su quest’ultimo, poiché la popolazione fanese ammonta in totale a 63.000 abitanti. La situazione di divisione amministrativa che caratterizzava la frazione di Marotta comportava inoltre che «cittadini dello stesso abitato» fossero sottoposti all’applicazione di strumenti diversi di governo del territorio, di organizzazione e gestione dei servizi, e ad un diverso trattamento fiscale. Infine, esponeva la delibera consiliare, non si sarebbe realizzato alcuno smembramento territoriale, in quanto la frazione di Marotta di Fano costituiva «già un’unica realtà sociale e territoriale con la frazione di Marotta di Mondolfo».

3.– Il Consiglio di Stato si sofferma sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale, respingendo le eccezioni sollevate da alcune delle parti del giudizio a quo e dando atto della sentenza n. 2 del 2018 della Corte costituzionale.

Anche rispetto alla non manifesta infondatezza della questione rileverebbe la citata sentenza n. 2 del 2018: il rimettente evidenzia come la verifica inerente alle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Comune di Fano tenda a sovrapporsi al giudizio che la Corte costituzionale si è riservato e ritiene che la valutazione che il Consiglio di Stato è chiamato a svolgere debba dunque «arrestarsi ad una verifica estrinseca di mera pertinenza e plausibilità delle questioni prospettate».

Ciò premesso, viene ricordata la giurisprudenza costituzionale formatasi sull’art. 133 Cost., dalla quale emergerebbe che la regola generale nei procedimenti di variazione territoriale è quella secondo cui le popolazioni interessate al referendum consultivo devono essere individuate «nei residenti dei comuni coinvolti». Tale regola sarebbe derogabile in «ipotesi particolari ed eccezionali», in base ad «una valutazione di elementi di fatto che dovrà effettuarsi caso per caso al momento di indire il referendum consultivo» (vengono citate le sentenze n. 47 del 2003 e n. 433 del 1995). In particolare, il Consiglio di Stato richiama la sentenza n. 94 del 2000 con la quale la Corte costituzionale avrebbe precisato che se l’art. 133, secondo comma, Cost., non prevede in assoluto la necessità di coinvolgere l’intera popolazione dei due Comuni interessati dal mutamento territoriale, un simile coinvolgimento sarebbe comunque obbligatorio qualora sussista un interesse riferibile all’intera popolazione.

Alla luce dei precedenti, alcuni elementi della delibera consiliare di indizione del referendum consultivo metterebbero in dubbio la conformità di tale delibera, e della legge reg. Marche n. 15 del 2014, rispetto alla richiamata giurisprudenza costituzionale.

Così, il fatto che la frazione di Marotta costituisca una porzione di territorio dalla «superficie limitata», che essa rappresenti «una quota di popolazione contenuta rispetto a quella dell’intero Comune di Fano», nonché la distanza dal centro cittadino di Fano, costituirebbero elementi riscontrabili «in molti altri comuni comprendenti nella loro circoscrizione diverse frazioni o località poste al di fuori dell’abitato principale».

La situazione di Marotta – caratterizzata da un unitario tessuto urbanistico facente capo a diverse amministrazioni locali – non sarebbe poi differente dallo «sviluppo tipico delle zone costiere». La modifica delle circoscrizioni comunali non sarebbe l’unico strumento per far fronte a esigenze unitarie, esistendo altri strumenti di coordinamento delle funzioni amministrative e dei servizi pubblici. La delibera di indizione consiliare del referendum correlerebbe inoltre la situazione di divisione amministrativa a «pretese, ma indimostrate, ripercussioni sul piano socio-economico negative, addirittura qualificate come “evidenti”, per la collettività ivi insediata, di cui tuttavia non sono forniti ulteriori ragguagli».

La dedotta «necessità di armonizzare il trattamento fiscale dei residenti nella frazione di Marotta» caricherebbe la consultazione e il procedimento di variazione circoscrizionale di un tema particolarmente sensibile per l’opinione pubblica, «senza tuttavia un coinvolgimento ampio delle popolazioni coinvolte». A tal proposito, il rimettente evidenzia che, come pure sottolineato dal Comune di Fano, «i riflessi che la variazione circoscrizionale può determinare sulle grandezze di bilancio dell’ente locale sono destinati a ripercuotersi sui cittadini in esso residenti».

In definitiva, la «scelta amministrativa incidente “a priori” sull’elettorato chiamato a pronunciarsi» sulla modifica circoscrizionale non consentirebbe – in contrasto con la giurisprudenza costituzionale – di apprezzare ragionevolmente l’interesse delle popolazioni al mutamento circoscrizionale di cui all’art. 133, secondo comma, Cost., a maggior ragione «per una consultazione per la quale non è previsto un quorum ai fini della relativa validità».

4.– Con atto depositato il 13 novembre 2018, il Comune di Fano si è costituito in giudizio per chiedere l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale.

Alla luce della giurisprudenza costituzionale intervenuta in materia (vengono citate le sentenze n. 94 del 2000, n. 433 del 1995 e n. 453 del 1989), non si riscontrerebbero, nel caso in esame, elementi dai quali desumere con sicurezza che il distacco della frazione di Marotta sia «privo di ricadute sugli interessi dell’intera popolazione dei due Comuni». Inoltre, «la selezione delle popolazioni da chiamare al referendum consultivo» sarebbe avvenuta «in termini d’incontestabile pressapochismo, mettendo insieme “scampoli demografici” individuati in modo tutt’altro che rigoroso». In questa prospettiva, sarebbe ad esempio del tutto illogica e arbitraria l’esclusione dalla consultazione referendaria degli elettori facenti capo ad una contigua sezione elettorale pure originariamente contemplata nell’ambito della «popolazione interessata».

Non si tratterebbe di dati irrilevanti, poiché il referendum, espressione del principio di autodeterminazione delle popolazioni interessate (viene citata la sentenza n. 21 del 2018), è strumento in grado di «fornire al legislatore regionale la rappresentazione della volontà delle popolazioni interessate rispetto alla divisata variazione territoriale». Soltanto se «perimetra fedelmente la platea dei soggetti il cui avviso è rilevante ai fini della decisione finale», il referendum potrebbe fornire al legislatore regionale «elementi di valutazione realmente attendibili».

Secondo il Comune di Fano, la scelta del Consiglio regionale sarebbe stata adottata con la consapevolezza che – al fine di evitare il ripetersi dell’esito della consultazione, svoltasi nel 1981 sulla medesima variazione territoriale, che vide il voto contrario del 77,84 per cento di tutti i residenti dei Comuni interessati – soltanto circoscrivendo «artatamente il perimetro» delle popolazioni interessate, il referendum consultivo poteva dare parere positivo all’inclusione della frazione Marotta nel Comune di Mondolfo.

Da ultimo, il Comune di Fano evidenzia come il procedimento seguito dalla Regione Marche abbia determinato anche la violazione dell’art. 3, primo comma, Cost. e che la mancanza della consultazione popolare (viene citata la sentenza n. 36 del 2011), così come la «consultazione viziata», si traducono in un vizio procedimentale della legge regionale che modifica le circoscrizioni comunali (si evoca la sentenza n. 2 del 2018).

5.– Con atto depositato il 13 novembre 2018 si è costituita in giudizio la Regione Marche per chiedere che la Corte costituzionale dichiari la manifesta inammissibilità e, comunque, l’infondatezza della questione oggetto del giudizio.

La Regione Marche eccepisce l’inammissibilità della questione per diverse ragioni: in primo luogo, essa non sarebbe stata individuata «in termini chiari, precisi e autonomi». Non sarebbe rispettato il principio di necessaria autosufficienza dell’atto introduttivo del giudizio che, nel presente caso, vedrebbe il suo oggetto «testualmente individuato solo per relationem rispetto agli atti di causa del giudizio principale […], senza che il Giudice rimettente abbia in alcun modo preso autonoma posizione sui termini della questione sollevata».

In secondo luogo, il Consiglio di Stato non avrebbe operato lo scrutinio circa la non manifesta infondatezza della questione, con ciò sottraendosi «agli specifici compiti della propria giurisdizione» e, in diversi passaggi dell’ordinanza, avrebbe persino inammissibilmente dichiarato di voler abdicare al proprio compito di operare un tale scrutinio. In ogni caso, non avrebbe spiegato «perché i criteri adottati in concreto dal Consiglio regionale delle Marche nella delibera n. 87 del 2013 ai fini dell’individuazione delle “popolazioni interessate” si porrebbero in contrasto con i parametri costituzionali invocati».

Inammissibile sarebbe poi la questione di legittimità sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., per la completa assenza di argomentazioni sul punto.

Infine, la Regione Marche evidenzia come le carenze dell’ordinanza di rimessione sarebbero particolarmente «rilevanti in relazione alle vicende» in esame, poiché sono già trascorsi oltre quattro anni dallo svolgimento del referendum e sono stati già regolati consensualmente i rapporti conseguenti alla modifica delle circoscrizioni comunali. Ancora, la Regione Marche adombra, quale ulteriore ragione di inammissibilità, il possibile esaurimento del potere di decidere sul punto da parte del giudice rimettente.

Nel merito, la Regione Marche ricostruisce la giurisprudenza costituzionale rilevante (si evocano le sentenze n. 47 del 2003, n. 94 del 2000, n. 433 del 1995 e n. 453 del 1989) per evidenziare come, nel caso in esame, sarebbero stati rispettati i criteri – desumibili proprio da tale giurisprudenza – in base ai quali sarebbe legittimo individuare quali «popolazioni interessate» quote di popolazione non coincidenti con il totale delle persone residenti nei Comuni coinvolti nella variazione. Così, la delibera consiliare n. 87 del 2013 sarebbe stata adottata dando «rilievo agli elementi specifici che il caso di specie presentava», valutando in particolare le dimensioni, l’autonomia delle comunità coinvolte, gli aspetti socio-economici e l’effettivo utilizzo dei servizi da parte delle diverse frazioni dei territori comunali.

In particolare, che la popolazione di Marotta sia «un gruppo sociologicamente distinto rispetto al Comune di Fano» si desumerebbe dal nome stesso della frazione, dalla conformazione territoriale, dalla distanza e dalla concreta organizzazione e gestione dei servizi comunali. Rileverebbero a tal proposito anche il rapporto tra gli abitanti della frazione di Marotta (3.000) e quelli dei Comuni di Fano (63.000) e Mondolfo (12.000), nonché il rapporto tra l’ampiezza del territorio oggetto di distacco (1,53 chilometri quadrati) e quello dei due Comuni interessati (121 chilometri quadrati Fano; 23 chilometri quadrati Mondolfo).

In definitiva, non ci sarebbe coincidenza tra le “popolazioni interessate” e gli enti formalmente coinvolti nella procedura e neppure sarebbero irragionevoli i criteri con cui il Consiglio regionale ha individuato le popolazioni.

6.– Con atto depositato il 12 novembre 2018 si è costituito in giudizio il Comune di Mondolfo, per chiedere che la questione di legittimità costituzionale «sia dichiarata (manifestamente) inammissibile e, in subordine, (manifestamente) infondata».

Il Comune di Mondolfo eccepisce in primo luogo l’inammissibilità della questione per essersi il giudice rimettente sottratto al compito di valutare la non manifesta infondatezza della questione stessa. Il giudice a quo sarebbe «caduto in un grave equivoco», limitandosi a sollevare la questione di legittimità costituzionale senza svolgere il preliminare compito di «filtro» che richiede la selezione delle questioni non manifestamente infondate. L’ordinanza di rimessione, pertanto, farebbe «coincidere l’accertamento della non manifesta infondatezza con l’accertamento del merito “pieno” della costituzionalità o meno».

Una seconda ragione di inammissibilità consisterebbe nel fatto che «tutte le considerazioni del rimettente sulla scelta regionale di spostare la frazione di Marotta dal Comune di Fano per ricongiungerla al Comune di Mondolfo attengono al merito amministrativo, se non alla pura e semplice opportunità». Il giudice a quo non si sarebbe dunque interessato della correttezza o meno dell’identificazione delle popolazioni interessate, e dunque non avrebbe valutato la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, ma avrebbe ragionato «come se stesse esercitando un sindacato sulla legittimità di un provvedimento amministrativo».

Evidenzia ancora il Comune di Mondolfo che, in diversi passaggi, l’ordinanza risulterebbe inammissibilmente motivata per relationem.

Da ultimo, il petitum della questione sarebbe indeterminato e avrebbe natura perplessa, o ancipite: non sarebbe chiaro se «il rimettente lamenti l’illegittima identificazione delle “popolazioni interessate” ovvero, più radicalmente, l’illegittimità di qualunque delimitazione delle stesse, che conduca a consultare un gruppo minore di quello costituito dall’intera popolazione dei Comuni coinvolti».

Nel merito, il Comune di Mondolfo segnala come, in materia di «circoscrizioni comunali», ascrivibile alla competenza residuale delle Regioni, queste godrebbero di «un certo margine di discrezionalità». Dopo aver richiamato i precedenti giurisprudenziali rilevanti (vengono evocate ancora le sentenze n. 47 del 2003, n. 94 del 2000 e n. 433 del 1995), il Comune di Mondolfo sostiene che «spetta alla Regione interessata indicare […] quali siano le popolazioni effettivamente interessate dalla consultazione [che] potrebbe essere anche limitata alla sola popolazione potenzialmente oggetto di trasferimento ad altra circoscrizione comunale, purché la Regione abbia adeguatamente motivato le ragioni che giustificano tale limitazione della platea dei residenti chiamati ad esprimersi».

Secondo il Comune di Mondolfo, la delibera consiliare n. 87 del 2013 avrebbe ragionevolmente individuato le «popolazioni interessate» e avrebbe altresì fornito «indicazioni esaustive e inequivocabili in ordine all’interesse a partecipare alla consultazione referendaria». In particolare, poiché «la parte meridionale del Comune di Fano è costituita da una stretta striscia di territorio affacciata sul mare [e poiché] la frazione di Marotta di Fano costituisce la parte più estrema di tale lembo, posta a ridosso del Comune di Mondolfo», sarebbe «più che ragionevole estendere la consultazione referendaria alle popolazioni residenti nelle zone limitrofe di quella fascia costiera, mentre del tutto illogico sarebbe stato coinvolgere tutti gli altri residenti del Comune di Fano». Inoltre, la frazione di Marotta e il Comune di Fano presenterebbero un tessuto sociale e un assetto economico-amministrativo molto diversi, rappresentando Marotta una parte del tutto trascurabile dello stesso Comune fanese.

L’adeguatezza dell’individuazione delle «popolazioni interessate» sarebbe poi stata confermata ex post anche dai dati relativi all’affluenza alle urne del referendum. Mentre nella frazione di Marotta di Fano – i cui residenti erano direttamente interessati al procedimento – l’affluenza si è attestata su livelli più elevati di quelli relativi alle precedenti elezioni europee e amministrative, «mano a mano che ci si allontana dalla frazione di Marotta, invece, è accaduto il contrario e l’affluenza al referendum è stata inferiore a quella alle elezioni». Secondo il Comune di Mondolfo, «ove la consultazione fosse stata estesa a tutti i residenti nel Comune di Fano, l’affluenza sarebbe stata ancor più bassa, per il semplice fatto che tali popolazioni non nutrivano alcun interesse concreto per le sorti della frazione che chiedeva il distacco».

La difesa del Comune di Mondolfo evidenzia ancora come, tra tutti i soggetti istituzionali consultati, il solo Comune di Fano avesse sostenuto la necessità della consultazione totalitaria dei cittadini residenti nel Comune da cui avviene il distacco.

Infine, il Comune di Mondolfo segnala che già la relazione alla proposta di legge popolare che ha dato il via al procedimento legislativo avrebbe dato atto della sussistenza di «tutte le particolari ragioni necessarie a qualificare adeguata e ragionevole l’individuazione delle “popolazioni interessate” effettuata con la Delibera n. 87 del 2013».

7.– Si è altresì costituito in giudizio, con atto depositato il 12 novembre 2018, Vitali Gabriele, in proprio e come legale rappresentante del Comitato Pro Marotta Unita per chiedere che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile e, in subordine, infondata.

La parte segnala preliminarmente come la divisione amministrativa di Marotta avrebbe creato, nel corso degli anni, numerosi problemi alla cittadinanza e come i tentativi di unire le due parti della frazione di Marotta siano iniziati già dalla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso.

In punto di diritto, viene eccepita la manifesta inammissibilità della questione per la completa assenza del «giudizio preliminare di non manifesta infondatezza». Altra ragione di inammissibilità si rinverrebbe nell’«evidente incertezza del petitum»: non sarebbe chiaro «se il rimettente si dolga dell’illegittima identificazione delle popolazioni interessate» operata nel presente caso oppure se, «più radicalmente, censuri l’illegittimità di qualunque delimitazione della platea referendaria».

Nel merito, la questione sarebbe infondata perché la delibera di indizione del referendum consultivo, nella «ponderazione della scelta restrittiva del corpo elettorale», avrebbe osservato i canoni interpretativi individuati dalla giurisprudenza costituzionale (si citano le sentenze n. 94 del 2000 e n. 433 del 1995). In particolare, rileverebbero «la limitatissima estensione di Marotta di Fano dal punto di vista demografico e territoriale […]; l’assenza di qualsiasi infrastruttura di rilievo per l’insieme del Comune di Fano; l’estrema eccentricità di Marotta rispetto al capoluogo […]; l’essere Marotta una frazione già sociologicamente distinta da Fano, amministrata per oltre l’80% dal Comune di Mondolfo, con il quale costituisce invece un tutt’uno omogeneo […]; l’assenza di qualsiasi pericolo di smembramento per il territorio di Fano […]; l’assenza di pregiudizio, sul piano dell’organizzazione e della fruizione dei servizi, per la restante popolazione del Comune di Fano; le risalenti esigenze di unificazione amministrativa».

I dati relativi all’affluenza al referendum confermerebbero la bontà della scelta del Consiglio regionale, considerando che le sezioni più lontane dal centro di Marotta hanno visto livelli di partecipazione molto bassa rispetto a quelle insistenti su zone direttamente interessate dal mutamento territoriale. Inoltre, a oltre cinque anni di distanza dall’avvenuta modifica circoscrizionale, il Comune di Fano non avrebbe dimostrato il verificarsi del benché minimo pregiudizio a suo danno.

8.– Con atto dell’11 giugno 2019, il Comune di Fano ha depositato memoria illustrativa in vista dell’udienza pubblica. Replicando all’eccepita assenza della motivazione sulla non manifesta infondatezza, la difesa sottolinea che, nella seconda parte, l’ordinanza di rimessione chiarirebbe «le ragioni per le quali […] difetterebbero presupposti tali da giustificare la deroga alla regola generale della consultazione totalitaria delle popolazioni comunali», dando atto sia delle considerazioni di «ordine geografico», sia delle ragioni legate al bilancio dell’ente locale che impedirebbero l’applicazione della deroga. Quanto all’eccepita presenza di una motivazione per relationem, secondo il Comune di Fano, il giudice rimettente, pur in una «argomentazione sintetica», avrebbe comunque fatto proprie, condividendole, le eccezioni di legittimità costituzionale prospettate dalla parte ricorrente del giudizio a quo. Non saremmo dunque in presenza di una motivazione per relationem (viene citata la sentenza n. 10 del 2015).

Inoltre, dall’intero testo dell’ordinanza si ricaverebbero, «al di là di ogni possibile incertezza», le ragioni della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, in virtù di un’argomentazione fondata sulla giurisprudenza costituzionale alla quale lo stesso giudice aderirebbe.

A margine, la difesa del Comune di Fano segnala come la presente vicenda sarebbe caratterizzata da elementi «di unicità, che non consentono di fare ricorso agli schemi consueti». D’altra parte, già con la sentenza non definitiva poi annullata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 2 del 2018, il Consiglio di Stato avrebbe dato atto di ritenere che l’atto indittivo del referendum fosse in contrasto con la Costituzione: sarebbe pertanto «difficile sostenere che esso non riconosca la non manifesta infondatezza» della presente questione.

Viene infine escluso che il petitum della questione possa avere natura indeterminata e che, come adombrato nell’atto di costituzione in giudizio della Regione Marche, possano esserci profili di inammissibilità legati alla irrilevanza della questione.

Nel merito, il Comune di Fano si sofferma sulla tesi prospettata dal Comune di Mondolfo volta a valorizzare – nel senso della conformità a Costituzione e della ragionevolezza della scelta di circoscrivere la platea delle «popolazioni interessate» – i dati relativi all’affluenza che, particolarmente elevata nelle zone direttamente interessate alla variazione territoriale, è diventata sempre più bassa nelle sezioni elettorali più lontane da tali zone. Tale argomento proverebbe troppo. Sarebbe in primo luogo «tutto da dimostrare che la partecipazione alla consultazione delle sezioni escluse sarebbe stata ancora più bassa». In secondo luogo, sarebbe difficile desumere indicazioni univoche da tali dati: la ridotta partecipazione potrebbe ragionevolmente essere spiegata «dalla diffusa convinzione che il campione demografico selezionato dal Consiglio regionale rendesse assolutamente prevedibile il risultato favorevole al distacco. Con la conseguente sensazione, da parte degli elettori delle sezioni più periferiche, dell’inutilità della propria partecipazione alla consultazione».

La consapevolezza di un esito della consultazione non scontato avrebbe invece potuto determinare maggiore partecipazione anche degli elettori più lontani. Circostanza, questa, che sarebbe dimostrata dall’esito del referendum che si tenne nel giugno del 1981, al quale parteciparono il 59,1 per cento degli elettori del Comune di Fano e l’81,29 per cento degli elettori del Comune di Mondolfo e che vide prevalere il 77,84 per cento dei votanti esprimersi contro la variazione. Proprio l’esito di quel referendum, ipotizza la difesa del Comune di Fano, avrebbe «convinto la Regione a costruire un corpo elettorale più compiacente rispetto al risultato divisato».

Ancora, il Comune di Fano evidenzia come la pur esistente discrezionalità riconosciuta alle Regioni in merito all’individuazione delle «popolazioni interessate» non può tradursi – come pure si desume dalla giurisprudenza costituzionale – in una forma di libertà arbitraria e insindacabile. Da ultimo, precisa che la mancata consultazione delle intere popolazioni dei due Comuni toccati dalla variazione territoriale non possa essere in alcun modo surrogata e compensata dalla consultazione degli enti locali.

9.– Con memoria depositata l’11 giugno 2019 la Regione Marche insiste affinché la Corte dichiari la manifesta inammissibilità e comunque la manifesta infondatezza della questione. La difesa della Regione evidenzia in particolare «l’interesse principale della Regione Marche a una soluzione definitiva del lungo contenzioso ancora in corso, che finalmente consenta di “consolidare” gli effetti della legge regionale n. 15 del 2014» e segnala come i criteri con i quali «sono state individuate le “ulteriori” popolazioni [interessate] sono il frutto di una lunga, approfondita e partecipata istruttoria».

10.– Con memoria depositata l’11 giugno 2019, il Comune di Mondolfo, nel replicare alle argomentazioni contenute nell’atto di costituzione del Comune di Fano, insiste per l’inammissibilità della questione.

Nel merito, sostiene che le deduzioni del Comune di Fano confermerebbero la derogabilità della regola del principio generale della consultazione di tutte le popolazioni dei Comuni coinvolti. In particolare, l’esclusione dei residenti della sezione elettorale n. 46 dalla consultazione referendaria si giustificherebbe con la lontananza dalla «modestissima porzione di territorio comunale oggetto di trasferimento». Gli abitanti delle sezioni più lontane non sarebbero infatti interessati al procedimento di variazione territoriale e si sarebbero esclusi dalla consultazione i cittadini facenti capo alle sezioni elettorali non collocate sulla costa.

Il Comune di Mondolfo, ribadendo la piena legittimità e la ragionevolezza delle scelte effettuate nell’individuazione della popolazione interessata, segnala come tali scelte non avrebbero riservato alcun trattamento di favore nei confronti del Comune di Mondolfo, perché i residenti delle zone contigue al territorio da trasferire ammessi alla consultazione erano elettori di entrambi i Comuni individuati sulla base di ragioni sociali ed economico-amministrative analiticamente motivate nella delibera consiliare di indizione del referendum e nella relazione alla proposta di legge popolare.

11.– In data 11 giugno 2019 anche la difesa di Vitali Gabriele, in proprio e per il Comitato Pro Marotta Unita, ha depositato memoria, sottolineando come il mutamento circoscrizionale abbia consentito di «unificare una cittadina già esistente come una entità urbana a sé stante, il cui territorio era incomprensibilmente diviso tra due diverse amministrazioni». Dalla giurisprudenza costituzionale emergerebbe il principio secondo cui il mutamento circoscrizionale di cui all’art. 133, comma secondo, Cost., «non deve comportare il pericolo di smembramento dell’ente locale, per la sua integrità territoriale, economica e sociale», circostanza che nel caso in esame non si sarebbe verificata.

Quanto all’individuazione della popolazione interessata, la Regione Marche avrebbe compiuto una «approfondita valutazione della situazione concreta di Marotta e delle sue molteplici peculiarità»: frazione del tutto eccentrica rispetto al Comune di Fano, caratterizzata da una «sua precisa soggettività», risalente alla seconda metà del Cinquecento; con un dialetto identico a quello di Mondolfo, ma diverso da quello del Comune di Fano; con tradizioni sportive, culturali e festive peculiari e differenti rispetto a quelle fanesi. Il territorio oggetto della variazione territoriale riguarderebbe «grandezze oggettivamente minuscole rispetto al totale del Comune di Fano, sia dal punto di vista demografico che dell’estensione territoriale», il che testimonierebbe «l’assenza di qualsiasi pericolo di smembramento, per il territorio del Comune di Fano». La zona trasferita sarebbe poi priva di qualsiasi infrastruttura, eccezion fatta per un edificio scolastico – che mai sarebbe stato frequentato «nemmeno [da] uno studente proveniente da Fano» – e una farmacia. La valutazione complessiva di tutti questi elementi, corrispondenti ai requisiti richiesti dalla giurisprudenza costituzionale per i casi di deroga della consultazione dell’intera popolazione, renderebbe legittima la scelta del Consiglio regionale marchigiano.


Considerato in diritto

1.– Il Consiglio di Stato, sezione quinta, solleva questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 133, secondo comma, della Costituzione, della legge della Regione Marche 23 giugno 2014, n. 15 (Distacco della frazione di Marotta dal Comune di Fano e incorporazione nel Comune di Mondolfo. Mutamento delle rispettive circoscrizioni comunali).

Il giudice a quo censura la legge reg. Marche n. 15 del 2014 in quanto non la ritiene conforme alla giurisprudenza che questa Corte ha sviluppato in relazione all’art. 133, secondo comma, Cost., e in particolare alla nozione di «popolazioni interessate»: quelle, cioè, che devono essere necessariamente sentite prima dell’approvazione della legge di variazione circoscrizionale, o meglio, come è avvenuto nel caso di specie, nel corso del procedimento che all’approvazione di tale legge conduce.

Il giudice a quo evidenzia, in particolare, che la legge regionale in esame è stata approvata all’esito di un procedimento nel corso del quale il referendum consultivo – che, appunto, consente alle «popolazioni interessate» di esprimersi sulla proposta di variazione delle circoscrizioni comunali – è stato indetto chiamando al voto i soli residenti nella frazione oggetto della proposta di distacco e quelli residenti nelle zone a questa immediatamente contigue. A suo avviso, sarebbe stato invece necessario, alla luce degli artt. 133, secondo comma, e 3 Cost., consultare tutti i residenti di entrambi i Comuni coinvolti nel procedimento di variazione circoscrizionale.

La rilevanza delle sollevate questioni, osserva il rimettente, dipende dalla ricostruzione che questa Corte avrebbe operato nella sentenza n. 2 del 2018, ove si sarebbe chiarito che il sindacato di legittimità sugli atti relativi al referendum consultivo, spettante al giudice amministrativo, deve essere trasferito al giudice costituzionale una volta approvata la legge di variazione circoscrizionale, poiché un eventuale vizio di quegli atti si tradurrebbe, da quel momento in poi, in un vizio del procedimento di formazione di quest’ultima. Sicché, impugnata di fronte al Consiglio di Stato la sentenza di primo grado che ha rigettato le censure sollevate nei confronti degli atti del procedimento referendario, l’esito del giudizio d’appello è condizionato dalla pronuncia che questa Corte deve rendere sulla legittimità costituzionale della legge di variazione circoscrizionale.

2.– In via preliminare, va rilevato che la motivazione dell’ordinanza di rimessione contiene ampi ed espliciti argomenti relativi all’asserita lesione dell’art. 133, secondo comma, Cost.

Eccepisce la Regione Marche che la violazione dell’art. 3 Cost., prospettata nel dispositivo dell’ordinanza, non troverebbe, invece, sufficienti supporti espressi nella motivazione dell’ordinanza stessa.

L’eccezione non è fondata.

Nell’ordinanza, in verità, un riferimento al parametro della ragionevolezza, e perciò all’art. 3 Cost., emerge in almeno due occasioni e viene sinteticamente ma consapevolmente utilizzato in funzione valutativa dei criteri utilizzati dalla delibera regionale per selezionare la popolazione interessata alla consultazione referendaria in esame. Si afferma, in particolare, che questa Corte dovrà apprezzare coerenza e proporzionalità, e perciò ragionevolezza, della scelta di derogare alla «regola generale ricavabile dalla giurisprudenza costituzionale», che consisterebbe nella «consultazione di tutti gli elettori dei comuni interessati dalla variazione circoscrizionale».

Va dunque rigettata la richiesta della Regione Marche di dichiarare la censura inammissibile per assenza di motivazione sulla non manifesta infondatezza.

3.– Sempre in via preliminare, devono essere affrontate le ulteriori e diverse eccezioni d’inammissibilità avanzate dalla Regione Marche, dal Comune di Mondolfo e dalla parte privata.

3.1.– Le tre parti del giudizio principale, secondo prospettazioni analoghe, ritengono in primo luogo che il giudice rimettente, investito dell’eccezione di legittimità costituzionale sollevata nel giudizio a quo dal Comune di Fano, avrebbe devoluto a questa Corte lo stesso preliminare accertamento sulla non manifesta infondatezza, senza dunque ottemperare all’obbligo di motivare sul punto.

L’eccezione non è fondata.

Pur caratterizzandosi per alcune singolarità argomentative (nonché per alcune vere e proprie inesattezze, come, ad esempio, l’affermazione che la semplice prospettazione, ad opera della parte, di un’eccezione di legittimità costituzionale comporterebbe il sorgere, in capo al giudice, del dovere di sollevare la relativa questione), l’ordinanza di rimessione, complessivamente considerata, non manca di esporre le ragioni che inducono il rimettente a dubitare che il presupposto procedimentale della consultazione delle «popolazioni interessate» previsto dall’art. 133, secondo comma, Cost., sia stato correttamente rispettato, alla luce della giurisprudenza costituzionale sul punto e delle allegazioni del Comune di Fano, che, come subito si dirà, vengono esplicitamente condivise.

3.2.– In secondo luogo, eccepiscono la Regione Marche e il Comune di Mondolfo l’inammissibilità della questione perché sostenuta da una motivazione per relationem a quanto contenuto negli atti del Comune di Fano.

Anche tale eccezione non è fondata.

Pur non mancando nell’ordinanza passaggi contenenti rinvii alle argomentazioni di una delle parti, cioè del Comune di Fano, il giudice a quo mostra con chiarezza di condividere e far proprie le censure sollevate da quest’ultimo. E la giurisprudenza costituzionale afferma costantemente che quando il rimettente rende espliciti, facendoli propri, i motivi della non manifesta infondatezza, l’ordinanza non può essere considerata motivata per relationem (ex plurimis, sentenze n. 121 del 2019, n. 88 del 2018 e n. 35 del 2017).

3.3.– Infine, la Regione Marche, il Comune di Mondolfo e la parte privata eccepiscono ulteriormente l’inammissibilità delle questioni a causa dell’asserita indeterminatezza del petitum. Non sarebbe chiaro, in particolare, se il rimettente censuri l’identificazione del gruppo di residenti da consultare quale effettuata, in concreto e nella vicenda in esame, nella delibera del Consiglio regionale delle Marche, oppure se contesti in generale la possibilità stessa di individuare, quali «popolazioni interessate», gruppi di residenti più ristretti rispetto all’intera popolazione dei Comuni coinvolti.

Nemmeno tale eccezione coglie nel segno.

Il giudice a quo ricorda, innanzitutto, che con la sentenza non definitiva del 23 agosto 2016, n. 3678 (poi annullata da questa Corte con la sentenza n. 2 del 2018), la delibera di indizione del referendum consultivo era stata ritenuta illegittima «perché non sono stati chiamati ad esprimere il voto consultivo tutti i cittadini residenti nei due comuni interessati dalla modifica circoscrizionale».

Inoltre, il rimettente – mostrando così di aderire alla tesi avanzata, sul punto, dal Comune di Fano – richiama, quale regola generale a suo dire ricavabile dalla giurisprudenza di questa Corte, quella secondo cui il concetto di «popolazioni interessate» ricomprenderebbe, in principio e salvo casi eccezionali, tutti i residenti dei Comuni coinvolti.

Infine, e in via dirimente, si chiede se sia stato corretto che a tale principio si sia derogato, come avvenuto nel corso del procedimento di formazione della legge regionale censurata.

Il petitum delle sollevate questioni di legittimità costituzionale è perciò agevolmente individuabile nella richiesta di verificare se la legge reg. Marche n. 15 del 2014 sia costituzionalmente illegittima in quanto adottata all’esito di un procedimento nel corso del quale il referendum consultivo – che consente alle «popolazioni interessate» di esprimersi sulla proposta di variazione delle circoscrizioni comunali – è stato indetto chiamando al voto i soli residenti nella frazione oggetto della proposta di distacco e quelli residenti nelle zone ad essa immediatamente contigue, anziché tutti i residenti nei Comuni coinvolti nel procedimento di variazione circoscrizionale.

4.– Le questioni non sono fondate.

Nella precedente sentenza n. 2 del 2018, la questione di legittimità costituzionale e il conflitto tra enti, da essa congiuntamente decisi, vertevano, da un lato, sul rapporto intercorrente tra il referendum consultivo e la legge regionale di variazione circoscrizionale e, dall’altro, sulla delimitazione degli ambiti di sindacato spettanti, rispettivamente, al giudice amministrativo e a questa Corte, in riferimento agli atti del complessivo procedimento che conduce all’approvazione di quella legge. Le presenti questioni di legittimità costituzionale, che della sentenza n. 2 del 2018 costituiscono il “naturale” seguito, riguardano invece, direttamente, il significato dell’espressione «popolazioni interessate», contenuta nell’art. 133, secondo comma, Cost., ai sensi del quale la Regione, appunto sentite tali popolazioni, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni.

Una giurisprudenza costituzionale non sempre univoca (come già riconosciuto nella sentenza n. 94 del 2000), con scelte variamente articolate in relazione ai singoli casi di specie, ha avuto modo di pronunciarsi su un concetto, quello appunto di «popolazioni interessate», caratterizzato da un certo «polimorfismo» e soggetto a interpretazioni diverse a seconda del procedimento di variazione territoriale che viene concretamente in considerazione, negli artt. 132 e 133 Cost. (sentenza n. 278 del 2011).

Proprio in ragione della varietà di forme in cui può emergere e manifestarsi l’interesse di una popolazione ad essere consultata in relazione a variazioni territoriali che la coinvolgano, è necessario precisare che, nella presente circostanza, la corretta determinazione del concetto di «popolazioni interessate» va specificamente rapportata a un caso di modifica delle circoscrizioni comunali (non già di istituzione di un nuovo Comune o di modifica della denominazione originaria). Va inoltre tenuto presente che la variazione è proposta in un ordinamento regionale che non stabilisce, in via generale e preventiva, criteri e direttive da applicare, nei casi concreti, per l’individuazione dei soggetti da chiamare alla consultazione in esame.

Sotto quest’ultimo profilo, infatti, l’art. 20, comma 2, della legge della Regione Marche 5 aprile 1980, n. 18 (Norme sui referendum previsti dallo Statuto), si limita a stabilire che «[l]a deliberazione del Consiglio regionale deve indicare il quesito e gli elettori interessati». In tal modo, la delimitazione del perimetro degli elettori interessati non è affidata, in via preventiva, a criteri legali di carattere generale, ma è direttamente rimessa, con decisione da assumere caso per caso, alla valutazione del Consiglio regionale.

5.– Va innanzitutto sottoposta ad analisi critica l’affermazione, dalla quale muove il rimettente, secondo cui l’espressione «popolazioni interessate» di cui all’art. 133, secondo comma, Cost. ricomprenderebbe, in principio e salvo eccezionali deroghe, tutti i residenti nei Comuni coinvolti dalla specifica variazione circoscrizionale.

A supporto dell’assunto in discussione non sono per vero estranei argomenti affermati da una giurisprudenza risalente di questa stessa Corte (in particolare, sentenza n. 433 del 1995), esplicitamente e direttamente riferiti all’istituzione di un nuovo Comune («popolazioni interessate sono tanto quelle che verrebbero a dar vita a un nuovo Comune, così come quelle che rimarrebbero nella parte, per così dire, “residua” del Comune di origine»), e tuttavia analogicamente ritenuti applicabili anche ai trasferimenti di popolazione da un Comune ad un altro, in conseguenza di modificazioni di circoscrizioni territoriali.

Questa asserita «regola generale», direttamente ricavabile dall’art. 133, secondo comma, Cost. – che esigerebbe, salvo deroghe eccezionali, la consultazione di tutta la popolazione del Comune o dei Comuni le cui circoscrizioni devono subire modificazioni – è tuttavia stata oggetto di una significativa correzione già nella sentenza n. 94 del 2000, maggiormente attenta ad argomenti di segno testuale e sistematico, attraverso il confronto tra l’art. 133 Cost. e quanto disposto nel precedente art. 132 Cost.

In tale sentenza, si sottolinea che l’art. 133, secondo comma, Cost., in realtà, non precisa quali siano, nelle differenti ipotesi di istituzione di nuovi Comuni o di modifica delle circoscrizioni di Comuni esistenti, le «popolazioni interessate»: ma, «essendo l’interesse che fonda l’obbligo di consultazione riferito direttamente alle popolazioni, e non agli enti territoriali (com’è del resto anche nell’art. 132, primo comma, a proposito della fusione o creazione di Regioni), si può escludere che l’ambito della consultazione debba necessariamente ed in ogni caso coincidere con la totalità della popolazione dei comuni coinvolti nella variazione. Può ben essere che la consultazione debba avere siffatta estensione, ma non in forza di un vincolo costituzionale assoluto, bensì per la sussistenza di un interesse riferibile all’intera popolazione dei comuni».

L’assunto della sentenza precedente viene quindi integrato e modificato: la consultazione dell’intera popolazione dei Comuni coinvolti non è il principio, ma è l’eventuale risultato di una valutazione degli interessi esistenti nel caso di specie. L’art. 133, secondo comma, Cost., non si riferisce, infatti, né ai Comuni quali enti esponenziali di tutti i residenti, né alla totalità dei residenti stessi nei Comuni coinvolti dalla variazione, ma, appunto, alle «popolazioni interessate», affidando, perciò, o al legislatore regionale, attraverso una legge che detti criteri generali, oppure al competente organo regionale, caso per caso, la delimitazione del perimetro delle popolazioni da consultare nel singolo procedimento di variazione.

Come mette in luce la giurisprudenza successiva, pur senza dimenticare il favor per il massimo coinvolgimento possibile delle popolazioni, in nome del principio della loro necessaria consultazione (da ultimo, sentenza n. 123 del 2019), risulta insomma maggiormente aderente al significato dell’art. 133, secondo comma, Cost., la rinuncia a una definizione predefinita e “fissa” di popolazioni interessate, necessariamente coincidente con la totalità dei residenti nei Comuni coinvolti dalla variazione. E ne rispecchia assai meglio la ratio l’idea che la “perimetrazione”, o delimitazione, dell’ambito degli elettori da consultare vada compiuta sulla base di una valutazione, guidata o meno da criteri legali preventivi, relativa alle specifiche esigenze del caso concreto, avendo particolare attenzione agli elementi idonei a fondare ragionevolmente una valutazione di sussistenza o insussistenza di un interesse qualificato a essere consultati sulla variazione territoriale (sentenza n. 47 del 2003).

Tutto ciò, sul presupposto che il concetto di «popolazioni interessate» evoca un dato variabile, che può prescindere dal diretto coinvolgimento nella modifica, ricomprendendo anche gruppi di residenti interessati ad essa in via mediata e indiretta (sentenze n. 278 del 2011 e n. 334 del 2004).

5.1.– Non sfugge a questa Corte, quanto alla complessiva conformità costituzionale della “perimetrazione” ora in esame, la differenza che può sussistere tra il caso in cui i criteri per la identificazione delle «popolazioni interessate» siano contenuti in legge, da quello in cui tale delimitazione risulti, caso per caso, dalla delibera dell’organo regionale competente.

Nel primo caso, la valutazione dell’organo regionale risulta ex ante contenuta e delimitata, secondo criteri che al giudice amministrativo consentono un immediato e più agevole sindacato e che, peraltro, non si sottraggono affatto al controllo di questa Corte (proprio in quanto rigidamente prefissati a priori e non adatti alle circostanze del caso di specie, criteri del genere sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi: sentenza n. 94 del 2000). Nel secondo, invece, può più chiaramente profilarsi il rischio, paventato nei propri atti dal Comune di Fano, che, attraverso un’artata perimetrazione dell’ambito delle popolazioni chiamate a esprimersi, il risultato del referendum venga significativamente orientato in partenza, secondo tecniche manipolatorie dei collegi elettorali che potrebbero addirittura richiamare l’esperienza statunitense del cosiddetto gerrymandering.

L’assenza di preventivi criteri legali dovrebbe così condurre, questa sembra essere la tesi del Comune di Fano, a confermare per altra via l’assunto di partenza dal quale muove lo stesso giudice rimettente: per evitare abusi, parrebbe necessario (proprio in quanto quei criteri difettino) interpretare l’espressione «popolazioni interessate» di cui all’art. 133, secondo comma, Cost. come equivalente all’intera popolazione dei Comuni coinvolti nella variazione circoscrizionale.

Un tale assunto non può essere condiviso.

Ferma restando la differente situazione in cui si versa, a seconda che l’ordinamento regionale precostituisca in legge i criteri per l’identificazione delle popolazioni da consultare, oppure affidi tale identificazione a decisioni caso per caso, siffatta differenza non ha decisive conseguenze sulla corretta interpretazione del concetto di «popolazioni interessate» di cui all’art. 133, secondo comma, Cost. La identificazione di tali popolazioni, infatti, resta pur sempre affidata alla valutazione discrezionale dell’organo regionale competente, più o meno ampia a seconda dei casi, e sempre soggetta a verifica del giudice amministrativo o di questa Corte.

6.– Venendo all’esame del caso di specie, e all’applicazione ad esso dei principi fin qui enucleati, non può non rilevarsi, preliminarmente, e proprio alla luce delle considerazioni che immediatamente precedono, come il distacco della frazione di Marotta dal Comune di Fano e la sua incorporazione nel Comune di Mondolfo, disposta dalla legge reg. Marche n. 15 del 2014, siano stati preceduti da vicende che riflettono le stesse incertezze giurisprudenziali, prima riportate, nella identificazione delle «popolazioni interessate» da consultare nelle variazioni circoscrizionali.

È necessario ricordare che, prima dell’entrata in vigore della legge reg. Marche n. 15 del 2014, la maggior parte del territorio dell’abitato di Marotta apparteneva al comune di Mondolfo, mentre una parte minoritaria di territorio e abitanti della stessa frazione (circa 2.700 persone, collocate su un territorio di circa 1,5 chilometri quadrati) erano invece amministrati dal Comune di Fano.

Fano e Mondolfo, per parte loro, sono Comuni diseguali per ampiezza territoriale e, soprattutto, per numero di residenti (63.000 circa a Fano, 12.000 circa a Mondolfo).

Caratterizzano l’intera vicenda all’origine della presente questione di legittimità costituzionale risalenti e ricorrenti spinte alla “unificazione” della frazione, volte a ottenere, come infine disposto dalla legge in vigore, l’incorporazione dell’intero abitato di Marotta nel Comune di Mondolfo. Tali spinte risultano costantemente contrastate da tenaci opposizioni del comune di Fano, che non ha mai inteso accettare questo esito.

Un primo referendum consultivo, nel 1981, viene indetto (nell’ambito del procedimento di formazione della relativa legge di variazione circoscrizionale) chiamando al voto la totalità delle popolazioni di entrambi i Comuni, Fano e Mondolfo, secondo l’interpretazione allora data alla nozione di «popolazioni interessate» di cui all’art. 133, secondo comma, Cost.

Tale referendum fornisce esito nettamente negativo; ciò che non stupisce, stante il divario quantitativo di aventi diritto al voto residenti, rispettivamente, nei due Comuni.

Nel 2013, nell’ambito di un ulteriore procedimento di formazione di una legge regionale di variazione circoscrizionale, è indetto un nuovo referendum (deliberazione del Consiglio regionale della Regione Marche 15 gennaio 2013, n. 61), ma questa volta sono chiamati a votare i soli residenti della frazione di Marotta di Fano, secondo un’interpretazione dell’art. 133, secondo comma, Cost., del tutto opposta rispetto a quella del 1981.

Sospesa dal giudice amministrativo l’esecuzione degli atti del procedimento referendario su ricorso del Comune di Fano, il Consiglio regionale – con la deliberazione del 22 ottobre 2013, n. 87 – provvide a revocare l’originaria delibera d’indizione e poi a rinnovarla, estendendo la consultazione anche alle popolazioni che risiedono nelle zone immediatamente contigue al territorio di Marotta: secondo una lettura intermedia, se così può dirsi, dell’art. 133, secondo comma, Cost.

Questa volta l’istanza cautelare presentata dal Comune di Fano viene respinta dal giudice amministrativo e il referendum si svolge il 9 marzo 2014: rispetto a quello del 1981 l’esito è opposto, vedendo esprimersi a favore del distacco il 67,3 per cento dei votanti.

In base all’esito del referendum, il Consiglio regionale approva infine la legge reg. Marche n. 15 del 2014, sancendo così il distacco della frazione di Marotta dal Comune di Fano e la sua incorporazione nel Comune di Mondolfo.

Le vicende sinteticamente illustrate devono essere esaminate alla luce degli approdi della giurisprudenza costituzionale, quali descritti supra (punto 5).

6.1.– Senza trascurare il necessario favor per il massimo coinvolgimento possibile di tutte le popolazioni, si tratta perciò di verificare se la delimitazione dell’ambito dei soggetti da consultare sia stata compiuta sulla base di una valutazione aderente alle specifiche esigenze del caso concreto, avendo particolare attenzione alla identificazione di elementi idonei a fondare ragionevolmente una valutazione di sussistenza o insussistenza dell’interesse qualificato alla variazione territoriale, tenendo in conto che il concetto di «popolazioni interessate» evoca un dato variabile, che può ben prescindere dal diretto coinvolgimento nella variazione stessa, ricomprendendo gruppi di residenti interessati ad essa anche solo in via mediata e indiretta.

Ebbene, alla stregua di un tale criterio, la non adeguatezza di un’interpretazione che imponga il coinvolgimento dell’intera popolazione dei due Comuni deriva da una concomitante serie di elementi. In primo luogo, dalla diseguale ampiezza dei due Comuni coinvolti, Fano e Mondolfo, e dal ben diverso numero di aventi diritto al voto in essi rispettivamente residenti; inoltre, dalla limitata estensione del territorio e della popolazione interessati direttamente dalla proposta di variazione (sentenza n. 433 del 1995); ancora, dalla particolare conformazione della frazione da trasferire, tutta costiera, molto più lontana dal centro di Fano che da quello di Mondolfo, e, per così dire, geograficamente collocata in modo evidente nella direzione di quest’ultimo Comune.

Non estranea a questa valutazione è anche la necessità di considerare non immeritevole di protezione, alla luce della stessa ratio dell’art. 133, secondo comma, Cost., la peculiarità della situazione della “comunità” di Marotta – sulla quale insiste, con dovizia di notizie storiche e culturali, la parte privata – che induce ad attribuire a tale comunità una certa “peculiarità distintiva”, ovvero a reputarla «fatto sociologicamente distinto» (sentenza n. 433 del 1995), anche alla luce della lunga controversia affrontata in nome della “riunificazione” con Mondolfo.

D’altro canto, non conforme rispetto al testo e alla ratio dell’art. 133, secondo comma, Cost., sarebbe risultata l’interpretazione opposta – pur adottata dal Consiglio regionale con la citata delibera n. 61 del 2013, ma poi modificata a seguito del giudizio amministrativo – volta a dar voce ai soli residenti della frazione da trasferire, secondo una lettura a sua volta non assente (ciò va rilevato, a giustificazione delle incertezze che contraddistinguono simili vicende) nella più risalente giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 453 del 1989, che in un caso di modifica circoscrizionale aveva riferito il concetto di popolazione interessata «agli elettori […] residenti nei territori da trasferire e non già […] all’intera popolazione residente nei due Comuni, cui non può riconoscersi un interesse qualificato per intervenire in procedimenti di variazione che riguardano parti del territorio rispetto al quale essa non abbia alcun diretto collegamento»).

Rispetto alle due più radicali e contrapposte visioni, l’interpretazione accolta da ultimo dal Consiglio regionale, che chiama al voto alcune parti delle popolazioni residenti nei due Comuni coinvolti – selezionandole fra quelle contigue all’abitato oggetto della proposta di trasferimento, sulla base di una valutazione riferita alla presenza di alcune infrastrutture d’interesse comune per la relativa popolazione – risulta non incompatibile rispetto alla lettura qui accolta delle disposizioni costituzionali invocate a parametro.

In particolare, la già citata deliberazione del Consiglio regionale della Regione Marche n. 87 del 2013 illustra con sufficiente analiticità i criteri che hanno condotto a questa individuazione delle «popolazioni interessate». I residenti in queste zone, si afferma, a differenza di tutti gli altri residenti nei Comuni di Fano e Mondolfo, sono quelli più facilmente orientati a utilizzare alcune infrastrutture situate nell’abitato oggetto di variazione territoriale (una farmacia e un istituto scolastico); condividono con gli abitanti di Mondolfo, in considerazione della prossimità territoriale, servizi già esistenti sul territorio; hanno un diretto interesse a una amministrazione omogenea della zona costiera, in vista di una uniforme gestione dei servizi di accoglienza, balneari e turistici, necessari allo sviluppo dell’area in cui risiedono.

Da ultimo, non può essere validamente utilizzato, in senso contrario alla scelta posta a base della consultazione in parola, l’argomento fiscale, in ipotesi invocabile da tutti i residenti del Comune di Fano. Sostiene, in particolare, la difesa di tale Comune che questi ultimi dovrebbero sopportare le conseguenze determinate dalla diminuzione delle entrate tributarie del Comune, derivante dal distacco della frazione di Marotta, con conseguente prevedibile aggravio della pressione tributaria a loro diretto carico, risultando perciò evidente il loro interesse a essere consultati.

L’argomento prova troppo. Ogni variazione territoriale produce un numero indeterminato di conseguenze, e queste non possono non estendersi allo stesso ambito tributario, eventualmente riguardando anche il bilancio dell’ente comunale che la variazione subisce. Peraltro, proprio con riferimento al bilancio, le conseguenze non sono necessariamente univoche, poiché la variazione ben può tradursi anche in un risparmio di spesa, connesso all’eventuale diminuzione dei residenti o dei servizi da erogare loro.

Del resto, a ragionare diversamente, i soggetti da coinvolgere nelle consultazioni in questione sarebbero, sempre e necessariamente, tutti i residenti nei Comuni coinvolti, cessando in principio ogni necessità di individuare specificamente le «popolazioni interessate», come invece richiede l’art. 133, secondo comma, Cost.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale della legge della Regione Marche 23 giugno 2014, n. 15 (Distacco della frazione di Marotta dal Comune di Fano e incorporazione nel Comune di Mondolfo. Mutamento delle rispettive circoscrizioni comunali), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 133, secondo comma, della Costituzione, dal Consiglio di Stato, sezione quinta, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Nicolò ZANON, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 25 settembre 2019.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA